lunedì 29 febbraio 2016

Edgardo Leo Maestri: Un ministro



Riceviamo e volentieri pubblichiamo. Dall' "Antologia di Rio Cucchiaio" di Edgardo Leo Maestri, grande e mysconosciuto poëta del XXI secolo, una poesia dedicata alla parabola di vita di un Ministro italiano. Sarebbe stata sicuramente messa in musica dal Genovese (non Vito Genovese, ndr).
 
UN MINISTRO
(Angelino P. Alphano)


Dovevamo vederci di nascosto, senza
dare mai nell'occhio. Quanti rapiti
caffè alla buvette, quante stanzette
segrete a Palazzo Chigi! Eppure, mai,
mai per un momento venimmo meno.
Un amore puro come un cielo
di novembre all'ILVA di Taranto,
un sentimento nobile, armonioso,
disynteressato, ergonomico,
conforme ai parametri di Maastricht,
per il quale nel mio cuore sempre
ringraziai le forze dell'ordine.
Conducemmo le nostre carriere,
tu, Matteo, fino alle più elevate
cariche dello Stato, io costantemente
tuo fedele servitore nonostante
quel piccolo inciampo nel 2031,
quando mi toccò fare due anni di galera
per associazione di stampo petaloso;
e tu ti dichiarasti, per senso dello Stato,
a favore del luogo a procedere!
Ma non te ne volli; dopo quattro anni
mi rifacesti ministro di non so cosa,
a me bastava poter continuare a ringra-
ziare le forze dell'ordine.
In punto di morte, Matteo, sublimasti
il nostro amore che ci univa da decenni,
e nonostante l'articolo stralciato nel lontano
duemilasedici, mi facesti portare
in Nuova Zelanda e mi adottasti!
Dormo adesso sulla collina,
tuo amante, tuo figlio, tuo fedele
servitore al quattro per cento;
ne valse la pena.

domenica 28 febbraio 2016

Pornografia

 
Per il diciotto di marzo, dice, era già tutto pronto: l'aula magna al polo universitario di Firenze-Novoli, gli ospiti, i manifesti, gli organizzatori. Che, poi, sarebbero stati quelli di Azione Universitaria, ché quando leggi "Azione" sai già che c'è di mezzo qualcosa di destra. "Case chiuse: l'Italia verso l'Europa": insomma, la destra fiorentina vuole tornare a andare al casino, e vabbè, marchetta più, marchetta meno. Ospite d'onore: Rocco Siffredi. Che, devo dire, è una persona che ha sempre goduto (ehm) della mia massima considerazione, intelligente e ironico, professionista serio nel suo campo, e da quando gli hanno censurato la pubblicità delle patatine mi sono fatto un punto d'onore di comprare sempre quelle (le patatine Amica, che fra l'altro costano poco e sono buone).
 
Ora, però, sembra che il convegno sia saltato. I dirigenti universitari hanno ritenuto che la presenza di Rocco Siffredi, celebre pornoattore e pornoimprenditore, non fosse cònsona a quel luogo, tempio del sapere e della canoscenza. Insomma: bando al pornografo. Come si può vedere, al dibattito dovevano prendere parte Giovanni Donzelli (capogruppo Fratelli d'Italia-AN Regione Toscana), Claudio Borghi (Consigliere Lega Nord Regione Toscana), Andrea Quartini (la foto qui si interrompe) eccetera. Ci dovevano comunque essere anche un rappresentante del PD e uno del Movimento 5 stelle: insomma, una casa chiusa in piena regola. Quasi m'immaginavo il tariffario: 1/4 d'ora di Cinquestelle 10 euro, mezz'ora di PD e Donzelli 20 euro, 1 ora dibattito generale 40 euro, roba del genere, asciugamano e lavabo, massaggio incluso. Non se ne farà di nulla. Colpa di Rocco Siffredi.
 
Il quale, a pensarci parecchio bene, tra tutta quanta la congrega è certamente il meno pornografico di tutti. Lui, almeno, la pornografia la ha fatta con grande coscienziosità ed ottima qualità, a quanto mi dicono. La vera pornografia, quella di bassa lega, quella quotidiana, stava tutta in quegli altri; Rocco Siffredi avrebbe giganteggiato, probabilmente anche per intelligenza e cultura. Giovanni Donzelli? Ma per carità, non lo avrebbero preso nemmeno in uno di quegli orripilanti porno tedeschi degli anni '70. Il leghista? Buono al massimo per un porchereccio con Renzo Montagnani. Il Pentastellato lo si sarebbe potuto mettere in un softcore, magari mentre fa il voyeur per stare in mezzo alla gente e occuparsi dei problemi reali de' cittadini. Quanto al piddino, o piddina che sia, secondo me ormai si sono incamminati a gran passi verso l'asessualità. Cioè, vogliono far passare Renzi come sex symbol, mioddìo. E la famosa Boschi, poi, eccitante come una gita con la parrocchia alla pieve di Romena.
 
Quindi, giù, addio Rocco. Niente Fratelli d'Itàglia e niente case chiuse. Magari, chissà, ti saresti potuto confrontare col piddino (o piddina) sulle banche chiuse. O col leghista sulle frontiere chiuse. O col Donzelli sui centri sociali chiusi. O col Pentastellato sul Casaleggio chiuso. Sarà per un'altra volta, purtroppo ha vinto la pornografia. 

sabato 20 febbraio 2016

Attenti al leghista!


Brescia. Gazebo leghista leggermente arrovesciato e anche un po' stiacciato.

Sulla piazza di una città
la gente guardava con ammirazione
un gazebo portato là
con un camion o con un furgone.
Degli individui vestiti di verde
lo cominciarono a montare,
non sembravano poi delle merde,
però l'aspetto può ingannare.
Attenti al leghista!

D'improvviso due di quelli
si misero a volantinare,
qualcuno aveva dei cartelli
o con un megafono stava a berciare.
Gridava: "L'Itaglia agli itagliani!
Basta coi negri e con l'immigrazione!
Sparare ai ladri con le proprie mani!
Stop ai finocchi e no all'adozione!"
Attenti al leghista!

D'improvviso però il gazebo
che con gran cura avevan montato,
cadde di schianto, non so perché,
forse gli avevan le zampe segato.
Tutta la gente che ci stava sotto
col megafono e coi volantini,
si ritrovò ad annaspare di botto,
pensate un poco se c'era Salvini!
Attenti al leghista!

