mercoledì 27 luglio 2011

I Monsummani


Questa è una cosa che mi è accaduta parecchi anni fa; non la chiamo storia perché una storia non è, non ne ha le caratteristiche. Risale ai primi anni '90, vale a dire a una serie cospicua di quando ancora non...; e, sempre che vi interessi, dovete figurarmi molto diverso da ora, sia che mi conosciate di persona, sia che soltanto mi immaginiate. Ero molto più magro; la barba la portavo a pizzetto e, a volte, persino me la tagliavo del tutto. A causa di una persona che, di lì a poco, mi avrebbe fatto penare non poco, inforcavo un paio di ridicoli occhiali "a televisore", che secondo lei obbedivano ai dettami della moda; in alcune cose la pensavo compagna a ora, in altre no. In questa cosa, come da un po' di tempo a questa parte, non farò nessun nome e cercherò di non far riconoscere nemmeno i luoghi; è un'elementare forma di prudenza che ho imparato (sovente a mie spese) a rispettare. Ma tengo a dire che parlerò di persone le quali, pur essendo lontanissime da me come età, abitudini, pensieri e modi di esprimersi, in quel dato momento si ritrovarono a fare una cosa che ritengo degna e che merita di essere, ancorché vagamente, conosciuta. Del resto, lavoravo per loro. O meglio, collaboravo.

Si trattava di una Confederazione non elvetica, ma di associazioni che operavano nel ramo sociosanitario; con un'espressione che tempo fa mi divertì parecchio, anche perché utilizzata durante un'irresistibile serie di invettive "in campo neutro" (con sceneggiata finale da far sciogliere in applausi il defunto Mario Merola), la si potrebbe tranquillamente definire rigidamente confessionale. Insomma, un'organizzazione cattolica, supercattolica, stracattolica; ma mi dava un po' da mangiare. La mia collaborazione, per la quale ogni mattina dovevo indossare giacca e cravatta, consisteva nel tradurre delle cose da e in alcune lingue straniere; e ora vi dirò esattamente cosa. Prima, però, debbo a tutti un'avvertenza: nel prosieguo di questo post mi vedrete addentrarmi in un territorio davvero inconsueto. Eppure fa parte del mio passato; e, del resto, se fior d'anarchici prendono lo stipendio dallo Stato e addirittura fanno i banchieri importanti, io potrò aver collaborato alcuni anni per i rigidamente confessionali.

Qualche anno prima, una delegazione di questa Confederazione era stata ricevuta in udienza privata dal capo dei capi, vale a dire da Giovanni Paolo II in persona. Costui le aveva affidato, e con lei a tutte le sue singole componenti sparse in Italia, una missione ben precisa: quella di essere testimone della civiltà dell'amore. Così, una volta tornata da queste parti, la Confederazione decise si metter su nientepopodimeno che una rivista mensile, cui venne appunto dato il titolo di Civiltà dell'Amore. A dirigerla fu chiamato un anziano giornalista pubblicista, il cui rapporto con l'allora incipiente mezzo informatico meriterebbe un post a sé. Lui ci aveva la macchina per scrivere e, meglio ancora, la penna stilografica; i' compiùter per la composizione era affidato ad una segretaria che era costantemente disperata. I' direttore, dovendo sí controllare ma non riuscendogli nemmeno pigiare un tasto di quell'artifizio del demonio, quando la segretaria doveva -mettiamo- andare in bagno, ne combinava di tutti colori dell'iride. Una volta, ritenendo che un articolo dovesse essere cancellato, non trovò di meglio che staccare la spina del calcolatore (così lo chiamava, e del resto quello significa computer) dalla presa. Cancellò sí l'articolo, ma anche tutta la rivista già composta e impaginata; le urla della povera segretaria si sentirono, credo, fin da Bologna.

Vi direte: sí, d'accordo, e tu, Venturi, che cosa c'entri? Il mio modo d'entrarci ha però bisogno di un'ulteriore spiegazione, ed il bello di essere un Asocial Network è anche di potersi prendere tutto il tempo che si vuole, e di svolgere compiutamente l'assunto senza che nessuno abbia a metter fretta.

Poco tempo dopo la famosa udienza papale, l'allora presidente di questa Confederazione si era accorto, con notevole entusiasmo, di una cosa. Era un ometto con la faccia appuntita, rigidamente democristiano e sicuramente non antipatico; mi aveva preso abbastanza a benvolere, nonostante un Venturi -sia pure sbarbato e incravattato- non fosse affatto, neppure allora, un tipico personaggio che si vedeva da quelle parti. In breve, si era accorto che organizzazioni che recavano il medesimo nome della sua esistevano in diversi altri paesi del mondo; e poiché la vulgata recitava che la prima organizzazione del genere fosse stata fondata a Firenze nel XIII secolo, si era incuriosito dopo esser venuto a sapere non si sa come che, in Portogallo, già nel XV secolo ne esistevano di analoghe, e che ugualmente si dedicavano all'assistenza de' malati, de' poveri, de' lebbrosi e degli appestati, e delle partorienti. E non solo in Portogallo: anche nella Francia meridionale (si potrebbe dire: in Occitania), e qualcuna in Ispagna. Fu preso come da una febbre: che tali organizzazioni si fossero diffuse da Firenze in mezza Europa in tempi antichi? Il cammino dei pellegrini? Santiago de Compostela e la via Francigena? Insomma, in breve si ebbe una specie di delirio internazionale; ci furono i primi contatti coi portoghesi, i quali risposero meravigliati che ignoravano del tutto l'esistenza di tali organizzazioni anche in Italia, e che, casomai, erano certi che le consorelle italiane derivassero da quelle portoghesi. Scoppiò una specie di amorevole guerra per la ricerca di antichi contatti, di chi per primi li avessero avuti, di documenti negli archivi; e c'era ovviamente bisogno di qualcuno che conoscesse la lingua portoghese. E aveva voluto il destino che io la conoscessi, soprattutto per tramite del pagano anticattolico don Fernando António Nogueira Pessoa.


