sabato 30 aprile 2011

D'aprile


D'aprile
Folgore da San Gimignano

D'april vi dono la gentil campagna
tutta fiorita di bell'erba fresca;
fontane d'acqua, che non vi rincresca,
donne e donzelle per vostra compagna;

Ambianti palafren, destrier di Spagna,
e gente costumata alla francesca
cantar, danzar alla provenzalesca
con istormenti nuovi d'Alemagna.

E d'intorno vi sian molti giardini,
e giacchito vi sia ogni persona;
ciascun con reverenza adori e 'nchini

A quel gentil, c'ho dato la corona
de pietre prezïose, le piú fini
c'ha 'l Presto Gianni o 'l re di Babilona.

D'aprile
Cenne da la Chitarra

Di aprile vi do vita senza lagna:
tafani a schiera con asini a tresca,
ragghiando forte, perché non v’incresca,
quanti ne sono in Perosa o Bevagna;

con birri romaneschi di Campagna
e ciaschedun di pugna sì vi mesca:
e, quando questo a gioco non rïesca,
restori i marri de’ pian de Romagna.

Per danzatori vi do vegli armini,
una campana, la qual peggio sona,
stormento sia a voi, e non refini.

E quel che ’n millantar sì largo dona,
en ira vegna de li soi vicini,
perché di cotal gente sì ragiona.

Con giorni lunghi al sonno dedicati
il dolce aprile viene,
quali segreti scoprì in te il poeta
che ti chiamò crudele, che ti chiamò crudele.
Ma nei tuoi giorni è bello addormentarsi
dopo fatto l'amore,
come la terra dorme nella notte
dopo un giorno di sole, dopo un giorno di sole.

venerdì 29 aprile 2011

Sposini


I principini si sposano in mondovisione, e mentre un giornalista italiano si accinge a condurre una puntata de La vita in diretta interamente dedicata allo sposalizio reale, gli piglia un colpo apoplettico che lo riduce in fin di vita. Il giornalista si chiama Sposini.

Non vorrei dire, ma 'sto matrimonio non mi sembra essere nato sotto i migliori auspici. Come dire, sono Scazzi amari!

giovedì 28 aprile 2011

Quando li toccano.


Quando li toccano.

Quando li toccano, coi loro etilometri,
con le loro usuali famigliuole (che a volte sterminano),
quando li toccano coi loro controlli
che potrebbero benissimo fare a meno di fare.

Quando li toccano coi loro giornali,
coi loro sindaci, coi loro parlamenti,
coi loro portatori di forche,
con quelli che "ma perché non hanno sparato"
quando li toccano coi loro giri di vite,
quando li toccano coi loro doveri,
quando li toccano con le loro regole,
con le loro certezze della pena
con i loro "devono pagare",
con le loro crocifissioni già pronte
con le loro interviste ai poveri genitori
con le loro bave
con i loro pesi e le loro misure,
quando li toccano.

E allora paginate, e titoli, e spiegazioni
e teletutto, e solidarietà, e penedimorte
che farebbero impallidire lo squartamento di Damiens.
Perché tutta la legge e l'ordine che invocano
stanno producendo soltanto più disordine.
Tamburi, grancasse, orchestre,
quando li toccano.

Dicono che fanno un mestiere pericoloso
ma non mi risulta che ne muoiano a migliaia ogni anno
come gli operai edili, come i vuotatori
di cisterne, come i manovratori di macchinari,
come qualsiasi altro lavoratore;
dicono che fanno un mestiere pericoloso,
che è quello di portare dentro
persone che nelle galere muoiono ben più di loro.
Lo sapranno, le loro mogli, i loro genitori,
i loro figli, quando li toccano?

E quando toccano loro.

Italiano, carabiniere, accusato di avere ucciso la moglie.
Baricella, 2 aprile, una donna di 35 anni.
Il marito, appuntato dei carabinieri.
Tre carabinieri e un vigile,
accusati di stupro.
Italiano, ex carabiniere, aveva già ucciso la compagna;
esce dal carcere e commette di nuovo violenza.
Ex carabiniere, Quartu Sant'Elena, Sardegna:
uccide l'ex suocera, ferisce l'ex moglie,
uccide il nuovo compagno della sua moglie, famigliuola, figli, dovere.
Questo soltanto nel 2011,
come leggo da Bollettino di Guerra.
Nessun sindaco.
Nessun articolista di giornali di regime.
Nessun presidente di consiglio, regione, quartiere, bocciofila.
Nessun "rave party".
Carabiniere, arriva a casa, sorprende la figlia
tredicenne, una bambina, su "Facebook"; le spara alla nuca,
lei morta, ferita la sorellina quindicenne.
Due righe.
Era stressato.
E lo stress, si sa, uccide.
Due righe se va bene.
Il "riserbo".
Bisogna capirlo, poveretto.
Tutti i giorni in mezzo agli etilometri,
0,57%, ritirare patenti, sequestrare,
arrestare.
O trascinare in un furgone Franca Rame.

Sorin Calin, rumeno, anni ventiquattro,
arrestato a Montecatini Terme per aggressione alla fidanzata,
massacrato in caserma dai carabinieri,
ventuno ottobre duemilanove.
Controlli, controlli, controlli! Sicurezza!
Rovereto.
Stefano Frapporti viene fermato a un semaforo
da due carabinieri in borghese:
era passato col rosso, in bicicletta.
Lo picchiano, lo trascinano in caserma,
lo portano in cella senza permettergli nessun contatto
né con la famiglia, né con l'avvocato;
la mattina dopo Stefano Frapporti lo trovano impiccato in cella,
quarantotto anni, la mia stessa età,
impiccato in cella.
Si chiamava Tarzan, Tarzan per davvero,
Tarzan Sulic, undici anni, piccolo nomade,
Ponte di Brenta, 24 settembre 1993.
Fermato per due piccoli furti
assieme alla cuginetta, Mira Djuric, tredici anni.
In caserma, botte, schiaffi
e poi a un carabiniere spunta la pistola,
quella che sui giornali giornaloni giornaletti
ora invocano a gran voce.
Tarzan Sulic, undici anni, morto sul colpo.
Mira Djuric, tredici anni, ferita gravemente.
La "certezza della pena":
il carabiniere assassino di bambini
e il comandante della caserma di Ponte di Brenta
vengono allontanati.
Nessun presidente di regione per loro.
Anzi, il presidente di una regione
si fa ricattare da dei carabinieri delinquenti
che lo hanno incastrato
nei suoi vizi privati
(corrispondenti naturalmente alle pubbliche virtù).

Pochi nomi e pochi fatti,
quelli sopra.
Li conoscevate?
Ne sentite parlare, di quando toccano?
Li avete visti i paginoni sui giornali?
E si osservi:
mi sono guardato bene, finora, dal nominare
genove e placaniche,
macellerie e estintori,
delorenzi e colpi di stato,
e gli obbedienti servitori delle leggi speciali,
padri di finti moralprogressisti
e di feroci conduttrici di trasmissioni false,
quelle coi giudici integerrimi in pensione.

Oh come ama i servi dello stato questo paese!
Il maresciallo Rocca, e addirittura
il tenente Riccardo Venturi.
Ama Salvo d'Acquisto
e magari ama anche i carabinieri di Salò,
e quelli collusi con la 'Ndrangheta
(Fiscarelli, Policano, Venuto i loro nomi)
e magari li ama ancora di più
quando una banda di ragazzini stracotti
strafatti stratutto li piglia
a randellate una serata qualsiasi
guadagnandosi l'odio perpetuo
di una nazione ricca di umanità e di virtù
com'è attualmente la Centocinquantànnia
unitissima e coi tricolori alle finestre
(peraltro già preda dello smog e dei piccioni).

Stigmatizzazioni,
quando li toccano.
Quando li toccano
s'aprano forche e segrete,
si compri la "Nazione",
e si osanni il Sindaco del Bello
che afferma: "Devono pagare".
Pagheranno carissimo un quarto d'ora di follia,
ma non ha pagato un bel nulla
il carabiniere ausiliario Francesco Tramontani,
braccio poggiato su un'auto per prendere meglio la mira
e poi una serie di colpi esplosi in rapida successione.
Bologna, undici marzo 1977.
Muore Francesco Lorusso
mentre sta scappando senz'armi.
La certezza della pena di Tramontani:
viene arrestato mesi dopo,
si fa un mese e mezzo di galera
e poi
processato
viene prosciolto
per aver fatto
"uso legittimo delle armi".
Quando toccano loro.

Dovrò terminare, ora.
Non provo alcuna simpatia per delle teste vuote
e per le loro feste, per i loro "sballi";
forse neppure sono in grado di capirli,
o non me ne importa nulla di capirli
e sono sempre più felice
di non avere avuto figli
perlomeno a me noti.