Un leghista si mise a urlare:
"E' un attentato jihadista!
Lo avevo detto di vigilare,
e che siamo i primi della lista."
In quel momento egli fu centrato
da uova marce e prodotti dell'orto,
"Beh, meglio che essere mitragliato..."
Il seguito prova che aveva torto.
Attenti al leghista!

Tutta la gente corre in delirio
nella piazza impomodorata,
sembrava d'essere alla Cirio,
sopra il gazebo qualcuno pisciava.
Si senton sirene, qualcuno ha chiamato
in gran fretta la Polizia,
non era alla Diaz, va specificato
e nemmeno in Messico in macelleria.
Attenti al leghista!

"Bah", sogghignò felice il leghista,
"In fondo, dàài, ce la siamo cavata..."
Ma in quel momento, nascosto alla vista
qualcuno lo centra con una patata.
Sotto il gazebo, frattanto, è poltiglia
di piscio, leghisti, cartaccia e babbei,
uno ci aveva anche visto la figlia,
era davvero un bel fàmili dèi!
Attenti al leghista!

Quello di fuori lo han circondato
una decina di africani,
urla: "Voglio essere adottato!
Però state fermi con le mani"
La Polizia non sa più che fare
in quella zuppa di volantini,
il Commissario si mise a gridare:
"Ci vuole la ruspa, chiamate Salvini!"
Attenti al leghista!

L'altro berciava tutto pesto
come fosse un animale :
"No!!! Non potete farmi questo!!!
Son per la famiglia tra-di-zio-na-le!"
Gli rispose un ragazzo africano,
molto tranquillo, con tono pacato,
persino con accento bresciano :
"O non volevi essere adottato..?"
Attenti al leghista!

Infatti il tizio fu prelevato
lasciando tutti con un palmo di naso,
due giorni dopo fu portato
dalla Malpensa nel Burkina Faso.
Parla in inglese, si è molto calmato,
ci ha due papà, dice "I feel so mild..."
Vedete come si era sbagliato,
Ora dice: "Evviva la step-child!..."
Attenti al leghista!

(Ovviamente da cantarsi sull'aria del "Gorilla" di Brassens / De André)

martedì 16 febbraio 2016

Figlio della lavandaia


Salve. Mia madre faceva la lavandaia, ma non dovete pensare certo all'iconografia delle belle ragazze che lavano i panni al fiume tutte giulive e con gesti ariosi. Mia madre lavorava in una lavanderia industriale per parecchie ore al giorno, ed è morta. Accidenti se lo so, che è morta; innanzitutto perché era mia madre, e poi perché l'ho seppellita io, di persona, con le mie mani. A dire il vero, forse, qualcuno se la ricorderà questa storia, perché diversi anni fa è stata raccontata, con un certo successo, da un mio amico che allora aveva una trentina d'anni e faceva l'impiegato in ufficio pubblico, non mi ricordo se le poste o le imposte dirette, insomma qualcosa con “poste”. Lo dico subito: sono morto pure io e non ho fatto una gran bella fine, anche se sicuramente un po' insolita. Nemmeno al mio amico impiegato è andata granché bene; è andato a finire in galera per un bel pezzo, per una cosa che ha combinato dopo che sono morto; e siccome non gli bastava, ha pensato bene di aggiungerci anche una bella partecipazione a una rivolta carceraria, cose di quegli anni. Insomma, ora non chiedetemi per favore se sia o meno ancora al gabbio; spero soltanto che almeno gli abbiano pagato i diritti d'autore, visto che sulla sua storia uno ci ha fatto, pensate un po', delle canzoni. Ma dico io. Che diavolo ci sarà stato da cantarci sopra, sulla storia di quel povero bischero; eppure dico la verità. Il bello è, appunto, che in una di queste canzoni ci sono finito pure io. Una strofa intera. Lo avesse saputo mia madre, povera donna, almeno ci si sarebbe fatta un sorriso mezzo inorgoglito; mio figlio in una canzone, chissà come mi invidieranno la Carla del terzo piano e la Marisa del quarto.

Ora, però, 'sta storia, visto che sono morto e non ho proprio null'altro da fare, ve la vorrei raccontare io com'è andata sul serio. Del resto, oramai sono passati tanti di quegli anni che se ne può parlare tranquillamente, non dico con distacco, no, ma ragionando in modo pacato e pigliandola magari anche un po' sul ridere. L'unico problema è che non so davvero da dove cominciare; se dalla storia del mio amico impiegato, o dalla mia. Forse sarà meglio dalla mia, d'accordo, tanto così per calare subito l'asso della mia strana fine. Come qualcuno magari ricorderà, io sono morto arrugginito. Proprio così. Ossidato, se si preferisce un termine un po' più elegante. Non c'è stato nulla da fare e, già da morto, mi son dovuto pure beccare le battute dei becchini che mi dicevano che avrei dovuto portarmi dietro due chili di vernice al minio. Naturalmente, essendo là stecchito e pronto per essere seppellito, non ho potuto risponder loro “meglio morto che arancione”; e comunque, tutto sommato, mi è andata pure bene perché le leggi di allora in materia di smaltimento erano molto meno severe di ora, e che oggigiorno non sarei stato seppellito in terra consacrata bensì in una discarica abilitata allo stoccaggio e allo smaltimento dei rifiuti tossici. Magari mi avrebbe beccato pure qualche Ecomafia, vattelappesca; e comunque così è andata, bisogna anche perdonare qualche battutaccia a quei pover'uomini che fanno quel lavoro di merda. Poi, del resto, merda è ogni lavoro. Fare il becchino non è peggio che fare l'impiegato o la lavandaia; mia madre e il mio amico ne sanno qualcosa. Quanto a me, io facevo il fannullone, senza pretesa di volere strafare. Dormivo al giorno quattordici ore, saranno stati anche un po' cazzi miei, ci avevo sempre sonno.

Ora, secondo la storia raccontata dal mio amico, e anche -ohimè- dalla canzone, io stavo seppellendo mia madre in un cimitero di lavatrici. Del tutto vero, ineccepibile; però, come dire, la storia è stata buttata lì alla brutto dio, senza una minima spiegazione, come fossi stato un matto da legare che piglia la salma della mamma e va a buttarla in una discarica di elettrodomestici usati. Ennò perdio. Sappiate che stavo adempiendo ad una precisa volontà di mia madre, espressa poco prima che morisse. “Figlio mio”, mi aveva preso un giorno da una parte, “devo parlarti”. Con il dovuto rispetto, la avevo ascoltata seppure con una certa inquietudine.