Avessero saputo delle poesie di Alberto Caeiro, o guardador de rebanhos, forse non mi avrebbero preso a scrivere corrispondenza e a fare telefonate a prelati e funzionari della curia lisboeta; però cosí fu. Ogni tanto me ne toccava anche qualcuna in francese; ma il meglio, e al tempo stesso il peggio, doveva arrivare. Dopo qualche mese, sulla scia dei portoghesi, spuntarono organizzazioni del genere anche più in là; si era nel periodo immediatamente successivo al crollo del muro di Berlino, alla fine dell'Unione Sovietica e all'eliminazione del barbaro comunismo, e tutta l'Europa dell'est era attraversata da impeti ricristianizzatori; e, tàc, ecco saltar fuori decine e decine di Милосердие (qui lo posso scrivere, tanto nessuno lo sa leggere) da Kaliningrad a Vladivostok. Tutte fondate di recente, e tutte dedite a occuparsi dei milioni di disgraziati che si venivano formando in quelle terre. E non solo: anche in quella che ancora era la Cecoslovacchia e nei paesi Baltici. Curiosamente sembravano assenti solo dalla Polonia!

La rivista Civiltà dell'Amore fu quindi dotata, ad un certo punto, di una pagina finale di riassunti degli articoli, in quattro lingue: inglese (perché l'inglese comunque ha da esserci), francese, portoghese e russo. Delle prime tre mi occupavo io; della quarta una traduttrice esterna, visto che il russo non sono mai stato capace di scriverlo decentemente meglio del Babelfish. Però con qualche letterina proveniente dai posti più assurdi dovevo comunque cimentarmi, e si trattava non di rado di lettere che chiedevano aiuto per bambini ammalati. E c'era di mezzo, ovviamente, anche Cernobyl.

Mi avevano sistemato in un ufficio al piano di sopra, ricavato nella vecchia biblioteca; un periodo quasi d'oro, dato che qualsiasi richiesta di acquisto dei dizionari più improbabili mi veniva automaticamente soddisfatta. Aprivo la finestra, e mi ritrovavo davanti...non vi dico cosa, ma uno spettacolo assolutamente stellare, data l'ubicazione della Confederazione; di fronte a me, un modernissimo 386 con installato un Wordstar 2, il non plus ultra dei word processor. E lì mattinate intere a tradurre amori, civiltà, papi, cardinali, cattolicate andanti, portogalli, contatti e quant'altro. Non mi muovevo di lì, ufficialmente non potevo fumare (ma lo facevo lo stesso), non rompevo le scatole a nessuno e nessuno me le ruppe finché non arrivò un altro tizio; ma questa è un'altra storia.


E non era ancora finita. Mentre oramai tutta la Confederazione fremeva per quello che si andava configurando come un Movimento Europeo dell'Amore, ecco la variante impazzita. Cominciano a scrivere anche organizzazioni consimilari dai paesi islamici. Questo nessuno, ma proprio nessuno, se lo aspettava: dal Maghreb fino all'Iraq esistevano cose del genere, e con lo stesso nome espresso in lingua araba. Probabilmente un islamista non se ne sarebbe stupito più di tanto, visto che l'insieme di attività e di comportamenti verso il prossimo espresso con quella parola è uno dei fondamenti di ogni buon musulmano; ma addirittura che esistessero organizzazioni strutturate, ed in modo decisamente simile a quelle europee, fu una specie di bomba.

Poco mancò che qualcuno si presentasse la mattina in caffettano; ettolitri di ecumenismo, di interreligiosità, di ponti culturali, di reciproci interessi, di studi sommari sull'Islam affidati sulla rivista a improbabili esperti, a giornalisti del Resto del Carlino, a missionari d'avanzata età. I portoghesi e i russi quasi se n'ebbero a male; da un momento all'altro, la Confederazione, che sorgeva allora di fronte ad un importantissimo tempio della Cristianità, si ritrovò dentro un full immersion di Islamismo a gogò. Io mi dovetti arrangiare col francese e con l'inglese; telefonate in Marocco, in Egitto, una persino in Sudan; per i riassunti della rivista fu ingaggiato un traduttore in arabo. Un delirio, anche perché il dinamico presidente aveva deciso che a Firenze, entro poco, dovesse svolgersi il Primo Congresso che avrebbe sancito la formazione della Confederazione Internazionale. In quel momento, la signora Oriana Fallaci era ancora una giornalista considerata un faro di progresso e di laicità, mentre il signor Breivik era un ragazzino che andava alle scuole medie, o comunque si chiamino in Norvegia. La Lega Nord diceva di essere anticlericale; saltavano per aria le autostrade e le vie palermitane, c'era una crisi terribile, volavano monetine sulla testa dei politicanti e il qui presente stava imboccando un tunnel.

