lunedì 30 maggio 2011

Sgomberi e feste


Mi ha detto un uccellino che, assieme alla signora Brichetto Arnaboldi Letizia coniugata Moratti, è stato sgomberato anche questo pezzo di merda qua sopra. Quello che sgomberava ogni cosa, per intenderci; e di di sgombero ferisce... Non è che, per caso, i milanesi si potrebbero riservare una fucilazioncina piccina picciò, una sola lo giuro? Farebbe parte della festa, semplicemente della festa! Il cambiamento sarebbe salvaguardato, la democrazia pure e Pisapia potrebbe fare ugualmente il sindaco di tutti i milanesi, meno uno. Del resto quasi tutti parlano di liberazione o no? Beh, una liberazione senza nemmeno uno stronzo di fascista messo al muro? E che liberazione è, caspiterina...?!?!? Poi, a cose fatte, non importa nemmeno scomodare piazzale Loreto, ché il traffico milanese dev'essere già incasinato a sufficienza; basta appenderlo per i piedi nel cortile di un casermone a Quarto Oggiaro!

lunedì 23 maggio 2011

Un paese per vecchi (forse)


Lui ha 84 anni, uno di quegli anziani per i quali, un tempo che fu, si usava l'epiteto di arzillo (che ha la stessa radice di ardere). Conosce una russa di 34 anni, capitata in Italia nei soliti modi; se ne invaghisce. Lei dice di considerarlo un amico, lui è convinto che sia qualcosa di più; ma nulla da fare. Non è qualcosa di più. A 84 anni bisognerebbe capire che è finita. Non con l'amore, perché ci si può innamorare eccome ed essere anche riamati in modo bellissimo; ma si dovrebbe dare per terminata l'attività sessuale. Non c'è niente di male; considero invece vergognoso voler forzare la natura. Cretini i gerontologi, o chi per loro, che si ostinano a voler far credere ai vecchi di poter fare ancora i giovanotti, riempiendoli di illusioni e anche di inutili fatiche. Esattamente come i bambini e gli adolescenti vengono riempiti di danze, tennis, palle al volo, corsi di qualsiasi cosa, facendone in generale degli stressati anzitempo; i vecchi vengono riempiti di viaggi massacranti, sport senior, volontariati e quant'altro, facendone in generale degli stressati post-tempo. E sessi su sessi, soprattutto. Viagra, Cialis, Levitra, perché il tempo non deve passare mai. E così, l'ottantaquattrenne di Vada (Livorno), stante il fatto che la trentaquattrenne russa non ne vuole sapere (come, magari, non ne vorrebbe sapere di un diciottenne), le penetra in casa e gliela sfascia completamente. Le smonta i mobili scientificamente, e poi infila una canna nel rubinetto, lo apre, e allaga tutto. E menomale che è solo quello, visto quel che fanno altri vecchietti arzilli (dal pensionato qualsiasi al presidente del consiglio). Sarà un paese per vecchi, questo? Sarà perché è un paese sfinito rivitalizzato appena dagli immigrati, gli unici che stanno fabbricando delle generazioni future?

E allora te li ritrovi davanti, i vecchi, in mille e mille situazioni. Da quello che ti sta davanti con la macchina e va a venti all'ora mentre hai una furia cane, generalmente di andare a far lo schiavo da qualche parte; oppure quello in coda alla cassa del supermercato, che lètica con un coetaneo perché ha osato passargli avanti. Ti ritrovi la vecchia imbellettata e quella trasandata, ti ritrovi tutte le classi riprodotte con parecchi anni sul groppone, ti ritrovi la clinica di lusso e la Pia Casa di Lavoro (si chiama così, e in modo agghiacciante, l'ospizio comunale fiorentino più noto come "Montedomini"). Ti ritrovi il vecchio squisito e dal linguaggio elegante, con la sua antica cortesia (citazione), e il vecchio stronzo, maleducato, prepotente. Te li ritrovi sulle panchine a non far nulla, te li ritrovi alle manifestazioni coi drappi da partigiano, te li ritrovi al bar a lanciare battute oscene e idiote sulle ragazzine, te li ritrovi a ammazzare il vicino o la vicina di casa e te li ritrovi a centotré anni, vestiti di tutto punto, a cercare di ammazzarsi buttandosi in Arno da una passerella una domenica d'agosto. E cominci a pensarci, a pensarci forte; specialmente alla mia età di mezzo. A gioventù passata, e spesso manco saputa cogliere, e con davanti quel che sarai. Forse non a breve, ma neanche a lungo termine.

Bombardati. Mercato. Il Mercato è, come si sa, rigidamente suddiviso in fasce di età; si comincia al primo vagito e si termina all'ultimo rantolo. Mode per neonati e mode per vegliardi; nel mezzo, mode per bambini, per adolescenti, per giovani, per adulti, per gente di mezz'età. Prodotti specifici. Target. Questa parola inglese significa "bersaglio", e a un bersaglio di solito si tira con qualche arma, che sia una freccia o un fucile d'assalto. Le fasce di età s'incrociano con le fasce sociali; le fasce sociali s'incrociano con le fasce di reddito; le fasce di reddito s'incrociano con le fasce elastiche, e tutto s'incrocia mentre i vecchi oramai pensano allo stesso tempo di essere ancora giovani e di essere già morti. Imperano le gerontocrazie, ma non sono -come si dice a volte- di "stile sovietico"; sono di stile pienamente capitalista. L'esperienza di vita, ammesso che tutti siano capaci di rendersene conto e di metterla seppur minimamente a frutto, cede alla realizzazione. E se non hai realizzato niente ti devi accontentare di essere carne da Mercato, sebbene oramai frolla. Sei stato, prima, carne giovane. Sei stato gabbato con la mistica del lavoro. Sei stato spremuto come un limone; e, ora, gòditi una vecchiaia di solitudine, di televisione, di nulla. Oppure assalta la badante ucraina, stattene sulla panchina con Libero o con l'Unità, e ripensa, ripensa, ripensa. Vecchio porco e sudicio, vecchio quieto e pulito, vecchio sposato da sessant'anni con una donna che detesti e che ti detesta, vecchio innamorato da sessant'anni di una donna che sta morendo.

Sarà un paese per vecchi, questo? Che cos'è che fa rifiutare di voler invecchiare? Saranno le immagini che hai davanti, tutti i giorni? Oppure saranno i passi malfermi, le mattinate passate a farsi visitare in ospedale, e andare a letto sapendo che potresti non svegliarti? E tutte quelle preghiere, quelle immagini sacre, quelle messe alle sette del mattino; ti ricordi quando, a venticinqu'anni (l'età alla quale un poeta si sentiva vecchio), maledicevi Cristo e i santi? E, intanto, nuove offerte per la terza età. Cartelloni sfavillanti con una coppia di anziani, in ordine perfetto, sorridenti. Accanto ti passa un tizio, con una macchina scassata, 280.000 chilometri; tutti i giorni va a prendere dei vecchi. Sbavano. Hanno, a volte, dei decubiti spaventosi. Non si rendono nemmeno conto di essere trasportati; oppure se ne rendono conto, e si mettono a parlare. A volte si scopre persino che volevano cambiare il mondo.