Vivo la mia vita coi miei amori e coi miei odi,
e con le mie indifferenze,
e con le mie paure e le mie vigliaccherie
e con i miei segreti e le mie sigarette spente a metà.
Ma di fronte all'ipocrisia merdosa
io mi ribello.
E non ho nessun timore
né pudore
nel dirlo.
Nessuna intenzione di santificare
le cretinate immonde che profferì San Pierpaolo.

Mi auguro che quelle persone
vivano e guariscano
perché non desidero rinunciare a quella
che ritengo una necessaria umanità,
ma non era loro "dovere"
perché il dovere è l'arma più tremenda
inventata per renderci tutti schiavi.
Non devono niente.
Che se ne rendano conto.
E ci risparmino le lacrime delle loro madri
perché le lacrime delle madri
di coloro che
sono caduti per mano loro
non le abbiamo mai viste,
non le vediamo
e non le vedremo mai.
Non sono "vittime del dovere", quelle;
l'unica cosa che intendevano dovere era dover vivere
e anche dovere sbagliare.
E hanno dovuto pagare spesso con la vita
il male fatto in un'ora
o in un quarto d'ora.
Come diceva un genovese
morto.

E a te, articolista, opinionista, istituzionista,
politichista,
auguro di cuore
che un giorno ti bussino alla porta
e traggano via tuo figlio.
Che vengano da te i tuoi colleghi
e che ti mostri piangente e esterrefatto
e che tu dica loro:
"è un bravo ragazzo...è sempre stato tranquillo..."
Ti auguro che te lo facciano ritrovare
tumefatto
picchiato a sangue durante il fermo,
e magari, perché no, morto.
Deve toccare soltanto al figlio di un qualsiasi signor Cucchi,
o al figlio di una qualsiasi signora Lonzi?
Deve toccare soltanto al tifoso della Lazio
puntato mentre dormiva in macchina?
Si vedrebbe allora
quante "certezze della pena" invocheresti,
quante forche, quanti pagamenti,
quanti sdegni.
Si vedrebbe allora il prezzo vero
del tuo sporco stipendio di mercenario.
Quando te lo toccassero.

E ti auguro di cominciare la trafila del "perdono",
obbligatorio in questo paese cattolico di merda
che Cristo stesso schiferebbe.
E ti auguro soprattutto che tuo figlio, invece,
se ne vada via, vivo, bello
e diverso
e senza nessuna divisa,
senza nessun'arma,
senza nessun "comandi"
perché nessuno deve
obbedire.

martedì 26 aprile 2011

Una piazza


C'è chi non gliene importa nulla, se non perché è un "giorno di festa" e le feste vanno sempre bene; religiose, civili, e persino mischiate come è stato quest'anno in cui il 25 aprile era anche "pasquetta"; gitarelle fuori porta, l'ultima strafogata prima di ricominciare a lavorare o a santificare quotidianamente San Precario; e così si vedono le scene come quella cui ho assistito coi miei occhi la mattina di pasqua in una pasticceria vicino a casa mia, quando due eleganti signore anzianotte, probabilmente appena uscite dalla santa messa pasquale, si sono azzuffate con graffi e male parole davanti a tutti per questioni di precedenza sulla consegna delle paste. Finché il pasticciere non le ha buttate fuori tutte e due; miracoli del dí di festa.

Poi c'è chi il 25 aprile lo disprezza, e ne approfitta anzi per compiere le fatidiche provocazioni (fasci littori, croci celtiche, saluti romani e tutta la panoplia contenuta nel Kit del fascista del III millennio che va così di moda ora, fra un po' lo venderanno persino nelle edicole e non è detto per forza che sia abbinato a Libero o al Giornale). C'è persino chi vuole abolire la "disposizione transitoria" della Costituzione (è transitoria da sessantacinqu'anni o giù di lì, mi dico a volte) che vieta la "ricostituzione sotto qualsiasi forma del Partito Fascista", non tenendo però conto che, in Italia, il partito fascista non si è mai sciolto. Tutt'altro, e non è possibile altrimenti in un paese come questo, ammalato di fascismo in tutta la sua storia.

C'è chi il 25 aprile se ne va alle manifestazioni più o meno istituzionali, quelle coi gonfaloni, coi sindaci, coi politicanti che ci devono essere almeno finché la festa della Liberazione esisterà ancora; toccherebbe ricordare a costoro che festeggiare una liberazione di sessantasei anni fa da un fascismo cui è stato poi permesso di perpetuarsi e di prosperare quanto e più di prima, non ha senso. Il 25 aprile dovrebbe essere non tanto la festa di una presupposta e passata "liberazione" che non c'è stata, quanto quella di una liberazione futura da un sistema che ha prodotto le peggiori macerie che si possano immaginare. Non importa nulla, poi, fischiare questo o quel politicante della "parte avversa": non ci sono "parti avverse", se ne devono andare via tutti quanti.

C'è chi, il 25 aprile, esercita purezze (più o meno accompagnate da durezze) e aborre mescolarsi con altri. Ha a sua disposizione, oltre ad un passato da cui s'è sentito fornire una qualche imprecisata patente di superiorità, tutta una serie di battutone fabbricate da professionisti (tipo: "L'antifascismo è il peggior prodotto del fascismo"), le proprie sacre "disillusioni", uno più momenti storici passati i quali cercare di vivere (e cercare di lottare) non è più stato degno -anzi, persino disprezzabile-, una sequela di rancori verso tutti e verso tutto e la tendenza a "smitizzare" qualsiasi cosa -tranne ovviamente i propri miti fondanti. Naturalmente, costoro se ne restano a casa, o vanno a fare la gitarella assieme alle famigliuole, o se ne restano a dormire, a scopacchiare, a farsi preparare il manicaretto, a leggere. Dovessi scegliere una categoria di morti esemplari, credo che difficilmente costoro potrebbero essere battuti.



Infine c'è chi, il 25 aprile, fa il Venticinque Aprile. Lontanissimo da tutti questi tizi, dalle gitarelle, dalle disillusioni, dai politicanti, dai fascisti armati di tricolori di merda, di spray e di vigliaccheria, dall'astio codificato, da "umorismi" cupi come un due novembre di pioggia, e vuoti come la loro elegantissima testa. C'è chi si riprende una piazza, e persino un paio, un quartiere, una storia. Senza nessunissima "purezza", anzi tutt'altro: quella piazza diventa tutto l'impuro che è possibile immaginare. Gli anarchici accanto agli stalinisti. I trotzkisti accanto ai superstiti partigiani che non vanno a farsi tricolorare assieme al sindaco della Ruota della Fortuna. Forse, chissà, sessantasei anni fa doveva essere così, quando c'era un nemico da combattere senza quartiere e il nemico aveva armi, ammazzava, deportava. Bancarelle su cui campeggia il volto di Emilio Canzi, comandante partigiano anarchico piacentino, assieme al labaro della brigata Garibaldina intitolata a Vittorio Sinigaglia (uno che negro, ebreo e comunista lo era davvero). I "puri" considererebbero tutto questo come il delirio dell'antisettarismo, dato che il passato deve essere sempre e comunque usato per dividere e per stabilire verità talmente assolute che hanno portato, come era del resto logico e prevedibile, al niente. Al niente e al fascismo, che non è stato prodotto dall'antifascismo ma dal cessare di ritenerlo un nemico comune da sconfiggere e da eliminare sul serio.

E così la piazza è tornata tale. Non dovrebbe esserlo, certamente, soltanto il 25 aprile per fare una festa militante, per un corteo che torna a percorrere le strade strettissime di un quartiere combattente, con gli abitanti che ancora si fanno vedere alle finestre a applaudire o a salutare col pugno chiuso. Verso questa città ho sicuramente delle critiche, ed alcune assai gravi, ma mi incazzo parecchio anche quando la sento definire gratuitamente una città morta da qualche studentello fuori sede frequentatore di localini. Io non spreco la parola Resistenza, e resistere non è certamente eleggere a propri "eroi" dei magistrati o dei giornalisti che sono dei servi come tutti quegli altri. Non è neanche una piazza e un corteo. Non è depositare dei fiori alla memoria di chi è morto combattendo per quelle stesse strade. È una pratica quotidiana, la Resistenza, che si esprime in ogni proprio gesto e in ogni proprio pensiero; è il non desiderare mai di cedere, senza per questo ritenersi persone "speciali" o autorizzate a sputare su ogni cosa in nome di chissà quale pretesa "coerenza" o "linearità". Resistenza è stare assieme, ognuno sí con le proprie individualità, che non vengono mai meno; alla fine, però, si vede la differenza tra essere in quattro o cinque mentecatti che si profondono in ardite analisi sempre più "radicali", ma che non vanno mai alla radice vera. Con tutte queste analisi non è stata fatta a pezzi nemmeno una telecamera. Con l'aforisma più alato non è stato impedito lo sgombero di un circolo anarchico, ma con la presenza di un centinaio di militanti (molti dei quali non anarchici) che hanno fatto sloggiare vigili urbani e carabinieri. A presidiare la Riottosa, squat anarchico e "vegano", sono arrivati fior di comunistacci e di carnivori; e i vegani sono arrivati pochi mesi dopo a dare man forte quando si trattava di cacciare da un'altra piazza dei fascistelli che volevano "distribuire il pane agli italiani". Cacciati via non solo dai militanti, ma dalla gente del quartiere. This is Florence, my friends.