C'era sí il presidente, che oramai si stava quasi islamizzando e che aveva riempito la biblioteca di Corani e di studi ponderosi che saranno poi finiti chissà dove; c'erano però anche i vicepresidenti, i membri del consiglio e i semplici impiegati che scuotevano la testa. E c'era un po' da capirli: fino a pochi mesi prima si erano dovuti occupare delle organizzazioni di Quarrata, di Collesalvetti, di San Piero a Sieve e al massimo di San Vito Lo Capo o di Lerici; all'improvviso si ritrovavano sbattuti in mezzo a Póvoa de Varzim, Funchal, Kazan', Ustí nad Labem, Irkustk, Aix-en-Provence e Olivença. Non ci capivano più niente. Salivano trafelati berciando: Venturi....c'è un fax da Piripopoff...! Ovviamente i portoghesi avevano portato quelle organizzazioni anche in Brasile, e il Brasile è un po' più grandino del Portogallo; e da Settignano e San Quirico d'Orcia gli era toccato passare a Fortaleza e a Salvador Bahia. Poi ci si misero i Maomettani, e giù passaggi in due minuti dalla festa per l'inaugurazione della nuova ambulanza a Bagni di Lucca alle richieste di conoscenza da parte di un imam di Marrakech o dal consiglio degli anziani di Suleimaniya. Dopo un po' cominciarono a serpeggiare nella Confederazione dei vaghi istinti omicidi nei confronti del presidente, ma tutti espressi con cristiana rassegnazione. Anche perché la cosa cominciava ad essere risaputa sulla stampa persino nazionale.

Uno dei vicepresidenti era un anziano signore dalla voce roca, proveniente da un paese dell'alto Casentino. Sicuramente, per raggiungere quella carica, doveva aver passato una vita a strascinare malati da posti impervi verso ospedali di campagna in via di rapida soppressione; nella sua vita, di mestiere, doveva aver fatto l'artigiano, il trombaio o chissà cosa, e a settant'anni suonati si ritrovava in pochi mesi a dover avere a che fare con il vescovo di Angra do Heroísmo, con l'ex funzionario del PCUS convertito alla carità cristiana, con il nobilastro cattolico tradizionalista di Aubagne (da me conosciuto personalmente) e, dulcis in fundo, con gli ulamâ dell'oasi di Cufra. Un bel giorno mi prese in disparte.

"Venturi" -mi disse, "lei che se ne intende..."
Chissà come mai son sempre passato per uno che se ne intende; poi, in quel periodo, mi divertivo sinceramente un mondo in quel bailamme cristocattoislaminternazionalista, anche se stavo andando diritto verso una mia catastrofe personale.
"...lei che se ne intende, me la dice una cosa...?"
"Prego...se posso..."
"Ma...secondo lei...ma icché vogliano 'sti Monsummani?..."
"Le terme!"


Mi era venuta cosí, all'istante, e subito dopo mi resi conto che avevo di fronte quello che era, a rigore, un mio superiore. Il quale era una persona semplice e di buon cuore, di quelle che mi chiedeva ogni tanto quanti libri avessi letto in vita mia e roba del genere; sicuramente gli avevo mancato, e non poco, di rispetto. Il bello è che annuì, facendo un profondo "aaaah..."; e il diavolo, che covo dentro, mi spinse a continuare.

Gli imbastii una pappardella sulla civiltà dei paesi monsummani (vedendomi intanto Giuseppe Giusti e Ivo Livi che mi redarguivano da uno scaffale) che prevedeva una capillare pulizia personale, una rete di bagni caldi profumati ("si chiamano ammàmme, pensi!"), le fontanelle per le abluzioni, le essenze, i petali di fiori, le donne gnude con le ancelle e dolci ore di ozio; "E questa è una cosa, sa, che i monsummani hanno in comune con gli antichi Romani! Pensi alle terme di Caracalla..."

Dopo le terme di Caracalla, andò via soddisfattissimo. Mi sentivo un verme, ma ridevo come un matto; probabilmente, in quel momento mi stavo guadagnando anche la dannazione di Allah, non contento di quella del Padreterno.

E alla fine ci fu, il famoso Congresso Internazionale. Debbo pensare un attimo anche agli amiconi della celeberrima pagina finta sul Libro dei Ceffi, e fornir loro qualche elemento ulteriore: dire ad esempio che, nel novembre del '92 al Palazzo dei Congressi di Firenze ho fatto da interprete al presidente di una repubblica (quella di Moldavia, per la precisione), e che sono stato intervistato dalla televisione di stato della Repubblica di Armenia. Sembrava quasi una cosa importante; ma è probabile che, in quel frangente, i rappresentanti di quei paesi sarebbero intervenuti anche al convegno dell'Unione Mondiale dei Produttori di Formaggini, o della Confederazione Internazionale dei Tiratori al Piattello. Ad un certo punto intervenne a parlare, arrivato in ritardo perché aveva perso il treno da Bologna, Romano Prodi. Pure lui.


Poco dopo cominciò il buio.
Continuai a lavorare lì perché non avevo altro modo di sbarcare il lunario; ma non mi divertivo più. Accaddero altre cose, ma qui non hanno importanza. Dopo qualche tempo me ne andai; o meglio, mi fecero andare. Non servivo più; la Civiltà dell'Amore si stava pian piano trasformando in civiltà dell'odio, e i Monsummani, caritatevoli o meno che fossero, cominciavano l'invasione. Non ho saputo nemmeno che fine abbiano fatto il presidente che voleva i ponti culturali; la rivista cessò le pubblicazioni dopo nemmeno un anno, e la Confederazione Internazionale si perse nel nulla. A volte mi viene da pensare che, se un qualcuno rifacesse la stessa cosa ora, finirebbe nel mirino della Digos. Ogni tanto mi è capitato di leggere di qualcuna di quelle organizzazioni lusitane nel Viagem a Portugal di José Saramago; quello scrittore ateo che visitava le chiese e parlava coi curati, e che poi, dopo morto, è stato oggetto di un articolo a dir poco lurido da parte dell'Ottenebratore Romano. Si è tutto dissolto, ma a volte ci ripenso. E quando ci ripenso, prima o poi mi vien da scrivere. Prima o poi.