Io non lo so come dovrebbe essere, un paese per vecchi. Mi sembra di vedere un paese, ed un mondo intero, che non è per nessuno; né giovane e né vecchio. Ma ho oramai un'età sufficiente per dare un senso alle mie osservazioni, e certe cose mi sono chiare. Nessuno è fatto per vivere come merce. Nessuno è fatto per vivere come bersaglio della merce. Basta questo. E di me sia quel che deve essere, ma sempre come elemento sociale e cosciente, e circondato dal nuovo di diecimila colori; perché quel nuovo è anche me stesso, come lo sarò stato, forse, anch'io per chi era vecchio allora e mi vedeva passare; e tutto questo non deve essere interrotto. Così, magari, un giorno il mondo diverrà il paese degli esseri umani.

domenica 22 maggio 2011

Servizi comunali


Ridurre il luogo che vedete sopra in quello stato non dovrebbe spettare né a presupposti anarchici, e né a un corteo di persone che manifestano perché qualche GIP ha deciso, come sempre, di obbedire alla "dottrina Maroni" che vuole in galera o ai domiciliari chi scrive sopra un bancomat o lancia due uova su un muro. Dovrebbe spettare ai servizi comunali. Come la rimozione delle macchine in sosta vietata o, meglio, la nettezza urbana. Visto che di spazzatura, poi, se ne intendono molto. Molti anni fa, sui cestini sparsi per la città, si leggeva la dicitura Firenze pulita; ecco, lo smaltimento delle sedi del "PDL" attiene esattamente alla pulizia della città. La sporcano, perché sono sporchi, sudici, lezzi dentro. Arriva un momento in cui si comincia a ragionare diversamente, e a non poterne più di dire (e di dirsi) che Non bisogna generalizzare e compagnia bella. Invece bisogna proprio generalizzare. Chi continua a sostenere una mànica di bugiardi delinquenti, di pedofili, di dementi allo stato puro, di razzisti e di inetti totali deve fare la loro stessa fine in quanto loro complice. Forse cominciano ad accorgersene un po' che sta cominciando davvero a tirare una brutta aria, questi neanchepiùitagliani. E se la stanno, per ora, cavando parecchio a buon mercato. Una vetrina, e i manifesti del Papi ridotti a brandelli; ma questo basta, naturalmente, per innescare le geremiadi istituzionali e quelle a mezzo stampa serva. Non passerà molto, ovviamente, che tali geremiadi si trasformeranno in denunce e in arresti; la trafila è nota. Il GIP di turno si trova sempre. Le frignatine in questura sono di prammatica, corroborate dalla carta da culo delle redazioni cittadine. Per questo dico che alla pulizia della città da questi pezzi di merda di cane dovrebbe pensare il Comune, trattandoli come normali rifiuti da avviare alle discariche. Coi loro pezzi di vetro, i loro manifesti, i loro slogan coi quali hanno abbrutito un paese intero, le loro puttane, le loro televisioni, le loro squadre di pallone; tutto a Case Passerini.

Però sembra che, ora, stiano cominciando a percepire una certa cacaiola. Certo, incassano le loro solidarietà incrociate, di cui a tutti frega meno degli ultimi grandi successi dei Jalisse, ma intanto parlano di andarsene dalle strade. Era ora! Che stiano finalmente per tornarsene nelle fogne da cui sono venuti? E cosa c'è voluto, per far prendere loro questa decisione? Gli appelli alla legalità di un presidente che avalla una guerra e slingua in bocca i dirigenti di uno stato assassino proprio nel giorno in cui sta compiendo l'ennesima strage? C'è voluto il rispetto? C'è voluta la democrazia? No, c'è voluto far prendere loro un po' di paura. Se ne sono serviti a piene mani, della paura, per costruire la galera in cui ci hanno rinchiusi; il boomerang ha terminato il volo d'andata. Si preannunciano tante questure, tanti provvedimenti, tanti processi; intanto, però, iniziano a levarsi dai coglioni, pavidi, insignificanti, sudaticci, flaccidi. In attesa che un paese un po' più civile si decida a organizzare un altro utilissimo servizio pubblico, quello della disinfestazione. Come per le zanzare e per i ratti. La disinfestazione consta nell'eliminare l'humus sul quale prosperano tali specie; in Italia, tale humus è fatto di stupidità, di fascismo, di chiesacattòlica, di ignoranza, di crassezza. Non ci dovranno più pensare gli anarchici che pure, come sempre, hanno il grande merito di riportare tutto al nocciolo della questione, nudo e crudo. Quando dei criminali si sono impadroniti di tutto, la "legalità" è la loro. E non dev'essere così.

sabato 21 maggio 2011

Karl von Trier


(Trier è il nome tedesco della città di Treviri, ndr)

martedì 17 maggio 2011

On figòn bel grand


A me, Milano non è mai piaciuta. La conosco poco, anche se -come quasi tutti- ci sono stato alcune volte; la prima avevo diciott'anni, e ci andai assieme alla fidanzatina per una specie di mostra di pittura tenuta da un suo amico pugliese. In realtà ci voleva andare soprattutto perché con un amico di questo amico, l'estate prima, c'era stata diverse volte a letto insieme; presumendo che ci fosse anche lui, insomma. E io sapevo tutto, perché me lo diceva tranquillamente; di questo qui, che era più grande di me, sapevo persino nome e cognome. Allora funzionava così, e in un certo senso è stata una bella scuola; leggendo che gli adolescenti di oggi scannano le ragazzine perché li lasciano o li "tradiscono", mi ritengo fortunato. Lo avrei anche conosciuto, quel tizio; poi, però, alla famosa mostra non era venuto. Mi ricordo il viaggio di andata, le prime immagini della stazione centrale, il tempo regolarmente grigio. E il viaggio di ritorno, e tutte queste cose che, mi dicevo, avrei scordato; invece no. Non le ho scordate affatto.

Non mi è mai piaciuta e la conosco poco. Però, i milanesi di vecchio stampo sí, mi piacevano; almeno quelli che ho conosciuti più o meno bene. Mi piaceva quel loro humour particolare, rarefatto, e anche l'accento con cui lo esprimevano. Mi piaceva Gianni Magni. Mi piacevano anche Cochi e Renato. E Ivan Della Mea, che pure era toscano di Lucca, e il suo amico Claudio Cormio; il primo è morto due anni fa, un maledetto quattordici di giugno. Il secondo è fortunatamente vivo e vegeto, ogni tanto lo rivedo a Fosdinovo sulle Alpi Apuane, e una volta l'ho fatto dormire in una parrocchia del Chianti. Insieme scrissero, nel 1997, una canzone in dialetto milanese; si chiama Sciambola e parla, appunto, di Milano. Ce ne sono non so quante, di canzoni che parlano di Milano, in tutti i modi; da O mia bela Madonina a Io vi parlo di Milano di Diego de Palma. Da Luci a San Siro a quella di Lucio Dalla. Milano non mi è mai piaciuta, e non la conosco; ma è una città che ha tante canzoni. Qualcosa, forse, vorrà pur dire.

Se ogni tanto ci rivado, mi ci sento non so come. Milano è quel posto dove si va a lavorare, e io a lavorare non ci sono stato mai, nemmeno una volta. Milano è la vecchia e incasinatissima casa di Alessio Lega. Milano è la sorpresa di una manifestazione tenuta in un giorno di febbraio con una luce accecante. Milano non mi è mai piaciuta, e non mi piacerà mai. Sento più vicine a me città dove non ho mai messo piede, tipo Palermo o Siviglia. A volte chiamo Milano, spregiativamente, Lavoròpoli o Arbeitstadt. Talvolta mi figuro se qualche accidente della vita mi ci avesse fatto trasferire; sarebbe stata una tragedia. Poi, probabilmente, avrei fatto come faccio sempre. La avrei cominciata a girare, da solo, e magari a ore strane. Prima o poi, magari, me ne sarei anche innamorato; come tutti quei grandi amori che cominciano in guisa d'odio. Ma così non è stato; Milano e Giuseppe Pinelli, Milano e Fausto, Milano e Iaio. Milano il 17 aprile 1975; c'è un manifesto, la cui immagine si vede nella foto sotto il titolo, che recita Vivere a Milano, via Mancini, 17 aprile 1975. Claudio Varalli e Giannino Zibecchi. Milano e un diciannove di gennaio di qualche anno fa, in una trattoria che ora sta per chiudere o è già chiusa; un giorno che è stato un bivio nella mia vita. Era in una direzione, e è andata in un'altra; è successo a Milano. L'ultima volta ci sono stato pochi mesi fa, e in un posto in cui mai mi sarei immaginato di mettere piede: l'ippodromo di San Siro. Io che avevo sempre disdegnato l'ippica, mi son ritrovato incollato a veder correre i cavalli, e ho fatto persino una modesta scommessa. Non mi è mai piaciuta Milano, mi ci son ritrovato la prima volta a fare i conti con la sessualità libera di una ragazzina e l'ultima a farli con dei cavalli su una pista in un crepuscolo invernale.