Vedi, figliolo, sai che per tutta la vita ho lavorato in mezzo alle lavatrici. Ma non come quella di casa; erano dei mostri con dei cestelli enormi, in qualcuna ci sarebbe stata dentro una famiglia intera a pranzo. Alla fine, voglio fartela breve, ho imparato a capirle, le lavatrici. Il loro più minuto linguaggio, le sfumature degli zììììììììììììììrl e dei guòòòòòòòòòsh, degli spràààààààm e dei chluchlù-chluchlù. Alla fine ci parlavo e mi rispondevano, erano le uniche cose con cui sfogarmi, e anche io avevo imparato a fare zìììììììììììììrl e chluchlù-chluchlù....mi prenderai per matta, lo so. Ma prova tu, figliolo, a stare dieci ore al giorno dentro una lavanderia industriale. (Io pensavo: mamma, ti ringrazio per tutto quel che hai fatto per me, ma col cavolo). Insomma, figlio mio, ti chiedo di rispettare le mie ultime volontà: quando morirò, mi devi seppellire in un cimitero di lavatrici. E voglio tutto in regola: mi pigli, mi avvolgi in un lenzuolo, cerchi il relitto di una -ségnatelo- Washmonster Turbomatic 666 e mi ci infili dentro con tutto il sudario, e non avere paura perché tanto c'entrerebbe dentro pure un orso bruno. Giurami che lo farai, figlio mio.”

Che cosa potevo fare? Sinceramente, pensai che a mia madre, sì, fosse andato di balta il cervello. D'altronde, mi misi a riflettere rapidamente, con quel poco che guadagnava stando alle sue lavatrici mostruose aveva campato me, le mie mille favole di gloria e di vendette, e pure quella sciagurata di mia moglie, che alla prima occasione buona s'era messa a darla ddiqquà-e-ddillà. Oddio, poveraccia, aveva anche fatto bene, non lo nego. Un certo qual senso di autocritica l'ho sempre avuto, non crediate. Insomma, alla fine, mi decisi: “Sì, mamma, rispetterò il tuo volere. Sarai seppellita nella tua lavatrice preferita avvolta nel lenzuolo bianco ricamato dalla zia Giuseppa.” Misi la mano sul cuore; vidi mia madre prima sorridere commossa, e poi mi abbracciò; fu un momento che definire toccante sarebbe un eufemismo. Com'è e come non è, la mia povera mamma un brutto giorno passò a miglior vita; e dovetti agire con un po' di circospezione, poiché ciò che mi accingevo a fare non era, forse, pienamente legale. D'accordo che ci sono stati miliardari texani che si sono fatti seppellire dentro una Lincoln Continental del '61 o roba del genere, ma una lavatrice non sarebbe stata presa molto bene dalle autorità.

Il giorno fissato per l'operazione mi sentivo parecchio strano. Ci avevo, porca eva, un prurito leggero su tutto il corpo, e non facevo che grattarmi; eppure mi ero lavato a dovere, diamine, stavo per infilare la mia povera mamma morta in una lavatrice gigante e mi sembrava il minimo. Dopo averla infilata nel lenzuolone candido della zia Giuseppa, con un po' di fatica e maledicendo il prurito, infilati quel bizzarro bagaglio nel baule della mia Fiat 124 e andai alla discarica prescelta, dov'ero certo di trovare quel che la mamma 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La trovai, infatti, facilmente la Washmonster eccetera; uno spettacolo. Non avevo mai visto nulla del genere; più che una lavatrice, sembrava un'astronave di quelle dei film tipo Ed Wood. Mentre mi accingevo a infilare la mamma nel cestello, rispettando così il suo ultimo desiderio, avvenne l'irreparabile e l'inspiegabile. Sentii come una specie di zìììììììììììììììrl, come se il mostro si fosse rimesso a funzionare; poi, dentro di me un grììììììììììììnd; e, infine, ecco, beh, lo sapete. Mi ritrovai completamente arrugginito. Non in senso figurato, sapete, come quando si dice “mi sento un po' arrugginito” se non si riesce a fare la corsetta per acchiappare l'autobus. E nemmeno come quando si dice che l'inglese che si è imparato a scuola è arrugginito. No, no. Proprio arrugginito, trasformato in una cosa marrone e dall'odore metallico che comincia rapidamente a disfarsi. Accorgendomene, feci appena in tempo a buttare la mamma dentro il cestellone, che si richiuse con un bòng. Poi non mi ricordo più niente. Mi sembrò quasi che la lavatrice partisse per davvero; ma, a quel punto, ero già bell'e e che morto. Arrugginito, appunto.

Così andò; e qui la famosa canzone del mio amico impiegato ricomincia fortunatamente ad essere un pochino esatta. Vero è che parecchie particelle di ruggine, dissolvendosi, partirono per l'aria, e fu una sensazione non sgradevole, a dire il vero. L'aldilà? Lo avevo sentito definire in mille modi, e scoprivo ora che era ossido di ferro. Eh, vabbè, una cosa come un'altra, sarà mica peggio di Caron Dimonio o di quell'anodina pallosità chiamata “paradiso”. E' senz'altro vero che ne parlarono parecchi giornali, di questa cosa; insomma, è comprensibile. Mica tutti i giorni succede che uno muoia arrugginito, eh. Pensate un po' se allora ci fosse stata “La vita in diretta” o roba del genere, anche se vedere la faccia di Alda d'Eusanio di fronte alla mia salma ossidata sarebbe stato uno spasso. Secondo me, ci butto, sarebbe prima o poi venuto anche Voyager con tanto di Templari, Maya e Rennes-les-Châteaux. Però è assolutamente falso che io sia scappato via prima di arrugginire: avevo una promessa da mantenere alla mia povera mamma e non accetto che la mia memoria si arrugginisca fino a tal punto. E poi, scappato per cosa? Beh, il prurito gratta-gratta ce lo avevo, ma non pensavo certo di arrugginire a morte. Nemmeno voi ve lo aspettereste mai; a me è toccato. Assolutamente sacrosanto che mi sia fermato solo un attimo per dire due paroline al Padreterno e ti pareva che non volesse scassare la minchia persino a uno che aveva fatto arrugginire? Però qui la canzone risente della castità del tempo; altro che “fatti suoi” Gli urlai, al vecchio barbogio, proprio di farzi i cazzi suoi, altro che “fatti”; però la canzone, credo, l'avrebbero censurata all'istante. Infine, per concludere la mia vera storia, è pur vero che dopo poco si mise a piovere, e che una certa quantità della mia ruggine sia caduta addosso ai becchini insieme all'acqua; forse anche per questo, poi, mi dicevano le battutacce sul minio. La “gente che si lascia piovere addosso”, però, non l'ho mai capita; forse sarà stata qualche immagine poetica, boh. A quanto mi risulta, ci avevano tutti quanti l'ombrello, casomai ci sarà stato qualche problema se aveva il puntale di metallo.