Credo di avere, almeno in parte, assistito a un sogno provieniente da una mentalità e da una fede che non mi appartengono, e che non desidero mi appartengano. Dialoghi, ponti, culture, amori, missioni, carità e via discorrendo; e mi ricordo anche quel presidente, che forse sarà morto e sepolto, che a volte mi diceva: "Certo che si sta diventando uno schifo...uno schifo di razzisti...." Ho assistito al suo sogno e ho fatto le traduzioni; e gli pago volentieri un tributo di rispetto. Credo che bisogni saperlo pagare specialmente a chi è più differente da noi, quando cerca di stringere dei legami e non di scavare fossati. Se è ancora vivo, viva sereno; se è morto, riposi in pace. Come avete visto, non era una storia; e forse nemmeno una cosa. E uno di questi giorni andrò a fare un giro a Monsummano, dove abitano i Monsummani e dove sicuramente la popolazione insorgerebbe se qualcuno proponesse di costruire una moschea.

lunedì 25 luglio 2011

Il signor Baialarga


In lingua norvegese: brei (tedesco "breit", inglese "broad") = largo; vik = baia.

Mentre studiavano come reprimere, reprimere e reprimere, il signor Baialarga lucidava le armi con un olio perfetto e assolutamente a buon mercato. Bastava comprare un qualsiasi giornale, uno strombazzato pamphlet della grande giornalista, assistere a una trasmissione televisiva. E il signor Baialarga, cui ora vorrebbero dare di pazzo, cominciava a costruire il suo ventidue di luglio. I pazzi, come si sa, hanno da essere biondi; quando si è biondi è possibile avere la patente di folle. Non appena si è saputo che l'autore della strage di Oslo e di Utøya era un biondo nordmann di un metro e novanta, si è subito lamentata la scomparsa della parola terrorismo. Ma quale terrorismo: questo è un pazzo, uno squilibrato, uno dal senno di fuori più dell'isola dove ha seminato la morte (Utøya = Isola di Fuori, Isola Esterna). Non è mica colpa nostra se esistono i pazzi; ah, se non avessero chiuso i manicomi!

Invece, il signor Baialarga non aveva il senno sulla luna. Come tanti, voleva un mondo migliore. Sto cominciando seriamente a diffidare di coloro che desiderano cambiare il mondo, e quasi a desiderare di tenermelo peggiore. Quelli che lo vorrebbero almeno un po' meno ingiusto e orrendo non se la passano mai bene, specialmente se hanno il vizio di puntare il dito sui conflitti sociali e sui modi più comodi che sono stati escogitati per neutralizzarli. Le guerre tra poveri, gli scontri di civiltà, gli identitarismi, l'attribuire alle religioni quel che invece appartiene al capitalismo e allo sfruttamento.

Spiaccichi un uovo su un muro e sei un terrorista; tracci una scritta e sei un terrorista; spacchi la vetrina di un covo di servi delinquenti e sei un terrorista; non vuoi che la tua terra sia devastata e sei un terrorista. In questi casi non hai diritto alla salvifica patente di pazzo. In questi casi trovi immediatamente il Gip che applica la dottrina del ministro. In questi casi trovi dopo mezzo secondo gli articolisti già calmierati e tariffati. Trovi il presidente col bavodotto e la bandierina. Trovi le forza antisommossa cui piacerebbe parecchio breiviccare a tutto spiano. Trovi tutto quello che vuoi per finire immediatamente incarcerato, domiciliato a forza, messo a tacere, ferito, ammazzato. Trovi anche qualche coglione che fa il superduro da barzelletta e che sputa su Gino Strada perché novantasei anni fa ti ha rifilato una pedata nel culo durante una manifestazione, o su Vittorio Arrigoni perché sul suo blog aveva un link a dei non meglio precisati stalinisti. Sembra che sia successo anche questo; e, nel frattempo, il signor Baialarga se la ride e matura la sua decisione.

Una decisione per niente folle. Una decisione logica addirittura. Bisogna stroncare il multiculturalismo con ogni mezzo, no? Quant'è che è in azione l'Internazionale della Paura? Genova 2001, Norvegia 2011; parrebbe curioso che, per compiere il suo atto, il Baialarga si sia travestito da poliziotto. A Genova non avevano bisogno di travestirsi, però la cosa mi ha fatto pensare. Il Baialarga ha compiuto ciò che ha inteso come un gesto di polizia e di pulizia. Per ripulire il mondo e renderlo finalmente puro e granitico, nulla di meglio che vestirsi da poliziotto e vedere qualcuno che ti implora pietà davanti. Cose del genere devono essere accadute anche a Bolzaneto, ne sono assolutamente certo. Quel posto era pieno di fratellini legalizzati del Breivik. La chiameremo Bolzanøya.

Del resto, nelle polizie di tutta Europa si annidano tanti di quei Baialarga. I paesi scandinavi sono degli ammassi di neonazisti, assai peggio della stessa Germania. Al multiculturale Olof Palme hanno fatto del resto già un bel servizietto nel 1986: tutto depistato ad arte per coprire chi, probabilmente, aveva organizzato il suo assassinio dall'interno della polizia svedese gonfia di nazistoni. La stessa polizia che, a Göteborg nel 2001, ha fatto le prove generali per Genova. Vogliamo parlare della polizia greca? E vogliamo parlare della polizia democratica, alla faccia del simpatico Montalbano che, peraltro, non esiste? Basta con queste storielle. Se dobbiamo finire in galera per un uovo o per una vetrina, se dobbiamo essere ammazzati a quindici anni, se dobbiamo essere ridotti a muoverci con addosso il pericolo costante di una visitina all'alba, che almeno lo siamo senza essere presi per i fondelli.