Nella canzone di cui parlavo prima, Sciambola, Ivan della Mea e Claudio Cormio parlano di come si sarebbe ridotta, Milano, in questi vent'anni. La Milano da bere, o del Berlusca. La Milano dei comitati d'affari, dei nani e delle ballerine, della Lega sempredura. Il protagonista della canzone è un milanese che la gira senza sosta, che la guarda e che non la riconosce più; ed è una canzone, francamente, bellissima. Me la cantavo leggendo il libro per cui Manolo Morlacchi è finito in galera, parlando della storia della sua famiglia. Forse devo essermela cantata anche quando leggevo un altro libro, quello di Marco Philopat sulla Banda Bellini. O forse non mi sono cantato nulla, perché si fa presto a scrivere cose sotto una suggestione. Frammenti. Non mi è mai piaciuto quasi nulla di Milano, tranne Milano. Tranne quella Milano che, credo, si dev'essere nascosta da qualche parte assieme ai suoi sciambola.

Dicono che accogliesse tutti, basta che volessero laurà. A me laurà non piace manco un po'. Nella canzone, Claudio Cormio dice che era on figòn bel grand, e non c'è bisogno di tradurre. Forse ho conosciuto Milano nei modi sbagliati, anche se la prima volta che ci sono stato, proprio quella della mostra di pittura, comunque volli andare a vedere Piazza Fontana. La mostra di pittura si teneva, fra l'altro, a due passi dal carcere di San Vittore. Proprio in via San Vittore, anzi; e un'altra canzone. Ma mì, ma mì, ma mì, quaranta dì, quaranta nocc' a San Vittur a ciapaa i bott, mi sun de quej che parlen no. Non mi ricordo dove ho letto che una città la si sente propria solo quando hai vissuto una rivolta che vi è avvenuta; ho cercato di immaginarlo. La città dei partigiani di Piazzale Loreto e del 25 aprile. La città di Giovanni Ardizzone. La città dell'aprile del '75 che si prese anche Firenze e la vita di un altro ragazzo. La città di Luciano Bianciardi, grossetano, e della sua filologica intenzione di far saltare la sede del Corriere della Sera parlando della vita di un traduttore forzato. Non so, poi, cosa è avvenuto; ne sento parlare da quei pochi milanesi che ho conosciuto, e a volte me ne hanno parlato per canzoni. Quei milanesi hanno un sorriso particolare, e quasi sempre un vocione che acuisce le vocali aperte. E degli sguardi che forano la nebbia. Chissà dove se ne sono andati, quando il figon bel grand che accoglieva tutti s'è trasformato in un una passerina striminzita che respinge e che produce i Magdi Allam.

In questi giorni leggo proclami trionfalistici. Sembra che un candidato alle elezioni comunali abbia vinto il primo turno, inaspettatamente, e che abbia qualche probabilità di diventare sindaco. Qualcuno pensa che Milano, e assieme a lei l'Italia intera, possa cambiare per questo; ma, per cambiare davvero, dovrebbe verificarsi l'azzeramento totale di un periodo. Si dovrebbe, ad esempio e per prima cosa, eliminare la sicurezza. Passare dall'immondezzaio securitario e dal paurificio ad una città che tornasse ad essere sanamente insicura, rischiosa, libera; e questo non vale, ovviamente, soltanto per Milano. Si dovrebbe dar luogo tranquillamente alla seminale intenzione di Bianciardi. Ho sentito dire che Milano è stata così, e magari inconsciamente l'ho pure cercata quelle volte che ci sono stato, impegnato a dirne peste e corna e a maledire il freddo e i suoi viali tutti uguali. Forse cercavo la ringhera, chissà; e il destino mi ha fatto conoscere due persone che stavano in via Savona, la strada del me' gatt e della vecchiaccia con el nas svizzer e gross. Non basterà un sindaco, sempre che ci sia, a cambiarla; dovrebbe cambiare ben altro. Dovrebbe tornare il Novecento. Ma forse, chissà, si è semplicemente nascosto anche lui, in mezzo al suo figon bel grand. Non sottovaluto. Vorrei anch'io che perlomeno gli autori materiali di questi vent'anni si levassero dai coglioni, e possibilmente anche in un modo ben più drastico di un' "elezione"; ma c'è bisogno del vento. Non mi è mai piaciuta, Milano, e il vento non ce l'ho mai sentito.

Ma ci dev'essere. Un poeta milanese, Vittorio Sereni, interista sfegatato, una volta immaginò la sua morte; o meglio, immaginò di vedersi morto, alle sei del mattino, in una Milano spettrale e ventosa:

Tutto, si sa, la morte dissigilla.
E infatti, tornavo,
malchiusa era la porta
appena accostato il battente.
E spento infatti ero da poco,
disfatto in poche ore.
Ma quello vidi che certo
non vedono i defunti:
la casa visitata dalla mia fresca morte,
solo un poco smarrita
calda ancora di me che più non ero,
spezzata la sbarra
inane il chiavistello
e grande un'aria e popolosa attorno
a me piccino nella morte,
i corsi l'uno dopo l'altro desti
di Milano dentro tutto quel vento.

È una delle poesie che più amo al mondo, e si svolge a Milano. Non mi è mai piaciuta, Milano, e non potrò mai amarla; ma se da Milano s'innalza il vento, s'addensa la tempesta. Di tempeste c'è bisogno, non di sindaci.

Anadrammi 3 / 4


MAGDI CRISTIANO ALLAM

1.

MANGIA L'ALMA DI CRISTO


Anadramma che ci rivela la natura segreta del neobattezzato,
pronto a addentare ostie consacrate ma anche a condurre
mysteriosi rituali assieme alla Maga Lisistrata

2.

IL DOGMA: MILÀN SACRISTA!


Un uomo, un programma: trasformare tutta la città di Milano in una sacrestia.
Nuovo arcivescovo, al posto del comunista Tettamanzi,
sarà nominato don Riccardo Seppia, mistico genovese.

lunedì 16 maggio 2011

sabato 14 maggio 2011

L'Elezione Enigmistica


Sciarada (4, 3)

Nella città di XXXX c'è una piazza
che fa la mente ognor pensosa e XXX;
mentr' a Milano, cosa buffa e pazza
e gli hanno candidato XXXXXXX!

Soluzione: ....................

Sciarada (2, 5)

Ohibò, XX' sono augelli molto amari
pe' milanesi in vil tenzone XXXXX;
già molti si ritrovano agli spari
pensando alla tristissima XXXXXXX!

Soluzione: ...............

Cambio di finale (8)

Il gatto è assai pulito e rispettoso,
sulla XXXXXXXX fa i suoi bisognini;
a Napoli però XXXXXXXX è esploso,
ci ha pien di spazzatura anche i tombini!

Soluzione: ................


Cambio di iniziale (7)

Con l'aria scheletrita e rinsecchita
spettrale ed anche un po' rincoglionita,
ce lo vedrei assai meglio, quel XXXXXXX
a fare il frate a Monte XXXXXXX,
e invece vuol fare il sindaco a Torino!

Soluzione: ................





venerdì 13 maggio 2011

Incarnacchiate (Repost)


Avvertenza. In questi giorni, il "Blogger" (vale a dire il servizio tecnico che gestisce la piattaforma Blogspot, o qualcosa del genere) è andato in tilt; penso che tutti coloro che si servono di tale piattaforma se ne siano accorti, e che siano incorsi in problemi simili ai miei. Risultato, almeno per quel che mi riguarda: Il post Incarnacchiate, vale a dire l'ultimo in ordine di tempo, è stato completamente cancellato, nonostante fosse stato già indicizzato da Google. Se n'è salvata solo una copia parziale autoinviatami per mail, che qui ripropongo; il resto l'ho ricostruito a memoria (naturalmente non con le stesse parole precise, ma quasi; nonostante i poderosi sforzi degli informajuoli di tutto il mondo, sembra che la memoria umana ancora sia leggermente superiore, e soprattutto non cancellabile da un "Blogger" qualsiasi).