Però, insomma, la cosa che proprio non mi riesce capire, è come io sia andato a finire, sia pure arrugginito, dentro la storia del mio amico impiegato (e dentro la relativa canzone, va da sé). Io, proprio, non ci avevo nulla a che vedere. Oh, d'accordo, io sarò stato quel che sarò stato, ma di qui a infilarmi in una storiaccia di bombaroli solitari e di rivoluzioni francesi, ce ne corre. Io mi chiedo che cosa gli sia passato per la testa, al mio amico; ci aveva un buon impiego, contare i denti ai francobolli non sarà granché divertente però è sempre meglio che spaccarsi la schiena in miniera o fare il becchino. Diceva “grazie a Dio” e “buon Natale” con squisita educazione, aveva una bella fidanzata che lavorava in un negozio di fiori finti e lui, pàff, cosa ti fa? Si mette a ascoltare le canzoncine del “maggio francese”, tutti quei casinisti che poi, in gran parte, sono finiti a fare gli impiegati esattamente come lui, passati i bollori giovanili. Per non dir di peggio, tipo a votare a loro volta l'ordine, la sicurezza e la disciplina; oppure a servire e leccare il padrone con lingue ben più grandi della lavatrice della mia povera mamma. Nulla da fare. Si è messo a sognare, e che sogni! Prima quello di mettere una bomba a un ballo mascherato, io dico, che accidenti gli avranno fatto le mascherine? Poi di stare in tribunale davanti a un giudice che gli dice di essere il “potere” e gli chiede pure se vuole essere giudicato, assolto o condannato. Bella fica, lui! E mica funziona così nei tribunali! Poi, infine, sogna di ammazzare suo padre e di dare fuoco a ogni cosa, persino a un quadro di Guttuso costato degli spaventomilioni. E ce lo avessi avuto io, quel quadro! Avrei fatto seppellire la mamma in una lavatrice nuova di pacca, e magari non sarei arrugginito; e invece no, lui sogna di dargli fuoco. Lui, sempre nel sogno, “discute l'amore” con sua moglie, e sai cosa c'è da discutere. E' andata a finire come doveva: a un certo punto è capitato in casa un tipo parecchio strano, magro, con dei capellacci arruffati e parecchio più attempato di lei. E lui lì, a berciare dal Commissario mentre quello lì gli intortava la moglie con discorsi sulla Wertkritik, che la sua povera moglie deve aver preso per una collega della Wertmüller. No, vero; farsi fregare la moglie perché l'altro ha più soldi, perché è parecchio più bello, perché ci ha la spider mentre tu ci hai la seicento, per qualche stracatacazzo di motivo; ma farsela fregare a base di Robert Kurz e Anselm Jappe dev'essere stato parecchio duro e capisco un po' perché, a un certo punto, al povero mio amico dev'essere saltata qualche rotella nel capino. Il suo ultimo figlio? Lasciamo perdere, l'ho conosciuto. Quello, a diciassett'anni, si faceva già delle pere più grosse d'una conference, altro che “primo hashish”. E ci credo, poi; col padre in galera e la madre scappata con un altro, che ti vuoi aspettare. Insomma, si vede che il mio amico impiegato proprio voleva finirci, in tribunale; ma non deve avere trovato il giudice che aveva sognato. Ha preparato la sua bella bomba con tanto di ragionamenti anche profondi e giusti, lo ammetto, però prima di ragionare forse avrebbe dovuto imparare, che so, un po' di balistica, o semplicemente avere un po' più di gnegnero. E così, invece del Parlamento, ha fatto saltare in aria un'edicola, fortunatamente vuota. Epperò, bel modo di finire in gattabuia, aver fatto esplodere centoventi copie del Corriere della Sera, un pacco di Settimane Enigmistiche e un quintale di fumetti porcherecci tipo Lando o Corna Vissute, sapete, di quelli che i chioschi di giornali tengono sempre sul retro per non farli vedere ai bambini e alle monache.

Ha fatto un po' scena al processo, d'accordo. Sebbene fossi già ampiamente morto e la mia ruggine oramai avesse cessato di fare notizia (capirai, la storia ha retto due o tre giorni poi se ne sono dimenticati tutti), mi ricordo dell'aria fiera e dignitosa che il mio amico aveva al processo. Ciò, naturalmente, non è servito a non fargli prendere vent'anni di galera. E nemmeno per un sacrosanto motivo come quello di tale Michele Aiello, detto “Michè”, che aveva ammazzato uno stronzo che voleva fregargli la fidanzata e che poi s'era impiccato in cella. E così, mentre la sua fidanzata (o moglie che sia) se la filava col tipo magro, che ci aveva già i passaporti pronti, nonché una valigia piena di libri di Giorgio Agamben, lui, eh, prendeva coscienza e partecipava alla rivolta carceraria prendendo in ostaggio dei secondini, tra i quali Baffi di Sego che era il primo e al quale infilarono persino un manico di scopa nel culo. E vabbè. E che vi devo dire. Magari avranno fatto pure bene, anche se sospetto che, nei lunghi anni di galera che sono susseguiti, il mio disgraziato amico si sia prima o poi ritrovato a contare i denti ai francobolli, dicendo “grazie a Dio” e “Buon Natale” al direttore del carcere, e sperando in una liberazione per buona condotta. Beh, non s'è ammazzato come quel Michele Aiello, e è già qualcosa; nel frattempo le rivoluzioni, mi sembra, sono andate a farsi fottere, parti des rouges, parti des gris, e mi piacerebbe poter dire, arrivati quasi alla fine, che io -non so come e non so perché- sono ancora vivo. Invece no, non lo posso dire. Io sono morto. Arrugginito, oh yea.

