mercoledì 27 agosto 2008

Un sub normale



Non contenti di averci un "presidente della camera" fascista, ce lo ritroviamo anche subacqueo. D'accordo che, da buon fascista, forse gli servirà per cavarsela nelle fogne; qui lo possiamo capire. Però, che per esercitarsi con maschera, pinne e bombole debba non solo servirsi dei mezzi dei vigili del fuoco, ma anche prendere e andare a immergersi nelle oasi superprotette, mi sembra leggermente troppo.

Oasi superprotette e, ovviamente, vietatissime; tutto questo nel paesello dei divieti. Quello, per intenderci, dove non si possono stendere i panni alle finestre o mangiare un panino per strada, pena salatissime multe. Ma tutto questo, ovviamente, non vale per il fascistone law & order; bel bello, se ne piglia i "suoi" vigili del fuoco, se ne va all'isola di Giannutri (area "a protezione integrale" nel parco dell'Arcipelago Toscano) e va a fare glu glu in quel mare incontaminato -che con la sua presenza diviene automaticamente inquinato.

Questa sarebbe, udite udite, la terza carica dello Stato. Caricaaaa! Ora dice che "è stata una leggerezza" e che "pagherà la multa"; intanto, ovunque vada a immergere il suo augusto culo pinnato, ci son sempre i vigili del fuoco; ma che avrà paura di incendiarsi in mare?

Viene a mente senz'altro una famosissima "gaffe" di Mike Bongiorno, che poi non si sa neppure se sia vera o se sia una leggenda metropolitana. Si narra che, rivolgendosi al vecchio "Rischiatutto" a un celebre concorrente, il sub dilettante Enzo Bottesini (quello che poi mandò all'aria un tentativo di record mondiale di apnea a Enzo Majorca, che saltò fuori dall'acqua bestemmiando come un ossesso), gli abbia detto: "Ma noooo! Io non sono un sub speciale come lei, io sono un sub normaleeee!"

lunedì 25 agosto 2008

L'immeritato ritorno, including Contro la Francigena




Di ritorno dalle immeritate vacanze, e con la prospettiva assolutamente certa di impiegare i prossimi giorni (diciamo fino a sabato) in un trasloco almeno per una volta non di mia stretta competenza -per il quale mi trovo in un'afosa trasferta piacentina di fin'estate, vado rigorosamente a ruota libera.

In realtà, di raccontare quel che ho fatto durante le vacanze non mi va neanche troppo. Far scoprire un po' d'isola d'Elba -specialmente con il commovente tonno ai pistacchi dell'Osteria Libertaria di Portoferraio, ritrovarmi a Galenzana un'altra volta assieme ad una persona amata, lo scirocco appiccicoso e fetente, e mia cugina che ha atteso le sue ferie d'operaia per beccarsi la varicella a 38 anni suonati; cose normali, impreziosite dal buon San Gaetano -patrono di Marina di Campo- che durante la sua festa del 7 agosto ha pensato bene di dar fuoco a qualche barchètta ormeggiata in porto mediante il generoso spettacolo pirotecnico annuale. Ci ripenso sempre con qualche risata, immaginandomi le bestemmie dei proprietari delle imbarcazioni; figurarmeli poi devoti di paparazzingher o di padrepìe è come mettere il tabasco sui tacos. Aggiunge gusto.

Beninteso, un ragionamento che mi capita spesso di fare tra me e me è il seguente: ma come mai, nei posti di mare, le feste dei santi patroni cadono tutte in luglio e agosto? Mai, che so io, un tredici di gennaio o un ventisette di novembre. 'Sti santi! Anche loro debbono dare il loro contributo all'industria turistica e cadere rigorosamente in alta stagione; e poi qualche maledetto senzadìo dice che la religione è una cosa inutile!

Un'estate passata saltapicchiando dall'iperrazionalità di Piergiorgio Odifreddi (irresistibile a volte, esagerato altre e insopportabile altre ancora) alle storie di Lansdale, uno che mi ha fatto pensare spesso ai miei tentativi di raccontare cose e all'abisso che mi separa dal saperlo davvero fare; all'ultima pagina di Tramonto e polvere, coi capelli rossi di Sunset in testa, mi è presa la voglia di rileggermela subito, quella storia, e di mangiarmela. Come fosse una piattata di croste di parmigiano fritte nell'olio, che è il troiaio mangereccio che più mi fa impazzire, e da una vita intera.

Poi, una giornata passata tra la luce abbacinante di una Volterra infuocata, salsicce e patatine in una specie di posada messicana spiaccicata sulla strada per Saline -Old River, si chiama-, e una serata matta assieme a un amico e ai suoi parenti nella loro “Porcilaia” -una serata anch'essa di storie dietro a un fico, e storie belle; ma a parte l'accenno che l'amico in questione ha fatto nel suo blog, ne avrò a riparlare, e a riparlare estesamente. E infine eccomi qui, momentaneamente sdraiato sulla pianura Padana che sto cominciando a rivalutare da quando mi è toccato vivere per anni in mezzo ai monti. Belli, bellissimi i monti; ma non sono fatti per me. Troppo faticosi, troppo cupi, troppo silenziosi. La pianura assomiglia di più al mare, e stasera a Piacenza c'era un tramonto da mozzare il fiato. Condito anche dall'aver trovato casualmente l'unico tifoso della Fiorentina in tutta Piacenza, che mi ha invitato mercoledì sera a casa dei suoi genitori a vedere sulla tv porno che ha acquisito i diritti la partita di ritorno del preliminare di Champions' League.