Mi sono a volte chiesto che cosa faccia, e abbia fatto, nella sua vita, un signore come quello ritratto qua sopra (presumibilmente parecchi anni fa). Preso per assunto che non abbia mai fatto il muratore (nonostante la "classica" bustina fatta coi giornali vecchi), darmi una risposta è sempre stato discretamente arduo. Specialmente adesso. Oggi (= due giorni fa, NDR e vedasi introduzione), però, ho avuto come un'illuminazione. Stavo passando per il centro di Firenze alla guida dell' "ambulanza di Topolino" (ebbene sí, è sempre in servizio!), quando mi sono accorto del bailamme di vigili, polizia, carabinieri e folla che stavano attendendo giustappunto quel signore là con la bustina da muratore, ora notevolmente invecchiato e divenuto "presidente della repubblica"; e mi sono messo a ragionare fra me e me per due minuti. Questo qui, di mestiere, incarna. Born to incarnate. Quando è nato, la mamma gli deve aver detto: "Figlio mio, tu incarnerai"; e lo ha fatto, debbo dire, in modo più che ottimo; un incarnatore coi fiocchi. Ha incarnato davvero di tutto: il critico teatrale (con tessera del GUF), l'attore, il "resistente" campano, il giurisprudente, il deputato, il "migliorista", l'ala destra, il condannatore di rivolte popolari, il responsabile della sezione "Lavoro di massa" (ah ah ah) e poi della "politica culturale", e via discorrendo. Alla fine è arrivato al "top" degli incarnatori: da qualche anno incarna nientepopodimeno che la nazione intera; fa appelli all'unità (stavolta del paese, non del giornale fondato da Antonio Gramsci nel 1924), invita a "abbassare i toni" (come dice sempre in casa sua quando il volume della TV è troppo alto: "Per cortesia, vi inviterei ad abbassare i toni ché mi state fracassando i timpani"), orgoglia l'orgoglio di essere orgogliosamente italiani, presenzia ai funerali degli eroici missionari di pace abbracciando mamme e vedove (che sono sempre giovani e incinte, ma il suo sogno nascosto sarebbe forse quello di abbracciare una vedova vecchia e una mamma incinta), avalla tranquillissimo una guerra dicendo però che non è una guerra, e va in visita nelle città che debbono tributargli de' bagni di folla. Nelle città, poi, risponde sempre alle domande degli studenti; l'unica volta che è andato un po' in crisi è stato quando uno studente gli ha domandato la soluzione di un difficile problema di algebra. Insomma, si può dire che Egli incarna egregiamente l'Italia di oggi. Però c'è un problema, e stavolta non di algebra: oramai è talmente grave d'anni e d'esperïenza, che una Sua dipartita improvvisa da questa valle di làgrime non sarebbe sorprendente (date poi le immense fatiche che ha dovuto sopportare nella vita); questa lunga introduzione intende infatti formulare delle fattive proposte per il suo eventuale successore, in modo che la nazione italiana non si trovi scoperta in tale circostanza. Sono certo che l'Italia, pur riconoscendo le doti innate di incarnatore dell'attuale presidente, possa fare ancor di meglio. In questo paese, come si sa, non c'è limite al meglio.


1. Josef Ratzinger, in arte "Benedetto XVI". Essendo già di fatto il vero capo dello stato italiano, non si tratterebbe che di una comodissima ratifica ufficiale. Nessuna legge vaticana o italiana proibisce del resto il cumulo delle cariche di papa e di presidente della repubblica. Se a Cipro un semplice arcivescovo, Makarios, poté essere a lungo capo dello stato, non si vede perché un papa non possa esserlo. Oh, qui siamo poi di fronte ad uno che incarna già Dio in terra; mica barzellette.

2. Giuseppe Vittorio Raimondo Baudo, in arte "Pippo Baudo". Fin dalla sua prima comparsa in televisione, Pippo Baudo incarna la nazione in tutto il suo essere; non a caso, a causa sua è stata creata l'espressione nazional-popolare. Nazione e popolo, i cardini dell'incarnazione a tutto tondo; anche se mi dicono che ci aveva già provato, con qualche successo, un tizio di Braunau-am-Inn (eine Nation, ein Volk, o roba del genere). Confesso di "fare il tifo" apertamente per Pippo Baudo presidente della repubblica (nella foto sopra, infatti, lo si vede mentre fa le prove per futuri discorsi a reti unificate il 31 dicembre); la sua nomina rappresenterebbe poi un perfetto continuum storico, dalla casa Sabauda a quella Bauda. Basterebbe togliere la sillaba iniziale. Unica controindicazione potrebbe essere la sua malcelata intenzione, giustappunto, di proclamarsi Re; ma esiste il precedente del cittadino Luigi Napoleone Bonaparte, président de la République che ne approfittò per diventare Imperatore (il 2 dicembre 1851, per la cronaca).



3. Giuliano Ferrara, in arte "Giuliano Ferrara". E se non incarna lui, ditemi chi dovrebbe incarnare. Nella foto lo si vede mentre fugge a nuoto da Auschwitz.


4. Aldo Biscardi, in arte "Aldo Bisgardi". Scusate, ma se è stato presidente della repubblica Giovanni Leone, può esserlo benissimo anche lui. Del resto, la costituzione della repubblica italiana (quella vera, non quella finta del "ripudio della guerra", della "promozione delle arti e delle scienze" e della "vietata ricostituzione del partito fascista in ogni sua forma") recita: Articolo uno. L'Italia è una repubblica fondata sul pallone. Quale più sincero interprete di tale principio fondamentale potrebbe essere trovato sulla piazza? Chi, meglio di lui, potrebbe incarnarlo? Oltretutto, la si farebbe finalmente finita con tutte queste storie di processi; ogni lunedì sera alle 20.45 ce ne sarebbe uno, condotto personalmente dall'incarnatore.


5. Lorella Lorenza Luciana Cuccarini, in arte "Lorella Cuccarini". Se c'è qualcosa di cui mi stupisco, è che non sia stata ancora eletta presidentessa della repubblica. Ma come, per anni e anni è stata etichettata come la più amata dagli italiani, e tutto quel che ne ha avuto è stata una réclame per una marca di cucine componibili?!? Insomma, il più classico esempio di maschilismo italico. Oltretutto, sono ragionevolmente certo che i famosi studenti sarebbero assai più lieti di porle le altrettanto famose domande, invece che a una congerie di vegliardi.


6. Pietro Taricone, in arte "Pietro Taricone". Premessa necessaria: Contrariamente a quanto si crede, in Italia non è assolutamente necessario essere vivo per essere "presidente della repubblica"; anzi, direi che lo status di cadavere è (con un'unica e parziale eccezione) è stato una costante, da Gronchi a Saragat, da Leone a Scàlfavo, da Cossiga a Carlazzeglio "The Pisan" Ciampi, e senza contare Antonio Segni (che durante il suo mandato ebbe realmente a tirare il calzino, non senza aver prima tentato un golpettino piccino picciò assieme a un generale dei carabinieri col monocolo). Pietro Taricone rappresenta gli eterni fondamenti dell'Italia; con il suo possente motto Vir est vir, fœmina est fœmina incarna l'immortalità del genio nostrano. Sia dunque eletto presidente eterno, perché a noi ci fa un baffo Kim-il Sung. Finalmente avremmo come massimo rappresentante uno scheletro vero, al posto dei tanti scheletri finti che si sono succeduti negli anni!

Nota: A conferma che il pusher del Blogger doveva averci,
in questi giorni, roba parecchio bòna, il post originale è ricomparso.
Ma siccome non si sa mai, lo lascio stare.