Ripeto: come io ci sia finito, in questa storia, non lo so proprio. Osservo; però, evidentemente, le mie capacità sono parecchio limitate. Faccio parte, lo confesso, di quella schiera di persone terra-terra, anzi ruggine-ruggine, che non sono mai protagoniste di nulla. Forse, chissà, il mio amico impiegato avrà voluto, col suo gesto, essere protagonista di qualcosa almeno per un po'; e forse ha voluto infilarmici dentro per farmi una specie di regalo. Forse starà per arrugginire anche lui, e ci ritroveremo a fare un bel cocktail di ossido, sai carini; o forse ancora, chissà, anche questo è un altro dei suoi famosi sogni. Dove sono finito? Quando ho finito di sfaldarmi accanto alla lavatrice dove avevo infilato la mamma, purtroppo ho inquinato qualche ruscello diluendomi poi in un fiume più grande. Qualche mia rugginosa particella dev'essere arrivata pure in mare. Da me non cresceranno alberi né fiori; eppure qualcosina di me deve ancora vagare, e chi lo sa. Un granello di ruggine in lontanissime isole. Un altro granello a sbirciare le bagnanti sulla Plage de la Corniche. Un altro ancora ad assistere al delirio di Gauguin e Madeleine Bernard. Che sbadato, mi ero dimenticato di presentarmi. Piacere, mi chiamo Berto, figlio della lavandaia. E la lavatrice, dicono, gira, gira senza smettere mai.

venerdì 12 febbraio 2016

San Francisco y San Carrero, ovvero A noialtri Bagnasco ci fa una sega





Cioè, dico, no. Noialtri ci si lamenta di Bagnasco che vuole il voto segreto; e che ci si dovrebbe aspettare? Insomma, un cardinale di Santa Romana Chiesa Cattòlica e Apostòlica ci deve avere una certa e tradizionale propensione ai voti segreti, non ultimo quello per eleggere il Sommo Pontefice in conclave. A proposito di conclavi, lo sapevate che esiste pure il Conclavismo? Ora ne parlerò un pochino, stamani mi è presa così.

Il Conclavismo, secondo autorevoli definizioni, sarebbe una corrente dei Cattòlici tradizionalisti derivata dal Sedevacantismo. Come indica tale nome stesso, i seguaci di tale corrente sostengono che la gerarchia cattòlica sarebbe del tutto crollata in seguito al Concilio Vaticano II; a partire dal Concilio e dal suo nuovo magistero, essi considerano vacante (cioè “vuoto”, nel senso etimologico della parola che si è mantenuto nella lingua siciliana) il Soglio di Pietro. Di conseguenza, i Sedevacantisti, e con essi naturalmente anche i Conclavisti, si riservano il diritto ed il dovere di eleggere il proprio Papa.

Il problema è che, di gruppi Sedevacantisti e Conclavisti, non ce n’è uno solo; indi per cui, è bene sapere che nell’anno del Signore 2016, anzi MMXVI, la Chiesa Cattolica presa nel suo insieme ha sì un Sommo Pontefice universalmente riconosciuto (papa Francesco, il papa più buono del 30% degli altri papi della stessa fascia) e, attualmente, pure un Papa Emerito (papa Benedetto XVI), ma anche una quindicina di altri papi e/o antipapi. La precisazione è necessaria. Alcuni si considerano “papi alternativi” (e sono quindi assimilabili agli antipapi storici) e ritengono vacante la Santa Sede; altri, invece, non la considerano affatto vacante, ma occupata da loro stessi. In tale caso, sono papi a tutti gli effetti.

State quindi per fare la conoscenza di papa Pietro II, al secolo Chester Olszewski, eletto in conclave nel 1980 in Pennsylvania; di un altro papa Pietro II, vale a dire Aimé Baudet, che regna dal 1984 dal Belgio; il Belgio “butta bene”, dato che nel 1985, a Bruxelles, è stato eletto papa Pierre Henri Bubois che, in un grande sforzo di originalità, ha assunto il nome di Pietro II. Pure lui. Per cambiare un po’, eccovi papa Adriano VII, vale a dire il signor Francis Konrad Schuckardt, eletto Sommo Pontefice nel 1984 a Coeur d’Alene, nello stato dell’Idaho. Nel 1991 fu eletto papa, in Kenya, un signore dall’inquietante nome di Timothy Blasio Ahitler; però non si sa esattamente quale nome Egli abbia assunto. 

La storia di papa Lino II, al secolo Victor Von Pentz (nato nel 1953 in Sudafrica) merita di essere raccontata un po’ più a fondo. Ha studiato negli Stati Uniti, al seminario della Fraternità Sacerdotale San Pio X a Winona, in Minnesota. Dopo alcune riunioni preparatorie tenute nello stato di Washington delegati di svariati gruppi sedevacantisti di dodici paesi si riunirono in conclave ad  Assisi il 25 giugno 1994. L'indomani Von Pentz accettò e assunse il nome di “Lino II” solo all'undicesimo ballottaggio, dopo che già dieci volte era stato eletto con ampio margine e aveva rifiutato; dopo il conclave è stato incoronato con una tiara. Il 29 giugno i partecipanti al conclave si spostarono a Roma per insediare Lino II nella basilica di S. Giovanni in Laterano, ma trovarono ad aspettarli la Polizia italiana, che impedì loro di entrare; al che i conclavisti, Sommo Pontefice compreso, si trovarono costretti a spostarsi in un vicino ristorante. Lo stesso giorno della sua elezione Lino II abolì il Novus Ordo Missae e gettò le basi per un nuovo collegio cardinalizio in grado di eleggere il suo successore in caso di morte, incapacità o abdicazione. Attualmente Papa Lino II vive nel Regno Unito.

Papa Lino II, al secolo Victor Von Pentz.


Nel 1995 è stato eletto papa in Francia il sig. Maurice Achieri du Perreux; nel 1998 è toccato al sig. Julius Tischler in Germania. Entrambi hanno assunto il nome di Pietro II, portando così a cinque il numero dei Pietri Secondi attualmente in Trono. 

Maurice Achieri Du Perreux, uno dei papi Pietro II.

Fino al 2009 ha regnato anche il sig. Lucian Pulvermacher (di cui esistono celeberrime foto vestito da papa nel giardino di casa), eletto negli Stati Uniti nel 1998 col nome di Pio XIII

Papa Pio XIII, al secolo Lucian Pulvermacher, nel suo giardino di casa nel Montana.