Il signor Baialarga, bello e biondo, massone e non so cos'altro, non corre invece di questi pericoli. Youtubeggia e facebucca quanto gli pare; va a comprare una tonnellata di fertilizzante perché ci ha la fattoria, e nessuno gli dice nulla quando a me o a te, in un caso analogo, ci avrebbero già fertilizzato il culo; annunzia all'orbe terraqueo che avrebbe ammazzato l'ex primo ministro Gro Harlem Brundtland, libertaria, antirazzista e soprattutto donna. Mettiamo che il Venturi, domani, cominci ad annunciare che vuole ammazzare la Gelmini Maria Stella; vediamo un po' cosa gli succede, visto che una bella mattina d'ottobre s'è visto arrivare la Digos a casa e una bella convocazione in questura (sezione antiterrorismo, va da sé) perché la gatta Pampalea aveva detto mezza parolina al prefetto di Firenze. Sembra che il signor Baialarga, durante la strage dei giovani laburisti sull'isoletta, abbia particolarmente goduto nell'ammazzare le ragazze; non per nulla proprio dalla Scandinavia ci sono venuti romanzi di uomini che odiano le donne. Chi li ha scritti doveva aver bene osservato la società che aveva intorno.

Libero di fare quel che ha fatto. Sentendosi persino protetto nel mondo che ha promosso una squallida figura e una peracottara strapagata come la Fallaci a campionessa dell'odio. In un mondo in cui la solidarietà di classe è stata sostituita dalle identità, dalle radici e da quant'altro, mentre i risultati socioeconomici di tutto questo si vedono senza che più nemmeno abbiamo una pur minima forza di reagire; tanto, quando si reagisce, ecco che spuntano subito con le polizie, le magistrature, i media. Hanno campo libero. I Baialarga, senza che ce ne accorgiamo o vogliamo accorgercene, sono dappertutto. L'unica possibilità che abbiamo, e di non trovarceli davanti il giorno in cui hanno deciso di rendere migliore il mondo. Portano a compimento quel che è stato loro inculcato e ordinato. In Norvegia, ora, cosa faranno? Si occuperanno un po' della loro polizia? E dei partiti di estrema destra che oramai sono al venti o venticinque per cento? Lo capiranno che le veglie funebri, le lacrime, i fiori e i cordogli non servono a nulla, e che c'è già un altro Baialarga pronto all'azione? Lo capiremo finalmente in che cosa esattamente consista l'agghiacciante mondo migliore di questi pezzi di merda? Lo capiremo che il fertilizzante glielo abbiamo fornito noi tutti, sia fomentandoli ad arte, sia considerandoli poco più che folklore? Lo capiremo che le religioni non c'entrano un accidente? Lo capiremo che tutto questo altro non è che un mezzo di controllo delle masse, e che tale mezzo di controllo può comportare allo stesso modo Genova e Anders Behring Breivik, Alexis Grigoropoulos e Gaza, lo strangolamento economico e la fame? Onestamente sono scettico. Leggo, come sempre, parecchie serie analisi e sono, as usual, circondato da capiscitutto con tendenza all'avvitamento; ma ho negli occhi quel ragazzo che implora il Baialarga di non ammazzarlo. Mi somiglia, non so perché, al padre palestinese che cerca di coprire il suo bambino insanguinato. Il Baialarga è stato davvero un poliziotto. Una forza dell'Ordine nel senso più puro del termine. Se la caverà con un po' di pazzia. I poliziotti, ancorché travestiti, non si toccano. Devono ripulire il mondo della feccia. Da qualche centinaio di ragazzi che magari cantavano, su un'isola, qualcosa del genere:

Opp alle jordens bundne trelle!
Opp I, som sulten knuget har!
Nå drønner det av rettens velde,
til siste kamp der gjøres klar.





giovedì 21 luglio 2011

Papa arrestato


Ma kosa fare foi, fratelli karissimi...ortine di kustotia kautelare per Papa...?
Tipattito parlamentare...? Possi ke fota per Papa in kalera...?
Papa a POCCIOREALE....?
Fratelli...ma ci tefe essere un errore...
CIU' LE MANI....!
Kosa folere tire "Ci sekua e poke storie....?" Kwesto essere SOPRUSO!
Foi stare facendo krosso zbaghlio....!
Le manette...?!? Io tofere fare penetitzione urpi und orpi....!
AIUTO! HILFE ! Maletetti... FI STATE ZBAGHLIANDOOOOOOoooooo....!!

(L'immagine è tratta dal blog V2 San Baldo)

mercoledì 20 luglio 2011

Le ossa di Carlo


Oggi, alle 17.27, le ossa di Carlo andranno in cerca di alcune cose.

Inutile, altrimenti, scrivere canzoni su certi altri morti che a Reggio Emilia sarebbero dovuti uscire dalla fossa e persino mettersi a cantare Bandiera Rossa. Artifici retorici. Le ossa di Carlo, invece, usciranno non soltanto dalla fossa; usciranno da Bolzaneto. Usciranno dai piedi dei questori. Usciranno dalle case di Scaiola, dalle democrazie di Gianfranco Fini, dalle zone di qualsiasi colore, da un albero della Val di Susa, da una flottiglia su qualche mare e da altre decine e decine di ossa.

Piano si scoperchierà la tomba, senza clamore. Ne ha avuto abbastanza di frastuono, in questi dieci anni di morte; e andrà a cercare prima di tutto un po' di refrigerio. Una tomba è un ambiente malsano e asfissiante; andrà a farsi un tuffo in mare. Nessuno gli farà caso; chi sarà al lavoro, chi in ferie, chi in piazza Alimonda -pardon, piazza Carlo Giuliani. Poi, in forma di scheletro, nessuno lo potrebbe comunque riconoscere. Il simbolo appartiene a quella foto qualsiasi di un ragazzo qualsiasi, i capelli corti, la pozza di sangue, la canottiera bianca.

