tag:blogger.com,1999:blog-57307273292613107092024-03-13T13:00:38.839+01:00Ἐκβλόγγηθι Σεαυτόν Asocial NetworkLa <i>Rete Asociale</i> di Riccardo Venturi. Il blog sotterraneo di uno che sta in un sottosuolo con un gatto.<br>"Da cose a caso sparse la struttura bellissima del cosmo." (Eraclito)Riccardo Venturihttp://www.blogger.com/profile/10076610025117360920noreply@blogger.comBlogger1434125tag:blogger.com,1999:blog-5730727329261310709.post-76213434283703746312024-02-04T21:25:00.019+01:002024-02-04T22:18:29.096+01:00La canzone dell'Otto Marzo<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi4WuAJMRXCyJE8bpH91175h1_Fe_OHiE7JNwUJHYVQSXjCSu3bj__GnMPzePz826tdfqhvUClJ2sG0aK0CK9yfEFe4zX-CNCT-e0PUEVCMenv2fjck_PtsOymaf5suc6o-NPeVAyDbbg92HggB4LUzi6Q1e4-dW2ZA60YIdqWnomNkYsMaEvP-W9DL8EDs/s259/triafire.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="259" data-original-width="200" height="259" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi4WuAJMRXCyJE8bpH91175h1_Fe_OHiE7JNwUJHYVQSXjCSu3bj__GnMPzePz826tdfqhvUClJ2sG0aK0CK9yfEFe4zX-CNCT-e0PUEVCMenv2fjck_PtsOymaf5suc6o-NPeVAyDbbg92HggB4LUzi6Q1e4-dW2ZA60YIdqWnomNkYsMaEvP-W9DL8EDs/s1600/triafire.jpg" width="200" /></a></div><br /><p><br /></p><p></p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">Esattamente
non si è mai saputo da che cosa sia nata, o comunque derivata, la
festa dell’otto marzo, quella che da decenni è comunque la “festa
della Donna” o comunque la si voglia chiamare e celebrare con o
senza le mimose. Secondo le più accreditate ricerche storiche, pare
che a San Pietroburgo, l’8 marzo 1917 (cioè pochi mesi prima della
Rivoluzione d’Ottobre), alcune donne manifestarono per chiedere la
fine della guerra; ma si ignora se si trattasse di un otto marzo
secondo il vecchio calendario Giuliano (quello per cui la
Rivoluzione d’Ottobre avvenne in realtà il 7 novembre), o se sia
una data già riportata al nuovo calendario. Sempre secondo tali
ricerche, fu a Mosca nel 1921 che fu stabilito che l’otto marzo
divenisse una non meglio precisata “Giornata Internazionale
dell’Operaia”. Fatto sta, però, che tutte queste accurate
ricerche storiche non tengono conto che tale giornata, in quella
data, fosse festeggiata negli Stati Uniti già nel 1909, in altri
paesi europei a partire dal 1911 e, dal 1922, persino in Italia. Ne
sono state dette realmente di tutte e di più, compresa la leggenda
(perché di una autentica leggenda si tratta) di un incendio che, l’8
marzo 1911, avrebbe colpito una non meglio precisata fabbrica
tessile, la “Cotton”, causando la morte di numerose operaie. Una
fabbrica “Cotton” non è mai esistita; prova ne sia che, nella
leggenda, tale fabbrica veniva situata in praticamente tutte le città
degli Stati Uniti, da New York a Chicago, da Detroit a una qualche
cittadina del Midwest. Anche nella leggenda, però, si tendeva a
considerare l’origine dell’otto marzo come derivata da un qualche
tragico avvenimento che avesse avuto come vittime delle donne
lavoratrici; e, con ancora maggiore probabilità, tutto questo ebbe
ad incrociarsi -come avviene non di rado nelle leggende popolari- con
un avvenimento reale e, purtroppo, ben documentato, avvenuto a New
York nel marzo del 1911, ma non l’otto. Il venticinque. Un giorno
terribile in cui si ebbe realmente un disastroso incendio che colpì
una fabbrica tessile, o piuttosto un enorme laboratorio, causando la
morte di 146 persone, in stragrande maggioranza donne. Fino agli
attentati alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001, si è trattato
della singola tragedia che abbia mai causato a New York il maggior
numero di vittime.</span></span></p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br /></span></span></p><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjxL5IgR9sttZRenFLY6Lp3KqDV31LMgihGpcmFqswLw5Hbc_UCNWKEZAnP4kGKAIplINaTdtnxJePSXp5Fvgd9_iZCwjaRjkxv5a9oahCrLJANtzF9sMRMBfzjzXRlmBf89WkvOfaGhijZVgeTDpcWeDu-qjehzextz4LsNt9j8j_aJOxIOkoUU58L0fhX/s376/triangwi.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><img border="0" data-original-height="376" data-original-width="287" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjxL5IgR9sttZRenFLY6Lp3KqDV31LMgihGpcmFqswLw5Hbc_UCNWKEZAnP4kGKAIplINaTdtnxJePSXp5Fvgd9_iZCwjaRjkxv5a9oahCrLJANtzF9sMRMBfzjzXRlmBf89WkvOfaGhijZVgeTDpcWeDu-qjehzextz4LsNt9j8j_aJOxIOkoUU58L0fhX/s320/triangwi.jpg" width="244" /></span></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">25-3-1911: L'incendio della Triangle Shirtwaist Company, New York.</span></td></tr></tbody></table><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br /></span><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><span style="text-align: left;">La
fabbrica, o grosso laboratorio, era situata ai tre piani più alti di
un palazzo di dieci piani (ancora esistente), l’</span><i style="text-align: left;">Asch Building
</i><span style="text-align: left;">all’intersezione tra Greene
Street e Washington Place, poco ad est del Washington Square Park.
Si chiamava, quella fabbrica o laboratorio, </span><i style="text-align: left;">Triangle
Shirtwaist Company</i><span style="text-align: left;"> ed era
specializzato nella produzione di camicette femminili molto alla moda
a quell’epoca, appunto le cosiddette </span><i style="text-align: left;">shirtwaist</i><span style="text-align: left;">.
Si trattava di camicette molto ampie nella parte superiore, ma
strettissime alla vita e munite di un cinturino che accentuava il
“vitino di vespa”. Era proprietà di due imprenditori
appartenenti alla borghesia ebraica, Max Blanck e Isaac Harris; la
fabbrica occupava circa 500 lavoratori e lavoratrici, in massima
parte giovani donne immigrate dalla Germania, dall’Italia e
dall’Europa dell’Est.</span></span></p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium; text-align: left;"><br /></span></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjjzJ1EbfJeo-QSdjbGqpFBHJUF1Bn7eQj3YPxTN8uRxwqECn4498kfz0W5nj5aK33UTZtMvo7T7Pmu5VrjDHOO9mLY8yIRN2N0WOGhco5xzR60wPGZkjhK8D18KpFZ2MZ88_RS468EIlWLX4j1h7CW5j25a5l8H9EmRD4C4K1ru6YCtSKE514oRikhmfFC/s600/triangmourn.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><img border="0" data-original-height="480" data-original-width="600" height="256" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjjzJ1EbfJeo-QSdjbGqpFBHJUF1Bn7eQj3YPxTN8uRxwqECn4498kfz0W5nj5aK33UTZtMvo7T7Pmu5VrjDHOO9mLY8yIRN2N0WOGhco5xzR60wPGZkjhK8D18KpFZ2MZ88_RS468EIlWLX4j1h7CW5j25a5l8H9EmRD4C4K1ru6YCtSKE514oRikhmfFC/s320/triangmourn.jpg" width="320" /></span></a></div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br /></span><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><span style="text-align: left;">Dire
“giovani donne”, però, non rende perfettamente l’idea. Il
laboratorio era, come molte altre fabbriche tessili newyorkesi, uno
</span><i style="text-align: left;">sweatshop</i><span style="text-align: left;">, dove si
lavorava in condizioni terrificanti e con salari da fame, controllati
e controllate con un rigidissimo orologio di produzione. Le operaie
della Triangle Shirtwaist Company erano quasi tutte giovanissime;
</span><span style="text-align: left;">alcune avevano addirittura 12
o 13 anni, e tra le vittime dell’incendio si conta anche un’operaia
dell’età di 11 anni. Lavoravano con turni di </span><i style="text-align: left;">quattordici
</i><span style="text-align: left;">ore per una settimana lavorativa
che andava dalle 60 alle 72 ore. Un’operaia, Pauline Newman,
dichiarò che il salario medio per le lavoratrici andava dai 6 ai 7
dollari a settimana. Al tempo stesso, e qui è possibile
riallacciarsi ancor di più all’origine operaia dell’otto marzo,
la Triangle Shirtwaist Company era divenuta famosa già molto prima
del 1911: il massiccio sciopero delle operaie tessili iniziato il 22
novembre 1908 (ed ecco, appunto, il 1908…), conosciuto come
</span><i style="text-align: left;">Protesta delle Ventimila</i><span style="text-align: left;">,
era iniziato con una manifestazione spontanea proprio delle operaie
della TSC. In seguito allo sciopero, il sindacato delle operaie
tessili per abbigliamento femminile, la </span><i style="text-align: left;">International
Ladies’ Garment Workers’ Union, </i><span style="text-align: left;">negoziò
un contratto di lavoro che copriva quasi tutti i lavoratori e
lavoratrici (lo sciopero durò ben 4 mesi); ma la direzione della TSC
rifiutò di sottoscriverlo.</span></span></p>
<p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><span style="text-align: left;">L</span><span style="text-align: left;">e
condizioni di lavoro erano quelle tipiche del tempo: tessuti
infiammabili erano immagazzinati, per non dire accatastati, per tutta
la fabbrica. Scarti di tessuto sparsi per i pavimenti, con gli uomini
che lavoravano come tagliatori che spesso fumavano. L’illuminazione
consisteva in luci a gas aperte, e c’erano pochi secchi d’acqua
per spegnere gli incendi -che erano, ovviamente, frequenti. Il
pomeriggio del 25 marzo 1911 iniziò uno di questi incendi,
all’ottavo piano; ma, quella volta, sfuggì completamente di mano e
avvolse ben presto tutti i piani superiori dello stabile occupati dal
laboratorio. Morirono, come detto, 146 tra operaie e operai.</span></span></p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium; text-align: left;"><br /></span></span></p><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjpUYQI14y9qiHqDVgkIU8S2l3JtafhqfHl-5ATdGn98N-MX_ojkO1Kd-HOL5j58jYVYfR-8jFvruKs57I3Yt5GtOZCuLNp-oUVp-iSga4DVTsXUiCWSBgcLzXm4sPt0-2xFT9yhRF9fqaWQ8j8JfVUlqTASXn_gsGtzt5SJ2OAJl3At8ZHn3bqikzAccKi/s600/triangflames.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><img border="0" data-original-height="468" data-original-width="600" height="250" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjpUYQI14y9qiHqDVgkIU8S2l3JtafhqfHl-5ATdGn98N-MX_ojkO1Kd-HOL5j58jYVYfR-8jFvruKs57I3Yt5GtOZCuLNp-oUVp-iSga4DVTsXUiCWSBgcLzXm4sPt0-2xFT9yhRF9fqaWQ8j8JfVUlqTASXn_gsGtzt5SJ2OAJl3At8ZHn3bqikzAccKi/s320/triangflames.jpg" width="320" /></span></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">L'interno della fabbrica Triangle devastato dalle fiamme.</span></td></tr></tbody></table><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><span style="text-align: left;">Scorrendo
l’elenco delle vittime, ci si accorge che la maggioranza di esse
erano giovani donne, e spesso ragazzine, di origine perlopiù
italiana e dell’Europa orientale. Queste ultime erano tutte ebree,
sfruttate da due padroni ugualmente ebrei a riprova che, nel
capitalismo selvaggio, le questioni etniche e religiose c’entrano
assai poco per non dire assolutamente niente. Molte vittime furono
identificate a fatica; risulta che la più giovane, Mary Goldstein,
aveva 11 anni di età. Poiché la fabbrica occupava gli ultimi tre
piani di un palazzo di dieci, sessantadue delle vittime morirono nel
tentativo </span><span style="text-align: left;">disperato di
salvarsi lanciandosi dalle finestre, non esistendo altra via
d’uscita. </span><span style="text-align: left;">I proprietari del
laboratorio, Max Blanck e Isaac Harris, al momento dell’incendio si
trovavano al decimo piano; tenevano chiuse le operaie per paura che
rubassero o facessero troppe pause; si misero in salvo attraverso una
scala di sicurezza esterna, e lasciarono morire le lavoratrici e i
lavoratori. Ciononostante, al processo che seguì gli eventi,
risultarono -naturalmente- assolti, L’assicurazione liquidò loro
445 dollari per ogni dipendente rimasto vittima dell’incendio; alle
famiglie di questi ultimi furono liquidati esattamente 75 dollari. </span><span style="text-align: left;">Da
qui, dunque, sappiamo che l’undicenne Mary Goldstein valeva 75
dollari, così come la sedicenne Anna Altman, la sua coetanea
Vincenza Belatta, la diciassettenne Celia Eisenberg, la
quattordicenne Rosalia Maltese, ed anche la quarantottenne
Provvidenza Panno, che aveva due figlie operaie nella stessa
fabbrica.</span></span></p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"></p><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjcYyC8wyrQWoBIkQeIa8ke5La4oxPuoI3B3gJOS2Yi4qS-ogwTy1XWNXiXPQ_dzadnQojc7nppVuzwde6kkrSNJ3QRbVAOpn3BrOnl4SjVjcYnNLlzuJyyE9puveJKP_btdaUP_ZjUA4j1QY3U3E4j1xPAk1x-8Pj0QUfOEeUsJ1J27NUCPdNIXJe9A5XL/s500/triangvictims.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="397" data-original-width="500" height="254" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjcYyC8wyrQWoBIkQeIa8ke5La4oxPuoI3B3gJOS2Yi4qS-ogwTy1XWNXiXPQ_dzadnQojc7nppVuzwde6kkrSNJ3QRbVAOpn3BrOnl4SjVjcYnNLlzuJyyE9puveJKP_btdaUP_ZjUA4j1QY3U3E4j1xPAk1x-8Pj0QUfOEeUsJ1J27NUCPdNIXJe9A5XL/s320/triangvictims.jpg" width="320" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-family: helvetica; font-size: large; text-align: left;">Alcune delle operaie sfracellate al suolo.</span></td></tr></tbody></table><br /><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEho8T4zNyap2Lb8tUBDyDqiXVvvwZ7W7QMW9QIkARP0NEfzW3wL6E_j25InYAGexa41vzDA6mIAxznrEK2bXuPKs3p7TjeA7GgWiN475bX7L60gyDk3hDVAKwWw0O28LMj9B9cqxus_hZZtuLLIsWvWEIoHp_k0bjeu22G_N3847zcko5Rq16EEbuOmJ6-C/s586/triangjennie.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="411" data-original-width="586" height="224" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEho8T4zNyap2Lb8tUBDyDqiXVvvwZ7W7QMW9QIkARP0NEfzW3wL6E_j25InYAGexa41vzDA6mIAxznrEK2bXuPKs3p7TjeA7GgWiN475bX7L60gyDk3hDVAKwWw0O28LMj9B9cqxus_hZZtuLLIsWvWEIoHp_k0bjeu22G_N3847zcko5Rq16EEbuOmJ6-C/s320/triangjennie.jpg" width="320" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-family: helvetica; font-size: large; text-align: left;">L'operaia Jennie Franco, 15 anni. Fu tra le vittime dell'incendio, </span></td></tr></tbody></table><br /><div style="text-align: center;"><br /></div><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><span style="text-align: left;">T</span><span style="text-align: left;">ra
gli operai, uomini, che avevano per un periodo lavorato alla Triangle
Shirtwaist Company, c’era anche <b>Morris Rosenfeld</b>.</span></span></p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><span style="text-align: left;"><br /></span></span></p><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjpP9X-emIfIorJPkfdH5f1y55TuyvaTLRPIc2oJIm6jAVbP3CN1lN5f8HMuTOeyYRFKZKAu1O_BrisJqfPeaCTMGduSmao6gapplAQDoCkP3r5eD66DV08NNwv7vmmx6G8BdHM1KIC4v5MYQECfkARoac8wbefoqbYbwFmaejD1ZMLCi0HKrUXOkGuwPXg/s300/triangmoris.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="300" data-original-width="236" height="300" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjpP9X-emIfIorJPkfdH5f1y55TuyvaTLRPIc2oJIm6jAVbP3CN1lN5f8HMuTOeyYRFKZKAu1O_BrisJqfPeaCTMGduSmao6gapplAQDoCkP3r5eD66DV08NNwv7vmmx6G8BdHM1KIC4v5MYQECfkARoac8wbefoqbYbwFmaejD1ZMLCi0HKrUXOkGuwPXg/s1600/triangmoris.jpg" width="236" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-family: helvetica; font-size: large; text-align: left;">Morris Rosenfeld (1862-1923)</span></td></tr></tbody></table><br /><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: helvetica; text-align: left;">Non
era più un ragazzino, Morris Rosenfeld. Era nato nel 1862, e nel
1911 aveva quindi quasi quarant’anni. Era nato in Polonia, all’ora
parte dell’Impero Zarista russo, ed era emigrato negli Stati Uniti,
senza un soldo, per sfuggire alla terribile leva militare zarista
(che durava </span><i style="font-family: helvetica; text-align: left;">venticinque </i><span style="font-family: helvetica; text-align: left;">anni).
Era stato educato alla ribellione fin dall’infanzia, da suo padre;
come tutti gli ebrei polacchi e dell’Europa orientale, la sua
lingua materna era lo yiddish. Lo yiddish è, in realtà, un dialetto
tedesco medievale con una consistente parte del lessico derivata però
dall’ebraico, e scritta in una forma leggermente modificata
dell’alfabeto ebraico.</span></span></p>
<p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><span style="text-align: left;">Morris
Rosenfeld era e rimase un grande poeta proletario; di fede anarchica;
scrisse e compose esclusivamente in yiddish. E’ stato considerato
come il poeta del ghetto, ma, soprattutto, dello </span><i style="text-align: left;">sweatshop</i><span style="text-align: left;">;
per vivere in America, infatti, aveva lavorato in tutta una serie di
tali laboratori con paghe da fame e con l’ossessione dei controlli
e del caporeparto munito di orologio, per quattordici ore al giorno.
In tutti gli Stati Uniti, spostandosi qua e là. Nel 1908, e riecco
quel fatidico anno, lavorava proprio alla Triangle Shirtwaist Company
al momento dello “Sciopero delle Ventimila”, per le quali
componeva poesie e canzoni di solidarietà. Tra di esse, quella che
sarebbe divenuta la sua più famosa, </span><i style="text-align: left;">Mayn rue-plats</i><span style="text-align: left;">
(scrivo in trascrizione), vale a dire: “Il mio luogo di riposo”,
o meglio, “La mia tomba”, “Il mio sepolcro”.</span></span></p>
<p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><i style="text-align: left;">Mayn
rue-plats </i><span style="text-align: left;">è una canzone dove si
dice che la fabbrica sarà la sua tomba, come lo fu per le sventurate
operaie e per i lavoratori della Triangle Shirtwaist Company. Scritta
per le operaie di quella fabbrica, fu, dopo l’incendio del 25 marzo
1911, associata automaticamente a quella tragedia, divenendo come il
suo inno, la sua canzone. Ed è esattamente per questo motivo che, in
seguito, è diventata, negli Stati Uniti e dovunque ancora si parli e
si intenda lo yiddish, la canzone dell’Otto Marzo. Non è esagerato
affermare che, alla costituzione e alla formazione di quella festa
nel suo significato più profondo, abbia contribuito non poco.