E questo c'era in quella piazza antica, quest'anno pure mezza sconciata da dei lavori di ristrutturazione che non finiscono mai. Belle ciao, fischiailvento, insorgiamo, il Menestrello che abbinava le canzoni di lotta alle canzonacce da caserma -che i partigiani lassù in montagna amavano oltremodo perché due risate bisognavà pur farsele prima di andare a rischiare di crepare per un avvenire che non c'è stato, ma che occorrerebbe riscoprire al posto di tutti i sistemi messi in campo per rinchiudersi insensatamente. E così il Venticinque Aprile ha un senso, e lo ha ben preciso. Una festa di popolo dove il popolo non accetta più di farsi disprezzare da nessuno. Vino a fiumi. Pappa col pomodoro. Paninacci e fette di pancetta e di formaggio. Libri. Musica fino a più di mezzanotte, in barba al priore della chiesa là davanti che ogni tanto va a fare querele e lai dalle pagine dei quotidiani di regime. La polizia e i carabinieri che arrivano in forze a mostrare i muscoli, e che vengono letteralmente inseguiti e cacciati via; è successo anche questo, in quella piazza. Senza per questo essere nient'altro che ciò che siamo, e senza preoccuparci di differenze e di eccezionalità. Tutti con al collo un bicchiere di plastica con una stella e un pugno chiuso stampati sopra, perché bere ora bisogna. Mirsilo non è affatto morto, ma bevendo alla salute dei compagni che non ci sono più e che ci sono ancora lo si ammazza un po' ogni giorno.

Dei 25 aprile di lorsignori non c'interessa. Se li facciano con le loro famose unità della nazione, con i loro fascismi travestiti da democrazia, con le loro fanfare e con le loro pasquette. Noi ci si riprende le piazze, e così avverrà il Primo Maggio, festa del lavoro coi negozi aperti. Non ci sottomettiamo, mantenendo le nostre prerogative di persone normali, di membri di una comunità, di militanti quotidiani senza voler né fare i Tarzan, né i finti "disperati" sdegnosi o gli intellettuali delle contorsioni atte soltanto ad assumere l'esclusiva della ragione. E allora si festeggia, anche se non ci sarebbe nulla da festeggiare. Si festeggia perché davanti ci ostiniamo a voler vedere qualcosa. Si festeggia perché viviamo nel presente, e in un presente orrendo una festa è anche e soprattutto una promessa. Quando smetteremo di festeggiare, ad esempio il Venticinque Aprile, vorrà dire che saremo tutti morti; e non ne abbiamo la benché minima intenzione. E la cosa più bella, e singolare, è che non rinunciamo a cercare di dare un po' di vita anche a chi si diverte a buttarla via, ai giocherelloni della distruttività, agli attori del cupio dissolvi cui farebbe un gran bene esser mandati a fare un bagno caldo, anzi meglio: un bel semicupio dissolvi.

venerdì 22 aprile 2011

Μεταξύ τη 21 και τη 25 Απρίλη



Σφυρίζει ο άνεμος, ξεσπά η καταιγίδα,
Παπούτσια σπασμένα, μα πρέπει να πάμε
Να κατακτούμε τη κόκκινη άνοιξη
‘Οπου ανατέλλει ο ήλιος του μέλλοντος.
Να κατακτούμε τη κόκκινη άνοιξη
‘Οπου ανατέλλει ο ήλιος του μέλλοντος.

Ο αντάρτης έχει πάντοτε πατρίδα
Και των γυναικών τους ανατεναγμούς
Και στη νύχτα τον οδηγούν τ’αστέρια
Δυνατόν κι έτοιμον να χτυπήσει.
Και στη νύχτα τον οδηγούν τ’αστέρια
Δυνατόν κι έτοιμον να χτυπήσει.


Κι αν μας πάρει ο θάνατος ο σκληρός,
Σκληρήν εκδίκηση ο αντάρτης θα πάρει.
Τώρα πια βέβαια είναι η σκληρή τύχη
Του φασίστα, του προδότη δειλού.
Τώρα πια βέβαια είναι η σκληρή τύχη
Του φασίστα, του προδότη δειλού.

Παύει ο άνεμος, καλμάρει η καταιγίδα,
Γυρίζει σπίτι ο υπερήφανος αντάρτης
Κι ανεμίζει τη κόκκινή του σημαία,
Νικήσαμε, και ζήτω η λευτεριά!
Κι ανεμίζει τη κόκκινή του σημαία,
Νικήσαμε, και ζήτω η λευτεριά!

martedì 19 aprile 2011

La cosiddetta "stupidità umana" e l'idolo dell'anticomplottismo


In questi giorni, relativamente all'assassinio di Vittorio Arrigoni, ho udito qualche voce fuori dal coro. Mi si perdoni l'uso di questa espressione, che considero decisamente imbecille (oltreché abusata), e mi scuso fin da ora con le persone che, eventualmente, vi si riconosceranno.

Non mi riferisco, ovviamente, ai consueti e prevedibilissimi vomiti di Libero e del Giornale; anzi, mi sarei quasi stupito se non ci fossero stati. Personalmente non capisco perché si debba sprecare così tanta indignazione per quei due fogli e per i loro "direttori"; forse sarebbe meglio dedicarla ad altre cose, anche molto meno appariscenti e ben più quotidiane.

Ma parlavo delle voci discordanti. Appartengono a persone verso quale nutro e continuerò a nutrire stima, per tutta una serie di motivi che qui non importa elencare; premessa necessaria. In definitiva, queste voci possono essere ricondotte a un paio di minimi comun denominatori: 1) Vittorio Arrigoni sarebbe stato assassinato per un atto di "stupidità umana"; 2) Il cui prodest non rappresenta di per sé una prova. Per ampliare un po': tali voci sono decisamente restie a spiegare l'assassinio di Vittorio Arrigoni con qualcosa di diverso dalla pura idiozia di alcune persone.

È indubbio che il pianeta Terra sia popolato da una quantità di imbecilli assolutamente non numerabile; ad esempio, c'è chi ammazza un suo simile per un parcheggio (innescando magari faide sanguinose e stermini di intere famiglie); c'è il padre carabiniere che spara alla figlia tredicenne con l'arma di ordinanza perché la ragazza "sta troppo su Facebook"; e via discorrendo. Questi sono atti stupidi, gratuiti, senza nessun cui prodest. Disgraziatamente, però, ammazzare un Vittorio Arrigoni qualche ben preciso vantaggio per qualcuno lo aveva; a meno che il suo nome sulla lista di eliminazione israeliana non fosse stato un dolcetto o scherzetto. Sinceramente, non lo credo.

Personalmente, neppure io tendo affatto al cosiddetto complottismo, e di sicuro non mi sono mai lanciato in ipotesi strampalate su questo o quell'evento. A volte, come nell'attualissimo caso della Libia, pur di non gettarmici a capofitto ho confessato una mia grande incertezza (la quale perdura). Però, nel caso di Vittorio Arrigoni, ho percepito le stesse sensazioni di molti; le quali, peraltro, come complotto sono abbastanza lineari, non contorte, plausibili. Interessava a Israele eliminare Vittorio Arrigoni, e Vittorio Arrigoni è stato eliminato. Poi, chiaramente, tale atto può essere sicuramente ascrivibile anche alla "stupidità umana", a meno di non considerare intelligenti Sabra e Chatila, l'invasione di Gaza, i lager di qualsiasi tipo, il genocidio in Rwanda, il massacro degli Albigesi, Tursutursu che ammazza Dunzudunzu nel medio pleistocene, e via discorrendo.