Per ultimo, merita qualche parola il sig. William Kamm, australiano, detto “Little Pebble” (“Sassolino”, “Ciottolo”). Costui sostiene che solamente l’attuale Papa Emerito, Benedetto XVI, sarebbe illegittimo. Il vero erede di Giovanni Paolo II sarebbe infatti lui. Però Little Pebble sostiene anche che Giovanni Paolo II non è affatto morto (forse vive nel Borneo assieme a Adolf Hitler e Elvis Presley), e che un giorno tornerà per indicarlo papa con il nome di Pietro Romano II, ultimo dei Papi secondo la famosa profezia di Malachia.

William Kamm detto "Little Pebble", papa Pietro Romano II in pectore


Come è possibile vedere, ce n’è per tutti i gusti. Ma non è finita qui; è il momento, adesso, di parlare di una delle più importanti Chiese Conclaviste: la Chiesa Cattòlica Apostòlica Palmariana

La Chiesa Cattòlica Apostòlica Palmariana ha, naturalmente, un proprio Sommo Pontefice. O meglio: si tratta tout court del Sommo Pontefice in assoluto, dato che i papi a partire da Paolo VI sono falsi, scismatici, corrotti e illegali assieme a tutti i Collegi Cardinalizi. Bagnasco, quindi, incassi e taccia; altro che “voto segreto”, maledetto usurpatore. Legittimo papa è invece, attualmente, Gregorio XVIII (al secolo Sergio María Jesus Hernández, nato a Mula nella Regione Autonoma di Murcia il 1° luglio 1959).

Palmar de Troya (Andalusia). La Grande Cattedrale Palmariana.

La Chiesa Cattòlica Apostòlica Palmariana ha origine dalle apparizioni avvenute a Palmar de Troya (da cui il nome), in Andalusia, nel marzo del 1968. Quattro giovani studentesse delle scuole medie (si noti che, in questo caso, non si trattava delle consuete pastorelle o piccole lavandaje) sostennero di aver visto la Madonna appoggiata ad un albero di pero in un terreno agricolo chiamato La Alcaparrosa. In breve, molte altre persone si recarono al Sacro Pero, sostenendo di averci visto la Madonna appoggiata; quasi subito iniziarono i milagros. In pochi mesi si era già formato il culto della Madonna di Palmar de Troya; tra gli ardenti fedeli, un assicuratore di Siviglia, tale Clemente Domínguez, che gradualmente divenne il vero fondatore della Chiesa Palmariana. L’arcivescovo di Siviglia, però, non riconobbe le visioni dichiarando ufficialmente che esse erano del tutto irrilevanti; il sig. Clemente Domínguez, a sua volta, gli ribatté che la Madonna –Ella in persona- gli aveva dato le istruzioni per liberare la Chiesa Cattòlica, nell’ordine: 1) dall’eresia; 2) dal progressivismo; 3) dal comunismo.

Nel 1975, Domínguez fondò un nuovo ordine religioso, l’Ordine dei Carmelitani del Santo Volto, che non venne riconosciuto dall’allora papa Paolo VI; nonostante ciò, Paolo VI viene onorato dai Palmariani come ultimo legittimo Sommo Pontefice (prima di quelli Palmariani, naturalmente) e come papa-martire.
Si pose, ovviamente, il problema dei Vescovi. Nel 1976, un sacerdote Palmariano, lo svizzero Maurice Revaz, persuase l’allora arcivescovo vietnamita Ngo Dinh Tuc dell’autenticità delle visioni del Sacro Pero, e i due divennero Vescovi della Chiesa Palmariana senza l’autorizzazione papale. L’arcivescovo vietnamita nominò personalmente alcuni vescovi; tutti quanti furono immediatamente scomunicati da Paolo VI. Alla morte di quest’ultimo, nel 1978, Clemente Domínguez fece il grande salto: si rifiutò di riconoscere oltre l’autorità della Chiesa Cattòlica Apostòlica Romana e istituì una propria Santa Sede a Siviglia, sostenendo di essere stato misticamente incoronato Pontefice da Gesù Cristo in persona. Fu quindi convocato un conclave (sempre a Siviglia) durante il quale il Sacro Collegio, all’unanimità, lo elesse papa con il nome di Gregorio XVII. S.S. Gregorio XVII creò immediatamente il suo Collegio Cardinalizio, e la vita della Chiesa Cattòlica Apostòlica Palmariana ebbe ufficialmente inizio.

Papa Gregorio XVII El Muy Grande.

Tra i primi provvedimenti della Chiesa Palmariana, vi fu la costruzione di una grande Cattedrale a Palmar de Troya, il villaggio dove si erano avute le prime apparizioni della Madonna del Sacro Pero. Gregorio XVII regnò fino alla sua morte, avvenuta il 22 marzo 2005; gli succedette papa Pietro II (toh!), al secolo Manuel Alonso Corral, deceduto santamente il 15 luglio 2011. Dal 23 luglio 2011 regna papa Gregorio XVIII, di cui abbiamo già parlato. Un interessantissimo provvedimento di papa Gregorio XVIII è stata l’abolizione della Pasqua come festa mobile: per la Chiesa Palmariana, la Pasqua si festeggia alla data fissa del 27 marzo, data della prima apparizione della Madonna alle quattro studentesse di Pilar de Troya. La Pasqua può quindi cadere di lunedì, di mercoledì, in qualsiasi giorno della settimana.

La Chiesa Cattòlica Apostòlica Palmariana non riconosce alcun santo della precedente Chiesa Cattolica. Il loro culto è stato ufficialmente abolito e proibito. Va da sé che nessuna ulteriore canonizzazione e beatificazione proclamata dalla Chiesa Cattòlica Apostòlica Romana fino al giorno d’oggi è stata riconosciuta (con una sola eccezione, come vedremo meglio in seguito). Al posto dei vecchi Santi e Sante, la Chiesa Palmariana ha proclamato i seguenti santi, autorizzandone e promuovendone il culto:

- San Francisco Franco (il primo proclamato da papa Gregorio XVII);
- San Luis Carrero Blanco (il quale, effettivamente, volò in cielo);
- San José Antonio Primo de Rivera (fondatore della Falange Spagnola);
- San Josep Maria Escrivà de Balaguer (il fondatore dell’Opus Dei, unico santo in comune con la vecchia Chiesa);
- San Cristoforo Colombo;
- Sant’ Adolfo, al secolo Adolf Hitler, Martire e Santo.

Cattedrale di Palmar de Troya: Effigie di San Francisco Franco.
Oltre a costoro, sono stati –ovviamente- elevati all’onore degli Altari anche i due precedenti Papi, Santo Padre Gregorio XVII El Muy Grande e San Pietro II.