Scrit</span><span style="text-align: left;">ta
da un uomo che condivideva tutti i giorni il destino, le condizioni
di vita, le aspirazioni e le speranza di quelle povere persone
immigrate, donne e uomini, che </span><span style="text-align: left;">lavoravano
nel più totale sfruttamento e che morivano nelle fabbriche, non solo
per incendi o altre catastrofi.</span></span></p>
<p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium; text-align: left;">Mi
rivolgo qui, se leggeranno, alle donne con cui, proprio stamani, ho
voluto cantare questa canzone (non completamente: ho saltato una
strofa) in casa di Lucia F., per ricordarla di fronte all’urna
contenente le sue ceneri, in un momento di memoria e condivisione
proprio in quella lingua di cui conosceva ancora qualche parola, e
che forse rappresentava la sua lontana provenienza. Quello che segue
è il testo in yiddish, accompagnato da una traduzione. Grazie a
tutte voi e un abbraccio.</span></p>
<p style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br /></span></p><div style="text-align: center;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><iframe allow="accelerometer; autoplay; clipboard-write; encrypted-media; gyroscope; picture-in-picture; web-share" allowfullscreen="" frameborder="0" height="315" src="https://www.youtube.com/embed/PZ8Dv92ske4?si=RMr7PdJYGPTORAx9" title="YouTube video player" width="560"></iframe></span></div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">
</span><p></p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br /></span></p>
<p align="center" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><i>Nit
zukh mikh vu di mirtn grinen,</i></span></span></p>
<p align="center" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><i>Gefinst
mikh dortn nit, mayn shats.</i></span></span></p>
<p align="center" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><i>Vu
lebens velkn bay mashinen,</i></span></span></p>
<p align="center" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><i>Dortn
iz mayn rue-plats,</i></span></span></p>
<p align="center" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><i>Dortn
iz mayn rue-plats.</i></span></span></p>
<p align="center" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br />
</span></p>
<p align="center" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><i>Nit
zukh mikh vu di feygl zingen,</i></span></span></p>
<p align="center" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><i>Gefinst
mikh dortn nit, mayn shats.</i></span></span></p>
<p align="center" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><i>A
shklaf bin ikh, vu keytn klingen,</i></span></span></p>
<p align="center" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><i>Dortn
iz mayn rue-plats,</i></span></span></p>
<p align="center" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><i>Dortn
iz mayn rue-plats.</i></span></span></p>
<p align="center" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br />
</span></p>
<p align="center" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><i>Nit
zukh mikh vu fontanen shpritsn,</i></span></span></p>
<p align="center" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><i>Gefinst
mikh dortn nit, mayn shats.</i></span></span></p>
<p align="center" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><i>Vu
trern rinen, tseyner kritsn,</i></span></span></p>
<p align="center" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><i>Dortn
iz mayn rue-plats,</i></span></span></p>
<p align="center" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><i>Dort
iz mayn rue-plats.</i></span></span></p>
<p align="center" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br />
</span></p>
<p align="center" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><i>Un
libstu mikh mit varer libe,</i></span></span></p>
<p align="center" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><i>To
kum tsu mir, mayn guter shats.</i></span></span></p>
<p align="center" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><i>Un
hater af mayn harts dos tribe,</i></span></span></p>
<p align="center" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><i>Un
makh mir zis mayn rue-plats,</i></span></span></p>
<p align="center" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><i>Un
makh mir zis mayn rue-plats.</i></span></span></p>
<p align="center" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br />
</span></p><p align="center" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><iframe allowfullscreen="" class="BLOG_video_class" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/Irp5hBhtSkQ" width="320" youtube-src-id="Irp5hBhtSkQ"></iframe></div>(Interpretata in inglese da June Tabor, 1988)<br /><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br /></span><p></p>
<p align="center" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span><span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium; font-style: normal;">Non
mi cercare nel mirteto,</span></span></span></p>
<p align="center" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span><span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium; font-style: normal;">Non
mi cercare là, amore mio.</span></span></span></p>
<p align="center" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span><span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium; font-style: normal;">Dove
le vite ai macchinari</span></span></span></p>
<p align="center" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span><span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium; font-style: normal;">Si
spezzano nel logorio,</span></span></span></p>
<p align="center" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span><span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium; font-style: normal;">Quello
là è il sepolcro mio.</span></span></span></p>
<p align="center" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br />
</span></p>
<p align="center" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span><span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium; font-style: normal;">E
né tra il canto degli uccelli,</span></span></span></p>
<p align="center" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span><span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium; font-style: normal;">Non
mi cercare là, amore mio.</span></span></span></p>
<p align="center" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span><span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium; font-style: normal;">Ma
tra gli schiavi incatenati,</span></span></span></p>
<p align="center" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span><span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium; font-style: normal;">Tra
loro, sì, ci sono anch’io.</span></span></span></p>
<p align="center" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span><span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium; font-style: normal;">Quello
là è il sepolcro mio.</span></span></span></p>
<p align="center" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br />
</span></p>
<p align="center" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span><span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium; font-style: normal;">Non
mi cercar tra le sorgenti,</span></span></span></p>
<p align="center" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span><span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium; font-style: normal;">Non
mi cercare là, amore mio.</span></span></span></p>
<p align="center" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span><span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium; font-style: normal;">Ma
tra i digrigni in mezzo al pianto,</span></span></span></p>
<p align="center" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span><span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium; font-style: normal;">Quello
è il mio solo zampillìo,</span></span></span></p>
<p align="center" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span><span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium; font-style: normal;">Quello
là è il sepolcro mio.</span></span></span></p>
<p align="center" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br />
</span></p>
<p align="center" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span><span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium; font-style: normal;">E
se mi ami d’amor vero,</span></span></span></p>
<p align="center" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span><span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium; font-style: normal;">Allora
vieni, amore mio.</span></span></span></p>
<p align="center" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span><span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium; font-style: normal;">E
poni fine a quel dolore</span></span></span></p>
<p align="center" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span><span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium; font-style: normal;">Che
stringe e serra il cuore mio,</span></span></span></p>
<p align="center" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span><span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium; font-style: normal;">Dolce
sarà il sepolcro mio.</span></span></span></p>
<p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br />
</span></p><br /><p></p>Riccardo Venturihttp://www.blogger.com/profile/10076610025117360920noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-5730727329261310709.post-17524487667659959602024-01-09T01:00:00.008+01:002024-01-09T11:40:34.458+01:00Sottoverga<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiEodgY40BcqE7L0S0Km6XtUr0WhTGt28wOawrbeik0S-hs_wNOvmem-WNX3ZFkZHMn9GfwNtP8UMxpCzymskc5zTQntdCU4OjMj9HHbYUEAuwdIaolIQQAVevWMhKdQH1YM8MSlXd2WgGzzmWQyA4q4bjBHQyUeoqU6JLt8CiKhPEDA_-X2jN41IkAzrnc/s259/sottoverga.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="259" data-original-width="194" height="342" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiEodgY40BcqE7L0S0Km6XtUr0WhTGt28wOawrbeik0S-hs_wNOvmem-WNX3ZFkZHMn9GfwNtP8UMxpCzymskc5zTQntdCU4OjMj9HHbYUEAuwdIaolIQQAVevWMhKdQH1YM8MSlXd2WgGzzmWQyA4q4bjBHQyUeoqU6JLt8CiKhPEDA_-X2jN41IkAzrnc/w256-h342/sottoverga.jpg" width="256" /></a></div><br /><p></p><p></p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: Liberation Serif, serif;"><span style="font-size: medium;">Faccio
una fatica del diavolo a scrivere, anzi, a <i>digitare. </i><span style="font-style: normal;">Non
ci vedo, per le cateratte oculari che ancora mi devono operare. Sono
annebbiato cronico, ancor di più di quanto io sia stato
costantemente annebbiato nella mia vita; ho raggiunto, finalmente,
l’età della prostata certificata, del terzoetatismo militante, del
“signore, si vuole sedere”? E mi siedo, budello d’eva se mi
siedo. Ringrazio il ragazzo o la signorina gentilissima. Sono, devo
dire, piuttosto educato anche se, alle volte, qualche rimasuglio di
giovanile inciviltà mi rimane appiccicato. Ieri, ad esempio, in compagnia di
qualche giovane amico, sono srato parecchio inurbano nei confronti di una ragazzotta che, su un marciapiede del
centro di fronte al vecchio cinema teatro “Apollo”, protestava
perché camminavo piano e mezzo barcollando. </span><span style="font-style: normal;">Ci
aveva, la graziosa giòvine, una qualche declinazione di fretta sua, e bubava per farsi
strada; alla fine se la è fatta, la sua strada del cazzo, venendo
investita immantinente da una sequela di improperi molto volgari da
parte mia, te e la maialaccia di to’ mae, t’arrovescio brutta
stronza, e cose del genere che contrastano alquanto con tutta la mia
storia, col politicàlli corrett, con tutto quanto anche se glielo
avrei detto fosse pure stata un ragazzotto, un rude operajo o un'iguana. Probabilmente, non sono più di questo mondo; condizione
normale quando si raggiunge una certa età e convenzionale. Che
soddisfazione, però, vedendola spaventata; nonostante sia una specie
di rottame semovente, ancora quel metro e 94 di statura </span><span style="font-style: normal;">e
quello sguardaccio da merda secca </span><span style="font-style: normal;">ce
l’ho, sebbene io sia certo che, in un eventuale scontro fisico, anche
un bambino di dieci anni mi butterebbe giù facilmente.</span></span></span></p>
<p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: "Liberation Serif", serif; text-align: left;">Indossavo,
col cappuccio tirato su, la mia “felpa da scontri”, regalo di un amico </span><span style="font-family: "Liberation Serif", serif; text-align: left;">caro </span><span style="font-family: "Liberation Serif", serif; text-align: left;">che
canta canzonacce partigiane e roba del genere in più d’un coro.
</span><span style="font-family: "Liberation Serif", serif; text-align: left;">Felpa da scontri sì, perché
è la felpa degli ultras del Montecatini Calcio. Da immaginarsi
sedute di sprangate e cazzotti con gli ultras del Fucecchio, o della
Cuoiopelli di Santa Croce sull’Arno; la felpa, nerissima come
s’addice alla bisogna, </span><span style="font-family: "Liberation Serif", serif; text-align: left;">è
attraversata da una misteriosa scritta, “SOTTOVERGA”, che riporta
in realtà a un quartiere di Montecatini. Si chiama “Sottoverga”
perché si trova al di là (o al di qua) della ferrovia; di fronte,
immagino ma non ne sono certo, ci sarà la “Sopravverga” o
qualcosa del genere. Le ferrovie, specie quelle locali -in via di
estinzione, naturalmente-, hanno questa singolare car</span><span style="font-family: "Liberation Serif", serif; text-align: left;">atteristica di dividere, di
segnare “identità” sottili e tremende, di affidare a un pallone
lontanissim</span><span style="font-family: "Liberation Serif", serif; text-align: left;">o storie,
controstorie e metastorie. E così, eccomi con la felpa a massacrare
una giovane tizia sculettante, anch’io lontanissimo dalle mie
storie; e chissenefrega, dio cagnaccio, e vaffanculo. Evviva
l’anarchia! Non so perché lo dico qua, scritto in caratteri 18
perché sennò non vedo manco quello che sto scrivendo; ma m’andava
così, giunti ad un certo punto del proprio percorso di vita si
trova, o si ritrova il gusto di dire quel che va, senza preoccuparsi
di niente.</span></span></p>
<p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: "Liberation Serif", serif; text-align: left;">G</span><span style="font-family: "Liberation Serif", serif; text-align: left;">iovedì
quattro gennaio del duemila e ventiquattro. Il Natale, dicono, è il
ventiquattro; anzi, lo diceva un briaco livornese che scriveva
canzoni e che ho fatto, molti anni fa, addirittura risorgere. E’ un
anno un po’ particolare, ‘sto ventiquattro; la mia linea diretta,
chiamiamola così, compie un secolo esatto. Mio padre era del
Ventiquattro, sì, ma del mille e novecentoventiquattro. E’ morto
nel 1997 a 73 anni, ma è come, assieme a lui, quest’anno io
compissi un secolo. Non che ci abbia avuto sempre, anzi quasi mai, un
rapporto ottimale; se devo parlarne con tutta sincerità, direi anzi
che la più profonda profondità che ci siamo passati è tutta a base
di debolezze senza soluzione. Ma così è; il quattro gennaio di
questo ventiquattro centenariale, insomma, la mia vicina di casa,
amica e sorella, l’ho dovuta far ricoverare a forza perché stava
morendo. Sono tematiche e dinamiche di cortile, non pretendo che chi
legga -ammesso e non concesso che ancora ci sia, perché non scrivo
oramai quasi più niente- possa capire. C’è anche un gatto di
mezzo, che in questo momento dorme beato sul letto; un gatto
rappresenta probabilmente la summa di tutte le idiote filosofie
umane, di cui si fa sovrana beffa col suo semplice essere gatto.</span></span></p>
<p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: "Liberation Serif", serif; text-align: left;">E
così, stasera, otto gennaio, a feste finite, con le lucine che si
spengono gradatamente, con un freddo che comincia a farsi finalmente
gennajesco, eccomi in viaggio, poco dopo passate le sei della sera,
verso l’ospedale. Bisogna che ci vada, prima il 9, poi la tranvia,
e poi il bussino 27 da una fermata dedicata a quella fava di Pietro
Nenni. M</span><span style="font-family: "Liberation Serif", serif; text-align: left;">a quante cose, mi
chiedo, saranno state dedicate a delle emerite fave lesse? Anche se
“antifasciste”, anche se sono state perseguitate, certo; sempre
fave restano. Ho indosso, per andare a trovare questa amic</span><span style="font-family: "Liberation Serif", serif; text-align: left;">a
che viene da un paese dall’altro capo del mondo, la felpa nera del
Sottoverga; ci ha quel cappuccio da mazzate, avvolgente, che protegge
dal freddo la mia testaccia di cazzo nella quale si agitano, e non da
ora, delle cose che neppure io ho mai compreso appieno nonostante,
ultimamente, una qualche lucetta si sia fatta strada portandomi,
com’è d’uopo, al silenzio pressoché totale. Cose di quando si
va dentro un ospedale, nel quale, fra l’altro, mi sono spesso
ritrovato di persona. Mi ci muovo come fosse quasi casa mia; i
corridoi, i piani, i reparti. Le carezze. Le telefonate. D’accordo,
ci ho pure la mitologia personale, accuratamente coltivata, </span><span style="font-family: "Liberation Serif", serif; text-align: left;">di
essere rimasto uno fra i pochi senza smartphone; tutto falso. Da un
annetto almeno ce lo ho eccome, e anche bellino, Motorola, ola ola,
vo a dormire nell’aiòla. E uso Whatsapp. Addio mitologia, il
gattone continua a dormire beato sul letto e l’inverno avanza
inesorabile.</span></span></p>
<p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: "Liberation Serif", serif; text-align: left;">E</span><span style="font-family: "Liberation Serif", serif; text-align: left;">sco
dall’ospedale alle otto di sera passate. Felpa piantata addosso,
ultras del Montecatini, sigaretta in bocca, telefonate a mezzo mondo
e non è un modo di dire vis</span><span style="font-family: "Liberation Serif", serif; text-align: left;">to
che devo scrivere, per informarlo, a un suo fratello che sta dietro
l’angolo, solo undicimila chilometri di distanza, e che vuoi che
sia mai, Estado del Salta, Argentina, don’t cry for me, in uno
spagnolo che ve lo raccomando, di quelli che se Cervantes mi vedesse
mi manderebbe addosso dodici Donchisciotti e otto Sancipanza dicendo
loro che sono il mulino a vento di Satana. Tutto stazionario. Quando
si esce da un ospedale, di persona o per conto terzi, ogni cosa è
sempre stazionaria. Anche la morte, volendo, è stazionaria; </span><span style="font-family: "Liberation Serif", serif; text-align: left;">ci
staziona addosso fin dal primo momento, fin dal primo vagito, che poi
è la stessa parola di “guaito”, nel medesimo rapporto che
“vagina” ha con “guaina”. Derivazioni colte e derivazioni
popolari, l’uomo e il cane. Stazionando con il cappuccio del
Sottoverga calato sul capo, eccomi andare a riprendere l’autobus.
Che fare di questa serataccia d’inverno? “Era una serataccia
d’inverno”, recita l’incipìtte di un capitolo del Pinocchio,
nel quale il burattino, spinto dai morsi della fame, esce di casa per
andare in paese a cercare qualcosa da mangiare, preparandosi a mille
disavventure che lo porteranno, una volta tornato a casa, a bruciarsi
i piedi non senza aver prima schiacciato il Grillo Parlante.</span></span></p>
<p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: "Liberation Serif", serif; text-align: left;">P</span><span style="font-family: "Liberation Serif", serif; text-align: left;">oiché,
nella mia serataccia d’inverno, effettivamente a casa non ho
granché da mangiare, prendo la drastica decisione: scendere
dall’autobus, pigliare la tranvia alla fermata “Arcipressi” e
andare fino al supermercato PAM di via Francavilla, che -dice- rimane
aperto addirittura fino alle ore 22. Lo dice l’Internet, e
l’Internet non sbaglia mai. Fermata Sansovino. Cento metri a piedi.