Troverà casualmente, per terra, un rotolo di scotch da pacchi; se lo metterà, quasi ridacchiando, attorno a un braccio. Guarda mamma, uno scheletro con un rotolo di scotch! E clàc, clàc, giù per qualche strada che digrada verso il Porto Vecchio. Delle ossa scarnificate possono permettersi di andare a farsi un bagno persino nel porto di Genova; cosa vuoi che gliene importi dell'inquinamento e dei petroli. Gli viene persino un'idea balzana: infilarsi nel famoso acquario, nella vasca dello squalo, e nuotarci assieme, assieme. Lo squalo guarda. Lo scotch si bagna. Ma guarda tu che ti vanno a inventare, pure quello mangiato dallo squalo. Sarà un'animazione. Lo avranno fatto al computer.

E altri squali girano tutti attorno, e le idee sono moribonde. Pensano le ossa di Carlo: dicono parecchi che le hanno ammazzate assieme a me, non sapevo di essere tanto importante. Ma sì. Mi butto. Non so nemmeno nuotare. Però non posso nemmeno annegare. Parte una qualche manifestazione; Genova emana i suoi puzzi. Ogni vicolo, un puzzo diverso. Ogni pertugio, qualcosa che marcisce.

Perché, poi, farsi riconoscere? Anzi, la cosa migliore è proprio questa. Le ossa di Carlo hanno capito qualcosa, in questi dieci anni. Altro che estintore. Un estintore contro una guerra su due gambe. Le ossa di Carlo vanno, stavolta, nella più totale indifferenza perché di scheletri è comunque popolato questo tempo, a svaligiare una bella armeria. Le ossa sono dure. Dieci anni sono duri e ora ho trentuno anni; una gomitata nel punto giusto, una pedata. Ora sì che va bene.

Ci abbiamo da risolvere certe questioni, diranno le ossa di Carlo. Prima di tutto, porca madonna, datemi un po' di soldi per tutte le canzoncine, i libri, gli articoli, i comitati e le piazze a mio nome; in ogni caso, anche se il Plaka non mi avesse fatto fuori, sarei stato un precario oppure sarei volato di sotto da qualche impalcatura. Ah mamma, per piacere, passami anche un po' del tuo stipendio di parlamentare. Poi, armato fino ai denti, e che denti, giù a fare un po' di casino. S'andrà a trovare Perugini. S'andranno a trovare tutti quei bravi padri di famiglia che hanno fatto carriera. S'andranno a trovare Agnoletto e Casarini. S'andrà a trovare qualche macellaio in Messico, ché non ci sono mai stato.

S'andrà a trovare un figlio che non potrò mai avere. Una vita che guardate un po' voi come mi tocca continuare, da scheletro armato con lo scotch. Eppure c'è qualcosa che mi fa andare. Un autobus tutto per me, perché nessuno ha paura degli scheletri ma di un arsenale d'armi sí. Sarà mica lui? Fermata in via Fracchia, chissà se c'è pure via Fantozzi. Quattro altri scheletri in un corridoio. Uno ha pure la canottiera, come me. Genova.

S'è fatta sera e ancora sto cercando. Vorrei entrare in ogni casa di coloro che telefonavano dicendo "Uno a zero". Il partito del Carlomorto e quello del Carloragazzo; e le cose sono sempre qui. I gangster sono diventati migliaia. Mi si fa incontro un altro scheletro, ed è quello di un ragazzino; avrà sí e no quindici anni. Non parla la mia stessa lingua, mi declina un nome impossibile ma ha avuto la mia stessa idea. Mai disarmati, d'ora in poi; quando gli parlo del Plaka mi dice che è anche un quartiere di Atene. E dietro un paese allo stremo; e dietro la polizia, l'astinomia; scheletri. Andrà a finire che lo dovremo cambiare noialtri scheletri, il mondo; ai vivi non gli riesce.

A tarda sera, io e il mio compagno stavamo cercando un cannone, e del cortile non ce ne frega proprio un cazzo. Casomai volesse venire anche lo scheletro della canzone, un rotolo di scotch e due AK 47 gli si trovano anche a lui. Casomai lo troviamo, quel cannone, lo usiamo. Casomai ci fosse qualcuno che volesse fare un po' di cattiva strada.

giovedì 7 luglio 2011

Un cretino.


E mica l'ho detto io stavolta, no..?!?!?

mercoledì 6 luglio 2011

Die Nacht der langen Zensuren


Ci cianciano, ancora, di stato di diritto.
Poi, dopo un po', eccoli con la Costituzione.
Articolo 25 della suddetta: "Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge."
Già nel vecchio Statuto Albertino si diceva: "Niuno può essere distolto dai suoi giudici naturali" Questa espressione significa la proibizione assoluta di costituire tribunali straordinari; non per niente, uno dei primi provvedimenti del regime fascista fu la costituzione del "Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato".

Il potere dato all'AGCOM è, nel suo specifico campo, quello di un tribunale speciale completamente slegato dal giudizio ordinario di legge. Si legga a tale proposito l'articolo, lucidissimo, di Kelebek. Un semplice organo amministrativo, perché tale è l'AGCOM, sostituisce in tutto e per tutto la "giustizia" in quanto i suoi tempi non sono compatibili con quelli del mercato.

Organi amministrativi che assumono funzioni di controllo e repressione in modo del tutto arbitrario; totalitarismo senza più maschere. Il mercato regna e non desidera più fastidi. Il principale fastidio è la Rete, e dev'essere messa sotto controllo, a tutti i costi; non per niente, il potere dato all'AGCOM è, in sostanza, l'applicazione di una direttiva europea.