La Chiesa Cattòlica Apostòlica Palmariana ha proceduto altresì alla Excommunicatio Perpetua delle seguenti persone:

- Tutti i papi, cardinali e vescovi a partire dalla morte di Paolo VI (6 agosto 1978) [quindi, Bagnasco, stai zitto, scomunicato!];
- Tutti i superiori degli ordini religiosi e monastici, con l’eccezione di San Josep Maria Escrivà de Balaguer;
- Re Juan Carlos I, Re Felipe VI e tutti i membri della Famiglia Reale;
 - Tutti i sacerdoti operai
- Tutti i socialisti, comunisti e anarchici;
- Papa Giovanni Paolo I, papa Giovanni Paolo II, papa Benedetto XVI e papa Francesco;
- Tutti gli spettatori che hanno assistito al film Jesus Christ Superstar.

Dopo questa breve disamina della storia e dell’evoluzione della Chiesa Cattòlica Apostòlica Palmariana, direi che tutti quanti, Fratelli e Sorelle in Chrysto, possiamo essere più sereni e rivalutare persino la figura del cardinal Bagnasco, tornando a casa, dalle nostre famiglie, intonando il Sacro Inno Step Child in Time.

Non dimentichiamo, nei nostri Cuori, una Preghiera a San Cristoforo Colombo e a San Carrero Blanco.

Amen.

AVVERTENZA
Non procedete oltre perché sennò sarete SCOMUNICATI.
Poi 'un dite che 'un ve l'ho detto.

martedì 2 febbraio 2016

Mestruazioni



Come sarà abbastanza facile intuire, questo post non l'ho scritto io. Lo ha scritto una vecchia amica, Silvia Torelli, sul suo blog di Cosine Preziose. Poiché ritengo appunto che si tratti proprio di una Cosina Preziosa, lo voglio "rimbalzare" un po' qua dentro. Il post originale è dello scorso 22 gennaio. Silvia fa l'ostetrica; attualmente si trova a vivere e lavorare in Sud Sudan.

Come mi hanno rivelato gli ultimi dosaggi ormonali che ho fatto, sono ancora lontana dalla menopausa.
CHE PALLE!
Ho avuto il menarca a 10 anni (in quinta elementare) e quindi sono 40 anni esatti che sono a lottare con coliche, mal di schiena, mal di testa, abiti e lenzuola inzaccherate e momenti di panico quando non arrivavano.
Però sono nata in quella parte del mondo in cui esiste il Buscopan (l'ho fatto rincarare), gli assorbenti con le ali, gli OB (quelli verdi, giganti), ed appartengo a quella generazione che se un giorno sta davvero male può permettersi di stare a casa con la borsa dell'acqua calda e riscuote lo stipendio lo stesso. Lussi incredibili.
E soprattutto, sono nata in quella parte di pianeta Terra ed in quell'epoca in cui le donne le mestruazioni ce le hanno regolarmente, non sono solo un pallido ricordo fra una gravidanza e l'altra.
Previlegi immensi di cui mi ero resa poco conto, prima di toccarli con mano qui.
Ho preso la pillola (il Diane, una bomba) per quasi trent'anni....ed ora eccomi qui ad aspettare di mandare tutto al diavolo ed entrare nella vecchiaia.
Che se rimango nella media delle donne italiane durera' una trentina abbondante di anni.
E questo e' un privilegio immenso, perché da altre parti (per esempio qui) la vita media e' sui 40 anni.
Questo articolo e' molto interessante: parla proprio di mestruazioni.
Buona lettura.

Storia del soldato Laurent che non parlava che la sua lingua

Bonanno a tutt*! O come, bonanno il due di Febbraio, per la Candelora che dell'inverno semo fora (ma quandomai ci semo entrati, quest'anno...)? Il fatto è che sono buoni tutti a dare il bonanno il primo di gennaio; quest'anno io lo do a febbraio, e vorrei darvelo con una storia assai edificante. E' la storia, vecchia d'un secolo e passa, di un soldato che non parlava che la sua lingua.

Mellionnec, Bretagna (Dipartimento delle Côtes d'Armor), 5 agosto 1934.
Questa è la storia del soldato semplice Frañsez Laorañs, che naturalmente non si poteva chiamare così, col suo nome e cognome. Si doveva chiamare com'era stato registrato all'anagrafe del suo paese: François-Marie Laurent. Era nato il 30 gennaio 1885 a Mellionnec (Melioneg), piccolo comune del dipartimento bretone delle Côtes d'Armor (allora Côtes du Nord), faceva il contadino, era sposato e aveva due figli.

Il 1° agosto 1914, per decreto del Presidente della Repubblica Francese, Raymond Poincaré, viene ordinata la mobilitazione generale delle armate di terra e di mare: inizia la “Grande Guerra”. Il 3 agosto la Germania dichiara guerra alla Francia; il 5 agosto il soldato François-Marie Laurent, contadino, si presenta a Saint-Malo, al 247° Reggimento di Fanteria cui era stato assegnato. L'11 agosto il soldato Laurent viene trasferito in tradotta al fronte, a Attigny nelle Ardenne. Il soldato Laurent combatte come suo dovere per la Francia.

Nella notte tra il 1° e il 2 ottobre 1914, mentre si trova in una trincea in prima linea nel settore di Souain, nella Champagne, il soldato Laurent viene leggermente ferito ad una mano per lo scoppio di una granata tedesca. Si rivolge al suo caposettore, il tenente Briand, che consiglia al soldato Laurent di andare a farsi curare all'ospedale da campo. In seguito viene inviato all'Ospedale di Evacuazione n° 2 a Châlons-sur-Marne.

All'Ospedale di Evacuazione n°2 viene preso in cura da un medico militare, il dottor Buy. I medici militari hanno principalmente un compito, richiesto dai comandi superiori: scovare i soldati che si procurano ferite da soli per essere rimandati a casa. Non era certo il caso del fedele soldato Laurent, che però ha un problema: è cittadino francese e soldato francese, combatte per la Francia, ma non parla una parola di francese. Parla solamente il bretone (*). Il dottor Buy non si lascia sfuggire l'occasione e spedisce alle autorità, il 3 ottobre, un rapporto in triplice copia nel quale si sospetta che il soldato Laurent si sia ferito da solo, basando la sua presunzione sull' "orifizio di entrata". Tanto basta.