No, che dico: forse saranno duecento. Non so che mi succede; fa un
freddo da pelare, sono reduce da due settimane invirussate, ho avuto
la febbre a 39, non ci vedo un cazzo carpiato e arrovesciato,
barcollo, non scrivo più nulla, e devo farmi ogni giorno quattro
insuline e prendere nove pasticche dai nomi inquietanti. Scatta il
famoso canto del cigno.</span></span></p>
<p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: "Liberation Serif", serif; text-align: left;">Vado
come un treno. </span><span style="font-family: "Liberation Serif", serif; text-align: left;">Mi fo i
sognini: ora mi compro i carciofini pe’ fàmmi la frittàa, tre
etti di bologna tagliata alta e la stiacciàa, e guardo se ciànno i’
Gutturnio. Gnamme. Ciò una fame che sciànguino, d’accordo, lo
dico in pisano ma rende l’idea. Eccomi davanti all’ingresso del
PAM e mi si para davanti un vigilante, una mezzasega d’un metro e
sessanta di altezza, e pure d’un metro e sessanta di larghezza, e
mi sbarra la strada. “Inventario”. Il PAM è chiuso alle
diciannove, oggi otto gennaio di quell’anno in cui mio padre
avrebbe compiuto cent’anni. Tiro una salva di mòccoli in faccia al
malcapitato, che peraltro capisce e allarga du’ bracci simili a
biroldi.</span></span></p>
<p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: "Liberation Serif", serif; text-align: left;">E
allora mi dico: perché non andare all’Acqua Santa? Una trattoria
che si chiama così perché si trova all’inizio di una strada che
si chiama Via del Palazzo dei Diavoli. Non c’è nessuno. E’ una
serataccia d’inverno, maladett’a lui. C’è un’amica più di
là che di qua. Un risottone coi funghi porcini, mezzo litro di rosso
e il padrone, un pakistano che si stupisce un pochino quando gli dico
della lingua urdu, mi mette addirittura i Bìtols. Hey Jude, don’t
make it bad. Ora, d’accordo, non lo sa che a me i Bìtols mi hanno
fatto quasi sempre cacare, </span><span style="font-family: "Liberation Serif", serif; text-align: left;">in
questo la penso come quel coacervo di boria e di supponenza di Piero
Scaruffi, ma è così. Entra un altro sparuto avventore, ordina una
pizzaccia che più che margherita si potrebbe definire piscialletto e
ci si mette a parlare di cani e di gatti mentre Hey Jude si cangia
nel sottomarino giallo, nel penni lèin, in quello che ti pare ma va
bene ogni cosa mentre là fuori il gelo bisbiglia un pochino sommesso
e non si sente niente tranne i passi d’un raro viandante, ché in
via del Palazzo dei Diavoli davanti all’osteria dell’Acqua Santa
un viandante ci sta sempre bene anche se siamo in un quartiere d’una
città del duemila e ventiquattro. Comincia a volare il vino. Sì, lo
so. Non dovrei bere. A dire il vero, mi riesce anche benino non bere,
ultimamente; litri d’acqua. Tutto sommato, sono diventato quasi
bravino. Una volta degrumato il risotto co’ funghi, bevuto, pagato
e parlato di cani e di gatti, decido che è ora di tornare a casa. A
piedi. Quant’è che non facevo la strada a piedi, da lì a casa mia
sono quei due chilometri o quasi che, una volta, facevo regolarmente
senza fiatare. Fa veramente freddo. Il Generale Inverno. </span><span style="font-family: "Liberation Serif", serif; text-align: left;">Mi
viene quasi da fargli il saluto militare, strade di Stalingrado,
tutto quel che si vuole mentre parto col cicchino e vado che sembro
unto, senza barcollare, vedendo tutto chiaro nel buio che non è
pesto, ma non è neanche luce.</span></span></p>
<p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: "Liberation Serif", serif; text-align: left;">I
miei romanzi picareschi sono </span><span style="font-family: "Liberation Serif", serif; text-align: left;">robaccia
di quartiere. Sono camminate nella notte dopo essere stati a un
ospedale, aver mangiato una cofana di risotto coi funghi e bevuto
mezzo litro di vino. A dire il vero, gli ultimi trecento metri me li
son fatti raccattato dal 9 perché stavo cominciando a perdere
qualche colpo; però, giù, fino a via Modigliani avevo retto come
una volta, cicchino in bocca, cantando persino “Ja nuns hons pris”,
anno 1194, scritta e musicata da un mio omonimo, tale Riccardo Cuor
di Leone, di professione re d’Inghilterra. Ja nuns hons pris ne
tendra sa raison, adroitement ne dolantement non...chissà che non
sia l’ultima, chissà se la notte gelida capirà. Chissà che, per
sentirmi per mezzo secondo vicino a quel dio che, disperatamente, non
esiste e non ce la farà mai ad esistere nonostante i suoi comici sforzi, non abbia dovuto passare per un
ospedale, per un vigilante simile al fiaschetto del Monopoli, per un
risotto coi funghi e per la Sottoverga d’una felpa calata addosso
per fare gli scontri con gli ultras del </span><span style="font-family: "Liberation Serif", serif; text-align: left;">Lautes
Nichts.</span></span></p><br /><p></p>Riccardo Venturihttp://www.blogger.com/profile/10076610025117360920noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-5730727329261310709.post-7766010460296843442023-02-15T14:14:00.002+01:002023-02-15T14:30:05.673+01:00Nessun uomo è un uomo qualunque<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgid7kHIYmhTP2SGnvjfnxkoFRO2HjxDKHnIXRhrSoIfdCtBdfydOLmXSTNooqEcL-yG8wxF-445ySdFAljcESUtHpW6ZWitNJgx3bXMr5E7ohQEFXqrZ4BqzinET7iOMr5ihBH7Gku_u5Zcd7FFHVTPsMVWFn_jPr3AbJAbXf_8cks5gv1_fDRhW5gZQ/s480/kizes.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="360" data-original-width="480" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgid7kHIYmhTP2SGnvjfnxkoFRO2HjxDKHnIXRhrSoIfdCtBdfydOLmXSTNooqEcL-yG8wxF-445ySdFAljcESUtHpW6ZWitNJgx3bXMr5E7ohQEFXqrZ4BqzinET7iOMr5ihBH7Gku_u5Zcd7FFHVTPsMVWFn_jPr3AbJAbXf_8cks5gv1_fDRhW5gZQ/s320/kizes.jpg" width="320" /></a></div><br /><p></p><p><i>Articolo (o qualcosa del genere) a proposito di una canzone di Claudio Lolli, cantautore bolognese. Pubblicato originariamente come introduzione alla canzone sul sito "Canzoni Contro la Guerra", il 6 settembre 2013. Avvertenza; all'epoca mi riferivo a Claudio Lolli come persona vivente; è scomparso il 17 agosto 2018. Vorrei dedicare questo "repost", corredato di un video, a una persona in particolare: Domenico "Nico" Chillemi. He knows why.</i></p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><iframe allowfullscreen="" class="BLOG_video_class" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/RxTQyAYa_JI" width="320" youtube-src-id="RxTQyAYa_JI"></iframe></div><br /><p></p><p>L'Italia è, come è noto, il paese dei delitti impuniti, specie quelli per mano statale e/o poliziotta; ma anche quelli per mano musicale non sono pochi. L'album <i>Dalla parte del torto</i>, che Claudio Lolli ha pubblicato nel 2000 (il famoso duemila che tanto si aspettava, un tempo), ne è un esempio perfetto. Non so davvero che dire; può essere che Lolli, a parte il suo lungo silenzio dopo “quei certi anni”, abbia pagato la sua superficialissima fama di “cantautore palloso”, affibbiatagli specialmente nei pallosissimi, mortalmente stupidi e deleteri anni '80; c'è persino chi lo chiamava “istigatore al suicidio”, mentre mi sembra che i veri istigatori al suicidio si siano rivelati non i cantautori bolognesi, ma i banchieri internazionali o i fabbricatori di galere. Tant'è; fatto sta che, quando Claudio Lolli è risaltato fuori non senza il contributo di un'Internet che oramai sembra preistorica, ha avuto voglia a comporre capolavori uno dietro l'altro facendosi accompagnare dal maestro Capodacqua; non se lo è filato nessuno o quasi. Resta quello di <i>Borghesia</i> (tra l'altro riproposta nel medesimo album col suo agghiacciante “forse”), e stop. Ha provato pure a scrivere una canzone su Gilles Villeneuve che, naturalmente, non è stata cacata di striscio nemmeno a un raduno di tifosi ferraristi della bassa mantovana; figuriamoci se qualcuno, tranne pochi ostinati e contrari, si è accorto, per esempio, di questa canzone qua cui oggi dedico una pagina che avrei dovuto dedicarle prima.</p><p><i>Nessun uomo è un uomo qualunque</i> la si potrebbe chiamare, agevolmente, la premessa necessaria non soltanto delle “canzoni contro la guerra” (il che sarebbe una cosa abbastanza trascurabile), ma di tutta una serie di cose che regolano l'umanità intera. E' una canzone terribilmente semplice, proveniente ironicamente da un cantautore che è stato considerato tra i più ostici alla comprensione (parecchi hanno cantato “Anna di Francia” credendo che parlasse di una regina dell'ancien régime, naturalmente la consorte di quel coglione di Luigi Nono, o Louis IX). Dice, questa canzone, che non esiste la “gente”, ma esistono le persone; tutte con la loro vita e la loro storia. Dice che non si ha il diritto di non portare loro rispetto, e il rispetto non va attualmente per la maggiore (se mai c'è andato). Dice che la valigia di ognuno di noi è piena di alcune cose che andrebbero attentamente considerate, e che vengono minuziosamente elencate nel testo. Sciorinate una dopo l'altra. Un regalo, una rosa, un pigiama in galera. Una giacca logora (libertà e povertà in una sera). Un dolore che piega la schiena. </p><p>Così, si ascolta questa canzone e si tende prima o poi a esserne toccati, persino a commuoversi. Perché si applica tutto quanto a noi stessi, e ci si rivede in essa; noi uomini qualunque, ecco finalmente qualcuno che dice che nessuno è ordinario. Una consolazione. Siamo poi, però, gli stessi che facciamo fatica ad applicare i medesimi princìpi agli altri, princìpi che sono enunciati minuziosamente nelle loro essenze (la sofferenza, l'amore, la libertà). Non siamo così pronti a considerare speciale, e mai qualunque, chi ad esempio si getta su un gommone o su un barcone per venire a approdare da queste parti; la massa dei clandestini, degli immigrati soggetti a bossi-fini e CIE. Non-persone che non possono avere avuto, e avere, amori, dolori, regali, rose, giacche e libertà. Può quindi venire a mente, e così dovrebbe essere, che nessun uomo è qualunque come non è illegale. Può venire a mente che nelle galere non sta la “popolazione carceraria” fatta di statistiche, ma persone cui noialtri riserviamo le atroci ciance sulla “certezza della pena” e il forcaiolismo da bar. Può venire a mente che chi sta arrivando a Lampedusa o altrove non sono generici “profughi siriani”, ma Mohamed ibn-Qualcosa o Aisha bint-Qualcosaltro, che hanno lasciato regali, rose e tutto il resto da qualche parte che non rivedranno. Possono venire a mente ragazzi qualunque come Federico Aldrovandi, come Stefano Cucchi, come Marcello Lonzi, come Alexis Grigoropoulos, come Giorgiana Masi. Può venire a mente, in definitiva, che nessun uomo e nessuna donna sono qualunque, a condizione che non siano qua sotto casa a rompere i coglioni, sotto una forma non troppo gradevole. Che so io, in forma di zingaro, di matto, di dimenticato. O in forma di “fallito”, uno dei termini che la società capitalista ha diffuso applicando tipicamente la mentalità e la prassi commerciale alla vita e alla morte umana.</p><p>Attenzione, quindi, a commuovervi troppo quando avrete ascoltato questa canzone senza conoscerla. Proprio lei, quella del Lolli “palloso”. Potreste reagire come tutti e pensare esclusivamente alla vostra vita del cazzo, che vi urla “qualunque!” da qualunque angolo di un luogo qualunque di questo mondo. Quando comincerete a guardare chi vi passa accanto pensando alle persone come portatrici di unicità, allora vorrà dire che la avrete capita bene o, addirittura, assimilata. Potrebbe, questa cosa, farvi decidere alcune cose non propriamente gradite ai poteri e ai sistemi, per i quali è fondamentale che tutti noi siamo dei Qualunque proni all'obbedienza, alla massificazione, ai pensieri unici. L'unicità, invece, è pericolosissima: crea consapevolezza, forza e coraggio. Tre cose che, a loro volta, creano il <b><span style="color: red;">no</span></b>. Creano la ribellione. </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEied4DFbMJ18GKGMgFfm9vmCcwRdGLk8Brp9DukgkdgoTkZABjfRdT54tUrNB0dUNi-48u_Au8chsAd2zj-M0LRoaUR34dIof-Pmw-W2oBqTEt1WrYC8dtUxTIFgcQK_l17FMIth7k4we4tl9ewHWIaiJlxYn42qp38Uo3Mryn5Czm0HCi0053sHaNVqg/s592/landme.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="362" data-original-width="592" height="196" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEied4DFbMJ18GKGMgFfm9vmCcwRdGLk8Brp9DukgkdgoTkZABjfRdT54tUrNB0dUNi-48u_Au8chsAd2zj-M0LRoaUR34dIof-Pmw-W2oBqTEt1WrYC8dtUxTIFgcQK_l17FMIth7k4we4tl9ewHWIaiJlxYn42qp38Uo3Mryn5Czm0HCi0053sHaNVqg/s320/landme.jpg" width="320" /></a></div><br /><p>Buon ascolto. </p><p><br /></p><p><br /></p><p><i><br /></i></p>Riccardo Venturihttp://www.blogger.com/profile/10076610025117360920noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-5730727329261310709.post-72993655237465243842022-05-10T21:12:00.004+02:002022-05-11T01:32:04.050+02:00Invectiva in carbonaram<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><iframe allowfullscreen="" class="BLOG_video_class" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/cnKkBQ32bsw" width="397" youtube-src-id="cnKkBQ32bsw"></iframe></div><br /><p><br /></p><p></p><p align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><em><span style="color: black;"><span><span style="font-style: normal;"><span style="font-weight: normal;"><span style="background: transparent;">Sì,
certo, lo so, la </span></span></span></span></span></em><em><span style="color: black;"><span><i><span style="font-weight: normal;"><span style="background: transparent;">pandemia</span></span></i></span></span></em><em><span style="color: black;"><span><span style="font-style: normal;"><span style="font-weight: normal;"><span style="background: transparent;">
non va via e c'è la guerra. Ma poiché ho rinunciato fin dall'inizio
a far sentire il mio parere su questi capitali avvenimenti
dell'attualità e a contribuire al chiacchiericcio globale col mio
granellino di stronzate, vorrei -per quanto mi è possibile, cioè
molto poco- focalizzare l'attenzione su una questione molto più
seria che attanaglia il nostro paese e, direi, anche una buona parte
del mondo: gli spaghetti alla carbonara.</span></span></span></span></span></em></span></p>
<p align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;"><em style="font-family: verdana; text-align: left;"><span style="color: black;"><span style="font-style: normal;"><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">Lo
dico subito: a me la carbonara piaceva. Anzi, dirò di più: piaceva
un botto. Ero di quelli che se ne mangiava tranquillamente tre etti
buoni, y con mucho gusto. Ero di quelli che, in compagnia di
presupposti </span></span></span></em><em style="font-family: verdana; text-align: left;"><span style="color: black;"><i><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">amici</span></i></span></em><em style="font-family: verdana; text-align: left;"><span style="color: black;"><span style="font-style: normal;"><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">,
mettevo il broncio se non me ne toccava una congrua porzione. Ero di
quelli che me toccava pijàmme le lezziòni de carbonara (il bello è
che non mi è mai successo da parte da un romano). Ero di quelli, e
non lo sono più. Ora, odio gli spaghetti alla carbonara. Non li
sopporto più. Non ne voglio più sentire neanche il puzzo. Mi hanno
randomizzato le gonadi. Da quando?</span></span></span></em></span></p>
<p align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;"><em style="font-family: verdana; text-align: left;"><span style="color: black;"><span style="font-style: normal;"><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">Da
quando non passa giorno. Da quando ci sono le </span></span></span></em><em style="font-family: verdana; text-align: left;"><span style="color: black;"><i><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">eccellenze.
</span></i></span></em><em style="font-family: verdana; text-align: left;"><span style="color: black;"><span style="font-style: normal;"><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">Da
quando imperversano gli chef. Da quando gli spaghetti alla carbonara
hanno cessato di essere un piatto di pasta alla buona e sono
diventati un simbolo dell'</span></span></span></em><em style="font-family: verdana; text-align: left;"><span style="color: black;"><i><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">identità
nazionale.</span></i></span></em><em style="font-family: verdana; text-align: left;"><span style="color: black;"><span style="font-style: normal;"><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">
Non ho mai sopportato le identità, e men che mai quelle nazionali,
ma riconosco di avere senz'altro indulto a talune di esse; ma,
oramai, la carbonara è passata in mano ai talebani e, allora, ho
defezionato. Defezione facilitata anche dal fatto che sono diabetico,
e che non posso riempirmi di carboidrati; ma non sto a sottilizzare
troppo, tenendo anche conto che, della mia salute, potrebbe non
fregarglieme niente a nessuno; e lo capisco alla perfezione.</span></span></span></em></span></p>
<p align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;"><em style="font-family: verdana; text-align: left;"><span style="color: black;"><span style="font-style: normal;"><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">Sfogliare
i giornali, a partire dalla </span></span></span></em><em style="font-family: verdana; text-align: left;"><span style="color: black;"><i><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">Repubblica
con l'Elmetto</span></i></span></em><em style="font-family: verdana; text-align: left;"><span style="color: black;"><span style="font-style: normal;"><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">,
è diventato un carbonara-tour. Putin? Il virologo? Zhelensky? Il
GIMBE? La violenza sulle donne? Lo scudetto? Macché, notizie di
secondo piano. Quotidianamente, c'è prima da sorbirsi la dose
quotidiana di carbonara news. Filologia della carbonara, in primis: i
soldati americani? I carbonari (non quelli del Risorgimento, quelli
proprio del carbone)? La zia Pina de via der Mandrione? Il brigante
Erasmo Schioppettone di Amatrice, che giustappunto fu bandito dal
paese e si diede al brigantaggio perché lui il guanciale lo voleva
mangiare con le uova invece che con il pomodoro e er pecorino? Fosse
soltanto questo; il problema è che, oramai, i </span></span></span></em><em style="font-family: verdana; text-align: left;"><span style="color: black;"><i><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">media
</span></i></span></em><em style="font-family: verdana; text-align: left;"><span style="color: black;"><span style="font-style: normal;"><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">di
qualsiasi tipo sono occupati dai preparatori della carbonara
</span></span></span></em><em style="font-family: verdana; text-align: left;"><span style="color: black;"><i><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">autentica</span></i></span></em><em style="font-family: verdana; text-align: left;"><span style="color: black;"><span style="font-style: normal;"><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">,
dal cuoco pluristellato al ragazzotto improvvisato che fa i video,
dall'intellettuale gastronomo allo YouTuber che fa vedere sdegnato
come la carbonara è preparata dagli americani, dai francesi, dai
tedeschi o dai coreani. Autentici anatemi contro la panna,
principalmente. Guai anche a nominare la “pancetta”, specialmente
affumicata o, peggio ancora, il </span></span></span></em><em style="font-family: verdana; text-align: left;"><span style="color: black;"><i><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">bacon</span></i></span></em><em style="font-family: verdana; text-align: left;"><span style="color: black;"><span style="font-style: normal;"><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">.
Il bacon, tra l'altro, darebbe credito all'origine da parte dei
soldati americani, e la carbonara ha da essere lazzziàle e romana,
ce vole er guanciale e no er </span></span></span></em><em style="font-family: verdana; text-align: left;"><span style="color: black;"><i><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">bàco</span></i></span></em><em style="font-family: verdana; text-align: left;"><span style="color: black;"><span style="font-style: normal;"><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">.
Sta nascendo il reato di lesa carbonara, che s'è -naturalmente-
portato dietro anche la </span></span></span></em><em style="font-family: verdana; text-align: left;"><span style="color: black;"><i><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">gricia</span></i></span></em><em style="font-family: verdana; text-align: left;"><span style="color: black;"><span style="font-style: normal;"><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">.
Gricia capta ferum victorem cepit.</span></span></span></em></span></p>
<p align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;"><em style="font-family: verdana; text-align: left;"><span style="color: black;"><span style="font-style: normal;"><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">Basta
leggere i commenti alle migliaia e migliaia di video dove ognuno dà
la sua versione della famosa </span></span></span></em><em style="font-family: verdana; text-align: left;"><span style="color: black;"><i><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">carbonara
autentica</span></i></span></em><em style="font-family: verdana; text-align: left;"><span style="color: black;"><span style="font-style: normal;"><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">,
che deve essere </span></span></span></em><em style="font-family: verdana; text-align: left;"><span style="color: black;"><i><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">cremosa</span></i></span></em><em style="font-family: verdana; text-align: left;"><span style="color: black;"><span style="font-style: normal;"><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">.
Ora va di moda anche la </span></span></span></em><em style="font-family: verdana; text-align: left;"><span style="color: black;"><i><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">risottatura</span></i></span></em><em style="font-family: verdana; text-align: left;"><span style="color: black;"><span style="font-style: normal;"><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">.