Se certamente non è opportuno vedere "complotti" in ogni evento (anche se, poi, qualche volta ce ne sono stati eccome), non ritengo opportuno neppure cercar di spiegare ogni cosa con la "stupidità umana"; altrimenti si potrebbe appunto ipotizzare che Vittorio Arrigoni sia stato ammazzato per un parcheggio. Oh, ce l'avrà avuto un mezzo per spostarsi per Gaza, e nella situazione in cui si trova la sventurata città sotto assedio non dev'essere semplicissimo trovarlo. Se di per sé non costituisce una prova il cui prodest, non la costituisce neppure l'idiozia.

Occorrerebbe, a mio parere, non trasformare nulla in un idolo, o perlomeno in una forma mentis troppo costante, granitica. Questo vale sia per il complottismo che per l'anticomplottismo. Quando una cosa viene percepita in un certo senso da molte persone, non necessariamente la si deve ritenere sbagliata oppure, peggio, espressione di una qualche generica massificazione più o meno ideologica, magari condita di sindromi, comportamenti, tendenze e isterismi. Le oltranze mi garbano poco. Se su 100 persone, di fronte a un dato fatto, 98 lo percepiscono in un senso e 2 in un altro, non vale sempre quella che chiamo la "legge delle minoranze intelligenti"; specialmente in un caso come quello di Vittorio Arrigoni. Non sto dicendo che la percezione generale sia per forza giusta; sto dicendo soltanto che potrebbe esserlo e che non è un'ipotesi che deve essere scartata da i' priore (questa l'ho sentita in un bar di Mantignano, giuro). Anche perché, poi, si tratta di cose assai ondivaghe.

Mi spiego meglio: tornando al caso della Libia, alcune delle persone che adesso non rientrano nel modo di pensare "maggioritario" sull'omicidio di Arrigoni (= il "complotto") si sono invece accodate al pensiero generalizzato (= finta rivolta preordinata, intervento imperialista, Gheddafi santo subito, informazione asservita, eccetera); e lo hanno fatto, sicuramente, con motivazioni più che ottime, ben documentate e ancor meglio argomentate. Di fronte a chi la pensava diversamente hanno invocato gli immaginari. Insomma, i "complotti" vanno bene una settimana prima, e vanno male una settimana dopo (e lo stesso, chiaramente, vale per gli "anticomplotti"). Ne consegue che nulla può essere spiegato, o quantomeno ipotizzato, a partire da pensieri fissi, o troppo generici. Con la "stupidità umana" si può spiegare tutto e il contrario di tutto, e al tempo stesso non spiegare un accidentaccio di nulla.

Comunque la si veda, Vittorio Arrigoni è morto. È anche probabile che fra una decina di giorni nessuno lo ricorderà più, così come nessuno si ricorda che c'è un'altra volontaria nelle mani di certa gente da mesi (e di cui non si sa più niente), e così come nessuno si ricorda di Gaza a meno che non venga ammazzato qualcuno che ci è più o meno vicino, e che tentava invece ogni giorno, e con ogni mezzo a sua disposizione, di farcene ricordare. A mio parere Vittorio Arrigoni è stato eliminato per conto di Israele; punto e basta. Qui non ho incertezza alcuna. Non ho idoli, né "complottistici" e né "anticomplottistici". Poi, certamente, mi sbaglierò e si scoprirà che Vittorio Arrigoni è stato ammazzato davvero per un parcheggio; ma, purtroppo, anche quell'eventuale parcheggio avrà fatto dimolto comodo a chi lo voleva morto per altri motivi.

E con questo concludo; non senza, però, avere anch'io espresso la mia totalmente insignificante solidarietà a Cloro per l'attacco cui è stata sottoposta da un non meglio precisato "giornale progressista"; ah, mi dicono che si chiami Repubblica ma non è possibile; a me tale parola ricorda Platone, non della carta da culo.

Nella foto in alto: Tursutursu ripreso nel medio pleistocene, dopo avere ammazzato Dunzudunzu.

domenica 17 aprile 2011

Ogni giorno


Noi non ne avremmo mai il coraggio. Figuriamoci: piantare ogni cosa, e non dico soltanto una vita comoda (perché lo è) ma anche una militanza altrettanto comoda, fatta di prese di posizione di varia gradazione, di manifestazioni, di riunioni, di blog. Tutte cose che, certo, hanno una loro importanza; ma la solidarietà, quando vuol essere chiamata davvero con questo nome, necessita di decisioni drastiche, di quelle che cambiano la vita e che la mettono in ballo e a repentaglio. Vittorio Arrigoni lo ha fatto, ed è anche per questo che il suo assassinio (che sia stato commissionato agli "estremisti islamici" di fiducia o che sia avvenuto per purissima stupidità umana, oppure ancora per entrambe le cose) ci ha così colpiti. Tutte, tutti.

Al tempo stesso, credo che sia necessario non fare quel che Vittorio Arrigoni stesso, probabilmente, non avrebbe mai voluto. Essere trasformato in "eroe". Le persone come Vittorio Arrigoni vivono la propria scelta come una normale concatenazione di pensieri e fatti; persone che, ad un certo punto, danno realmente seguito a quel che hanno dentro. Sono poche. La vita di ognuno, che lo si voglia o meno, incatena. Quando iniziamo a pensare certe cose, a indignarci, a desiderare ardentemente di "fare qualcosa" e quant'altro, la logica e l'umanità vorrebbe che lo facessimo; ma, nella stragrande maggioranza dei casi, restiamo invece degli ibridi. La sincerità dei propri pensieri e della propria rabbia non viene messa in discussione, ma il fosso non lo saltiamo. Di motivi possono anche essercene parecchi, a cominciare dall'istinto di conservazione; Vittorio Arrigoni sapeva benissimo quel che rischiava, non per questo rinunciando alla propria normalità. Uno che vi rinuncia non dice di "restare umani". Non è un'affermazione da "eroe", questa, ma da essere umano che agisce quando vede altri esseri umani calpestati.

Proviamo per un attimo ad immaginare di vedere il proprio nome su una lista di eliminazione. Sapere che, per le tue attività e per i calli che inevitabilmente pesti, ti vogliono morto. E non ti vuole morto un qualche singolo che ce l'ha con te, ma uno Stato. Il normalissimo ragazzo Vittorio Arrigoni il suo nome lo ha letto; è rimasto là, a Gaza, a fare quel che faceva tutti i giorni. Aiutare, salvare, informare. Non agendo da generico "pacifista", ma a mio parere tutto al contrario; un "pacifista" non intitola il proprio blog informativo "Guerrilla Radio". Stava conducendo, assieme ai volontari dell'ISM, una guerra ancorché senza armi da fuoco (anche se è possibile che, in una situazione come quella di Gaza, un kalašnikov almeno qualche volta lo abbia preso in mano). Conduceva una guerriglia fatta di pescatori, di aiuti, di quotidianità in una città sotto assedio. Vorrei associare il suo nome non solo a quello di Enzo Baldoni, ma anche a quello di Rachel Corrie e di Dino Frisullo. Tutte persone normalissime, e tutte morte. Non erano in "missione di pace", per usare quell'orrendamente falsa espressione tanto cara a ogni potere e ad ogni suo servo. Erano a fare una guerra, una guerriglia. Erano, autenticamente, a lottare. Senza "eroismi" di sorta alcuna. Tutto sommato, credo che Vittorio Arrigoni, pur avendo affermato di essere disposto a morire per quello che faceva (cosa che, purtroppo, è avvenuta), avrebbe preferito di gran lunga vivere. Da morto, in modo schifosamente disgraziato, serve a poco. A parte, forse, convincere qualche sparuto altro a fare la stessa cosa; lasciare tutto e andare a combattere in una zona della Terra dove si muore. Non so perché, ma il nome del "Movimento di Solidarietà Internazionale" mi ricorda da vicino le Brigate Internazionali. La Spagna del 1936 è forse l'unico luogo che ne ha visti a migliaia, di Vittorio Arrigoni; e, come lui, non erano "eroi", pur avendo compiuto atti che difficilmente riusciremmo a immaginare. Così come non riusciamo affatto a immaginare quel che viveva Vittorio Arrigoni a Gaza. Nonostante le sue cronache puntuali, nonostante la sua "Guerrilla Radio", nonostante le sue azioni che venivano rese note.