giovedì 12 maggio 2011

Incarnacchiate


Mi sono a volte chiesto che cosa faccia, e abbia fatto, nella sua vita, un signore come quello ritratto qua sopra (presumibilmente parecchi anni fa). Preso per assunto che non abbia mai fatto il muratore (nonostante la "classica" bustina fatta coi giornali vecchi), darmi una risposta è sempre stato discretamente arduo. Specialmente adesso. Oggi, però, ho avuto come un'illuminazione. Stavo passando per il centro di Firenze alla guida dell' "ambulanza di Topolino" (ebbene sí, è sempre in servizio!), quando mi sono accorto del bailamme di vigili, polizia, carabinieri e folla che stavano attendendo giustappunto quel signore là con la bustina da muratore, ora notevolmente invecchiato e divenuto "presidente della repubblica"; e mi sono messo a ragionare fra me e me per due minuti. Questo qui, di mestiere, incarna. Born to incarnate. Quando è nato, la mamma gli deve aver detto: "Figlio mio, tu incarnerai"; e lo ha fatto, debbo dire, in modo più che ottimo; un incarnatore coi fiocchi. Ha incarnato davvero di tutto: il critico teatrale (con tessera del GUF), l'attore, il "resistente" campano, il giurisprudente, il deputato, il "migliorista", l'ala destra, il condannatore di rivolte popolari, il responsabile della sezione "Lavoro di massa" (ah ah ah) e poi della "politica culturale", e via discorrendo. Alla fine è arrivato al "top" degli incarnatori: da qualche anno incarna nientepopodimeno che la nazione intera; fa appelli all'unità (stavolta del paese, non del giornale fondato da Antonio Gramsci nel 1924), invita a "abbassare i toni" (come dice sempre in casa sua quando il volume della TV è troppo alto: "Per cortesia, vi inviterei ad abbassare i toni ché mi state fracassando i timpani"), orgoglia l'orgoglio di essere orgogliosamente italiani, presenzia ai funerali degli eroici missionari di pace abbracciando mamme e vedove (che sono sempre giovani e incinte, ma il suo sogno nascosto sarebbe forse quello di abbracciare una vedova vecchia e una mamma incinta), avalla tranquillissimo una guerra dicendo però che non è una guerra, e va in visita nelle città che debbono tributargli de' bagni di folla. Nelle città, poi, risponde sempre alle domande degli studenti; l'unica volta che è andato un po' in crisi è stato quando uno studente gli ha domandato la soluzione di un difficile problema di algebra. Insomma, si può dire che Egli incarna egregiamente l'Italia di oggi. Però c'è un problema, e stavolta non di algebra: oramai è talmente grave d'anni e d'esperïenza, che una Sua dipartita improvvisa da questa valle di làgrime non sarebbe sorprendente (date poi le immense fatiche che ha dovuto sopportare nella vita); questa lunga introduzione intende infatti formulare delle fattive proposte per il suo eventuale successore, in modo che la nazione italiana non si trovi scoperta in tale circostanza. Sono certo che l'Italia, pur riconoscendo le doti innate di incarnatore dell'attuale presidente, possa fare ancor di meglio. In questo paese, come si sa, non c'è limite al meglio.


1. Josef Ratzinger, in arte "Benedetto XVI". Essendo già di fatto il vero capo dello stato italiano, non si tratterebbe che di una comodissima ratifica ufficiale. Nessuna legge vaticana o italiana proibisce del resto il cumulo delle cariche di papa e di presidente della repubblica. Se a Cipro un semplice arcivescovo, Makarios, poté essere a lungo capo dello stato, non si vede perché un papa non possa esserlo. Oh, qui siamo poi di fronte ad uno che incarna già Dio in terra; mica barzellette.


2. Giuseppe Vittorio Raimondo Baudo, in arte "Pippo Baudo". Fin dalla sua prima comparsa in televisione, Pippo Baudo incarna la nazione in tutto il suo essere; non a caso, a causa sua è stata creata l'espressione nazional-popolare. Nazione e popolo, i cardini dell'incarnazione a tutto tondo; anche se mi dicono che ci aveva già provato, con qualche successo, un tizio di Braunau-am-Inn (eine Nation, ein Volk, o roba del genere). Confesso di "fare il tifo" apertamente per Pippo Baudo presidente della repubblica (nella foto sopra, infatti, lo si vede mentre fa le prove per futuri discorsi a reti unificate il 31 dicembre); la sua nomina rappresenterebbe poi un perfetto continuum storico, dalla casa Sabauda a quella Bauda. Basterebbe togliere la sillaba iniziale. Unica controindicazione potrebbe essere la sua malcelata intenzione, giustappunto, di proclamarsi Re; ma esiste il precedente del cittadino Luigi Napoleone Bonaparte, président de la République che ne approfittò per diventare Imperatore (il 2 dicembre 1851, per la cronaca).


3. Giuliano Ferrara, in arte "Giuliano Ferrara". E se non incarna lui, ditemi chi dovrebbe incarnare. Nella foto lo si vede mentre fugge a nuoto da Auschwitz.


4. Aldo Biscardi, in arte "Aldo Biscardi".
Scusate, ma se è stato presidente della repubblica Giovanni Leone, non può esserlo lui? Articolo 1 della Costituzione (quella vera, non quella del ripudio della guerra, della promozione delle scienze e delle arti ecc.): L'Italia è una repubblica fondata sul pallone. Come tale, e nella sua più profonda essenza (dicono persino che sia primo ministro il padrone del Milan, pensate un po'!), Aldo Biscardi incarnerebbe il principio fondamentale. Non ci sarebbero più nemmeno tante diatribe sui processi: ogni lunedì alle 20.45 ce ne sarebbe uno. Biscardi for president!


5. Lorenza Luciana Lorella Cuccarini, in arte "Lorella Cuccarini". Se c'è qualcosa di cui mi stupisco, è che non sia stata eletta ancora presidentessa della repubblica. Per anni sono andati avanti a menarcela che era la più amata degli italiani, e tutto quel che ne ha avuto è stata la pubblicità di una marca di cucine componibili. Il solito maschilismo italico, va da sé. Fra un po', persino Pippa Middleton sarà eletta presidentessa della Repubblica Britannica, e noi -come sempre- restiamo indietro. In Spagna o in qualche paese latinoamericano, Raffaella Carrà sarebbe nominata a furor di popolo, e noi lasciamo marcire la nostra più amata. A me, personalmente, piacerebbe essere incarnato dalla Cuccarini; e sono anche ragionevolmente certo che piacerebbe anche ai famosi studenti, quando fanno le altrettanto famose domande.


6. Pietro Taricone, in arte "Pietro Taricone". Una premessa necessaria: per essere presidente della repubblica italiana non è assolutamente necessario essere vivo. Direi anzi che, in generale e con un'unica parziale eccezione, lo status di cadavere aiuta moltissimo nell'ascesa al "Colle", e ne fanno fede una sequela di salme che vanno da Gronchi a Saragat, da Leone a Scalfaro, da Cossiga a Carlo Azeglio "the Pisan" Ciampi. Pietro Taricone, peraltro, non è affatto morto: è vivo e lotta insieme a noi. Qui non è neppure questione di incarnare per sette miseri anni: lui incarnerà per sempre l'ITALIA. Vir est vir, fœmina est fœmina: motto che è garanzia di eternità. Pietro Taricone è il nostro Kim-il Sung: presidente eterno. Lo si imbalsami a dovere e lo si trasporti al Quirinale: tanto nomini nullum par elogium. Perdio, dopo essere stati costantemente incarnati da scheletri finti, alfin lo siamo da uno scheletro vero!

lunedì 9 maggio 2011

9 maggio 1978



"Mafia, precariato, morti sul lavoro,
Che cazzo ce ne frega a noi di Aldo Moro?"

(slogan popolare)

L'attesa è terminata


Dal 1908, una famosa poesia di Konstandinos Kavafis ci ammorba la vita. Si chiama Περιμένοντας τους βαρβάρους in lingua originale, e qui la trovate in italiano nella classica traduzione di un defunto e valente ellenista, Filippo Maria Pontani, che però, nella pagina linkata, è stato messo in bicicletta e trasformato in "Pantani". Nulla di cui indignarsi; da che mondo è mondo, i ciclisti sono più popolari dei grecisti e non credo che ci sia nulla da fare al riguardo. Il nuovo, poi, caccia sempre via l'antico. Quando abitavo a Livorno mi ricordo che una via (vicino al porto) intitolata allo statista Vittorio Emanuele Orlando veniva comunemente chiamata "via Silvio Orlando", con buona pace del bravo attore che, essendo ancora vivo e vegeto, forse si sarebbe toccato un po' le parti intime se lo avesse saputo.

Dicevo però che la poesia di Kavafis ci ammorba la vita. Non è, poveraccia, colpa sua; anzi, è una poesia assolutamente splendida, uno dei capolavori in lingua neoellenica (anche se il greco di Kavafis, alessandrino, è assai particolare). Il problema sono i suoi citatori, perché è diventata una sorta di passepartout utilizzato da chiunque quando intende dire qualcosa di "intelligente"; e, allora, si va da Vittorio Sgarbi in televisione agli impiegati statali anarchici, da Gigi Marzullo all'articolista di Vanity Fair, dal blogger fustigatore al professore che fa il predicozzo in classe. In linea di massima, credo che sia seconda, quanto a citazioni, solo alla mortifera If di Rudyard Kipling, bel tomo di colonialista che intendeva pure dare le lezioni di vita.