Preparare quello che, in fondo, è un troiaio a base di uova e
pezzetti di grasso di maiale, è diventato una questione di vita o di
morte, dove chi sgarra è punito con l'esilio, con la derisione, con
la gogna più o meno virtuale, con il </span></span></span></em><em style="font-family: verdana; text-align: left;"><span style="color: black;"><i><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">vade
retro Satana</span></i></span></em><em style="font-family: verdana; text-align: left;"><span style="color: black;"><span style="font-style: normal;"><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">!
Penso con sudorini freddi a quando, a volte, mi facevo la carbonara
con le penne rigate, cuocendo i dadini di pancetta affumicata (sic)
nella birra, sbattendo le uova in un piatto e non direttamente nella
padella prima di mettere a </span></span></span></em><em style="font-family: verdana; text-align: left;"><span style="color: black;"><i><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">risottare
</span></i></span></em><em style="font-family: verdana; text-align: left;"><span style="color: black;"><span style="font-style: normal;"><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">la
pasta, dimenticando a volte di mettere la capitale </span></span></span></em><em style="font-family: verdana; text-align: left;"><span style="color: black;"><i><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">acqua
di cottura</span></i></span></em><em style="font-family: verdana; text-align: left;"><span style="color: black;"><span style="font-style: normal;"><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">
e imbottendo tutto il mappazzone che ne veniva fuori di peperoncino
infernale invece che della </span></span></span></em><em style="font-family: verdana; text-align: left;"><span style="color: black;"><i><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">spruzzata
di pepe macinato fresco</span></i></span></em><em style="font-family: verdana; text-align: left;"><span style="color: black;"><span style="font-style: normal;"><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">.
Ho rischiato seriamente la vita senza rendermene conto; eppure mi
garbava lo stesso, dio carbonaro. Mi garbava anche perché ero
convinto che ognuno se la potesse fare come più gli aggradava, anche
con la panna, anche con la birra, anche con le cipolle, con il Gran
Biraghi del Penny Market, anche con la merda. Era, nelle mie
convinzioni, un piatto di libertà totale, una pastaccia da
combattimento sempre buona ancorché letale, una sana botta di
occlusione coronarica, uno sberleffo ai puristi. Mi sbagliavo. Hanno
vinto loro. Su tutti i fronti, riuscendo a trasformare in culto
patriottico e mediatico persino la pasta cacio e pepe.</span></span></span></em></span></p>
<p align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;"><em style="font-family: verdana; text-align: left;"><span style="color: black;"><span style="font-style: normal;"><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">E
così, ora mi vado a leggere le cotidiane disquisizioni carbonàriche,
in quanto gli spaghetti alla carbonara sono diventati una bandiera, e
a me le bandiere stanno più indigeste dei mappazzoni che mi
preparavo </span></span></span></em><em style="font-family: verdana; text-align: left;"><span style="color: black;"><i><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">olim</span></i></span></em><em style="font-family: verdana; text-align: left;"><span style="color: black;"><span style="font-style: normal;"><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">.
Me le vado a leggere per alimentare il mio odio -che peraltro è un
odio decisamente salutare. Stianterète voialtri e il vosto
guanciale, vi porteranno in terapia intensiva con il buzzo pieno di
pasta </span></span></span></em><em style="font-family: verdana; text-align: left;"><span style="color: black;"><i><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">risottata
</span></i></span></em><em style="font-family: verdana; text-align: left;"><span style="color: black;"><span style="font-style: normal;"><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">e
di sugo </span></span></span></em><em style="font-family: verdana; text-align: left;"><span style="color: black;"><i><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">cremoso</span></i></span></em><em style="font-family: verdana; text-align: left;"><span style="color: black;"><span style="font-style: normal;"><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">,
altro che col “Covid”. Vi ci porteranno a voialtri al pari degli
americani che ci mettono la panna, e dei francesi che scuociono
criminalmente la pasta e ci mettono la </span></span></span></em><em style="font-family: verdana; text-align: left;"><span style="color: black;"><i><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">crème
fra</span></i></span></em><em style="font-family: verdana; text-align: left;"><span style="color: black;"><i><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">î</span></i></span></em><em style="font-family: verdana; text-align: left;"><span style="color: black;"><i><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">che
</span></i></span></em><em style="font-family: verdana; text-align: left;"><span style="color: black;"><span style="font-style: normal;"><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">nella
quale navigano etti di pancetta bretone o di prosciuttino cotto
dell'Auchan. Non vi serviranno a nulla la </span></span></span></em><em style="font-family: verdana; text-align: left;"><span style="color: black;"><i><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">ricetta
de famija</span></i></span></em><em style="font-family: verdana; text-align: left;"><span style="color: black;"><span style="font-style: normal;"><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">,
er guanciale der nonno e le uova delle galline ruspanti der
Laurentino 38. Creperete risottati, ma felici d'aver fatto la vera
carbonara, er simbolo di questo paese de fave lesse, il caposaldo di
</span></span></span></em><em style="font-family: verdana; text-align: left;"><span style="color: black;"><i><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">Repubblica
</span></i></span></em><em style="font-family: verdana; text-align: left;"><span style="color: black;"><span style="font-style: normal;"><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">fra
un riarmo, un pelouche in una casa bombardata di Mariupol e le sempre
meno gettonate esternazioni di Burioni, er piastriccio domenicale ma
senza la panna, er vuoto a pancia piena.</span></span></span></em></span></p>
<p style="font-style: normal; font-weight: normal; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><br />
</span></p><br /><p></p>Riccardo Venturihttp://www.blogger.com/profile/10076610025117360920noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-5730727329261310709.post-55517735207719320322021-12-30T23:50:00.003+01:002021-12-30T23:54:46.787+01:00Trenta dicembre<p> </p><p>Me ne ero uscito nel cortile a fumare una sigaretta, di quelle fatte con le cartine. Un drummino, come si dice a Florencia. Con le cartine Bravo, il tabacco Pueblo giallo, i filtri OCB slimme.</p><p>Il cortile è, attualmente, una specie di cantiere perché, oramai dal maggio scorso, stanno rifacendo le facciate di tutto l'isolato. L'Ecobonus, o Superbonus. "Superbonus" mi ricorda Superbone, che non vuol dire "Superosso" in questo mondo oramai contaminato dal virus pernicioso della lingua inglese. E' solo l'accrescitivo di "superbo", era un personaggio di fumetti per ragazzini di tanti, tanti anni fa.</p><p>Dagli stabili attorno continuano peraltro a lampeggiare le lucine natalizie, e per un attimo mi fanno persino piacere. Il che è la più insolita delle rarità nella mia mitologia personale; ognuno ne ha una, sebbene in parecchi casi la si rifiuti o la si confini nel più profondo delle cose da far finta di rifiutare per poi rivelarla nel mediamente profondo delle cose da fingere di rivelare.</p><p>Il trenta dicembre, da ventinove anni a questa parte, appartiene alla mia mitologia personale. Non importa che cosa sia successo il trenta dicembre di ventinove anni fa. Forse non è successo proprio un bel niente, come un bel niente sono gli attori di questa mitologia.</p><p>Dimenticavo di dire che, fumando la sigaretta nel cortile trasformato in cantiere -una situazione che vivo con fastidio assieme a una sorella che sorella non è, e a un paio di gatti erranti- mi stavo bevendo anche il rimasuglio di una bottiglia di vino ordinario, e che cercavo inutilmente di penetrare una inconsueta nebbia che grava sull'Isolotto, e presumo anche sulle planizie dintorno, diciamo da Ugnano alle patrie galere dove il tempo annebbia lo statico.</p><p>E mentre sono lì, con indosso una felpa era e un paio di pantaloni da fisioterapia da cattiva circolazione, si accavallano i rumori del trenta dicembre. Precisi come le passeggiate di Immanuel Kant a Koenigsberg. Una, due, tre ambulanze che passano a sirene spietate; e i botti dei petardi del nuovo anno. Insieme. Mi chiedo dove sia la festa, Se sia nei petardi di ragazzini solitari, due birre e il botto, o nelle sirene delle ambulanze. Ne ho ben donde, ma non vado avanti perché, tanto, non ha importanza. Borgo degli Albizi contromano. Lamberto S., la bottiglia, le coincidenze e il marasma di una notte parte di un passato che potrei non avere avuto.</p><p>E' il momento, ora, di ricomporsi. In realtà, la sigaretta e il rimasuglio di vino sono finiti da un pezzo. Si vorrebbe protrarli; la sigaretta si può, basta rifarsela. Il vino no.</p><p>Me la rifaccio e torno fuori, in mezzo al cantiere. Per un momento magico, contrario a ogni volgarissima logica, ogni rancore crolla, si polverizza. Crolla a colpi d'amore, anche se l'amore non ha nulla a che fare, nulla, con quel che è stato. Nella nebbia, nel fumo, nei botti, c'è qualcosa che non si sa dire mai, ma che vola basso e passa, en forme de triangle.</p><p><br /></p><p><br /></p>Riccardo Venturihttp://www.blogger.com/profile/10076610025117360920noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-5730727329261310709.post-50095809777867925902021-11-18T23:55:00.002+01:002021-11-19T00:09:57.569+01:00Le barricate in vasca da bagno<p> </p><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-OvRWqJtO_bU/YZbXYY2uHCI/AAAAAAAAU8Q/TaO6Z8W8n_Y84kdBz5SFyNB8uu3I5WZ5QCLcBGAsYHQ/s778/orobfern.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="778" data-original-width="594" height="375" src="https://1.bp.blogspot.com/-OvRWqJtO_bU/YZbXYY2uHCI/AAAAAAAAU8Q/TaO6Z8W8n_Y84kdBz5SFyNB8uu3I5WZ5QCLcBGAsYHQ/w324-h375/orobfern.jpg" width="324" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Valeriano Orobon Fernandez (1901-1936)</td></tr></tbody></table><p></p><p style="margin-bottom: 0cm;"></p><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: #fafafa; font-family: verdana; font-size: 15.68px;">La storia di </span><em style="font-family: verdana; font-size: 15.68px;">¡A las barricadas!</em><span style="background-color: #fafafa; font-family: verdana; font-size: 15.68px;">, il canto più celebre della guerra civile Spagnola, inizia circa quattro anni prima del suo scoppio; ed inizia con la visita in Spagna, nel 1932, di un giovane anarcosindacalista tedesco, </span><strong style="font-family: verdana; font-size: 15.68px;">Alfred Schulte</strong><span style="background-color: #fafafa; font-family: verdana; font-size: 15.68px;">. Alfred Schulte ha ventiquattro anni ed è un operaio metalmeccanico disoccupato; è membro della SAJD, la </span><em style="font-family: verdana; font-size: 15.68px;">Syndikalistisch-Anarchistische Jugend Deutschlands</em><span style="background-color: #fafafa; font-family: verdana; font-size: 15.68px;"> (“Gioventù Anarcosindacalista di Germania"), sezione di Wuppertal. In Spagna, Alfred Schulte è ospite a Madrid di </span><strong style="font-family: verdana; font-size: 15.68px;"><a class="ext" href="http://foroscastilla.org/foros/index.php/topic,11170.0.html" style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: url("../../../img/external.png"); background-origin: initial; background-position: 100% 50%; background-repeat: no-repeat; background-size: initial; padding-right: 13px;" target="_blank">Valeriano Orobón Fernández</a></strong><span style="background-color: #fafafa; font-family: verdana; font-size: 15.68px;">, giovane teorico dell'anarcosindacalismo (nel 1932 ha 31 anni, essendo nato nel 1901 a Cistérniga, presso Valladolid); all'epoca era il capo della sezione culturale e giornalistica della </span><a class="ext" href="https://it.wikipedia.org/wiki/Conf%C3%A9d%C3%A9ration_Nationale_du_Travail" style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: url("../../../img/external.png"); background-origin: initial; background-position: 100% 50%; background-repeat: no-repeat; background-size: initial; font-family: verdana; font-size: 15.68px; padding-right: 13px;" target="_blank">CNT-IAA</a><span style="background-color: #fafafa; font-family: verdana; font-size: 15.68px;">. Il fatto che Alfred Schulte sia ospite proprio da Valeriano Orobón Fernández non è un caso: la moglie di quest'ultimo, </span><a class="ext" href="https://www.brigadasinternacionales.org/2018/12/14/alemanas-en-brigadas-internacionales/" style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: url("../../../img/external.png"); background-origin: initial; background-position: 100% 50%; background-repeat: no-repeat; background-size: initial; font-family: verdana; font-size: 15.68px; padding-right: 13px;" target="_blank">Hildegart Taege</a><span style="background-color: #fafafa; font-family: verdana; font-size: 15.68px;">, detta Hilde, è tedesca di origine. Era una disegnatrice di modelli e studentessa alla FAUD, la facoltà di architettura, urbanismo e disegno; aveva sposato Valeriano Orobón nel 1927. Ma anche Valeriano Orobón parlava e scriveva correntemente il tedesco: ad esempio, aveva tradotto in spagnolo la ponderosa biografia dell'anarchico tedesco </span><a class="ext" href="https://en.wikipedia.org/wiki/Max_Nettlau" style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: url("../../../img/external.png"); background-origin: initial; background-position: 100% 50%; background-repeat: no-repeat; background-size: initial; font-family: verdana; font-size: 15.68px; padding-right: 13px;" target="_blank">Max Nettlau</a><span style="background-color: #fafafa; font-family: verdana; font-size: 15.68px;">scritta da </span><a class="ext" href="https://en.wikipedia.org/wiki/Rudolf_Rocker" style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: url("../../../img/external.png"); background-origin: initial; background-position: 100% 50%; background-repeat: no-repeat; background-size: initial; font-family: verdana; font-size: 15.68px; padding-right: 13px;" target="_blank">Rudolf Rocker</a><span style="background-color: #fafafa; font-family: verdana; font-size: 15.68px;">.</span></div><span style="font-family: verdana;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: 15.68px;"><br /></span></div><span style="background-color: #fafafa; font-size: 15.68px;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: 15.68px;">La storia vuole che, una mattina durante la sua visita spagnola a casa degli Orobón, Alfred Schulte abbia deciso di farsi un bagno in vasca. Una volta riempitala e entrato dentro col sapone per lavarsi, Alfred Schulte fece come molti fanno in vasca o sotto la doccia: si mise a cantare. Data la situazione, però, non si mise certamente a intonare l'ultima canzonetta di successo: cantava una </span><a href="https://www.antiwarsongs.org/canzone.php?lang=it&id=6506#agg14025" style="background-color: transparent; font-size: 15.68px;">versione della Warschawjanka</a><span style="font-size: 15.68px;">, il canto rivoluzionario di origine polacco-russa che, in Germania, si cantava nella sua versione completa già dagli anni della rivolta Spartachista del 1919. Sentitolo cantare dalla stanza accanto, Valeriano Orobón, che cercava già da tempo quel canto, pare si sia letteralmente precipitato in bagno, dove Alfred Schulte se ne stava a cantare nudo in vasca, per chiedergli di asciugarsi alla svelta e di scrivergliene immediatamente il testo. Così accadde; il giorno stesso, Valeriano Orobón, aiutato dalla moglie Hilde, lo tradusse in spagnolo. Era nata la </span><em style="background-color: transparent; font-size: 15.68px;">Marcha Triunfal</em><span style="font-size: 15.68px;"> (questo il titolo originale dato da Orobón). L'arrangiamento musicale per coro misto fu affidato al musicista catalano </span><a class="ext" href="https://es.wikipedia.org/wiki/%C3%81ngel_Miret" style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-color: transparent; background-origin: initial; background-position: 100% 50%; background-repeat: no-repeat; background-size: initial; background: url("../../../img/external.png") right center no-repeat transparent; font-size: 15.68px; padding-right: 13px;" target="_blank">Ángel Miret</a><span style="font-size: 15.68px;">.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: 15.68px;"><br /></span></div><span style="background-color: #fafafa; font-size: 15.68px;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: 15.68px;">La pubblicazione della </span><em style="background-color: transparent; font-size: 15.68px;">Marcha Triunfal</em><span style="font-size: 15.68px;"> avvenne nel novembre del 1933 nel settimanale </span><em style="background-color: transparent; font-size: 15.68px;">Tierra y Libertad</em><span style="font-size: 15.68px;">, “semanario anarquista” e organo della CNT-FAI. Recava, in piccolo, un sottotitolo: </span><em style="background-color: transparent; font-size: 15.68px;">¡A las barricadas!</em><span style="font-size: 15.68px;">; un piccolo sottotitolo che, ben presto, cancellerà del tutto il titolo ufficiale. La CNT-IAA dichiara quasi subito </span><em style="background-color: transparent; font-size: 15.68px;">¡A las barricadas!</em><span style="font-size: 15.68px;"> suo inno ufficiale; non molto tempo dopo, nel luglio del '36, le barricate saranno erette davvero a Barcellona e in altre città spagnole, dopo il </span><em style="background-color: transparent; font-size: 15.68px;">pronunciamiento</em><span style="font-size: 15.68px;"> di Francisco Franco e degli altri generali. Inizia la guerra civile, e </span><em style="background-color: transparent; font-size: 15.68px;">¡A las barricadas!</em><span style="font-size: 15.68px;"> diviene uno dei suoi canti più famosi, diffondendosi internazionalmente fino ai nostri giorni.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: 15.68px;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><iframe allowfullscreen="" class="BLOG_video_class" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/EBlYgXMPiD0" width="320" youtube-src-id="EBlYgXMPiD0"></iframe></div><br /><span style="font-size: 15.68px;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: 15.68px;">Valeriano Orobón Fernández fu arrestato l'8 marzo 1934 su ordine del governo Lerroux; non molto prima della rivolta Asturiana che sarebbe iniziata il 5 ottobre dello stesso anno, e che il 18 ottobre sarebbe stata definitivamente schiacciata nel sangue da Francisco Franco, stava lavorando all'unità sindacale tra CNT e UGT, e questo fu esattamente il motivo del suo incarceramento (secondo la precisa testimonianza dell'allora Ministro degli Interni, che recava il sinistro nome di Salazar). Fu rilasciato il 31 marzo 1934 ma, pochi giorni dopo, fu nuovamente arrestato e, stavolta, rimase rinchiuso nella </span><em style="background-color: transparent; font-size: 15.68px;">Cárcel Modelo</em><span style="font-size: 15.68px;"> di Barcellona fino al marzo del 1935. Nella </span><em style="background-color: transparent; font-size: 15.68px;">Cárcel Modelo</em><span style="font-size: 15.68px;">, Valeriano Orobón si ammalò di tubercolosi. Liberato, fu ospitato assieme alla moglie nella casa madrilena di Mercedes Comaposada Guillén, una delle fondatrici del movimento femminista libertario </span><em style="background-color: transparent; font-size: 15.68px;">Mujeres Libres</em><span style="font-size: 15.68px;">. Colpito da un terribile attacco della malattia, Valeriano Orobón morì il 28 giugno 1936, nemmeno un mese prima dello scoppio della guerra civile.