E noi, ovviamente, ce ne restiamo qui. Con le nostre rabbie confortate magari da un bicchierino di sambuca, da un figlio appena nato, da un'occhiata alla partita della squadra del cuore. E, peraltro, con queste cose dovremo conviverci finché non ci decideremo a partire per Gaza, per la Palestina. Andiamo ai presidi per i prigionieri politici palestinesi senza aver mai provato cosa significa essere prigioniero politico. Nelle carceri israeliane ce ne sono a migliaia, di prigionieri politici; così come nelle carceri di qualsiasi paese del mondo, compreso il nostro. Comandi militari e statali, colpe spesso non commesse, arbitrio, tortura, violenza psicofisica, morte. Ogni tanto, un ricordo verso chi, come Vittorio Arrigoni, ci ha rimesso le penne perché il suo "basta" era andato a gridarlo in loco, e senza tanti berci ma con i fatti. Non dico certamente questo per instillare inutili sensi di colpa personali o collettivi, ma semplicemente perché è la realtà delle cose e, come tale, domanda di essere espressa nella sua crudezza. Anche per questo ho scelto di declinare il nome di Vittorio Arrigoni, che non conoscevo di persona, per intero. Nome e cognome. Nessun "Vik". Lo chiamerò, tra me e me, "Vik" quando sarò a bordo di una flottiglia che va a Gaza; cioè mai. Lo chiamerò "Vik" quando arriveranno da me dei bastardi che mi preleveranno per ammazzarmi; cioè rimai, perlomeno a Gaza. Questo mi potrebbe, a rigore, succedere anche in via dell'Argingrosso; ci ho un Salafita che, ogni tanto, mi lascia dei bigliettini terribilmente minatori sul parabrezza perché lascio la macchina nello scivolo condominiale (cosa proibitissima).

E così discutiamo, ci incazziamo, magari ci diamo addosso l'un l'altro; e così, ogni giorno o quasi, eccoci qui a "postare" sui nostri "blog" (o su Facebook, o su qualsivogli'altra diavoleria del ventunesimo secolo). Che almeno non ricordiamo solo quando ammazzano un normalissimo Arrigoni Vittorio, proveniente da una banale Besana Brianza, perché era "dei nostri" (o così almeno lo percepivamo) e perché ci mette in moto qualche rotellina di cattiva coscienza. A Gaza si crepa ogni giorno. In Palestina si è messi in galera. Nelle nostre città vivono centinaia di esuli palestinesi; ogni giorno dovremmo ricordare e fare, anche senza avere il coraggio necessario per andare laggiù. Ogni giorno, anche se Vittorio Arrigoni non fosse mai esistito. Ma fortunatamente lo è, e la sua è un'esistenza che è stata ben spesa.

venerdì 15 aprile 2011

Omicidio su commissione.


Davanti ad un assassinio, la domanda elementare è: a chi giova.

Nel caso dell'assassinio di Vittorio Arrigoni, la risposta è estremamente semplice e mi si faccia almeno il piacere, in questo momento spaventosamente triste, di non imbastirci sopra contorcimenti di sorta alcuna o esercizi di "fuori dal coro", autoreferenziali quanto stupidi.

L'assassinio di Vittorio Arrigoni giova a coloro che hanno interesse nell'uccidere tutta Gaza, nello sterminare per fame la sua popolazione, nell'eliminare quel che rimane della solidarietà internazionale, nello spegnere una fonte di informazione autenticamente libera.

Ieri Enzo, oggi Vittorio.

Un omicidio su commissione. Vittorio Arrigoni e l'IMS nel mirino dei sionisti; Vittorio Arrigoni assassinato dagli "estremisti islamici". Quelli che si definiscono "soldati di dio": davvero una bella accoppiata. I loro dèi di merda e la loro guerra di merda. E, soprattutto, i loro interessi di merda. Oggi gli "estremi" brindano, ma sono soltanto estremi di morte. Con le loro stelle di David e coi loro scarabocchi "coranici". Siano maledetti tutti.

Ciao, Vittorio.

Il solo fatto che abbiano voluto ammazzarti per quel che facevi a Gaza e per Gaza significa che stavi facendo la cosa giusta. "Restiamo umani", dicevi: lo resteremo, ad ogni costo. I morti sono loro, non tu.

giovedì 14 aprile 2011

Vittorio Arrigoni libero!


L'unica cosa da fare, di fronte a questa immagine, è fare tutta la pressione possibile su Hamas perché si adoperi per la liberazione immediata di Vittorio Arrigoni. Pressione che è possibile esercitare anche dal proprio piccolo blog. Nulla di intentato. E, soprattutto, per favore, nessuna profonda analisi, e nessuna giustificazione di sorta per i pezzi di merda bigotti che lo hanno rapito. Basta.

Vittorio, a Gaza, non c'è solo per aiutare, per cooperare. C'è per dare fastidio, come Enzo Baldoni. C'è per dire quello che non si può dire, come ha fatto fino a poche ore fa. Non a caso era stato fatto target per essere ucciso. Dagli israeliani invasori. Bersaglio sia per gli invasori nazi-sionisti, sia per il gruppo ultraintegralista dei Salafiti. Bersaglio per tutti coloro che vogliono soltanto guerra, e guerra, e guerra.

Dichiaro fin da ora che non me ne frega un cazzo né di eventuali attente disamine sui Salafiti, di chi siano, di quali scopi abbiano. Già ci toccherà sorbirci il vomito dei cialtroni nostrani, di ogni risma; non intendo sorbirmi anche quello dei bruciori filointegralisti di chicchessia. Di fronte a una persona come Vittorio Arrigoni c'è soltanto da alzarsi e togliersi il cappello; uno che piglia e va, rischiando la vita per chi non ha voce.

Non intendo sentire lezioncine magistrali, sarcasmini da salotto, avvitamenti sociopolitici, e quant'altro. Altrimenti un Vittorio Arrigoni va bene se lo vogliono ammazzare gli israeliani, e non va più bene se invece lo vogliono ammazzare gli ultraislamisti o che cazzo sono. Noto fra l'altro che, ancora una volta, il gruppuscolo va a colpire proprio chi sta realmente cercando di fare qualcosa. Di Gaza non se ne parla più; ora vanno di moda le primavere. Ma a Gaza è inverno da anni, e inverno quotidiano.

Bersaglio perché informa. Bersaglio perché porta concretamente una solidarietà internazionale alla popolazione di Gaza stremata dall'infinito assedio sionista e del suo esercito. Bersaglio perché ha capito benissimo la vera e propria comunanza di intenti tra i due apparenti "estremi". Tipo questo gruppuscolo che, sotto i deliri della "corruzione morale", agisce contro Hamas esattamente come Israele. E quando i fini politici sono gli stessi, è legittimo sospettare anche una qualche forma di comunanza più che fattiva.

Vittorio Arrigoni, e con lui tutto l'International Solidarity Movement, è una persona che fa scomodo a tutti. Deve essere liberato subito. Deve tenere duro. Lo scopo è quello di sbarazzarsi di lui, perché la sua morte sarebbe graditissima anche dalle parti di Tsahal e del Mossad. Non dobbiamo permetterlo. E un sentito vaffanculo a tutti i giustificatori in panciolle di coloro che fanno soltanto sporchi giochi, e neppure così tanto poco chiari, perché a Gaza e altrove non cambi realmente mai niente.

Il popolo di Gaza è quello che scrive in sovraimpressione, sul video di Vittorio diffuso su YouTube, i suoi veri sentimenti: "Il popolo di Gaza si dispiace per quello che questi bigotti hanno fatto a Vittorio. Siamo sicuri che sarà presto libero e salvo." E con questo, spero, sono serviti anche i razzistelli nostrani, gli islamofobi da due soldi bucati, i gli stupidi sofisteggianti che non capiscono che il rapimento di una persona come Vittorio Arrigoni serve soltanto ai nemici di Gaza e della pace, sia quelli con la stella di David che quelli con le spade di un finto islam. Il vero dio di entrambi non si chiama né YHWH né Allah, ma guerra.

Vittorio libero ora!
Free Vittorio now!

lunedì 11 aprile 2011

Risotto alla Cantonale


È bene riprovare un po' di sano razzismo elvetico sulla propria pelle; oltretutto, stavolta, mica dagli Schwarzenbach o dai Dupont: no, dai Bernasconi e dai Mazzacurati. Dai ticinesi riunitisi in Lega, eh sì. Primo partito del cantone dei grotti, della gazzosa mescolata al vino, degli esuli sdegnosi & danarosi stile Benedetti Michelangeli o Mina Mazzini, dei casinò e dei risotti. Proprio un bel risotto alla cantonale è stato servito all'Italia, non c'è che dire!