Il bello è che ero partito, per questo post, con l'idea di scrivere una sorta di pamphlet contro la via Francigena. Non ne posso più della via Francigena, mi perseguita da una vita e mezzo. Quando stavo nelle campagne senesi, stavo su un pezzo della Francigena. A Volterra mi aspetto gli Etruschi, e invece c'è un'insalata di pezzi di Francigena. Sono a Piacenza e mi ritrovo i cartelli della via Francigena. Come mi muovo sono inseguito dalla via Francigena. Ma che cazzo di via era, perdiana? Non si sa da dove partisse, toccava in rapida successione Stoccolma, Reims, Samarcanda, Sinalunga, Timbuctù, Altopascio, Reggio Calabria, Bucarest, Campiglia Marittima, Piacenza e Santander, per poi ritrovarsi a Santiago de Compostela a fare un focherello di radici cristiane. Nulla da fare; ovunque mi giri, mi ritrovo Francigene addosso. Dovrò fondare finalmente un'associazione per l'eliminazione della via Francigena, con cancellazione dei cartelli, asportazione dei pezzetti di strada e loro sostituzione con comodissime autostrade a quattro corsie, rasatura al suolo di antichi ostelli, abbazie eccetera; per poi magari scoprire che la via Francigena è tutta un'invenzione degli enti turistici. Del resto, non so perché, a me Santiago de Compostela mi ricorda tanto la penna dell'arcangelo Gabriele della famosa novella del Decamerone; e il Decamerone, perdiana, è una lettura che avrò fatto decine di volte e che non mi stanco mai di rifare. Altro che Francigene, e evviva Calandrino, Buffalmacco e Ser Ciappelletto!

lunedì 4 agosto 2008

Immeritate vacanze



Rendendo sempre grazie al Colonnello Kurtz e al suo blog, dove ogni tanto si lancia a castigare e fustigare certe diffuse idiozie linguistiche (fomentate perlopiù dai giornali e dai media in genere, ma non soltanto), mi accingo a prendermi qualche giorno di immeritata vacanza. Non perché m'importi qualcosa se le mie vacanze siano o meno doverose, dato che tendo comunque a cercare di vivere dignitosamente facendo il minimo sforzo possibile; ma perché, ad un certo punto, fin da quando se ne comincia a parlare, le vacanze sono sempre "meritate".

"Meritate" perché si lavora, si sgobba, si fatica, si suda, si dà al sor padrone una cospicua parte della propria vita per due soldacci cani? E quale merito ci sarebbe in questo? E le vacanze eterne di quei millecinquecento esseri umani all'anno che sono morti per quei due soldacci cani, e a volte neppure per quelli? Saranno "meritate"? Certe parole sono la quintessenza dell'ipocrisia e della disonestà. Quelli che chiamano "meritate" le vacanze sono spesso gli stessi che ti farebbero lavorare fino a ottant'anni, se potessero. Sono gli stessi che hanno trasformato il lavoro nella fiera del precariato -inventando peraltro le solite parolette ad hoc, "mobilità", "flessibilità" e quant'altro. Sono quelli, amica mia, amico mio, le cui gesta, una volta impegnato nelle "meritate vacanze", leggerai sui rotocalchi da spiaggia. E quali gesta!

Ma siccome aborro indulgere a qualsivoglia tipo di morale -china la quale questo post di temporaneo congedo sta incominciando très dangereusement a percorrere-, mi limiterò a fare i migliori auguri a tutti quanti. Certo, una volta le ferie non esistevano nemmeno. Ci pensò il Front Populaire francese, nel 1936, a concedere le prime ferie pagate ai lavoratori. Prima di allora nessuno aveva osato dire che le vacanze erano "meritate"; chi sgobbava si meritava soltanto di sgobbare vita natural durante. Sono del tutto certo che, se il padronato potesse abolire questa fastidiosa incombenza anche domani, l'epiteto di "meritate" scomparirebbe all'istante.

Per questo, domani, mi prendo delle immeritatissime vacanze e me ne vado per qualche giorno nella "mia" isola d'Elba. Non intendo meritarmi assolutamente nulla, specialmente in questi tempi in cui la meritocrazia sta (ri)diventando assioma, invocata a gran voce anche da quella specie di sottoprodotto, di debased form della sinistra che ci ritroviamo in questo ed in altri paesi. La "sinistra da LIDL", come mi viene a volte da chiamarla. L'hard discount delle idee. Ma andàa a ciapà i ratt!

Immeritatissime, le mie vacanze, perché non ho nessun merito e non ne voglio. Perché grattata la patina del "merito" appaiono le solite cose, le cose di sempre: lo sfruttamento, i privilegi per chi già ha, lo stantio paternalismo capitalista che non è mai morto, le logiche assolute e assolute del mercato. Il vero merito sarebbe rifiutarle, queste logiche. Non un merito, ma un ribelle immerito. Da voi, brutti stronzi, non voglio meritare niente. Le mie immeritate vacanze, l'Elba e tutto il resto, me le prendo anche se non ho prodotto quanto vorreste, anche se ho lavorato poco e male, anche se non me ne importa una sega di come ti ho consegnato un elemento della catena del superfluo.

Statemi bene e non lavorate troppo in vacanza.

Vacanza vuol dire: ripigliarsi il gusto e il dovere di non fare assolutamente niente.

E arrivederci a quando mi andrà di farmi rivedere.