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: 15.68px;"><br /></span></div><span style="background-color: #fafafa; font-size: 15.68px;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: 15.68px;">All'inizio della guerra, i militanti anarcosindacalisti madrileni crearono il </span><em style="background-color: transparent; font-size: 15.68px;">Batallón Orobón Fernández</em><span style="font-size: 15.68px;">, di cui fece parte anche </span><a class="ext" href="https://it.wikipedia.org/wiki/Cipriano_Mera" style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-color: transparent; background-origin: initial; background-position: 100% 50%; background-repeat: no-repeat; background-size: initial; background: url("../../../img/external.png") right center no-repeat transparent; font-size: 15.68px; padding-right: 13px;" target="_blank">Cipriano Mera</a><span style="font-size: 15.68px;">; il battaglione combatté per la difesa di Madrid, a Cuenca e a Teruel. La FAI intendeva pubblicare una biografia completa di Orobón Fernández, ed anche le sue opere complete; ma l'intero archivio (traduzioni, scritti, saggi economici e politici) cadde in mano fascista nell'autunno del 1936, e fu completamente distrutto. Non ne rimane niente; cosicché, praticamente l'unica cosa che sopravvive di Valeriano Orobón Fernández è proprio </span><em style="background-color: transparent; font-size: 15.68px;">¡A las barricadas!</em><span style="font-size: 15.68px;">. Nel 1968, in Spagna, esisteva un gruppo clandestino anarchico chiamato “Orobón Fernández”.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: 15.68px;"><br /></span></div><span style="background-color: #fafafa; font-size: 15.68px;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: 15.68px;">Sulla moglie, Hildergart Taege, che aveva conosciuto, giovanissima, a Berlino, non si sanno molte cose. Nel 1936, l'anno della morte del marito, lavorava come interprete nel Dipartimento Censura del Ministero della Guerra repubblicano. In seguito lavorò come interprete tra il </span><em style="background-color: transparent; font-size: 15.68px;">Consejo de Defensa</em><span style="font-size: 15.68px;"> e i volontari tedeschi della batteria “Dimitroff” delle Brigate Internazionali.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: 15.68px;"><br /></span></div><span style="background-color: #fafafa;"><div style="font-size: 15.68px; text-align: justify;"><span style="font-size: 15.68px;">Non si sa assolutamente niente di che cosa ne sia stato di Alfred Schulte, il giovane anarcosindacalista di Wuppertal che, una mattina del 1932, si era fatto un bagno in vasca a casa di Valeriano e Hilde, a Madrid, cantando a squarciagola la Warschawjanka mentre si insaponava e si rinfrescava.</span></div><div style="font-size: 15.68px; text-align: justify;"><span style="font-size: 15.68px;"><br /></span></div><div style="font-size: 15.68px; text-align: justify;"><span style="font-size: 15.68px;"><i>La versione tedesca cantata da Alfred Schulte in vasca da bagno:</i></span></div><div style="font-size: 15.68px; text-align: justify;"><span style="font-size: 15.68px;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span><span style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">Finstere Stürme durchtosen die Lüfte,</span><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><span style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">dunkele Wolken versperren uns die Sicht.</span><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><span style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">Mögen auch Schmerzen und Tod uns erwarten,</span><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><span style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">Gegen uns’re Feinde, da ruft uns die Pflicht.</span><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><span style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">Denn das höchste Gut, das ist doch die Freiheit.</span><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><span style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">Kämpfen wir für sie nun mit Mut und Kraft.</span><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><span style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">Hoch mit der Fahne der revolutionären,</span><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><span style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">Denn sie führt die Menschheit zur Emanzipation.</span><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><span style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">Hoch mit der Fahne der revolutionären,</span><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><span style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">Denn sie führt die Menschheit zur Emanzipation,</span><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><span style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">Arbeiter/innen, auf nun zum Kampfe !</span><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><span style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">Gemeinsam stürzen wir dann die Reaktion.</span><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><span style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">Auf die Barrikaden! Auf die Barrikaden!</span><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><span style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">Für den Triumpf der freien Konföderation.</span><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><span style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">Auf die Barrikaden! Auf die Barrikaden!</span><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><span style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">Für den Triumpf der freien Konföderation.</span></span></div></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: 15.68px;"><br /></span></div><em style="font-size: 15.68px;"><div style="text-align: justify;"><em style="font-size: 15.68px;">Fonti consultate:</em></div></em><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: 15.68px;"><br /></span></div><span style="background-color: #fafafa; font-size: 15.68px;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: 15.68px;">- Klan, Ulrich / Nelles, Dieter: "'Es lebt noch eine Flamme’.</span></div></span><span style="background-color: #fafafa; font-size: 15.68px;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: 15.68px;">Grafenau-Döffingen, Trotzdem-Verlag 1990, S. 256</span></div></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: 15.68px;"><br /></span></div><div style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: url("../../../img/external.png"); background-origin: initial; background-position: 100% 50%; background-repeat: no-repeat; background-size: initial; font-size: 15.68px; padding-right: 13px; text-align: justify;"><a class="ext" href="http://foroscastilla.org/foros/index.php/topic,11170.0.html" style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: url("../../../img/external.png"); background-origin: initial; background-position: 100% 50%; background-repeat: no-repeat; background-size: initial; font-size: 15.68px; padding-right: 13px;" target="_blank">Valeriano Orobón Fernández, un anarquista de Valladolid</a><span style="background-color: #fafafa; font-size: 15.68px;">, su </span><em style="font-size: 15.68px;">Foros Castilla</em><span style="background-color: #fafafa; font-size: 15.68px;">, 2009 (a cura dell'utente </span><em style="font-size: 15.68px;">Maelstrom</em><span style="background-color: #fafafa; font-size: 15.68px;">)</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: 15.68px;"><br /></span></div><span style="background-color: #fafafa; font-size: 15.68px;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: 15.68px;">- </span><a class="ext" href="https://www.brigadasinternacionales.org/2018/12/14/alemanas-en-brigadas-internacionales/" style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-color: transparent; background-origin: initial; background-position: 100% 50%; background-repeat: no-repeat; background-size: initial; background: url("../../../img/external.png") right center no-repeat transparent; font-size: 15.68px; padding-right: 13px;" target="_blank">Alemanas en Brigadas Internacionales</a><span style="font-size: 15.68px;">, AABI, Asociación de Amigos de las Brigadas Internacionales, 14-12-2018</span></div></span></span><p></p>Riccardo Venturihttp://www.blogger.com/profile/10076610025117360920noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-5730727329261310709.post-30386603757084510522021-08-11T04:32:00.003+02:002021-08-11T04:46:13.197+02:00Lingue morte<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-XzSNxvQF5NM/YRM2N0FJ9yI/AAAAAAAAU6o/4Rx9bFXYU1gpIG4QX4Spg1LloK_2sFZPQCLcBGAsYHQ/s540/dollyp.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="540" data-original-width="400" height="415" src="https://1.bp.blogspot.com/-XzSNxvQF5NM/YRM2N0FJ9yI/AAAAAAAAU6o/4Rx9bFXYU1gpIG4QX4Spg1LloK_2sFZPQCLcBGAsYHQ/w307-h415/dollyp.jpg" width="307" /></a></div><br /><p></p><div style="text-align: justify;">Tra l'essere umano e il linguaggio esiste un legame che non è possibile scindere. L'essere umano è tale perché parla, perché collega il suo pensiero all'espressione verbale; sotto questo aspetto, il linguaggio muore assieme ad ognuno di noi. Il linguaggio nelle sue infinite varietà che si sono succedute nella storia, sempre mutando, sempre mobile; quando si parla di "lingue morte", si parla in realtà della fine di tutto un insieme di usi propri di una comunità di esseri umani, i quali si sono espressi in modo reciprocamente riconoscibile, con o senza unitarietà o codificazione scritta, fino ad un dato periodo in cui il loro codice è stato soppiantato completamente da un altro. Il linguaggio non muore mai; muore un codice espressivo. Muore per mille e mille ragioni, spesso tragiche. Muore per un'oppressione, sociale, politica e culturale; muore per l'estinzione di una civiltà o di una popolazione che lo ha usato, oppure per la loro assimilazione ad un'altra; muore quando muore un modo di vivere. In questo preciso momento, centinaia di lingue stanno per morire; e non ci sarà niente da fare, nonostante gli sforzi che, per alcune, qualche volonteroso sta compiendo.</div><div style="text-align: justify;"></div><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><!--[if !supportEmptyParas]--><!--[endif]--><o:p></o:p></p><div style="text-align: justify;"></div><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;">Di alcune lingue si conosce la data di morte. La si fissa generalmente a quella della morte dell'ultimo parlante nativo (che la aveva, cioè, appresa dai genitori nell'infanzia); in realtà, a quel momento, la lingua è già morta da un pezzo; vive la sua ultima agonia. Poi, un giorno, l'ultimo vecchietto che la parla passa a miglior vita e la lingua passa nelle mani degli studiosi, degli archivisti, degli appassionati che cercano in qualche modo di farla "rinascere"; e solo ad una di esse, l'ebraico, è toccato di rinascere davvero secoli dopo la sua estinzione come lingua parlata. Ma l'ebraico è una cosa del tutto a sé. Pur morta come lingua parlata, era sempre rimasta vivissima come lingua sacra; la sua rinascita poté contare su questo fatto, oltre che sulla follia utopistica di Eliezer Perlman, più noto come Ben Yehuda. L'ebraico è autenticamente un pezzo di storia dell'umanità, da qualsiasi parte lo si voglia considerare.</p><div style="text-align: justify;"></div><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><!--[if !supportEmptyParas]--><!--[endif]--><o:p></o:p></p><div style="text-align: justify;"></div><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;">Per le piccole lingue senza nessun libro sacro, il discorso è molto diverso. Quando arriva l'ultima ora non c'è nessuna remissione, a parte i tentativi più o meno riusciti di farne una specie di melanconico oggetto di folklore o di "identità", reso poi, in genere, del tutto artificiale. Così, la campana per il cornico, l'antico idioma celtico della Cornovaglia Britannica, suonò il 19 dicembre 1777 con la morte di una centenaria, <span style="font-weight: bold;">Dolly Pentreath</span>, la quale era diventata famosa per il suo carattere terribile. Viveva in un villaggio il cui nome era tutto un programma, Mousehole ("buco del topo"), e, quando si arrabbiava con qualcuno, usava sparare all'indirizzo del malcapitato intere maledizioni in quella lingua che oramai soltanto lei conosceva. Alcuni anni prima della sua morte, un erudito inglese, Daines Barrington, l'aveva conosciuta e intervistata; si rifiutava di parlare l'inglese, pur conoscendolo abbastanza da farsi capire, e la sua maledizione preferita sembra essere stata <i>kronnekyn hager du!</i>, che significa "brutto rospo nero!"; da qui, naturalmente, il fatto che i paesani la considerassero una strega. Le sue ultime parole, secondo i testimoni che assistettero alla sua morte, furono davvero l'ultimo, fierissimo sussulto del cornico: <i>me ne vidn cewsel Sawznek!</i> "Non voglio parlare inglese!".</p><div style="text-align: justify;"></div><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><!--[if !supportEmptyParas]--><!--[endif]--><o:p></o:p></p><div style="text-align: justify;"></div><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;">La fama di Dolly Pentreath è ancora viva in Cornovaglia, dove è considerata tuttora un personaggio leggendario. Il suo monumento funebre, a Mousehole, fu fatto erigere nel 1860 da Luigi Luciano Bonaparte, nipote di Napoleone e famoso appassionato e studioso di lingue strane. Ma, probabilmente, Dolly Pentreath non fu affatto l'ultima parlante nativa del cornico; con lei, forse, la lingua morì come linguaggio di una comunità, ma già cinque anni dopo la morte della vecchia lo stesso Barrington ricevette una lettera da un pescatore, chiamato William Bodinar, nella quale affermava di conoscere cinque persone che ancora parlavano e usavano il cornico. Particolare non trascurabile, la lettera era scritta in cornico, anche se accompagnata da una traduzione inglese. Nel 1790 morì tale John Nancarrow, del villaggio di Marazion, che pure conosceva bene il cornico; William Bodinar morì nel 1794. La lingua dovette andare probabilmente avanti allo stato di spettro, con qualcuno che ancora, non si sa come e non si sa perché, tentava di tenerla in vita. Probabilmente si trattava di persone che non la avevano appresa da bambini, ma che ancora se la ricordavano; si arriva così addirittura al 1890, quando morì John Davey, l'ultima persona che sicuramente ne avesse ancora qualche conoscenza. I racconti vogliono che, non avendo più nessuno a cui parlarla, si rivolgeva continuamente in cornico al suo gatto e vi faceva lunghi discorsi; con la morte del gatto, si spense l'ultimo essere vivente che aveva udito parlare in cornico.</p><div style="text-align: justify;"></div><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><!--[if !supportEmptyParas]--><!--[endif]--><o:p></o:p></p><div style="text-align: justify;"></div><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;">Qualche parola di cornico sopravvisse nell'inglese vernacolare della zona; ancora nel 1940 dei pescatori furono uditi cantare una filastrocca, da loro considerata "nonsense", che ad un'analisi approfondita risultò essere in cornico. Sopravvivono naturalmente i toponimi; se qualcuno è stato da quelle parti, avrà ad esempio notato la frequenza dei nomi che cominciano con <i>Pen-</i> (Penzance, lo stesso Pentreath che è anche il nome di un promontorio); significa "testa, capo". Sempre attorno al 1940 iniziò il <i>Cornish Revival</i>, che sembra sia riuscito a far reimparare la lingua (scritta peraltro con diversi sistemi ortografici) a circa 3500 persone; suoi animatori furono Henry Jenner e il "Gran Bardo di Cornovaglia" Robert Morton Nance, che compilò anche un famoso dizionario cornico-inglese. Dizionario che, per curiosi accidenti del destino, riuscii a procurarmi moltissimi anni fa, e che una sera mi permise persino di scroccare una cena alla casa del popolo. Vi era ospite una delegazione del già allora sparuto Partito Comunista di Gran Bretagna, ed ero stato chiamato per fare –pensate un po'- da interprete sebbene non avessi nemmeno sedici anni. Per l'appunto uno dei membri veniva dalla Cornovaglia, e quando lo seppi corsi a casa (trenta metri di distanza) a prendergli il dizionario. Ne rimase talmente commosso, e sbalordito, da pagarmi la cena intera.<span> </span>Ci ho ancora la sua firma, su quel dizionario dalla copertina blu. La grammatica cornica scritta da Henry Jenner me la regalò invece il mio amico Pierfrancesco Poli. Me la sto traducendo da anni in italiano, così per fare.</p><div style="text-align: justify;"></div><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><!--[if !supportEmptyParas]--><!--[endif]--><o:p></o:p></p><div style="text-align: justify;"></div><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;">Un'altra lingua europea è invece saltata su una mina.</p><div style="text-align: justify;"></div><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><!--[if !supportEmptyParas]--><!--[endif]--><o:p></o:p></p><div style="text-align: justify;"></div><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;">Il dalmatico, l'idioma romanzo della Dalmazia costiera e insulare, attestato fin dal XIV secolo, che fu almeno una delle lingue d'uso dell'antica Repubblica Ragusea. Una lingua che in tutte le sue numerose frammentazioni dialettali si caratterizzava per la smodata frequenza dei dittonghi derivati dalle vocali lunghe latine, per cui a "capra" corrispondeva <i>kuobra</i>, a "veterana" <i>vetruona</i> (nel senso di "donna anziana, nonna", come il rumeno <i>bătrână</i>), a "album" <i>jualb</i> ("bianco"), a "arborem" <i>juarbul</i> ("albero") e così via. In realtà, il dalmatico morì a macchia di leopardo. A Zara già era estinto nel XIV secolo, mentre a Ragusa (Dubrovnik) sopravvisse fino alla fine del XV. Andò avanti in aree recondite, appartate, sulla bocca del popolo minuto; l'ultimo suo luogo fu l'isola di Veglia, Krk in croato.</p><div style="text-align: justify;"></div><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><!--[if !supportEmptyParas]--><!--[endif]--><o:p></o:p></p><div style="text-align: justify;"></div><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;">Qui era nato attorno al 1820 Antonio Udina, nome che era l'italianizzazione di <span style="font-weight: bold;">Tuone Udàina</span>. Fin da ragazzo aveva lavorato come barbiere, e da questo suo mestiere gli era derivato il soprannome, in dalmatico vegliotto, di <i>Burbur</i>; e poiché Udina, o Udàina, doveva essere un cognome diffuso sull'isola, quel <i>Burbur</i> era usato come appellativo distintivo. Spesso, laddove se ne parla, è ricordato "tout court" come Tuone Udàina Burbur.</p><div style="text-align: justify;"></div><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><!--[if !supportEmptyParas]--><!--[endif]--><o:p></o:p></p><div style="text-align: justify;"></div><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;">La fama di Tuone Udàina, almeno nel campo della linguistica, aveva preceduto la sua morte; causa ne fu il suo incontro con il grande glottologo Matteo Bartoli, che sul morente dalmatico aveva deciso di scrivere la sua tesi di laurea negli ultimi anni del XIX secolo. La redasse in tedesco, perché studente dell'Università di Vienna; relatore fu Wilhelm Meyer-Lübke e correlatore Adolfo Mussafia. La tesi fu poi ampliata e pubblicata in due volumi, nel 1906, con il titolo di <i>Das Dalmatische</i>; ma allora Tuone Udàina e il dalmatico erano già morti.</p><div style="text-align: justify;"></div><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><!--[if !supportEmptyParas]--><!--[endif]--><o:p></o:p></p><div style="text-align: justify;"></div><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;">Ancora da studente, mentre preparava la sua tesi, il Bartoli era venuto a sapere che sull'isola di Veglia ancora esisteva un vecchio che conosceva il dalmatico; vi si era recato immediatamente, facendo la conoscenza di Tuone Udàina Burbur. Sull'isola esistevano altre persone che conoscevano ancora un po' il dalmatico vegliotto, e che risposero a precise domande del Bartoli, come scrive Aldo Duro, "<span>molto spesso traducendo in un vegliotto che ricordavano solo approssimativamente e con più fedeltà quando si trattava di quei materiali che si trasmettono per tradizione familiare da padre o da madre ai figli, dai nonni ai nipoti e così via: ciò che avviene soprattutto per le preghiere tradizionali come il Padre nostro e l’Ave Maria, per parabole evangeliche, per fiabe e filastrocche infantili, che il Bartoli raccoglie da più fonti di informazione, e riferisce poi con molta ampiezza nel secondo volume della sua opera." Finché il Bartoli non conobbe l'Udàina.