Che cosa dice, però, questa famosa poesia kavafiana? In estrema sintesi: l'Impero sta per crollare e i barbari sono alle porte. Tutti li stanno aspettando al tempo stesso trepidanti e indolenti, in pompa magna: perché i senatori dovrebbero legiferare, quando fra poco lo faranno i barbari? E l'Imperatore perché dovrebbe darsi pena di resistere, come esigerebbe la sua altissima dignità? Anzi, ha già preparato pergamene e titoli da offrire ai barbari. E i retori, perché dovrebbero esercitare la loro arte (quella che Ambrose Bierce, nel Dizionario del Diavolo, definì "Congiura tra pensiero e azione ai danni delle facoltà intellettive, una forma di tirannide in parte temperata dalla stenografia") quando si sa benissimo che i barbari, dato che sono barbari, la sdegnano come inutile? Ma passano le ore, e i barbari giocano un tiro mancino: non arrivano affatto. Se la vedano i civili, i rappresentanti della superiore cultura, e affoghino nella loro merda; facciano senza di loro. Perché i barbari sono sempre una soluzione; servono a sentirsi più elevati quando fa comodo, servono sovente da carne da macello, e quando una civiltà si spegne si trasformano però in estremo soccorso. Per questo ho sempre rifiutato categoricamente l'espressione invasioni barbariche, anche se adesso si preferisce dire islamiche a cura di servi che, oltretutto, non hanno neppure la ieraticità (seppur vuota, esteriore) degli antichi senatori o di un Imperatore.

Ma, come si vede dalla foto in alto, scattata oggi pomeriggio in una piazza di Firenze, l'attesa sembra essere terminata. Non solo. Ai barbari, finalmente, viene riconosciuta un'estetica (L'estetica barbara, giustappunto). È un passo importante che viene finalmente sancito; e non mi si venga a dire che si tratta di un semplice centro benessere, beauty farm o come oggi si chiamano queste cose in una lingua assolutamente barbarica. Nell'insegna, "barbara" è infatti scritto con l'iniziale minuscola e si tratta quindi di un normale aggettivo qualficativo al femminile singolare; se si fosse trattato della signora o signorina titolare del negozio, le regole del nostro superiore idioma, faro di civiltà e di bellezza, avrebbero imposto l'iniziale maiuscola. Oltre il bandone chiuso per la festività domenicale, quindi, si sta elaborando un'estetica che tenga conto dei barbari, infine arrivati; e che, contrariamente a quanto scritto da Kavafis, i barbari si occuperanno eccome di fare le leggi, di stabilire nuovi princìpi, e in pratica di dare l'avvio ad una nuova civiltà. Com'è sempre accaduto, dato che nessuna civiltà è pura bensì il frutto di commistioni. È un processo ineluttabile. Si verrà a creare, ovviamente, anche una nuova estetica; i barbari apprenderanno dell'esistenza di Baumgarten, di Diderot, di Plotino e di Kant e provvederanno a shakerare il tutto con il loro pensiero; perché un pensiero, sembra incredibile ma è così, lo hanno pure loro. A volte sanno persino già meglio di noi chi fossero Diderot, Plotino e Kant, mentre la nostra civiltà immortalmente morente preferisce sapere chi siano Pato, Gilardino e Pazzini.

Ben venga, l'estetica barbara. Probabilmente, uno di questi giorni, quando vedrò il bandone alzato, andrò a dare un'occhiata là dentro. Già mi pregusto un laboratorio di pensiero, uno scriptorium instancabile, e una babele di idiomi sconosciuti e bellissimi al posto di quello di Pippa Middleton. Non accetto altre ipotesi; che non mi si prospetti l'idea di vedere signore intente a farsi imbellettare secondo canoni estetici ripresi da qualche rotocalco, oppure una titolare talmente stolta da aver dato un nome del genere ad un negozio dove si dovrebbe appiccicare patine di bellezza a volti distrutti dalla schiavitù del quotidiano sgobbo.

Nota: è stato scritto dalla Gatta Pampalea. Per una volta glielo riprendo, con un piccolo adattamento dato che l' "amico Sussi" che nomina spesso, sono io.

domenica 8 maggio 2011

CARC = Comitati di Appoggio alla Ribellione Canina


Questa è Luna.


E questo è Spartaco.



E questi sono Luna e Spartaco.



...
e tutti i suoi Spartachisti...

...e anche i Lunisti...



venerdì 6 maggio 2011

La colazione



Nelle pubblicità, la colazione è uno dei momenti clou della famigliuola felice.

Alle sette e mezza del mattino, il babbo e i bambini (rigorosamente un maschietto e una femminuccia) arrivano in cucina un po' assonnati, ma immensamente lieti; la mamma invece no, non ha sonno. Lei si è svegliata prima dal felice talamo nuziale per preparare, appunto, la colazione. Tavola imbandita; e, sulla linda tovaglia lavata con Bio Cristo® arrivano, finalmente, le Crostepallette® del Mulino Rosa®; così soffici ma croccanti, da inzuppare nel latte Caporalat®, mentre già tostano le deliziose fette di Pancakkè® (sempre del Mulino Rosa®) pronte per essere spalmate di burro Solepadano® e di marmellata di albicocche Santa Muerte®. Risplendono il lavello passato al Voitila Acciajo® e le piastrelle lucidate a morte (sempre dalla mamma, ovviamente) con il Mastro Lindo Ferretti®. La gioja si taglia a fette, giustappunto; e anche quelle fette di gioja sono prodotte dal Mulino Rosa®. Il babbo, pronto per andare in ufficio, scherza coi bambini e si diverte a sporcar loro il nasino con il latte e con briciole di Crostepallette®; la giovane mamma sorride ma non si mette a tavola a gioire; deve già lavare le tazze e i piattini con Deshitter®, il nuovo prodotto senza pietà contro i residui delle colazioni felici. E mentre i bambini, cinguettanti come rondinotti in primavera, si avviano nel sole verso la scuolina felice riformata dalla Gelmini®, il babbo si prepara, ilare, a una giornata di benedetto lavoro®. La mamma resta a badare alla casetta. Naturalmente®.

In una ridente città dell'Italia centrale, invece, oggi una colazione è andata diversamente. Dimenticavo: la città in questione si chiama Prato, ma credo che sia un particolare insignificante perché colazioni del genere possono succedere dappertutto. Anche nell'appartamento accanto al tuo, sai, quello dove vive quella famigliuola di gente perbene, coi bambini, il cagnolino, le Crostepallette®, il Bio Cristo® e tutti gli altri prodotti e oggetti che gelano il cuore quando ti tocca entrar dentro a raccattare quel che resta. Perché quel che resta non sono briciole. Quel che resta è la quotidianità che fa da spettatrice alla violenza, alla morte.

Una famiglia non felice, perché nella realtà succede spesso. Separazione in vista tra il babbo e la mamma; addirittura, già un foglietto pronto con una minuziosa divisione dei beni. I bambini, pronti per andare a scuola; la tavola già apparecchiata per la colazione. Lo dicono tutti i nutrizionisti: una colazione sana e abbondante è il miglior viatico per una giornata di schiavitù lavorativa, domestica, scolastica. Ad un certo punto, il babbo ammazza la mamma. Una cosa normale, specialmente in questo paese felice dove le Crostepallette® vengono quotidianamente intinte non nel latte, ma nel sangue di una donna. Arriva l'ambulanza. Arriva la Polizia. Anche il babbo si è ammazzato, ovviamente®. Di sotto, i giornalisti fanno colazione con Raptus®, per iniziar bene la giornata nel solco della più sentita tradizione italiana. "Sono cinesi?", qualcuno si chiede; "No, mi sa di no", qualcuno risponde. Allora ecco che, da una borsa, spunta fuori Riserbo®, prodotto esclusivo da riservarsi soltanto agli italiani, oppure a coloro che almeno si presume che lo siano (però, se fossero stati cinesi, state pur sicuri che i giornali Il Progresso e Il Regresso lo avrebbero già detto). I bambini vengono portati via; in questura li faranno disegnare, li faranno giocare, faranno fare loro non so cosa, ma hanno visto. Resta là, silenziosa, la tavola apparecchiata. La mamma non laverà niente. Resterà tutto sporco, di sangue, per un po'; poi provvederà qualcuno, magari con il Voitila Acciajo® o con il Mastro Lindo Ferretti®. Immobili, un Padre Pio o un Che Guevara, in cornice, osservano. Le briciole delle Crostepallette® meditano, forse, di ribellarsi. Di dire, nel bel mezzo di una pubblicità, che cosa vedono davvero ogni giorno, nelle famiglie di questo paese.

mercoledì 4 maggio 2011

E ci risiamo, ovviamente.