Il rapporto medico del dott. Buy datato 3 ottobre 1914.
 Il 18 ottobre 1914 si riunisce il Consiglio di Guerra del Quartier Generale della IV Armata, deciso a dare un esempio. Vengono giudicati per mutilazioni volontarie e diserzione i soldati Philibert Gaillard, Adrien Mieulet, Pierre Lasserre, Pierre Clavière, Maurice Nicouleau, Elie Marie Lescop e François-Marie Laurent.

Non era stata compiuta alcuna inchiesta volta ad accertare i fatti: erano stati sufficienti i rapporti dei medici militari. Ai soldati viene comunque data la possibilità di difendersi: cinque su sette lo fanno con successo, dimostrando in francese l'equivoco sulla base di testimonianze. I soldati Elie Marie Lescop e François-Marie Laurent sono però tutti e due bretoni e non parlano che il bretone: vengono condannati a morte per abbandono della postazione in presenza del nemico.

Poiché per una sentenza del genere non è previsto appello, i soldati Lescop e Laurent vengono passati per le armi la mattina dopo, 19 ottobre 1914. A casa in Bretagna, a Mellionnec, la giovane vedova resta a casa con due figli; per l'infamante sorte del marito non le viene riconosciuta alcuna pensione di guerra, e deve anche subire il disprezzo da parte degli abitanti del paese.

Il caso del soldato Laurent, però, non è passato inosservato a qualcuno. Il primo a farsi vivo, a guerra terminata, è proprio il caposettore di Laurent, il tenente Briand. Il 4 gennaio 1920 spedisce una lettera nella quale fa presente di non aver segnalato niente contro il soldato Laurent, e di non essere nemmeno stato interpellato dal Consiglio di Guerra. Il tenente Briand è costernato e si chiede: “Pourquoi a-t-il été condamné?” Il tenente Briand fu informato della fucilazione del suo soldato solo tre settimane dopo.

La lettera del ten. Briand del 4 gennaio 1920.
Cominciano a mobilitarsi alcuni giornali e qualche personalità; nel frattempo, il soldato Laurent è diventato un po' il “simbolo” dei giovani poilus condannati a morte “per dare l'esempio”: sono letteralmente migliaia. Naturalmente, prima di diventare “simboli” bisogna essere passati per le armi, sennò addio simbolicità. Resta però la questione della pensione di guerra: la vedova di Laurent si decide a chiedere la riabilitazione del marito solo il 4 novembre 1933. Sono passati diciannove anni.

Il 9 dicembre 1933 si riunisce l'Alta Corte di Giustizia Militare, la quale, esaminato il caso con la presenza di tutti i testimoni e di tutti gli interessati tranne, naturalmente, il soldato fucilato François-Marie Laurent, si pronuncia nel modo che segue: a) Ordina l'annullamento del giudizio e la sconfessione del rapporto medico; b) Dichiara Laurent François-Marie assolto (da morto) dall'accusa intentatagli; c) Ordina la cancellazione dell'accusa e della condanna dal suo certificato penale militare; d) Ordina la pubblicazione della sentenza nella Gazzetta Ufficiale; e) Ordina la trascrizione della sentenza nei registri del Consiglio di Guerra; f) Condanna lo Stato Francese a risarcire debitamente la vedova e i figli del soldato Laurent.

Il risarcimento viene stabilito in franchi 5000 (cinquemila) per la vedova; in franchi 2500 (duemilacinquecento) per il figlio minore, Armand Laurent, all'epoca ancora minorenne indi per cui la somma sarà amministrata dalla madre in quanto legale tutrice esercente la patria potestà; in franchi 2500 (duemilacinquecento) per la figlia maggiore, Francine Laurent coniugata Le Gac. In totale, la vita e la morte del soldato François-Marie Laurent verranno liquidate per franchi 10000 (diecimila). 

Lo statino militare del soldato Laurent dopo la riabilitazione. Si notino le diciture: a) "Morto per la Francia" il 19 ottobre 1914; "Tipo di morte": Fucilato.
Nel frattempo, il Comune di Mellionnec, come tutti i comuni francesi, ha fatto erigere il suo bravo Monumento ai Caduti (che in francese si chiama, brutalmente, “Monumento ai Morti”). Il soldato François-Marie Laurent, vergogna del paese, disertore e fucilato, non vi figura dal 1918 al 1934. La signora Laurent, esposta per vent'anni al disprezzo, esige quindi che il monumento sia corretto con denuncia e sentenza ufficiale. Il Comune di Mellionnec è quindi costretto a rimuovere l'intero monumento, in quanto i nomi dei soldati Caduti Per La Patria non sono apposti su una targa bensì direttamente sulla pietra. Ne viene installato uno nuovo contenente anche il nome del soldato François-Marie Laurent, nell'esatto ordine alfabetico ("Laurent F."); al comune costa un occhio della testa. Si svolge anche una cerimonia, il 5 agosto 1934: esattamente il ventesimo anniversario dal giorno in cui il soldato Laurent si era presentato al suo Reggimento a Saint-Malo. Alla cerimonia presenziano, assai ipocritamente, tutti gli abitanti del paese. Ci sono anche il Prefetto e una Guardia d'Onore per rendere al soldato gli onori militari.  (**)

Mellionnec: Il Monumento ai Caduti (estate 2012)
In fondo al Monumento è apposta un aggiunta che ricorda Noël Le Gac, morto in deportazione. Si trattava del padre di Louis Le Gac, il marito della figlia di François-Marie Laurent.

Curiosamente, tra i giudici della Corte Speciale di Giustizia Militare che ordinò la riabilitazione del soldato Laurent (presieduta da M. Magnin, Consigliere in Corte d'Appello), figurava un altro consigliere che rispondeva al nome di Dreyfus.

Il soldato François-Marie Laurent, fucilato perché parlava solo il bretone, è sepolto nell'Ossario Monumentale “La Ferme de Navarin” a Souain-Perthes-Lès Hurlus, a breve distanza da dove era stato passato per le armi per dare l'esempio. E' sepolto assieme a una quindicina di commilitoni di cui è noto il nome, e a 429 militi ignoti.

(*) Il bretone, come tutti sapranno, non è un "dialetto" francese; è una lingua vera e propria, lontana dal francese quanto l'italiano lo è dal norvegese. E' di origine celtica (autentica, non quella della vecchia Lega bossiana) ed è strettamente imparentata col gallese e con l'estinto cornico (parlato un tempo in Cornovaglia).

(** ) A tale cerimonia si riferisce la prima foto del post.