<o:p></o:p></span></p><div style="text-align: justify;"></div><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span><!--[if !supportEmptyParas]--><!--[endif]--><o:p></o:p></span></p><div style="text-align: justify;"></div><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span>Costui, oramai ultrasettantenne, aveva cessato da tempo di fare il barbiere. Si era messo, per vivere, a fare il sagrestano e il campanaro della cattedrale dell'isola, e per questa sua ultima attività era diventato quasi completamente sordo. Come se non bastasse, era quasi del tutto sdentato e la sua pronuncia, sia del dalmatico che delle altre lingue in cui sapeva esprimersi (il veneto giuliano e il croato) era forzatamente difettosa. Insomma, tutte caratteristiche non propriamente desiderabili in un "informatore linguistico", se così lo vogliamo chiamare; ma era l'unica persona che, seppure il dalmatico non fosse la sua prima lingua, ma un idioma che aveva appreso quasi in segreto ascoltando le conversazioni private dei suoi genitori (che si rifiutavano di parlargli se non in veneto). Quando il Bartoli cominciò a fargli domande, Tuone Udàina gli rispose che non parlava più la lingua da oltre vent'anni; ciononostante, dopo un po', quasi si "sciolse" e la lingua cominciò a rifluirgli nella mente. Il Bartoli riuscì, seppure con difficoltà, a raccogliere le ultime vestigia del dalmatico in modo preciso; si fece, ad esempio, ripetere la parabola del Figliuol Prodigo che così suonava:<o:p></o:p></span></p><div style="text-align: justify;"></div><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><!--[if !supportEmptyParas]--><!--[endif]--><o:p></o:p></p><div style="text-align: justify;"></div><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><i>E el daic: Jon ciairt jomno ci avaja doi feil, e el plé pedlo de lour daic a soa tuota: Tuota , </i><i><span lang="FR">duoteme la puarte de moi luc, </span>che me toca, e jul spartait tra louro la sostuanza e dapù pauch dai, mais toich indajoi el feil ple pedlo andait a la luorga, e luoc el dissipuat toich el soo, viviand malamiant. </i><i><span lang="FR">Muà el ju venait in se stiass, daic:</span><span lang="FR"> </span></i><i><span lang="FR">quinci jomni de journata</span><span lang="FR"> </span></i><i><span>cun cuassa</span> </i><i><span>da me tuota i ju bonduanza de</span> </i><i><span lang="FR">puan e cua ju muor de fum.<o:p></o:p></span></i></p><div style="text-align: justify;"></div><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><i><span lang="FR"><!--[if !supportEmptyParas]--><!--[endif]--><o:p></o:p></span></i></p><div style="text-align: justify;"></div><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span>«Ed egli disse; un certo uomo aveva due figli ed il più piccolo di essi disse a suo padre: Padre, datemi la parte dei beni che mi tocca, ed egli spartì tra loro la sostanza E dopo pochi giorni, messa insieme ogni cosa, il figlio più piccolo andò lontano, e ivi dissipò tutto il suo, vivendo malamente, ma quando venne, cioè tornò in sé stesso, disse: quanti mercenari in casa di mio padre hanno abbondanza di pane e qui io muoio di fame».</span></p><div style="text-align: justify;"></div><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><!--[if !supportEmptyParas]--><!--[endif]--><o:p></o:p></p><div style="text-align: justify;"></div><p class="MsoBodyText" style="text-align: justify;">Il Bartoli discusse la sua tesi nel marzo del 1898. Nel 1906, <span></span>alla pubblicazione dei due volumi di <i>Das Dalmatische</i>, <span></span>al paragrafo 16 del I volume fu inserita questa breve notizia:</p><div style="text-align: justify;"></div><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><!--[if !supportEmptyParas]--><!--[endif]--><o:p></o:p></p><div style="text-align: justify;"></div><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span>"La sera del 10 giugno 1898 gli abitanti di Veglia vennero profondamente sconvolti da una notizia dolorosa e tragica. Alle 6,30, sulla strada che conduce alla località campestre “Ai Campi” e che si sta riattando, mentre si caricava una mina questa improvvisamente scoppiò uccidendo quasi sul colpo certo Antonio Udina, buon vecchietto di 77 anni che stava sopra il sasso per tenere il ferro di carica. Era l’ultimo d’una generazione che se ne va ed era il solo che conosceva e parlava perfettamente l’antico dialetto romanico di Veglia.»</span></p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;">Così, in questo modo tragico e assurdo, si concluse una vita umana e la vita di una lingua intera. Saltata in aria mentre il suo ultimo parlante teneva il ferro di carica, in una località chiamata "Ai Campi".</p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b><i>(Già pubblicato sul blog il 20 novembre 2007)</i></b></p>Riccardo Venturihttp://www.blogger.com/profile/10076610025117360920noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-5730727329261310709.post-59459394691198059302021-08-10T08:23:00.004+02:002021-08-10T08:28:25.251+02:00La carta d'identità<p> <a href="http://2.bp.blogspot.com/-2_NFBpv1NjY/Urevwsg_1rI/AAAAAAAARJ4/YPU2KRnlIo8/s1600/deltio.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em; text-align: center;"><img border="0" height="376" src="http://2.bp.blogspot.com/-2_NFBpv1NjY/Urevwsg_1rI/AAAAAAAARJ4/YPU2KRnlIo8/s640/deltio.jpg" width="640" /></a></p><p><br /></p><p>La fila cominciava poco prima dell'angolo tra la via Georgiou e il corso Lambrakis; ed era proprio quel Lambrakis, il deputato socialista ammazzato dai fascisti nel '62, quello di “Z-L'orgia del potere”. A quell'ora, verso le nove della sera del ventiquattro dicembre, la coda non solo non accennava a diminuire, ma si era addirittura ingrossata. Del resto, da giorni e giorni tutte le principali piazze e strade del Pireo erano state tappezzate di manifesti con quel simbolo inconfondibile, il Meandro di Alba Dorata, e la bandiera ellenica: <i>Grande distribuzione gratuita di cibo, giocattoli e farmaci di prima necessità per i bisognosi Greci – Un Natale Greco per i Greci cristiani – Alba Dorata aiuta la Patria in difficoltà. </i><span>Nei manifesti, in caratteri notevolmente più piccoli, era contenuta la condizione necessaria per il Natale greco dei Greci cristiani: la presentazione della carta d'identità. Il documento che attestasse la cittadinanza greca e il nome greco. Fin dalle dieci del mattino, di fronte alla chiesa dell'Evangelistria, erano stati sistemati quindici banchi contenenti ogni bendiddìo accumulato dai militanti albadoristi per la distribuzione natalizia; una fila enorme e ordinata di persone, uomini e donne di tutte le età, che si svolgeva per tutto il lunghissimo corso Lambrakis, aveva atteso pazientemente il proprio turno per ritirare ciò di cui aveva bisogno presentando la carta d'identità, il </span><i>deltio taftòtitas</i><span>; e bisogno c'era di tutto. C'era un silenzio apparente; ma, chi si fosse avvicinato alla fila soltanto per curiosità, avrebbe sentito ognuno parlare sottovoce al vicino di coda, e qualcuno fra sé e sé. Tutti avevano da dire qualcosa senza che nessuno gliela avesse chiesta, e ognuno sembrava provare un desiderio irrefrenabile di giustificarsi. Chi aveva sempre votato per il Pasok, chi non s'era mai interessato di politica, chi si era visto sbattere fuori dal posto di lavoro da un giorno all'altro; chi non aveva mai lavorato, chi aveva quattro figli di cui due piccoli, chi aveva fame. Chi io non sono razzista però, chi ci rubano il lavoro e il mangiare, chi se ne tornino tutti a casa loro. Chi, infine, non li ho mai votati ma stavolta; chi loro almeno fanno qualcosa; e chi si vergognava semplicemente di stare in quella fila umiliante, di poveri, di vecchi e banali benesseri fracassati, di che altro potevo fare. Ai banchi, giovanotti muscolosi e qualche bella ragazza con indosso dei giubbotti neri nella fredda serata dicembrina; a Atene non si creda che faccia caldo, sotto Natale.</span></p><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span>Era arrivato, quell'uomo un po' strano, alle nove e trentacinque. Intabarrato in un cappotto grigio che aveva visto tempi migliori, con un cappello floscio che doveva essere stato nuovo cinquant'anni prima, dei pantaloni di fustagno marrone e un paio di scarpe da ginnastica tendenzialmente bianche, sebbene qua e là. Sotto il cappotto aveva un maglione grigio a girocollo, sotto il quale, in alto, si notava una specie di rigonfio; con tutta probabilità si trattava di una sciarpa tenuta completamente sotto l'indumento. Era un uomo parecchio anziano, dalla carnagione piuttosto scura; aveva, però, una barba disordinata ma bianchissima. Le mani erano screpolate, callose e grinze come quelle di chi avesse per tutta la vita fatto un ruvido mestiere di fatica; ma erano coperte da dei guanti di lana senza dita. Fumava una sigaretta puzzolente e mezza rincignata, forse raccattata per terra da qualcuno che la aveva gettata via appena accesa. Non aveva borse o altri contenitori, ma le tasche del cappotto erano piene di roba imprecisata.</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span>Quando era arrivato, l'ultima della fila, che avrebbe dovuto aspettare ancora ore per ricevere gli aiuti di Alba Dorata presentando la carta d'identità greca, era una donna sui cinquant'anni, piuttosto alta e bella dritta su se stessa; si chiamava Samaritha Kalitsounaki, e era arrivata a Atene nel '71, ancora bambina, da Porto Heli nell'Argolide assieme alla sua famiglia. Era stata per qualche tempo commessa in un negozio di articoli sportivi, poi aveva lavorato in una tabaccheria ben fornita nella via Kanellopoulou, sempre al Pireo ma dall'altra parte del Porto. Nel '79, quando aveva sedici anni, era stata violentata dal suo primo grande amore, un ragazzo di diciannove anni di Drapetsona, di nome Mihalis; ma non lo aveva mai saputo nessuno. Del resto, fortunatamente, non era rimasta incinta e questo era già tanto; pensare che lo aveva fregato alla sua migliore amica, la Diamandina Pesmazoglou, che gli sbavava dietro. Nell'86 si era sposata con un trentaduenne dell'Akti, tale Vassilis Ventouris, che le aveva promesso la classica vita tranquilla e senza problemi; e lei si era lasciata sposare nonostante il marito fosse decisamente brutto come la fame. Dopo due anni di gelosia ossessiva e di botte, Samaritha se n'era andata via di casa con un marmocchio di otto mesi, di nome Efstathios, ché così si chiamava il nonno paterno. Efstathios era ora un giovanotto di ventisei anni, che non aveva mai lavorato e che, all'insaputa della madre, era diventato una specie di picchiatore in un partito di estrema destra che è stato già nominato qui, di assoluta sfuggita. Quanto a Samaritha, di lavori ne aveva fatti parecchi prima che la ditta di import-export nella quale lavorava ultimamente fosse stata, più che costretta a chiudere, spazzata via. Una mattina era andata a lavorare e non aveva trovato più nemmeno la targa sul portone; da cinque mesi, del resto, non vedeva un soldo e aveva campato di espedienti.</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>Niente incertezze. Niente incertezze. Niente incertezze.” Pensava questo il vecchio, prima di decidersi a aprire bocca. Poteva, naturalmente, stare zitto; ma era meglio esercitarsi a parlare. Nessuno lo avrebbe mai detto, ma nella sua vita aveva parlato molte lingue diverse da quella materna; aveva viaggiato per tutto il Mediterraneo, e in Grecia non si ricordava nemmeno come c'era arrivato. Per un lavoro, forse; un giorno era passato di casa e aveva detto alla giovane moglie, che sarà stata la sua sesta o settima, di fare i bagagli e di partire con lui. Sì che era per un lavoro; si era portato dietro un po' di attrezzi, che gli altri occorrenti li avrebbe trovati lì. Era andata a finire che, lavorando come un mulo, il greco lo aveva imparato alla svelta, e molto bene; ma un greco di merda, da bassifondi, con qualche preziosismo della “lingua pura” usato a sproposito e quintali scomposti di laikì, di kaliardà e di altri gerghi della strada. Ultimamente, da quando gli avevano detto che al Pireo si parla già diverso che nel resto di Atene, si era sforzato di prendere l'accento per diventare davvero uno della zona; e la zona dove si era sistemato con la moglie era un bel cumulo di rovine, ma che non avevano nulla a che vedere con l'Acropoli. Stava in una stradaccia con un nome qualsiasi dietro l'Akti Koundouriotou, che dopo qualche anno di </span><i>crisi </i><span>pareva fosse stata bombardata; avevano trovato un fondo vuoto, che doveva essere stato di un qualche negozio di qualche cosa inutile, e ci si erano infilati dentro. Il bandone non c'era più; con dei pezzi di legno e altri rottami trovati in una discarica, visto che il suo mestiere lo sapeva fare, aveva messo su una specie di porta-finestra e poi aveva cominciato a fare il falegname ambulante per pochi soldi. Il lavoro per il quale era arrivato in Grecia? Due giorni dopo l'arrivo si era presentato all'indirizzo che gli avevano dato e ci aveva trovato la Polizia che stava sgomberando a forza della gente, mentre dalle finestre sopra la gente stava buttando sotto di tutto. Un poliziotto, a un certo punto, era stato centrato in pieno da un bidé; un altro, per non essere da meno, aveva ricevuto sul casco una pesante riproduzione in acciaio temperato della Coppa Europa di calcio vinta dalla Grecia nel 2004, finale Grecia-Portogallo 1-0, goal di Charisteas al 12' del secondo tempo. Aveva capito subito che aria tirava.</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span>La strada era formata da qualche palazzo molto alto che cadeva a pezzi; tra i palazzi, però, erano rimaste delle case più basse, alcune delle quali solo col pianterreno. C'erano parecchi terreni incolti, quelli che i francesi chiamano </span><i>terrains vagues</i><span>, dove presto erano venute su delle baracche insolite. Quanto alla fauna che ci viveva, era la crema, l'élite del lastrico di questi anni: poveracci, straccioni, emarginati, accattoni che facevano a gara di tare e di storie schifose. Avanzi di galera, buoni a nulla e, chiaramente, immigrati da paesi che potevano stare anche su Marte tanto erano fuori dal mondo. Il nome della strada proprio non me lo ricordo; tanto è inutile. Nel quartiere, comunque, nessuno la chiamava col suo nome ufficiale, ché tanto la targa stradale era stata divelta chissà quando; la chiamavano tutti </span><i>Pachni</i><span>, che in greco vuol dire “Mangiatoia”. E così la chiameremo pure noi; inutile dire che nella zona dell'Akti Koundouriotou, che pure non scoppiava di ricchezza, dire di venire dalla Mangiatoia era sinonimo di miseria nera. In uno dei terreni incolti qualcuno aveva sistemato persino due o tre pecore smagrite; in un altro, peraltro vicino al fondo dove abitavano il falegname straniero e la moglie, c'erano invece un asino e un bue, che tutti si domandavano come mai ancora qualcuno non se li fosse mangiati. Ma anche loro erano pelle e ossa.</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span>La vigilia di Natale, girando per le strade, il vecchio aveva letto i manifesti di Alba Dorata. Il fatto è che, qualche mese prima, aveva combinato un bel casino con la moglie; vecchio sì, ma ancora bello in gamba in certe cosine, la aveva messa incinta. Di figlioli, a dire il vero, ancora non ne avevano avuti sebbene al suo paese ne avesse una masnada dalle mogli precedenti, e anche un paio da legittime spose altrui. Un figliolo alla sua età, si era detto, era una benedizione dal Cielo; però non aveva scelto né il momento e né il posto più adatto. Ora la moglie stava per sgravare, e in casa non c'era nulla; certo, quelli là oramai li conosceva bene e sapeva anche cosa avevano fatto al suo amico pakistano e a decine di altri come lui. Però doveva tentare. Senza dire nulla alla moglie, era tornato a casa e aveva detto alla moglie che sarebbe tornato molto tardi; assieme a lei c'era una vicina di casa greca, una ex prostituta di settant'anni di nome Elettra, che le stava preparando una zuppa di non si sa cosa -ed è meglio non saperlo.</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span>I manifesti parlavano estremamente chiaro: greci e con carta d'identità greca. E greco non era proprio, il vecchio, nonostante un po' di greco lo avesse imparato già da ragazzo al suo paese. Il greco era lingua diffusa e di gran prestigio. Si chiamava Yosef ben Eliyahu e veniva dalla Palestina, da un paese con un nome strano che, mi sembra, comincia per “N”; la moglie, invece, si chiamava Maryam. Correvano strane voci su quella ragazza; alcuni dicevano persino che l'avesse vinta a una specie di lotteria, dato che non si capiva come mai una ragazza così giovane e bella si fosse impuntata per sposare un uomo di quell'età. Tant'è; si erano sposati, e siccome durante la cerimonia aveva giurato dinanzi a Dio (non uno qualsiasi) di seguire il marito nella cattiva e nella cattiva sorte, e dovunque, da quel paese palestinese che comincia per “N” si erano ritrovati nella Mangiatoia al Pireo, mentre la Grecia affondava e Dio c'era sì, ma parlava soltanto il greco e si era visto rilasciare anche lui una regolare carta d'identità ad usum Albae Auratae. Yosef, invece, se la doveva procurare; e ci doveva pensare alla svelta.</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span>La cosa era stata risolta grazie a quel delinquente di Christos. Christos era un altro della Mangiatoia, un ex tipografo che aveva stabilito un record difficilmente battibile. La Crisi era cominciata da due ore circa, che lui era stato uno dei primi ad essere licenziato dal posto dove lavorava; in realtà era stata tutta una scusa, dato che Christos, in tipografia, rubava da secoli tutto quel che c'era da rubare: carta, inchiostri, toner, detersivi dal bagno, birre dal frigorifero. Ricevuta la comunicazione dal direttore, che lo aveva mandato in culo dandogli del ladro fottuto e augurandogli di crepare di fame, Christos era tornato nottetempo con un paio di amici e aveva svuotato la tipografia di tutti i macchinari, trasportandoli in un posticino che conosceva lui e basta; si era messo quindi a realizzare il sogno della sua vita, quello di falsificare il falsificabile e di metterlo a gentile disposizione di chi ne avesse bisogno. Facendosi pagare un occhio della testa, naturalmente; però, a modo suo, si mostrava anche generoso. Una carta d'identità falsa, fatta a regola d'arte, costava duecento euro; ma se gli stavi simpatico, si poteva ovviare con due o tre serque di uova, con un lavoro a gratis, con una trombatina alla moglie. Non si sa bene cosa gli avesse promesso Yosef, posto che di uova non ne aveva. Christos aveva detto a Yosef di portare una fototessera, e di tornare alle due del pomeriggio; e alle due gli aveva consegnato una perfetta carta d'identità ellenica a nome di Iosifos Iliopoulos, nato a Rethymnon (Creta) il 17 novembre 1928 e residente al Pireo, via Qualcosa n° 92, statura m 1,73, peso kg 64, segni particolari nessuno, di religione ortodossa e di professione artigiano. Come cazzo avesse fatto a mettere tutti i timbri e le marche da bollo con la dea greca, non si sa. Yosef era esterrefatto.</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">"Senti, ma perché sarei nato a Creta...?"</div><div style="text-align: justify;"><span></span><span>"Demente, ma ti sei visto? Hai la faccia di un palestinese, e più che altro sei scuro come un palestinese. Ti dovevo scrivere che eri nato a Stoccolma...?</span></div><div style="text-align: justify;"><span>"</span><span>E Creta che c'entra?"</span><span></span><span> </span></div><div style="text-align: justify;"><span>"A Creta sono parecchio più scuri che qui, gamotò. Ho conosciuto uno di Rethymnon che era scuro come te, magari era tuo nonno..."