La ricetta è quella collaudata: il solerte GIP, i mesi di indagini, le accuse gravissime (chissà se stavolta ci saranno altri alberelli oltre alle palme), il blitz all'alba. Mescolare con cura e si otterrà una perfetta repressione. Di qualsiasi realtà antagonista. Di qualsiasi spazio rimasto nelle nostre città. Di qualsiasi voce, di qualsiasi attività, di qualsiasi opposizione reale fuori dal sistema.

Stamattina è toccato allo Spazio Liberato 400 Colpi: ventidue arresti, come dà per prima notizia la Rete dei Collettivi. Nel corso della mattinata si precisano meglio le modalità: sotto gli ovvi titoloni e le stronzate su Osama, l'ineffabile Repubblica riporta la notizia addirittura nel portale nazionale. Ed eccole, le gravissime accuse (mantengo qui l'usuale e fantasiosa sintassi degli scribacchini di regime): associazione a delinquere finalizzata alla realizzazione istigazione a delinquere, occupazione abusiva di edifici pubblici, danneggiamento, deturpamento e imbrattamento di beni immobili, resistenza, violenza e oltraggio a pubblico ufficiale, interruzione di pubblico servizio e violenza privata. Accuse talmente terrificanti da aver portato esattamente, come si specifica nello stesso articolo, a cinque arresti domiciliari e a diciassette "obblighi di presentazione alla polizia giudiziaria". Traduzione immediata: il solito castello di accuse gonfiate a dismisura che nasce però già sgonfio. Neanche uno degli "arrestati" trasportato a Sollicciano; si vede che stavolta non c'erano di mezzo palme o altri vegetali.

I messaggi sono comunque chiarissimi: il 400 Colpi è stato impegnato in prima linea, lo scorso autunno, nella protesta attiva contro la riforma Gelmini, e chi vi si è opposto realmente si vede presentare il conto. Tirare delle uova e fare delle scritte sui muri può costare, attualmente, l'arresto dopo il battage mediatico preparatorio. Gli spazi liberi non sono tollerati. Tra pochi mesi, come sempre, tutto si risolverà in una bolla di sapone: l'importante è spedire i messaggi di cui sopra. Bisogna essere bravi ragazzi, studiare diligentemente, accettare le decisioni del regime, andare ai concertoni di MTV e prepararsi ad una vita da precari a completa disposizione del mercato.

Tolleratissimi, invece, e anzi foraggiati sono i gggggiovani, i fulgidi ribelli non conformi di Casaggì e dintorni. Colpisce il fatto che, tra le accuse contestate ai ragazzi del 400 Colpi, vi sia anche il deturpamento e l'imbrattamento di beni immobili: praticamente un centesimo delle porcate che, a Firenze, i fascistelli di regime, sempre pronti a lagnarsi con gli amici questurini, appiccicano e scrivono dovunque. Non c'è praticamente un muro, in città, che non sia deturpato e imbrattato dai loro manifesti e manifestini di merda, da scritte e da croci celtiche (le stesse che, del resto, si ritrovano appese in bella mostra nei commissariati di polizia). Quanto all'occupazione abusiva, questo è un problema che non tocca i ribelli non conformi: a loro, le sedi, gliele paga direttamente il Papi.



Ma non s'illudano lorsignori. Più repressione ammanniscono, e più opposizione avranno. Azioni come quella di oggi sono fatte esclusivamente per spaventare, e per cercare di annichilire: a Firenze come altrove non ci sono riusciti. E non ci riusciranno. A tale riguardo pubblico un comunicato già emesso dello squat La Riottosa:

Stamani alle prime luci la polizia si presenta alla Riottosa per effettuare la perquisizione di una delle roulotte circostanti. Al termine dell’operazione (priva d’esito, c’é bisogno di dirlo?) il compagno che dormiva nella roulotte viene condotto al suo indirizzo di residenza per un’altra perquisizione, poi gli viene notificato l’obbligo di firma. Veniamo a sapere che si tratta di una delle 24 misure cautelari imposte dal giudice nell’ambito di un’indagine che coinvolge molti appartenenti al movimento studentesco fiorentino secondo l’articolo 416 (associazione a delinquere); evidentemente l’ennesima intimidazione a chi negli ultimi mesi si è opposto a questo clima mortifero, di certo (profetizziamo) un’altra indagine inconsistente, basata solo sulla volontà politica di colpire qualsiasi dissenso, in linea con le indicazioni di Maroni, e con quanto avviene in tutta Italia.

Esprimiamo il nostro caloroso affetto, il nostro assoluto sostegno, la nostra totale complicità con chi viene colpito oggi dalla repressione, certi che nelle prossime ore la solidarietà si allargherà moltissimo, e i compagni non verranno lasciati soli.

Libertà per tutti gli indagati!

La Riottosa Sguott

martedì 3 maggio 2011

Un fumatore compulsivo.


Ho un paio di vecchie
pipe scalcinate, che non fumo quasi mai;
non è fatta per me, la pipa,
troppa cura, troppa lentezza, forse troppa
pacata meditazione che l'accompagna.
Ogni tanto, una sera qualsiasi
me ne accendo una,
e sono scene comiche
(che per fortuna nessuno vede):
come ogni
fumatore compulsivo, di sigarette,
di quintali di sigarette,
faccio quel che nessun fumatore di pipa fa:
traspiro.
Il fumo caldissimo e aromatico mi piomba dritto nei polmoni
e tossisco come una specie di maiale;
nel frattempo la pipa si spegne,
non ho gli attrezzi, e finisce là.

Finita là come la vita
di un'ombra che camminava
per la città lontana
e assediata.

Ci sono consegnate da mille e mille
ignoti punti
fotografie che lo hanno colto con
la sua pipa in bocca;
le pipe hanno forme spesso d'arte
che contrastano in modo vitale
con lo squallore, con la morte,
con la sopraffazione senza fine.
Doveva essere
come una parte di lui,
e conoscendo alcuni fumatori di pipa
posso ben immaginarlo
senza troppo timore
d'essere smentito.
Smentito di che, poi;
in mezzo alle bombe a grappolo,
quelle che esplodono mischiando
le ossa dei bambini ai formicai,
i pancreas delle madri alle bancarelle
di frutta secca carbonizzate,
le linfe dei prigionieri alle vecchie Mercedes
ridotte in lamiere contorte.
Ci si muoveva,
e quel muoversi non ha più bisogno né di cronache,
né di retoriche;
ora che l'immagine di lui canonica,
quella che sta nei blog
(e, probabilmente, anche nelle pagine Facebook
e nei diari di qualche sedicenne)
è una pipa in bocca a un giovane
che si volta e saluta in una vignetta
tenendo un bambino per la mano.

Un fumatore compulsivo
come me,
(e anche mentre sto scrivendo questa cosa
le sigarette vanno in cenere una dietro all'altra)
non sa, naturalmente, niente.
Sente quel nome e gli viene a mente
di continuo, come un mantra,
il titolo di un libro che
peraltro
non ha mai letto:
Eyeless in Gaza...Eyeless in Gaza...
Ma senz'occhi dovevano essere
molti seppelliti
tra le macerie,
e il traffico infernale, i clacson, i mercati, le fughe
i rifugi
la privazione persino dell'aria
e il mare forse avvelenato
dove pure i pescatori gettano le reti
e nel gettarle hanno probabilmente
paure che nessuno di noi
può immaginare.
Una salamoia putrefatta di carcerazione a cielo aperto.
Una prospettiva che non oltrepassa un incrocio di strade
senza più targhe che ne indichino il nome.
Una serie di dèi che rinuncerebbero alla loro
presupposta onnipotenza
per un paio di taniche di benzina o di gasolio.
Una serie di odori violenti
che dicono:
è finita.