Normalmente, queste sarebbero cose che dovrebbero far meditare. La campagna anti-italiana della Lega dei Ticinesi (da ieri primo partito del cantone con oltre il 29%) è stata fondata sull'immagine degli italiani come ratti (che vanno, immagino, a rodere il buon formaggio svizzero, anche se in Ticino non se ne produce poi tanto e non di qualità eccelsa). Gli ingredienti di questo formaggio li conosciamo benissimo: ci rubano il lavoro, ci rubano i soldi, portano criminalità; nella campagna dei ratti ("Bala i ratt"), inoltre, due italiani (Fabrizio e Giulio) sono associati a un rumeno (Bogdan). Direi che ce n'è abbastanza prima per mettersi a ridere, e poi a pensarci bene su; noi che abbiamo affibbiato ai rumeni la cultura dello stupro, ora ci ritroviamo associati ai rumeni nella cultura dei ladri. Quando le cose sono meritate, non c'è né da incazzarsi, e né da rispolverare il vecchio desiderio (3° classificato nel famoso sondaggio di Cuore sulle dieci cose per cui vale la pena vivere) dell'invasione della Svizzera. In Italia, facciamo esattamente lo stesso. La Svizzera agli svizzeri, l'Italia agli italiani. Il Canton Ticino ai ticinesi, il Veneto ai veneti. E così via. La cosa più bella, ora come ora, sarebbe la formazione e il successo di una Lega Sanmarinese; tutta una serie di föra da i ball incrociati.

Bogdan il rumeno indossa una canottiera con le stelle dell'Unione Europea; ma toh, o non erano i nostri leghisti che volevano applicare alla Romania condizioni speciali, espulsione compresa, pur essendo entrata oramai da anni nella UE? E Bossi che andava a Lugano con tutte le truppe per celebrare Carlo Cattaneo? E il grande intellettuale, il professor Miglio, che magnificava l'ordinata noia svizzera prima di schiattare e di farsi intitolare i plessi scolastici di Adro? E i ticinesi, che nel resto della Svizzera sono considerati nient'altro che degli italiani capitati là per qualche capriccio della storia? Una delle fissazioni dei ticinesi è infatti proprio questa: cercare di essere più svizzeri degli svizzeri. Il loro sogno collettivo è che il resto dei cantoni, tedeschi e romandi, li applaudano e dicano loro: "sì, ragazzi, ora finalmente siete diventati svizzeri sul serio". Con questa mossa credo che ci stiano riuscendo.

O che siamo forse, indignati? Chi, noi? E saranno magari indignati pure i rumeni, che nel loro piccolo sono fior di razzisti nei confronti dei Rom? Ora ci pensano i ticinesi, in questa specie di matrioska della rozzezza e dell'imbecillità che però dovrebbe avere il vantaggio di mettere a nudo un portentoso chi la fa, l'aspetti. I ratti svizzeri fabbricano i ratti italo-rumeni. I ratti padani fabbricano i ratti siciliani e magrebini. I ratti pratesi fabbricano i ratti cinesi. I ratti rumeni fabbricano i ratti zingari, peraltro ben coadiuvati dagli italiani. E più sopra? Che cosa c'è sopra? Tra i link di questo blog forse qualcuno avrà notato che c'è quello allo Svalbardposten, il "giornale più a nord del mondo"; sopra di loro c'è soltanto il Polo, e hanno tutti sotto. Auspico la formazione di una Superlega delle Isole Svalbard che ratteggi tutti quanti; ne avrebbero in fondo ben diritto, a 81 gradi di latitudine nord. Che diano di ratti agli schifosamente meridionali razzisti olandesi di Geert Wilders, o ai fiamminghi del Vlaams Belang. Che diano di topi di fogna al Front National e ai ticinesi della Lega, il cui leader, un panzone di nome Bignasca, vuole costruire un muro a Chiasso così come a tanti, in Italia, piacerebbe costruirlo sempre a sud della propria regione fino a arrivare al muro di Lampedusa.

Stasera, senz'altro, mi preparerò un risotto. Mi spiace di non avere con me una bottiglia di un ottimo vino rosso ticinese, chiamato Selezione d'Ottobre; un nome che, almeno per me, ha una piacevole assonanza con un'altra cosa. Sono davvero contento di questo ceffone, che peraltro non farà accadere niente perché oramai, in quest'Europa di merda, siamo tutti intrisi di razzismo, di nordismo, di superiorità. Ci ratteggiamo fra di noi, e ci divertiamo tanto. Tutti imbevuti di popoli, di identità, di patrie e di bandiere (quella del Canton Ticino, peraltro, è identica a quella del Bologna); addio alla solidarietà e all'appartenenza di classe, e addio anche a Lugano. Del resto, anche nel famoso canto anarchico di Pietro Gori, i cavalieri erranti sono trascinati a nord. Forse cercavano il loro futuro risotto.

mercoledì 6 aprile 2011

Riondinoff


Lo dico fin da subito: questo non è un post moralistico (Iddio ce ne scampi e liberi, dalle morali!), e men che mai "contro David Riondino". Ma figuriamoci. Casomai è un post contro me stesso, e contro tutti gli imbecilli come me che ancora ci hanno qualche buffa forma di illusione (e che, per questo, di soldi non ne hanno fatti e non ne faranno mai). Per lo più, poi, si tratta di illusioncine decisamente bischere, per nulla originali e senza alcun fondamento logico. Insomma, il Riondino David, sicuramente con pieno merito e con la sua indiscussa genialità, deve aver fatto i dindini; o, perlomeno, ne deve aver fatti a sufficienza per permettersi di pigliare un milione e mezzo di euri e di buttarli via nelle mani del Madoff dei Parioli, in compagnia della Guzzanti, di cuochi famosi, di ex calciatori, di 'ndranghetisti, di "signori della sanità" e via discorrendo. Poi, naturalmente, ci ha scherzato sopra; e l'ironia è una gran cosa, anche se sospetto che in privato qualche bel moccolo a Cristo, alla Madonna e a tutti i santi ce lo abbia comprensibilmente tirato. Insomma, anche ad averceli, un milione e mezzo di euri non sono noccioline; gli auguro, ovviamente, di poterli ricuperare, e magari di essere anche meno fava in futuro. Ma comprati case, perdio, se proprio ci hai voglia di investire; ma è anche chiaro che ognuno fa ciò che vuole dei propri quattrini, anche affidarli all'ennesimo furbacchione che poi, regolarmente, ti frega. Finendo a volte in galera, ma a volte anche scappando col malloppo.

Niente moralismi, d'accordo. Anche se, debbo dirlo, mi fa una certa impressione pensare al ventenne del collettivo Víctor Jara impegnato, qualche anno dopo, nel far fruttare fior di soldoni con interessi altissimi, assieme ai vippi, a cura del Madoff dei Parioli. Già nel sentire il nome dei Parioli mi piglia un certo nonsocché, più o meno come se il Riondino avesse affidato i suoi quattrini al Popoff di San Babila; poi mi capita di ripensare a Víctor Jara, quello del collettivo, mentre lo torturavano, mentre gli spezzavano le mani, mentre lo ammazzavano nell'Estadio Chile. Mi viene da ripensare ai Rombi e alle Milonghe, e a quando David Riondino lo ho curiosamente sfiorato, mettiamola così. All'università, tanti e tanti anni or sono. C'era un tipico esame "tappabuchi", facile facile, quello di letteratura ungherese; lo davano tutti per far numero, certi che il professor Miklós Hubay, noto letterato di quel paese scappato dopo la rivolta del '56, a chiunque sapesse pronunciare decentemente il nome di Sándor Petöfi o di Attila József (Endre Ady no, quello era troppo facile anche per lui) dava automaticamente il trenta e lode. Insomma, anch'io ne approfittai biecamente; nell'aula, poco prima che mi toccasse l'esamino, mi ritrovai con la famosa faccia nota, anch'ella pronta a farsi magiara per dieci minuti, e azzardai a dirle: "Ma assomigli tremendamente a David Riondino!" E lui, con aria anche un po' scocciata e un sorrisetto: "Ma io sono David Riondino". Fine dell'incontro. Ero al vecchio Teatro Tenda il 16 gennaio 1979, qualche anno ancora prima, quando il medesimo faceva da apriconcerto a Fabrizio de André e alla Premiata Forneria Marconi; la prima volta che sentii una delle sue parodie, lo Gniegnio che faceva il verso a Branduardi con l'indimenticabile trota salmonata, in un tripudio di bucolici cinguettii; ero, una volta, in piazza San Marco, diciassettenne verdesporco esangue in compagnia della pischellina che sembrava una bertuccia, a cantare su una panchina assieme a lei Ci ho un rapporto e Jean Paul Sartre e Simone de Beauvoir s'incontravano in un bar. E giù risate. Potrei fare un post moralistico contro David Riondino? Ma nemmeno se lo volessi.

Nemmeno rivedendolo al Pidduista Show diretto peraltro dall'autore di Contessa dai campi e dalle officine; nemmeno ora, nell'apprendere della sua disavventura economica con il signor Landi, o come si chiama. Oddio, una discreta figuruccia di merda ce l'ha fatta, al pari della Guzzanti; ma pazienza. Però.