</span><span> </span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span>Christos si mise a ridere sguaiatamente, poi continuò:</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">"Ascolta, con questa qui, dammi retta, sei un cretese perfetto oltre che un cretino, perché solo un cretino ingravida la moglie sotto questi bei chiardiluna. Alla tua età poi ne potevi anche fare a meno, anche se ti capisco con quel bel pezzo di....lasciamo perdere, vah. Però una cosa te la consiglio: se vuoi andare a prendere la roba da quei pezzi di merda, comunque, vacci a buio, stasera. Tanto sai che te ne frega del Natale a te, te lo dice uno che si chiama Christos; ma a proposito, te di che religione sei per davvero?.."</div><div style="text-align: justify;"><span></span><span>"Boh, me ne sono dimenticato. Però ci ho il cazzo conciato strano, ho un certo sospetto..."</span><span> </span></div><div style="text-align: justify;"><span>"Allora vacci a buio il doppio, a quelli piacciono poco i </span><i>monsummani</i><span> o come si chiamano, ma mi sa che non gli vadano a genio tanto nemmeno gli ebrei. Col buio la tua carnagione si nota di meno. Menomale che parli il greco come se tu fossi nato qui, questo è un bel vantaggio. Tanti auguri, vecchiaccio, ma stai attento; se ti riconoscono e si accorgono che hai fatto il furbo, sono cazzi tuoi."</span><span></span><span> </span></div><div style="text-align: justify;"><span>"Lo so, lo so. E li protegge anche la polizia."</span><span> </span></div><div style="text-align: justify;"><span>"Io quel che potevo fare l'ho fatto. Ma tua moglie a che punto è con la pancia?"</span><span> </span></div><div style="text-align: justify;"><span>"Ha finito il tempo il venti, potrebbe scodellarlo da un momento all'altro..."</span><span> </span></div><div style="text-align: justify;"><span>"E' un maschio?"</span><span> </span></div><div style="text-align: justify;"><span>"Secondo te ci ho i soldi per andare all'ospedale privatizzato e farle fare la morfologica? Sarà quel che sarà..."</span><span> </span></div><div style="text-align: justify;"><span>"Se è maschio come lo chiamate?"</span><span> </span></div><div style="text-align: justify;"><span>"Mah, a me sarebbe piaciuto chiamarlo come te, sai. Te lo giuro. Il tuo nome mi piace parecchio, ma lei vuole chiamarlo diverso. Un cavolo di nome che a me piace zero..."</span><span> </span></div><div style="text-align: justify;"><span>"Sarebbe?.."</span><span> </span></div><div style="text-align: justify;"><span>"Iesous."</span><span> </span></div><div style="text-align: justify;"><span>"Iecosa?... E che minchia di nome è...??"</span><span> </span></div><div style="text-align: justify;"><span>"Si chiamava così un suo zio materno che la faceva giocare da bimba. A dire il vero nella lingua nostra suona un po' differente, ma qui mi sono impuntato. Voglio la forma greca, ora come ora qui non è bene chiamarsi da immigrato..."</span><span> </span></div><div style="text-align: justify;"><span>"Capisco, capisco. Certo che è un nome bello strano, io non l'ho mai sentito in Grecia. Vabbè, bando alle ciance. Stai in campana, Yosef, anzi Iosifos. Iosifos Iliopoulos, ricorda."</span><span> </span></div><div style="text-align: justify;"><span>"Me ne ricordo, tranquillo. Ci vado verso le nove di stasera."</span><span> </span></div><div style="text-align: justify;"><span>"Bravo. E vacci vestito ammodino, ché Dio ti vede!"</span><span> </span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span>Christos si mise di nuovo a sghignazzare sguaiatamente, mentre Yosif, anzi Iosifos, si allontanava. Ora stava in coda tra la Georgiou e il corso Lambrakis; faceva un freddo da pelare e continuava a ripetersi fra sé: “Niente incertezze. Niente incertezze”. Fu la donna che lo precedeva a attaccare bottone, all'improvviso; sembrava averci una gran voglia di parlare, a bassa voce.</span></div><div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;"><br /></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>Freddo eh.”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span>Iosifos alzò leggermente la testa; prima di rispondere, sempre a bassa voce, si controllò automaticamente la tasca sinistra del cappotto. La carta d'identità era lì, e quel demonio di Christos la aveva pure plastificata a dovere. Un gioiellino; era diventato greco cristiano in due ore, e senza pagare in uova. Ogni tanto, per la strada, si vedeva qualche giovanotto di Alba Dorata che controllava la coda interminabile; qua e là passavano anche dei tipi in motocicletta, con dei caschi che non promettevano nulla di buono.</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>Fa freddo sì, signora. Siamo il ventiquattro di dicembre.”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>Già. Buon Natale.”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span>A questo Iosifos non si era preparato. Di natali ne aveva già passati qualcuno in Grecia; solo che, alla Mangiatoia, non andava particolarmente farsi gli auguri. Non si facevano né l'albero e né i regali. Il ventiquattro c'era la stessa miseria del venticinque, e il ventisei ce n'era ancora di più. Si trovò subito a biascicare:</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>B...buon Natale a lei signora. </span><i>Kalà Christoùyena</i><span>.”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span>Non poté fare a meno di pensare che </span><i>Christoùyena </i><span>significa “nascita di Christos” e si ritoccò la tasca sinistra.</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>Anche lei in fila, eh.”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>Già.”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>E non si vede la fine...”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>La fine è alla chiesa dell'Evangelistria, credo.”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>Lo sa quanto c'è alla chiesa?”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>No...”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>Due chilometri. 'Sto cazzo di corso non finisce più.”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>Prima o poi ci toccherà, signora...”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>Speriamo. Lei vota per loro?”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span>Iosifos deglutì. Doveva scegliere alla svelta se fare il poveraccio che aveva votato per il Pasok, o addirittura per i comunisti, se proclamarsi apolitico o se essere diventato nel giro di poche ore prima greco e poi fascista. Optò per la terza ipotesi.</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>Signora, voto per loro. Non mi vergogno a dirlo. Anzi!”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span>Aveva, senza essersene accorto, alzato un po' la voce. Qualcuno più avanti nella fila si voltò senza dire nulla; altri fecero finta di non avere sentito. Iosifos continuò:</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>Voto per loro ma votavo per Nuova Democrazia quando stavo a Creta...”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>Ah, viene da Creta”, disse la signora. “Nemmeno io sono di qui. Vengo dall'Argolide.”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>Bel posto, l'Argolide”, rispose Iosifos che non sapeva nemmeno dov'era, l'Argolide. La signora Kalitsounaki sorrise.</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>Io non ho mai votato per loro, ma lei non si deve vergognare. Non è detto che non lo faccia anch'io alle prossime elezioni, perdiana. Certo che a Creta siete tutti belli scuri di pelle...ci picchia forte laggiù, eh!”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span>Si intromise un giovane magrissimo, che li precedeva di tre posti nella fila; anche lui sottovoce, ma tutto sembrava come amplificato.</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>Io invece mi vergogno eccome, cari miei. Come un ladro. Ma non c'è più nulla in casa mia, accidenti alla puttana dell'eva. Tutti sulla stessa barca, se la roba la dava Pol Pot ero in fila lo stesso.”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span>La fila avanzava lentissima; erano quasi le dieci, quando riuscirono finalmente a passare l'angolo della Georgiou e a svoltare sul marciapiede del corso Lambrakis. La coda era impressionante; si cominciava a sentire qualche campana, forse per fare le prove per la messa. A Iosifos prese la voglia di piantare tutto quanto e di tornarsene a casa; Maryam, del resto, poteva partorire da un momento all'altro. Maledizione. Sarebbe tornato a casa in tempo, magari, per vedere nascere suo figlio; ma in casa non c'era più nemmeno una briciola di pane. Non poteva andarsene. Tanto, la carta d'identità la aveva; era tutto al sicuro. Lui era Iosifos Iliopoulos, fascista cretese. Uno dei loro.</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>Io manco per il cazzo ero in fila da Pol Pot”, disse Iosifos al giovane. “Io sto coi miei, con la Patria greca in difficoltà. Contro quei musi neri che ci rubano il pane e il lavoro...ma loro sanno come trattarli!”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>Nonno, non mi sembri particolarmente chiaro, tu!”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span>Aveva parlato un altro ragazzo, coi capelli cortissimi; Iosifos si sentì raggelare.</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>Certo che voi cretesi ci credo che ce l'avevate coi turchi nel '21! Siete uguali!”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span>Dalla fila partì una salva di risate, mentre la fila avanzava lenta ma costante; Iosifos cominciò a sentirsi come ubriaco, e pensare che non toccava un goccio da giorni.</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>Bella battuta, bravo! Ma noi cretesi siamo l'anima della Grecia, voi qui a Atene eravate un branco di selvaggi, allora! Ma siamo tutti greci, fratelli, la Patria è nostra e sappiamo cosa fare!”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span>Successe a quel punto una cosa parecchio inattesa. Proprio in quel momento la coda cominciò a avanzare molto più rapidamente, senza nessun motivo apparente; la signora Samaritha disse al vecchio: “O stai a vedere che hanno finito la roba e succede casino”. Tutti sembravano camminare a passo normale ora, come in una processione di spettri sul marciapiede d'una grande città; avevano smesso di parlare. Erano i poveri, gli sfrattati, i diseredati, i buttati fuori, i piccoli borghesi morti dentro, i nipoti del partigiano, i tifosi dell'Olympiakos, le studentesse senza mangiare ma col telefonino, gli impiegati della televisione ammazzata, quelli che il ventuno aprile si erano girati dall'altra parte, quelli che il ventuno aprile li avevano rinchiusi nell'ippodromo di Nea Faliro che è pure lì vicino, quelli che il ventuno aprile non erano manco nati, i precari mangiaerbe, i pensionati senza pensione, un paio di anarchici e forse anche tre, i vergognosi, gli orgogliosi, gli ex volontari delle Olimpiadi, sedici fannulloni inveterati, un cantante fallito, Mikis Theodorakis, diversi insegnanti che avevano insegnato i valori della democrazia, diversi insegnanti che non insegnavano un bel nulla, un'intera squadra amatoriale di pallacanestro, otto preti poco ortodossi, un numero imprecisato di bambini e bambine e la signora Samaritha che sembrava sostenere il vecchio Iosifos che la seguiva. Tutti con la loro carta d'identità ellenica. Non si vedeva neanche un negro, nel corso Lambrakis. Neanche un indiano. Nulla. Era una strada greca nel Natale greco.</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>Tranquilli! E' arrivata ancora roba!”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span>Aveva parlato un giovanotto gigantesco, vestito col giubbotto nero, da un motorino scassato che era passato di lì.</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>Tu, vecchio, vieni qui, ché ti voglio abbracciare!”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span>Iosifos non si era reso conto che il giovanotto stava parlando proprio a lui; quest'ultimo, allora, scese dal motorino proprio mentre la fila era arrivata, velocemente, quasi al capolinea. Vicinissimi si vedevano i banchi coi militanti, davanti alla chiesa dell'Evangelistria, mentre le campane cominciavano a suonare a distesa e un'altra fila di persone, vestite da festa, entrava dentro per la messa. I banchi erano davvero pieni di ogni cosa; militanti albadoristi indaffaratissimi confezionavano sacchetti e li davano alla gente che passava davanti esibendo la carta d'identità sfilando poi via chi a testa bassa, chi a testa alta e chi senza testa. Degli altoparlanti diffondevano ora canzoni patriottiche, ora inni sacri della tradizione.</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>Dico a te, vecchio. Ti ho sentito prima, sai. Ti voglio abbracciare per questo, camerata!”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span>Iosifos si toccò per l'ennesima volta la tasca sinistra. Il giovanotto si avvicinò, e lo abbracciò convinto. Un vero greco che non si vergognava, finalmente. Magari un povero lavoratore cui quei maledetti immigrati aveva rubato il lavoro o la pensione, costretto a far la fila la notte di Natale per avere qualcosa da mangiare. Ma tutti oramai sapevano quale fine avrebbero fatto, con l'Alba Dorata al potere. Nell'abbraccio di quel marcantonio al povero vecchio, dal collo del maglione spuntò fuori qualcosa. La sciarpa. Aveva degli strani peneri. Giusto giusto quando la signora Samaritha era stata servita e si era allontanata con la sua carta d'identità di greca cristiana, e com'è bello essere cristiani quando Cristo sta nascendo e suonano le campane a distesa. Magari avrebbe fatto pure un salto alla messa, e domani ci sarebbe stato qualcosa da mettere sotto i denti per lei e anche per quello di Pol Pot.</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>Ma cos'è questo?”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>La mia sciarpa...”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span>Il ragazzo cominciò a tirargliela fuori, la sciarpa, al vecchio; a grandi manciate. Ne venne fuori una bella keffiah palestinese, bianca e rossa, da combattimento. Yosef se l'era fatta fare a N. da un suo amico arabo, un bravissimo tessitore che in quel momento stava pure lui in coda, da diciotto ore, a un valico tra Israele e i territori, aspettando di poter passare per tornare a casa. Naturalmente Yosef non lo sapeva.</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span>Una ragazza al banco della roba, anche lei col giubbotto e biondissima, disse a Yosef mentre il ragazzo suo camerata guardava la keffiah:</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>Me la fai vedere la carta d'identità, tu?”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span>Yosef tirò fuori dalla tasca sinistra la carta d'identità di Iosifos Iliopoulos, nato a Rethymnon (Creta) eccetera.</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>Ma guarda tu!”, disse la ragazza. “Sono anch'io di Rethymnon, lo sai?”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>Incredibile!”, rispose Yosef con una specie di sorriso mentre gli era venuta la pelle d'oca.</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>Già, incredibile. Dove stavi a Rethymnon?”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>Ci manco da anni oramai...”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>Sì, Iosifos caro, ma ti ricorderai dove abitavi, no?”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>In via....in via Agiou Nikolaou.”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>Via Agiou Nikolaou a Rethymnon non c'è.”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>Mi sarò sbagliato...forse era Agiou Mihali...”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>Non c'è nemmeno Agiou Mihali, bello. E 'sta carta d'identità è falsa.”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>Come falsa...? Ma che cazzo dici, tu...?”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>E' falsa perché è firmata col nome del sindaco di Salonicco. La hai mai vista una carta d'identità di un comune firmata dal sindaco di un altro comune? Io no.”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span>Attorno si era fatto il silenzio e il gelo.</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span>Fanculo a Christos. Doveva averci uno stock di firme di sindaci e si era sbagliato. E lui era fregato. Era finita. Telos. Il ragazzo che lo aveva abbracciato con tanto entusiasmo stava calpestando la keffiah sotto gli anfibi, mentre si sentivano provenire dalla chiesa i cori da dietro l'iconostasi: “Brutto arabo di merda, schifoso, lurido verme! Ci volevi fregare, eh! Di Creta, eh!?! Ecco perché ci hai quel muso scuro da latrina! Ora te lo diamo noi un bel po' da mangiare!”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span>Yosef fu circondato in due secondi da dieci energumeni, mentre alla sua keffiah veniva dato fuoco. La sua carta d'identità era stata gettata pure nelle fiamme; aveva cessato di essere greco, di essere cristiano e anche di essere vivo.</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span>Alla Mangiatoia, la Elettra aveva prima cominciato a sentire Maryam lamentarsi e non sapeva cosa fare; di tutto aveva fatto nella sua vita, fuorché la levatrice. Nonostante il suo mestiere, di figli non ne aveva avuti anche perché s'era fatta chiudere le tube da ragazza; ma tutto s'impara alla svelta, quando occorre. Bisognava, forse, chiamare un'ambulanza; e con cosa la si pagava, poi? Di ambulanze pubbliche dell'ospedale manco a parlarne, anche perché l'ospedale vicino, a ripensarci, non era più pubblico. Quelle private costavano carissime. Nel fondo alla Mangiatoia faceva un freddo boia mentre Maryam aveva rotto le acque; si sentì un raglio dal terreno vicino.</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>Cazzo, l'asino...e il bue! Porca troia, magari se li porto dentro, con il fiato e con la merda fanno un po' di caldo...”, pensò l'Elettra; e corse fuori a prendere i due animali, spalancando la porta-finestra e facendoli entrare dentro. Maryam era stranamente tranquilla; era sicura che Yosef sarebbe tornato da un momento all'altro per vedere nascere suo figlio, magari rimediando anche qualcosa da mangiare e una coperta. Da un momento all'altro. Spuntò un testolina.</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span>Il primo cazzotto prese Yosef spezzandogli una costola, mentre proseguiva la distribuzione del cibo ai greci; lui non era più greco, era un morto. Al secondo cazzotto partì un'altra costola, mentre sentì arrivarsi qualcosa sulla testa. Al terzo colpo caddè per terra fra gli sputi; al quarto sentì un calcio nei coglioni, ché tanto suo figlio ormai era nato di sicuro e avevano assolto al loro compito naturale. Al quinto colpo sentì due raffiche di mitra e vide cascare a terra in una pozza di sangue il ragazzo di Alba Dorata che lo aveva scoperto, e anche la ragazza pura cretese di Rethymnon. I colpi erano tutt'altro che cessati, e si vedevano due automobili ferme con tre persone che continuavano a sparare mentre la gente scappava da tutte le parti, chi abbandonando sacchettate di roba, chi arraffandone a più non posso. A terra c'erano otto fascisti, mentre gli altri erano scappati in chiesa; si sentivano urla dappertutto e, più in là, altri cadaveri col giubbotto nero. Le due automobili erano ripartite, nel frattempo, a velocità folle. Yosef si rialzò sanguinante; era mezzanotte in punto. Nella confusione, raccolse tre sacchetti di roba; uno era pieno di latte in polvere multinazionale. Correre. Anche se non ce la faceva. Correre. Correre a casa, mentre nel cielo splendeva una luce.</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span>Arrivò alla Mangiatoia trafelato e ridotto a un ecce homo. Coi suoi sacchetti ridotti a ecce sacchetti, ma la roba ancora era là dentro. Erano quasi le una di notte.</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span>Maryam era distesa sul pagliericcio, vicino alla cucina economica e alla bombola del gas dalla quale il gas mancava da dodici giorni. Sorrideva, con un marmocchio sulla pancia; l'Elettra era seduta, sporca come una fogna; per terra, liquidi, pezzi di placenta, ogni cosa. Il bambino era bellissimo e dava lievissimi vagiti; ci aveva pure un bel pisellino. Maryam non parlava.</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>Ce l'hai fatta a tornare a casa, tu”, disse l'Elettra leggermente incazzata. “E ti sei anche perso la nascita di tuo figlio, stronzo.”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>Sì, però ho portato a casa tre sacchettate di roba...”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>E dove le hai prese?”