E allora si capisce bene perché è necessario opporsi con tutte le nostre forze a questo disegno. La cosa va anche ben al di là della semplice soppressione arbitraria di siti internet. Si tratta di qualcosa di molto, molto più grande, e non dobbiamo fargliela passare. Hanno paura. Una paura folle. Si legge "diritto d'autore", ma significa "bavaglio".

lunedì 4 luglio 2011

Succo di mela


Quando sorto da una notte a lavorà, ci ho di solito parecchia fame. Quegli oramai non tanti che mi conoscono sanno perfettamente cosa voglio dire, e che senso dare all'aggettivo indefinito parecchia. Capacissimo di infilarmi nel primo bar pasticceria che mi capita a tiro, e lasciarci quindici euri fra tramezzini, spume e caffè; e il bello è che, nell'ultimo anno e mezzo, ho perso circa quindici chili di peso. Sarà, forse, che tirare giù vecchie di ottantacinque chili dai terzi piani alle tre di notte e gli è una bella palestrina; o fors'ancora perché ho un metabolismo tutto a modo suo, e fors'ancor di più perché, tutto sommato, smuovere il culo dalla sedia dove facevo il gran traduttor de' traduttor di Polimèro mi ha fatto bene sia al fisico che alla capa. Però mi garantiscono che vedermi mangiare è sempre un discreto spettacolo; c'è persino chi ha rallentato cene e pranzi in mia presenza perché lo influenzo e gli fo mangiare il triplo del suo solito. E così lui ingrassa, e io dimagrisco.

Questo il classico e lungo preambolo alla Venturik. Quasi sempre la piglio molto larga. Fatto sta che stamani, uscito dal turno di notte a base di marocchino ai giardini che si è fatto sí una Heineken, ma sul viso, di vecchia d'anche più di ottantacinque chili cascata dal letto mentre andava a pisciare e d'altra vecchia che non respirava (quarto piano: le vecchie che non respirano non stanno mai al pianterreno), ci avevo una famuccia delle mie. Tornando a casa, e passando per un periferico quartiere e popolare, dotato di centro commerciale naturale (a mio modesto parere l'inventore di tale espressione meriterebbe di essere messo a remare a vita su una galea granducale, ma lasciamo stare), ho parcheggiato la macchina e sono entrato con piglio deciso nel bar. Ci ero già stato altre volte, i panini e il caffè sono buoni, e lì a due passi c'è una vecchia e meravigliosa lapide che ricorda la lotta del quartiere contro il nazzifascismo. Sí, con due zete e non state tanto a sottilizzare: in realtà, parole come nazista, nazismo eccetera si scrivono con una zeta ma si pronunciano con due. L'ortografia è una convenzione, e manco poco fascista.

Neanche faccio in tempo a entrare nel bar, che sento la seguente conversazione tra il barrista (stesso ambiente fonetico del nazzista) e un cliente non attempato:

- Ma fanno proprio bene a bastonàlli tutti in Vardisusa!
- Sí, ma poi icché vogliano 'sti bleck blocche...io li manderei a Napoli a spalà la spazzatura!
- Ma lì 'un ci vanno miha...lì c'è da lavorà, brutti pelandroni...e gliela dare' io la Vardisusa...!
- Sì come quell'artro che gni spararono a Genova...dovevano sparagni a tutti anche lì...
- Comunque a Napoli so' tutti una massa di zozzoni...vedrai se 'un gni piglia i' colera anche stavorta...!

Avete presente cosa vuol dire bloccarsi su una soglia? Ecco, io non ce l'ho fatta. Avevo già preso l'abbrivo, pronto a lasciare in quel bar una somma imprecisata di quattrini. Il gentile barrista mi aveva già dato il buongiorno. Buongiorno una sega, brutto sudicio. Così, davanti a lui e agli avventori, ho sfoderato un sorriso a trentotto denti, non ho detto una parola, ho voltato il culo e sono uscito. Immaginarsi la scena alla sua reale velocità: è durata nemmeno cinque secondi. Certo, il bar è assai frequentato, il quartiere avrà sicuramente votato in massa ai referendum, il PD avrà la maggioranza assoluta, c'è il centro commerciale naturale e pure la lapide contro il nazzifascismo. Pero', n'i' bàrre, si fanno discorsini del genere, ovviamente con la Nazzione (altro ambiente fonetico, e non solo fonetico, identico a nazzista) bella aperta sul tavolino. Allora, a quel bel bar coi panini buoni, e gli si farà mancare una colazione che si prennunciava più che cospicua; e non ci si metterà più piede nemmeno per sbaglio. Mi è passata la fame, all'improvviso. Mi devo essere immaginato di pigliare quei due, di infilar loro una carota nel culo e di rosolarli a fuoco lento.

Poco più in là c'è un tabaccaio che vende anche birra e bibite. Siccome mi mancavano le sigarette, ne ho approfittato per bermi un succo di mela bello fresco. Col bicchierino di carta e tutto quanto. Il succo di mela è buono e fa bene. E magari, se tutti quanti cominciassero a disertare i luoghi dove il popolo va a bere caffeini e idiozia, alternando forche e pallone, montolivi e black bloc, prìncipi di merda che vanno sposi e lacrimogeni, cervelli all'ammasso e televisioni, non sarebbe mala cosa. E me ne son tornato a casa col sapore del succo di mela in bocca, e quel succo sapeva di non poche altre cose, ed era alla salute di quella gente lassù. Chissà, forse un montanaro valsusino deciderà di andare, durante una gita a Firenze, a fare colazione in quel bar; e sarà düra. Non per lui, ma per il barista.