Però questa se la becca, ché tanto non ci farò nemmeno un quattrino; la base, del resto, l'ha scritta lui (anzi no, l'ha scritta Francesco del Gregorio):



Riondino che investe il dindino
in quest'Italia berlusconiana
assieme a cuochi e agli 'ndranghetisti
e tutti quanti vogliono la grana, vogliono la grana
Con la sorella che fa il teatro
e la compagna che pure investe
in quest'Italia dentro al baràtro
loro stan fuori dalle peste...

O Daviddino mi domando e dico
c'era bisogno di quei mariuoli
e d'investire il tuo quattrino amico
con quel Madoffe dei Pariuoli?
Li hai guadagnati facendo l'artista,
ma veramente valeva la pena,
tu che magari eri comunista
e che sonavi pure la quena?

Ma se volevi buttarli via
dandoli a quei loschi figuri,
non li potevi dare a tua zia,
non li potevi dare al Venturi?
E lo diceva i' tu' poero nonno
mentre sparava sull'Ortigara
"I mi' nipote gli è un poco un tonno,
però gli è bravo e fa Victor Jara"

Però oramai hai preso il botto
devi affrontare il tuo disavanzo,
magari vinci al Superenalotto
magari torni pure da Costanzo
oppure traffichi tra i fornelli
assieme al cuoco anche lui fregato,
giochi a pallone con Rizzitelli,
tu che da piccolo eri negato...

E t'è venuta la Finanza a casa,
"O sor Riondino, la venga qua,
i su' quattrini son tabula rasa",
ti s'è sentito gridare Aaaaaaaaaaaa!....
Ma poi l'hai presa con ironia
mentre volavi dal quarto piano,
sembrava tutta una parodia,
e hai rimbalzato sull'ortolano

O Riondino spiegami perché
ti sei cacciato in questa situazione,
che poi magari mi tocca a me...
...proprio a me...
di portarti in rianimazione....!

martedì 5 aprile 2011

Amore al vocativo



In questa foto, coperto di neve, Karel Kryl ha vent'anni o giù di lì. Nel 1968, quando alla Cecoslovacchia fu prodigato l'aiuto fraterno da parte dell'URSS e del Patto di Varsavia, ne aveva ventiquattro (era nato, durante l'occupazione nazista, in una cittadina morava nota per la coltivazione intensiva di segni diacritici, Kroměříž). La sigarettona in bocca, l'aria da ragazzaccio, e una gioventù che forse si fa fatica a immaginare, noialtri, ora. Era uno di quelli che non ci stava, mai. Non ci stava a farsi insegnare la retta via del socialismo reale da una masnada di geronti. Non ci stava a farsi ingabbiare nelle guerre, fredde o calde che fossero, e dai servizi militari. Non ci stava a starsene buono buono davanti alla stupidità e all'inumanità di un regime di stracatamerda. Dopo l'invasione scrisse un album di canzoni (intitolato Chiudi la porta, fratellino!) che lo avrebbe portato senz'altro diritto in galera; dovette andarsene via, in Germania. Poi finì il regime, nel famoso 1989; finalmente la libertà tanto agognata! Karel Kryl tornò in Cecoslovacchia, ma non aveva perso il vizio di non starci. Quel che stava vedendo non era la libertà, ma la svendita. Non era la democrazia, ma il mercato. Non era il disgelo, ma il nuovo inverno del liberismo selvaggio post-comunista. Se ne accorse rapidamente, e se ne ritornò in Germania. Morì d'infarto poco dopo aver compiuto cinquant'anni, nel 1994, a Passau.

Quella che segue è una sua canzone, forse la più famosa. Dico "famosa" nel suo paese, perché le canzoni d'autore hanno il terribile vizio di essere scritte nella lingua di chi le compone; e non può essere sempre la nostra. Esistono, al riguardo, tutti i naturalmente possibili; naturalmente qualsiasi traduzione non rende bene l'originale, naturalmente senza una pur minima traduzione non può essere altro che una musica più o meno bella accompagnata da una serie di fonemi incomprensibili (come del resto quelli dell'inglese, dato che la maggior parte di coloro che disquisiscono di blues, funky, jazz, soul eccetera in un paese di lingua inglese non saprebbero chiedere nemmeno del cesso), naturalmente il cantautore canta male, naturalmente suona anche peggio. Prediamo ad esempio la canzone che state incautamente per ascoltare: si intitola Amore, ma è al caso vocativo. Qualcuno se ne ricorda dal latino delle medie o del liceo? Lupus, al vocativo, fa lupe: o lupo! Anche il ceco, la lingua di Karel Kryl, ha i casi come il latino; vocativo compreso. E così, láska, cioè amore, al vocativo fa lásko. O amore!

Schiere di traduttori, che sono i veri paria della terra, si addannano con le lingue più bizzarre ben sapendo che le critiche più feroci le riceveranno proprio da coloro che non saprebbero nemmeno distinguere un soggetto da un complemento oggetto (ad esempio, il 97,48% dei giornalisti italiani). Tra le altre cose, a volte s'innamorano perdutamente di cantautori di paesi strani; già di per sé la canzone d'autore viene considerata pallosa, perché tutto deve essere rrrrritmo, e figurarsi se poi è, che so io, in ceco. Pazienza. Vorrà dire che una cosa come questa non la conosceranno mai; si ascolteranno, naturalmente con una gran voglia di dormire (ma non si può dire, pena l'ostracismo), il loro jazz. A me il jazz fa addormentare, che ci volete fare! E se proprio non ho sonno, mi fa venire en bloc due paia di coglioni come quelli di Martin Berta.

E va a finire che, poi, i traduttori vanno a fare sempre altro. Li ritroviamo come impiegati, macellai, autisti di ambulanze, geometri, trippai o chissà che altro. Quando si ostinano a restare traduttori, altro che precari; i traduttori erano già precari quando di precariato non si parlava nemmeno di striscio. La vita agra raccontata da Bianciardi. Eppure mantengono sempre il loro amore al vocativo e a tutti gli altri casi delle loro lingue, compreso il comitativo dell'ungherese, il preposizionale del russo e l'essivo del finlandese. Compresi i toni del loro cinese o del loro yoruba. Comprese le classi nominali del loro swahili. Compresi i segnetti e le canzoni del ceco. Questa canzone parla di un ragazzo e dello schifo di vita che fa in caserma sotto un regime orrendo, un regime che gli fa considerare, disperatamente, la guerra come la sua ragazza. Lásko! A proposito: secondo me Karel Kryl canta da fare schifo e suona come un cane; però c'era un cantautore che tutti capiscono, che diceva che i fiori nascono dalla merda e non dai diamanti.



Un po' di avanzi per i ratti nella scodella del gulash
Lettere d’amore con le carte da mariash *
Prima del lungo viaggio ci togliamo le scarpe sudate
E poi sotto la coperta sogniamo masturbandoci.

Amore, chiuditi nella stanza,
Amore, la guerra è la mia ragazza,
con lei faccio l’amore, quando mi accorcio le notti.
Amore, hai il sole sul ventaglio,
Amore, due ciliegie su un piatto
ti regalerò, quando sarò tornato.

Neanche vent’anni, un distintivo sul berretto
Con sorriso da adulti si tira fuori la sigaretta
La pistola carica alla cintura
Andiamo al passo cantando vicino al bordello.

Amore, chiuditi nella stanza,
Amore, la guerra è la mia ragazza,
con lei faccio l’amore, quando mi accorcio le notti.
Amore, hai il sole sul ventaglio,
Amore, due ciliegie su un piatto
ti regalerò, quando sarò tornato.

Un po' di avanzi per i ratti, e la borsa per le cartucce
la latrina con le scritte, non adatte alle signore,
non c'è tempo per riposare, la morte ci sta addosso
Prima che sbronzi crolliamo sul pancaccio.

Amore, chiuditi nella stanza,
Amore, la guerra è la mia ragazza,
con lei faccio l’amore, quando mi accorcio le notti.
Amore, hai il sole sul ventaglio,
Amore, due ciliegie su un piatto
ti regalerò, quando sarò tornato.

* gioco di carte praghese (ndt)

venerdì 1 aprile 2011

Clamorosi outing di Matteo Renzi: "Sono bisex e tifo Juve"


Clamorose dichiarazioni del sindaco di Firenze al mensile cittadino Reporter: "Mia moglie ha sempre saputo tutto, ma è una donna dalla mentalità moderna e aperta; vorrei vedere la signora D'Alema come la prenderebbe". "Ho avuto una breve relazione con Mike ai tempi della Ruota della Fortuna". "La Fiorentina? Come sindaco la sostengo, ma il mio cuore è bianconero. Il mio idolo era Beppe Furino." Reazioni sconcertate in città; la lunga intervista sul numero di maggio del mensile distribuito gratuitamente a tutti i fiorentini.