Finita là come la vita
di un'ombra che camminava
per la città lontana
e assediata.

Nessun simbolo, perché i simboli sposano l'odio.
E il ricordo è come una vecchia melanzana
lasciata marcire piano piano nel frigorifero;
e il ricordo
è come un bene di consumo effimero,
somiglia al pulcino elettronico giapponese
che ebbe due mesi di moda
tanti anni fa
(si chiamava, se non mi sbaglio, Tamagochi).
Il ricordo
dicono falsamente che vada coltivato,
ma solo amori saldi e calmi possono farlo;
per il resto, in realtà,
tutti noi coltiviamo l'oblìo.
Un evento, come il Tamagochi, caccia l'altro ogni giorno:
sposi, papi, nemici
ed anche, e sicuramente con più forza,
bollette da pagare
schiavitù quotidiane
irrisolti pensieri che seminano rancori
solitudini arroventate dal loro riprodursi malato.
E non c'è posto
per ricordi di chi non si è conosciuto,
per i suoi movimenti, per i suoi atti,
per i suoi scopi d'ogni giorno
che, più aumentano l'ammirazione per ciò che faceva
e la rabbia per la sua morte,
più ci restano, fondamentalmente,
ignoti,
estranei,
o caricati in un fardello che,
a intervalli quasi regolari,
mettiamo addosso a figure al tempo stesso
semplicissime
e irraggiungibili.

Eppure, in qualche modo, sono parti di noi.
Eppure anche noi fumatori compulsivi
vorremmo saper fumare quella pipa
come si deve,
davanti alle rovine di un tramonto,
una bisaccia e un canto
e un bambino tenuto per mano
senza alcuna illusione
e senza alcuna speranza
(e la speranza, poi, diciamolo francamente
è un'invenzione clericofascista).
Studiare le mosse,
andare e escogitare
un fanalino barcollante di sopravvivenza.

Il fumatore compulsivo, a un certo punto,
è giocoforza che finisca le sigarette;
e senza sigarette termina ogni cosa,
termina soprattutto la voglia di scrivere.
Eppure
aveva inteso fare qualcosa che non fosse vana,
o perlomeno che non lo fosse del tutto:
oramai lontano giorni-luce dal fuoco dell'immediatezza
pagare qualcosa
ad uno sconosciuto fumatore di pipa
tatuato, sudato e lucido.
Pagargliela in fumo
che non era senz'altro il suo,
e pagargliela in parole
che non lo rendessero
un fantoccio di applausi e di pixel scomposti.
Non so se.
E non lo potrò sapere;
un'ultima sigaretta mi è però rimasta
e me la fumerò in silenzio tra poche righe.
Sarà dedicata ad un giovane essere umano
che agì per il bene senza rinunciare a un pugno chiuso
e alla sua ordinaria vocazione alla scomodità;
sarà dedicata alla sua pipa
dove brucia e si dissolve in fumo
tabacco che somiglia un po' all'amore.

A Vittorio Arrigoni.

Ipotesi, soltanto ipotesi


1. (Banale, ma comunque suggestiva)

Osama Bin Laden è vivo e si è rifugiato nella giungla del Borneo. Là vive in un grazioso cottaggio, giocando a backgammon con un simpatico e decrepito vecchietto che abita nei paraggi oramai da più di sessant'anni, tale Adolf Hitler. La sera, i due vanno a cena da un altro vicino di casa, Elvis Presley, che propone loro ottima musica. Non lo si direbbe mai, ma Osama adora le bisteccone americane e sta tentando anche di convincere Hitler a smetterla con quelle tristissime verdure cotte che ingurgita fin dai tempi di Berchtesgaden.

2. (Altrettanto banale, ma con punte di realismo)

Osama Bin Laden è morto nel 1978 per un incidente stradale tra Nizza e Montecarlo, mentre conduceva in incognito quella che esteriormente sembrava una Fiat 128, ma che all'interno era una sorta di piccola limousine dotata di tutti i conforti. Quello che è stato ucciso ieri in Pakistan era tale signor Roberto Barabino, commercialista di Pontedecimo (GE), che gli somigliava come una goccia d'acqua e che, per questo, in paese era noto -con straordinaria fantasia- come "Osama Bin Laden". Ingaggiato all'indomani degli attentati alle Torri Gemelle, ha goduto di un vitalizio e di buoni agi finché il presidente Obama non si è ritrovato un po' con l'acqua alla gola nei sondaggi; al che, il buon Barabino è stato convocato e gli è stato detto con delicatezza: "Dé, ci dispiace di nulla ma ti si deve tirà ir collino". La salma dello sventurato commercialista è stata sì buttata in mare, ma successivamente imbragata e trasportata in segreto al porto di Savona, da dove verrà tumulata nel piccolo cimitero di Mignanego.

3. (Nel segno di una misteriosa continuità)

Osama Bin Laden è morto, viva Osama Bin Laden. Già da tempo aveva però scelto il suo successore alla guida di Al-Qaeda; secondo le fonti più accreditate, i coraggiosi giornalisti Dimitri Buffa e Nello Rega, si tratterebbe di un curioso personaggio la cui identità, ovviamente segretissima, si cela sotto l'attività di traduttore di manuali tecnici. Di questa persona si sa per il resto ben poco: dovrebbe essere messicana di nascita, ha avuto in passato pericolosi legami con la malavita imolese, coi satanisti e con gli ontopsicologi, ingurgita litri di thè e ha addestrato bande paramilitari in Sudamerica prima di arrivare a Firenze alla vigilia del Social Forum del 2002 (ovviamente con l'intenzione di distruggerla).

4. (Letteraria con venature di surrealismo)

Scampato miracolosamente all'agguato tesogli dai Marines (probabilmente per intercessione del beato Giampaolo II), Osama Bin Laden ha trovato tranquillo rifugio in uno sperduto e petroso villaggio portoghese, Cidadelhe, noto per un preziosissimo drappellone (chiamato, non ci crederete, O Pálio) custodito gelosamente da due anziane signore del luogo. Costoro, pur chiedendosi dove mai avessero visto quel signore capitato là all'improvvisto e vestito in modo decisamente pittoresco, lo hanno ospitato in casa dietro la ben precisa assicurazione che egli avrebbe provveduto ad occuparsi della guardia al Pálio, già oggetto di numerosi tentativi di furto. Il signore in questione mostra di avere una buona dimestichezza con le armi, ed è un ottimo cavallerizzo. Cosa d'altronde necessaria in quella zona, dove l'unica strada carrozzabile è tenuta dal comune di Pinhel in condizioni disastrose (come raccontato con dovizia di particolari da José Saramago nella sua Viagem a Portugal, dico "sua" perché viagem è di genere femminile in portoghese). Uno dei libri più lenti e straordinari che abbia mai letto. A proposito: vedo che oggi l'Osservatore Romano afferma che non bisogna gioire della morte di un uomo, cosa senz'altro vera se non fosse per l'articolo di lurido giubilo che lo stesso quotidiano pubblicò all'indomani della morte di Saramago).

5. (Pienamente realistica)

Osama Bin Laden non è mai esistito. La sua foto, da "vivo" o da "morto", non ha nessun bisogno di essere ritoccata, o taroccata: è già un tarocco an sich, commissionata da un pool di governi (tra cui quello italiano) a un fotografo di Des Moines che ci ha lavorato per alcuni mesi prendendo ispirazione da un vecchio spazzino del suo quartiere, Samuel Benedict Leathen, detto "Sam Ben Leathen". Sembra che l'anziano e onesto operatore ecologico non abbia molto gradito la cosa, specialmente quando hanno cominciato a prenderlo a fucilate mentre faceva i suoi normali giri con il triciclo e il bidone. Inutili sono state le sue rimostranze presso lo sceriffo: il bene supremo della Patria e del Mondo esigeva quel suo sacrificio. Il 19 novembre 2002 Sam Ben Leathen è stato centrato in pieno da una revolverata, e frettolosamente buttato in mare. Non so come mai, ma tutto ciò mi ricorda qualcosa.