domenica 3 luglio 2011

La repressione, i "feriti" e l'elegia del nulla


Polizia, carabinieri, fozzedellòddine? Dalla Grecia alla Val di Susa, da un capo del mondo all'altro sempre e solo una funzione: reprimere ogni sollevazione sociale. Reprimerla per conto di ogni tipo di potere, governo, conventicola, lobby, consorteria, potentato. Certi, come sempre, della più totale impunità. Non so se qualcuno ha notato quel che sta succedendo in questi giorni, sia a Atene e nelle altre città greche, sia lassù in val di Susa: vengono riportati numeri impressionanti di "agenti feriti" (ed alcuni pure "gravemente") negli scontri con popolazioni attaccate selvaggiamente. Ci sarebbe da chiedersi come fanno a ferirsi così gravemente questi servi dei servi, armati fino ai denti e in tenute antisommossa pagate col denaro pubblico versato dai cittadini che poi vengono da loro assaltati ferocemente, di fronte a persone armate di niente o quasi, a parte la volontà di non cedere e di riprendersi un paese ammazzato dalle politiche neoliberiste e dalle banche o un territorio in procinto di essere devastato da un'opera colossale quanto inutile. I fatti sono due: o questi qua, oltre che ad essere dei servi, sono pure degli inetti; oppure, cosa che ritengo assai più probabile, si tratta di menzogne affidate agli ubbidienti media di regime. Tra pochi giorni sarà il decimo anniversario dai fatti di Genova, e la democrazia colpisce ancora. Colpisce non soltanto con le armi, coi manganelli, con la repressione poliziesca; ma anche con l'usuale coretto del nulla tra le quali spicca un'autentica elegia: e non mi stupisco chi ne sia l'autore.

Berlusconi? Bossi? Beh, su quest'ultimo ci sarebbe da dire parecchio. Qualcuno dovrebbe chiedergli dove si trovi la Val di Susa, visto che gli garba tanto il Nord. Non mi risulta peraltro che sia molto lontana dal Monviso, dove nasce il suo famoso Po e dove va a riempire le ampolline da gettare ogni anno nella laguna veneta. Però questo buffone, quando una popolazione di montanari del nord si ribella fattivamente ad uno scempio di portata europea, come se ne sta zitto. Come tace. E il suo compare Maroni, altro leghista di merda che fa il ministro dell'interno dello stato italiano nei giorni feriali mentre la domenica va a fare il pagliaccio a Pontida, come manda le sue truppe. Buffoni e assassini. E poi c'è il nulla del nulla, la sublimazione dell'idiozia, il campione indiscusso del vuoto pneumatico: Pierferdinando Casini.

Oggi quest'ultimo ha rilasciato una dichiarazione di cui si sentiva la mancanza, per "mr Famigghia", infatti, i veri "eroi" in Val di Susa sarebbero "gli operai e i poliziotti". Nessun dubbio che, tra non molto, lui o altri (ri)tireranno fuori la classicissima stronzata di monsignor Pierpaolo Pasolini. Ora, non penso che sia necessario soffermarsi troppo sulle dichiarazioni dei politicanti di questo regime in decomposizione; però mi premeva far notare come il caporione di una cosca mafiosa vaticana aggiunga il suo vomito a quello dei fassini, dei chiapparini e di tutti gli altri "oppositori". Altro non intendo dire. Per dire altro, e me ne rendo perfettamente conto, oggi sarei dovuto essere in Val di Susa assieme a tutti gli altri. Assai poco eroicamente, invece, fra tre ore dovrò essere a sgobbare per tutta la notte. Non esistono gli "eroi", esistono soltanto schiavi. Ma chi si rende servo armato del potere, sia con un'arma sia con una ruspa, non merita nessuna giustificazione. Si merita soltanto l'elegia del nulla di uno o cento politicanti. La morte sua.

sabato 2 luglio 2011

È arrivato Redelnoir!


Gentili Signore, Egregi Signori, ché poi anche se non siete né gentili e né tantomeno egregi fa lo stesso;

Ecco a voi Redelnoir, il primo gatto al mondo che prende direttamente nome da Davide Giromini!



(PS: Davide Giromini e la sua band ancora non lo sanno, ma a me piace fare sorprese bizzarre...!)

Mi si scuserà se, ultimamente, non ho gran voglia di seguire un'attualità cui pure penso e cerco di partecipare nei limiti della mia asocialità, che si sta pure accentuando; e se faccio qualcosa, in fondo non importa molto che ne parli qua dentro. Va a finire, sennò, che la vita diventa un blog o qualcos'altro del genere, e non fa punto bene; e siccome di alienati ne sto vedendo sempre di più, in giro, fuori mi chiamo. E intanto, largo ai gatti; con un pensiero sempre a Néstor Lunar che sta rendendo un po' meno fredda la terra dove riposa.

Redelnoir è arrivato oggi; e poiché i "miei" gatti (virgolette d'obbligo, visto che i gatti mai furono, mai sono e mai saranno d'alcunchessìa) hanno costantemente origini strambe, mi corre l'obbligo di dire che egli è stato trovato (non da me, stavolta) dentro il motore di una macchina. Caso, mi dicono, assai frequente coi gattini scappati o abbandonati.


Redelnoir calciatoir!

Insomma, eccolo qui in tutta la sua imponderabile nerezza; in questa casa i gatti gli hanno a essere neri come la pece. Ora sta facendo il diavolo a quattro sul letto coi due topini di pelouche (che si chiamano Topy e Nambur, e che avranno presumbilmente vita assai breve) e col pallone dell'Ikea (a qualcosina le multinazionali dovranno pur servire, santa pazienza). Senza mai cancellare quei due giorni della settimana scorsa, ma la vita non solo continua. La vita sopravviene in ogni momento.

E poi ci avrà da ascoltarsi e imparare parecchie canzoni, e non soltanto del Giromini & company. Diventerà un gatto fisarmonicista? Ai graffi l'ardua sentenza!