Le agenzie battono la notizia, e Firenze si risveglia all'improvviso dai primi torpori primaverili: in una lunga intervista concessa da Matteo Renzi al mensile "Reporter" (la rivista distribuita gratuitamente a tutti i fiorentini, suddivisi per quartiere di appartenenza), il "sindaco più amato" rilascia delle dichiarazioni a dir poco scioccanti. Ad una domanda dell'intervistatrice a proposito di certe voci che già circolavano insistentemente negli ambienti politici non soltanto fiorentini, Matteo Renzi ha deciso di mettersi a nudo senza reticenze. Riportiamo qui il clamoroso outing:

- Guardi, le dirò con tutta la mia sincerità: sono bisex fin dalle mie prime esperienze sessuali. In questo, probabilmente, l'ambiente degli Scouts ha giocato un ruolo decisivo. Se finora non mi ero deciso a dirlo apertamente, è stato per non fornire facili appigli ai miei avversari esterni e interni in un paese ancora non avvezzo a queste cose, ed anche per tutelare la mia famiglia...lei capisce, con il ruolo politico che ho rivestito prima come presidente della Provincia di Firenze, e poi come sindaco a partire dal 22 giugno 2009, non ritenevo opportuno palesarlo....

- Signor Sindaco, sicuramente tutta la cittadinanza apprezzerà questo suo impeto di trasparenza, anche per quanto riguarda la sua vita privata...

- Per una persona che riveste il mio ruolo, è necessaria; una cosa che, forse, qualcun altro non deve avere ben capito...

- Si riferisce a Silvio Berlusconi?

- Non soltanto a lui, mi creda. Ma ora come ora non posso dirle altro...Però tengo a precisare una cosa: vorrei vedere come la prenderebbe, che so io, la signora D'Alema. O la signora Fassino se il marito le dicesse d'essere stato assieme a Marchionne.

- Torniamo a lei: come ha vissuto questa sua predilezione per entrambi i sessi nel suo ambiente, particolarmente in quello familiare?

- Mia moglie ne è sempre stata a conoscenza, fin dai tempi del fidanzamento; e, debbo dirle, ha sempre rispettato la mia scelta perché è una donna dalla mentalità moderna e aperta. La cosa non ha mai avuto influenze sul nostro ménage e sulla nostra bella famiglia. Non le ho mai nascosto nulla, a partire dalle prime esperienze...

- Naturalmente non le chiederò con chi sono avvenute...

- Certamente non potrei mai dirglielo, però da questo punto di vista decisiva è stata la mia partecipazione alla "Ruota della Fortuna", il quiz condotto dall'indimenticabile e compianto Mike Bongiorno....

- In che senso decisiva, mi scusi?

- Ho avuto con Mike una relazione, piuttosto breve ma molto appassionata. Mike passava per il campione del conformismo all'italiana, ma in realtà era una persona assolutamente ricettiva verso ogni tipo di esperienza, si veda ad esempio quando scalò il Cervino (era il Cervino, mi sembra...) per pubblicizzare la grappa Bocchino...non si facciano facili ironie, la prego...allora ero molto giovane, ma il pur breve legame con Mike mi ha fatto capire che la sessualità deve essere vissuta nel profondo, senza vergognarsene e anzi approfittando del senso di autentica completezza dato dalla bisessualità. Da questo punto di vista devo dichiarare di essere in piena sintonia, nonostante le ovvie differenze, con quella corrente giovanile...come si chiamano...

- Gli Emo?

- Esattamente. Come lei sa, sono bisessuali.

- Naturalmente non le chiedo altro; mi dica però un'ultima cosa. Ha delle relazioni in corso?

- Una relazione saltuaria con un giovane commercialista pisano, ma ci vediamo abbastanza poco.

- Anche di questo naturalmente sua moglie è a conoscenza...

- Certamente e non mi ostacola, come del resto non ha mai fatto.

- Signor sindaco, lei è altrettanto aperto anche nei confronti di eventuali relazioni bisex di sua moglie?

- Senz'altro, anche se lei non me ne ha mai parlato. Se ne avesse avute, sicuramente lo avrebbe fatto. Le ripeto: in casa Renzi viviamo davvero nel XXI secolo, contemperando il tutto con la nostra fede cattolica. Non ci appartengono né le veteroideologie, né la veterosessualità. Tutte mentalità, mi permetta di dirlo, da...

- Rottamare?

- Esattamente. Come da rottamare sarebbero molte altre cose, anche in questa città.

- Passiamo ad altro, signor sindaco; sul lato Fiorentina?

- Guardi, colgo l'occasione per liberarmi anche da questo punto di vista. Ho sempre tifato per la Juventus.

- Scusi?....

- Ha capito bene. Fin da piccolo sono un bianconero sfegatato, sul comodino in camera mia avevo la foto di Furino...centrocampista roccioso che era il mio non facile idolo....tutti con Bettega, con Anastasi, con Platini, con Bignè Boniek... io invece ammiravo quell'umile lavoratore del pallone, una colonna...


- Si rende conto dell'effetto di una simile dichiarazione, signor sindaco, in una città come Firenze?

- Me ne rendo conto. I fiorentini potranno digerire la mia bisessualità, ma non la mia juventinità, lo so benissimo. Ma anche qui è in gioco la sincerità che si richiede a un rappresentante delle istituzioni. Sia chiaro: sono fiorentino, e come tale sostengo la Fiorentina senza se e senza ma, ad ogni livello. Ma il mio cuore era, è e resterà bianconero. Del resto, la mia relazione con Mike iniziò proprio parlando della nostra comune fede calcistica, che lui mi giurò di non rivelare...e ha mantenuto la promessa. Caro, meraviglioso Mike!

- Si ripresenterà allo stadio dopo questa dichiarazione?

- Confido nella capacità di comprensione dei fiorentini, anche se è possibile che...

- Che la riducano in polpette?

- È un rischio da correre a viso aperto. Tornerò allo stadio per sostenere la squadra della mia città, come si confà ad un buon sindaco. Tranne in occasione di Fiorentina-Juventus...

Le dichiarazioni di Renzi, come prevedibile, hanno suscitato un autentico vespaio in città. Se l'assessore alla mobilità e al decoro, Massimo Mattei, parla di "autentica rivoluzione copernicana che fa onore all'umanità del Sindaco ed alla sua chiarezza anche sulla sua vita privata", ironico è l'ex "sceriffo" Graziano Cioni: "Parigi ha un sindaco gay, Londra lo stesso, ma a Firenze non ci riesce fare altro che le cose a metà..." Dietro ad un "no-comment" si trincerano altri componenti della giunta Renzi, mentre il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, si concede una battuta: "Renzi bisex? Io lo batto, sono trisex". Di fronte alle dichiarazioni del Sindaco, il portavoce dell'Arcivescovo Betori si mostra prudente ma preoccupato: "Aspettiamo di leggere l'intera intervista, ma non possiamo fare a meno di esprimere l'inquietudine che ci attanaglia, tanto più che le dichiarazioni del sindaco Renzi gettano fango sull'istituzione degli Scouts." Un inaspettato soccorso giunge a Renzi da Franco Zeffirelli: "Questa volta solidarizzo col sindaco di Firenze, ed alla mia età questo mi previene da secondi fini. Un bravo a Matteo: ha avuto coraggio!" Di diverso tenore le dichiarazioni degli esponenti del PDL fiorentino: se il consigliere Alberto Locchi parla di "attentato alla famiglia e, soprattutto, alla Fiorentina", Giovanni Galli ironizza pesantemente: "Mi hanno dato del traditore perché sono andato a giocare nel Milan, ora che diranno? Ma delle sue preferenze sessuali non m'importa." Il consigliere Francesco Torselli parla apertamente di destituzione del sindaco: "Renzi è indegno di rappresentare Firenze, Berlusconi perlomeno va solo con le donne." L'ex candidata alla presidenza della Regione, Monica Faenzi, esprime invece indifferenza, sospettando che dietro alle dichiarazioni di Renzi ci sia l' "ennesima trovata pubblicitaria". Da segnalare infine le dichiarazioni dei tifosi Viola che si ritrovano presso lo storico Bar Marisa del Viale Fanti: "Renzi è un traditore, dopo essere andato da Berlusconi ora vada pure dagli Agnelli così si chiude il cerchio." Soltanto il solito bastian contrario fa presente che il bar Viola per antonomasia si chiama "Marisa", che era il soprannome di Boniperti...