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>Non te lo dico.”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>Non sarai mica...?”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>Andato a rubarle, dici?”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>Se tu le avessi rubate avresti fatto benissimo. Io dicevo...non sarai mica andato da quei merdosi...?”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>Dici quelli di Alba Dorata? Ma sei ammattita? Secondo te danno la roba a un ebreo palestinese?...”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>Appunto...”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>Ma com'è che ti sei conciato così? Sei ferito!”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">“<span>Sono stato preso da una macchina qui vicino...”</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span>Non disse più niente, Yosef. Corse dalla moglie e dal bambino. Da Iesous, con quel nome un po' a bischero, di sicuro; ma così era stato deciso. Maryam non parlava, e quel suo non dir nulla era un misto di felicità e di pugni al cielo. Un po' più in là stavano portando via dodici cadaveri di militanti di Alba Dorata ammazzati, secondo il referto che qualcuno avrebbe stilato sicuramente, da svariate raffiche di tre diversi mitra. La roba sui banchi era scomparsa, così come quella abbandonata a terra nel fuggi-fuggi generale; le prime agenzie internazionali stavano passando con la notizia della strage di Natale al Pireo. Nel cielo brillava, inesorabile, il raggio laser proveniente dalla discoteca “Comet”, da poco aperta vicino allo stadio Karaiskaki.</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span><br /></span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><i><b>(Già pubblicato sul blog il 23 dicembre 2013)</b></i></div>Riccardo Venturihttp://www.blogger.com/profile/10076610025117360920noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-5730727329261310709.post-57471962666620232632021-07-19T17:56:00.005+02:002021-07-19T17:57:38.104+02:00Le ossa di Carlo<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-VT7T-jBLwqc/YPWe4aDa2FI/AAAAAAAAU6M/LR99iZljeKwYMOYa1T9ZADtkUSHdn1ytACLcBGAsYHQ/s450/cag.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="204" data-original-width="450" height="181" src="https://1.bp.blogspot.com/-VT7T-jBLwqc/YPWe4aDa2FI/AAAAAAAAU6M/LR99iZljeKwYMOYa1T9ZADtkUSHdn1ytACLcBGAsYHQ/w400-h181/cag.png" width="400" /></a></div><br /><p></p><p><span style="background-color: #f6f6f6; font-family: "Trebuchet MS", Trebuchet, sans-serif; font-size: 13px; text-align: justify;">Domani, alle 17.27, le ossa di Carlo andranno in cerca di alcune cose.</span><br style="background-color: #f6f6f6; font-family: "Trebuchet MS", Trebuchet, sans-serif; font-size: 13px; text-align: justify;" /><br style="background-color: #f6f6f6; font-family: "Trebuchet MS", Trebuchet, sans-serif; font-size: 13px; text-align: justify;" /><span style="background-color: #f6f6f6; font-family: "Trebuchet MS", Trebuchet, sans-serif; font-size: 13px; text-align: justify;">Inutile, altrimenti, scrivere canzoni su certi altri morti che a Reggio Emilia sarebbero dovuti uscire dalla fossa e persino mettersi a cantare Bandiera Rossa. Artifici retorici. Le ossa di Carlo, invece, usciranno non soltanto dalla fossa; usciranno da Bolzaneto. Usciranno dai piedi dei questori. Usciranno dalle case di Scaiola, dalle democrazie di Gianfranco Fini, dalle zone di qualsiasi colore, da un albero della Val di Susa, da una flottiglia su qualche mare e da altre decine e decine di ossa.</span><br style="background-color: #f6f6f6; font-family: "Trebuchet MS", Trebuchet, sans-serif; font-size: 13px; text-align: justify;" /><br style="background-color: #f6f6f6; font-family: "Trebuchet MS", Trebuchet, sans-serif; font-size: 13px; text-align: justify;" /><span style="background-color: #f6f6f6; font-family: "Trebuchet MS", Trebuchet, sans-serif; font-size: 13px; text-align: justify;">Piano si scoperchierà la tomba, senza clamore. Ne ha avuto abbastanza di frastuono, in questi <i>venti</i> anni di morte; e andrà a cercare prima di tutto un po' di refrigerio. Una tomba è un ambiente malsano e asfissiante; andrà a farsi un tuffo in mare. Nessuno gli farà caso; chi sarà al lavoro, chi in ferie, chi in piazza Alimonda -pardon, piazza Carlo Giuliani. Poi, in forma di scheletro, nessuno lo potrebbe comunque riconoscere. Il simbolo appartiene a quella foto qualsiasi di un ragazzo qualsiasi, i capelli corti, la pozza di sangue, la canottiera bianca.</span><br style="background-color: #f6f6f6; font-family: "Trebuchet MS", Trebuchet, sans-serif; font-size: 13px; text-align: justify;" /><br style="background-color: #f6f6f6; font-family: "Trebuchet MS", Trebuchet, sans-serif; font-size: 13px; text-align: justify;" /><span style="background-color: #f6f6f6; font-family: "Trebuchet MS", Trebuchet, sans-serif; font-size: 13px; text-align: justify;">Troverà casualmente, per terra, un rotolo di scotch da pacchi; se lo metterà, quasi ridacchiando, attorno a un braccio. Guarda mamma, uno scheletro con un rotolo di scotch! E clàc, clàc, giù per qualche strada che digrada verso il Porto Vecchio. Delle ossa scarnificate possono permettersi di andare a farsi un bagno persino nel porto di Genova; cosa vuoi che gliene importi dell'inquinamento e dei petroli. Gli viene persino un'idea balzana: infilarsi nel famoso acquario, nella vasca dello squalo, e nuotarci assieme, assieme. Lo squalo guarda. Lo scotch si bagna. Ma guarda tu che ti vanno a inventare, pure quello mangiato dallo squalo. Sarà un'animazione. Lo avranno fatto al computer.</span><br style="background-color: #f6f6f6; font-family: "Trebuchet MS", Trebuchet, sans-serif; font-size: 13px; text-align: justify;" /><br style="background-color: #f6f6f6; font-family: "Trebuchet MS", Trebuchet, sans-serif; font-size: 13px; text-align: justify;" /><span style="background-color: #f6f6f6; font-family: "Trebuchet MS", Trebuchet, sans-serif; font-size: 13px; text-align: justify;">E altri squali girano tutti attorno, e le idee sono moribonde. Pensano le ossa di Carlo: dicono parecchi che le hanno ammazzate assieme a me, non sapevo di essere tanto importante. Ma sì. Mi butto. Non so nemmeno nuotare. Però non posso nemmeno annegare. Parte una qualche manifestazione; Genova emana i suoi puzzi. Ogni vicolo, un puzzo diverso. Ogni pertugio, qualcosa che marcisce.</span><br style="background-color: #f6f6f6; font-family: "Trebuchet MS", Trebuchet, sans-serif; font-size: 13px; text-align: justify;" /><br style="background-color: #f6f6f6; font-family: "Trebuchet MS", Trebuchet, sans-serif; font-size: 13px; text-align: justify;" /><span style="background-color: #f6f6f6; font-family: "Trebuchet MS", Trebuchet, sans-serif; font-size: 13px; text-align: justify;">Perché, poi, farsi riconoscere? Anzi, la cosa migliore è proprio questa. Le ossa di Carlo hanno capito qualcosa, in questi <i>venti</i> anni. Altro che estintore. Un estintore contro una guerra su due gambe. Le ossa di Carlo vanno, stavolta, nella più totale indifferenza perché di scheletri è comunque popolato questo tempo, a svaligiare una bella armeria. Le ossa sono dure. Dieci anni sono duri e ora ho <i>quarantuno</i> anni; una gomitata nel punto giusto, una pedata. Ora sì che va bene.</span><br style="background-color: #f6f6f6; font-family: "Trebuchet MS", Trebuchet, sans-serif; font-size: 13px; text-align: justify;" /><br style="background-color: #f6f6f6; font-family: "Trebuchet MS", Trebuchet, sans-serif; font-size: 13px; text-align: justify;" /><span style="background-color: #f6f6f6; font-family: "Trebuchet MS", Trebuchet, sans-serif; font-size: 13px; text-align: justify;">Ci abbiamo da risolvere certe questioni, diranno le ossa di Carlo. Prima di tutto, porca madonna, datemi un po' di soldi per tutte le canzoncine, i libri, gli articoli, i comitati e le piazze a mio nome; in ogni caso, anche se il Plaka non mi avesse fatto fuori, sarei stato un precario oppure sarei volato di sotto da qualche impalcatura. Poi, armato fino ai denti, e che denti, giù a fare un po' di casino. S'andrà a trovare Perugini. S'andranno a trovare tutti quei bravi padri di famiglia che hanno fatto carriera. S'andranno a trovare Agnoletto e Casarini. S'andrà a trovare qualche macellaio in Messico, ché non ci sono mai stato.</span><br style="background-color: #f6f6f6; font-family: "Trebuchet MS", Trebuchet, sans-serif; font-size: 13px; text-align: justify;" /><br style="background-color: #f6f6f6; font-family: "Trebuchet MS", Trebuchet, sans-serif; font-size: 13px; text-align: justify;" /><span style="background-color: #f6f6f6; font-family: "Trebuchet MS", Trebuchet, sans-serif; font-size: 13px; text-align: justify;">S'andrà a trovare un figlio che non potrò mai avere. Una vita che guardate un po' voi come mi tocca continuare, da scheletro armato con lo scotch. Eppure c'è qualcosa che mi fa andare. Un autobus tutto per me, perché nessuno ha paura degli scheletri ma di un arsenale d'armi sí. Sarà mica lui? Fermata in via Fracchia, chissà se c'è pure via Fantozzi. Quattro altri scheletri in un corridoio. Uno ha pure la canottiera, come me. Genova.</span><br style="background-color: #f6f6f6; font-family: "Trebuchet MS", Trebuchet, sans-serif; font-size: 13px; text-align: justify;" /><br style="background-color: #f6f6f6; font-family: "Trebuchet MS", Trebuchet, sans-serif; font-size: 13px; text-align: justify;" /><span style="background-color: #f6f6f6; font-family: "Trebuchet MS", Trebuchet, sans-serif; font-size: 13px; text-align: justify;">S'è fatta sera e ancora sto cercando. Vorrei entrare in ogni casa di coloro che telefonavano dicendo "Uno a zero". Il partito del Carlomorto e quello del Carloragazzo; e le cose sono sempre qui. I gangster sono diventati migliaia. Mi si fa incontro un altro scheletro, ed è quello di un ragazzino; avrà sí e no quindici anni. Non parla la mia stessa lingua, mi declina un nome impossibile ma ha avuto la mia stessa idea, <i>pure lui qualche anno fa, oramai.</i> Mai disarmati, d'ora in poi; quando gli parlo del Plaka mi dice che è anche un quartiere di Atene. E dietro un paese allo stremo; e dietro la polizia, l'astinomia; scheletri. Andrà a finire che lo dovremo cambiare noialtri scheletri, il mondo; ai vivi non gli riesce.</span><br style="background-color: #f6f6f6; font-family: "Trebuchet MS", Trebuchet, sans-serif; font-size: 13px; text-align: justify;" /><br style="background-color: #f6f6f6; font-family: "Trebuchet MS", Trebuchet, sans-serif; font-size: 13px; text-align: justify;" /><span style="background-color: #f6f6f6; font-family: "Trebuchet MS", Trebuchet, sans-serif; font-size: 13px; text-align: justify;">A tarda sera, io e il mio compagno stavamo cercando un cannone, e del cortile non ce ne frega proprio un cazzo. Casomai volesse venire anche lo scheletro della canzone, un rotolo di scotch e due AK 47 gli si trovano anche a lui. Casomai lo troviamo, quel cannone, lo usiamo. Casomai ci fosse qualcuno che volesse fare un po' di cattiva strada.</span></p><p><b><i>(Già pubblicato sul blog il 20.7.2011 -con alcune lievissime modifiche)</i></b></p>Riccardo Venturihttp://www.blogger.com/profile/10076610025117360920noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-5730727329261310709.post-70612536990082506272021-01-14T16:54:00.002+01:002021-01-14T18:25:59.862+01:00Tornando a casa (Il lungo sonno, 2a puntata)<p><i><b></b></i></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><i><b><a href="https://1.bp.blogspot.com/-k9pRzWQ-BnI/YABnt3Zk6zI/AAAAAAAAUv0/10sk_n2JQjUBhjLEg9Si4nIEObvi3L_mwCLcBGAsYHQ/s640/caffasport.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="640" data-original-width="640" height="320" src="https://1.bp.blogspot.com/-k9pRzWQ-BnI/YABnt3Zk6zI/AAAAAAAAUv0/10sk_n2JQjUBhjLEg9Si4nIEObvi3L_mwCLcBGAsYHQ/s320/caffasport.jpg" /></a></b></i></div><i><b><br /><span style="color: red;"><br /></span></b></i><p></p><p><i><b><span style="color: red;">Riassunto della puntata precedente</span></b>. Il Blogger, dopo una lunga dormita durata quasi un anno e mezzo, si risveglia su un treno in corsa accorgendosi di alcune strane cose che accadono attorno a lui. Da alcuni indizi capisce che dev'essere scoppiata la guerra. Scende a una stazione secondaria della sua città natale con l'intenzione di prendersi un caffè seduto a un tavolino. NB. In questa seconda puntata entra in scena un personaggio fondamentale: Rosalinda, la Vocetta Interiore del Blogger che interloquisce con lui dandogli sovente suggerimenti improntati al buon senso.</i></p><p>Però, che strana guerra dev'essere scoppiata durante la mia dormita; sono d'accordo che ho il sonno assai pesante; però, diàmine, un colpo d'artiglieria mi avrebbe ben dovuto svegliare. Una granata, una sventagliata di mitraglia, le grida di un assalto alla baionetta, un bombardamento...ma icché, niente di niente. Forse dev'essere davvero un conflitto esclusivamente batteriologico, condotto con invisibili armi biologiche; scendo dal treno, tutti -uomini, donne, bambini- portano le mascherine come sugli autobus cinesi e nei mercatini di Singapore, e si evitano accuratamente. Berrettone di lana in testa, zaino in spalla (peso spiombato, come sempre) e un bisunto carrellino da spesa a fare da improbabile trolley, mi avvio comunque all'agognato bar e al bramato caffeino, ché i malanni cardiaci che ho avuto non mi hanno lasciato affatto -come sembra a volte succeda- il disgusto per i semi tostati dell'alberello delle Rubiacee. Il bar lo vedo aperto, appena fuori dalla scalinata che mena alla piazzetta appena fuori dalla stazione di Rifredi, che non ha manco un nome, o perlomeno non me lo ricordo. </p><p>E' aperto sì, il bar; ma proseguono le cose bizzarre. Vedo persone entrare una alla volta e uscire tutte con un bicchierino di carta in mano, allontanandosi e quasi nascondendosi prima di abbassarsi la mascherina per bere. Qualcuno ha in mano una palettina e la bustina dello zucchero, e posa tutto sul primo appoggio che gli capita (uno scalino, un bidone della spazzatura); di tavolini, neanche l'ombra. Entro. Il bancone del bar e la cassa sono protetti da una lastra di plexiglass; timidamente chiedo un caffè, e ancor prima di aver terminato la richiesta il barista mi investe con un profluvio di raccomandazioni: <i>miraccomandolobevafuoriaccinquantametriminimosennòmichiudonoibbàrre. </i>Come un bischero, prendo il mio bicchierino bollente che fra poco mi spello le mani, la bustina non importa ché tanto ci ho dietro la mia polverina di stevia da diabetico, però piglio la palettina ed esco a passo quasi podistico dirigendomi verso un angolo bujo. Non propriamente, insomma, quel che avevo sperato dopo il risveglio dalla mia lunga dormita; ma, mi dico, c'è la guerra. E, durante una guerra, ringraziamo che il caffè c'è ancora; ricordo i' mi' pòero babbo quando mi raccontava dei <i>succedanei </i>che si bevevano a' su' tempi, ancora prima della guerra mondiale, il meglio dei quali sapeva di cartone ondulato, però con un gradevole retrogusto di catrame.</p><p>Quello che sto bevendo, indubbiamente, è caffè. Non sarà magari quello, famosissimo, cacato dagli animaletti indonesiani e che costa uno sproposito; ma è caffè. Sorbendolo in quella strana maniera, faccio in tempo a gettare una distratta occhiata alla porta a vetri del bar; mi accorgo che è completamente ricoperta di avvisi, disegnini, divieti, indicazioni scritte anche in un inglese agghiacciante; saranno -mi dico- le comunicazioni diramente alla popolazione dai comandi militari. Riesco anche a scorgere una parola ripetuta più volte, anche se da lontano leggo malissimo dato che non sono propriamente una lince, e che la mia bestemmia preferita è "Dio 'ttrìa"; parola che rafforza la mia convinzione di essermi risvegliato nell'infuriare di una stramaledetta guerra batteriologica. La parola è "Covi"; Covi di qui, Covi di là, Covi sotto e Covi sopra. I' Covi, nella mia città natale, è una notissima ditta di autospurghi e vuotatura di bottini, letamaj, merdaj, sterquilinij e quant'altro. Un'azienda che, evidentemente, in queste tragiche e particolari circostanze deve avere assunto un'importanza strategica di primo piano.</p><p>. Ehi....scusa, ma te la posso dire una cosa...?</p><p>- Che c'è, Rosalinda...?</p><p>- Ma niente...volevo solo dirti che, forse, faresti meglio a controllare sullo smartòfono quel che succede...magari riesci a capire meglio...</p><p>- Rosalinduccia mia tesoro...ma io a volte mi domando se ci sei o se ci fai....sei la mia Vocetta Interiore da una caterva d'anni ormai e lo sai che io lo smartòfono non ce l'ho, non l'ho mai avuto e manco lo voglio...</p><p>- E sarebbe bene che te ne prendessi uno, fava di lesso che non sei altro! Ma non vedi che ormai ce lo hanno anche i neonati e i cagnolini da passeggio...?</p><p>Tiro fuori, con malcelato orgoglio, il mio telefonino stile Realismo Socialista, made in Cecoslovacchia anno 1953, e lo fo vedere alla Rosalinda, che allarga le braccine e scompare con un sibilo. Inoltre, dopo un anno e mezzo di dormita sarà anche un po' scarico, e non ho più pagato quei diciotto rubli della ricarica alla Kim-Il Sung Communications. Poco importa, e è ora di cercar di tornare a quel che resta di casa mia, sempre che non ci trovi una voragine al suo posto dopo un raid aereo o, come più probabile, una foresta di erbacce. Mi avvio quindi verso Piazza Dalmazia per andare a prendere il tram.</p><p>Certo, però, che è davvero una <i>drôle de guerre</i>, questa. Mascherine, avvisi degli autospurghi Covi e caffè semiclandestino a parte, sembra tutto normale. Certo, c'è poca gente in giro; ma, perdiana, siamo di gennaio, fa un freddo che si pela e capisco che s'abbia poca voglia di uscire. Però passano gli autobus, in fondo a via Carlo Giuliani -no, Reginaldo, mi sbaglio sempre da quando i' Mào gli voleva cambiare il nome ma non il cognome, a quella strada- c'è sempre un po' d'ingorgo, in piazza Dalmazia c'è persino un po' di traffico e, per fortuna, non si vedono in giro fascisti discesi armati dalla montagna Pistoiese. Ché, insomma, durante una guerra bisogna pur tenerne conto, di una cosa del genere. Mah. La fermata del tram c'è ancora. Naturalmente non ci ho il biglietto, e vorrà dire che viaggerò sperando di non beccare il controllore; e se poi lo becco, pazienza.</p><p>Salgo sul tram, e ricominciano le cose un po' fuori dall'ordinario. Sulla porta automatica c'è scritto che, al massimo, possono salire 136 persone. Io mi ricordo che, prima della dormita, c'eran certe domeniche mattina che, prima di riuscire a infilarsi a Batoni su un tram stracolmo di giapponesi, cinesi, americani, sloveni, birmani, sammarinesi, kazakhi, livornesi e venusiani, bisognava aspettare un'ora buona dato che sul convoglio urbano erano stipate almeno 1136 persone ai limiti dell'asfissia; ora mi risveglio, sul tram di persone non ce ne sono nemmeno venti, ci si può mettere a sedere un seggiolino sì e uno no con degli avvisi perentori assai (tipo: "Morino, se ti metti a sedé' qui ti si porta al Poligono e ti si fucila senza processo, e poi ti si multa anche la mamma pe' avé' cahato una testa a pinolo come te") e sul tram ci son dappertutto boccettine di una roba appiccicosa trasparente con un odorino a metà tra lo spirito e lo sciampo andato a male. Tutti salgono e scendono, e ci si sdrùsciano le mane con vigore, facendo giravolte con le dita degne del mago Silvan.</p><p>- Ohei....dàttela anche te...</p><p>- Rieccola....o Rosalinda, icché mi devo dà....?!?</p><p>- Quella roba lì...</p><p>- Sì, ma io unno so miha icché gliè qui' troiaio...</p><p>- Ma tu dàttelo lo stesso sulle mane...magari è l'antidoto...</p><p>Ecco, a volte la mia Vocetta Interiore sa come toccare certe corde col suo inveterato buon senso. Non ci avevo pensato: l'antidoto. C'è la guerra batteriologica, e qualcuno avrà sicuramente trovato l'antidoto alle misteriose sostanze concepite per isterminarci a tutti...anche se, immagino, saranno sorti come funghi anche i movimenti No-Antidòt perché dentro le boccette sparse ovunque c'è una cacchina inventata da George Soros con l'aiuto dei pedofili, contenente microchips, scie chimiche, pericolosissimi acari mutati provenienti dalla Cina, caccole di Giorgia Meloni interconnesse via Instagram con le ragadi anali di Elon Musk...di tutto, insomma, per dominare finalmente il mondo. Però mi dico che, stavolta, forse la Rosalinda ha ragione e mi spalmo voluttuosamente le mani con quel gel nominalmente prodotto dalla ditta Eleuterio Pinzauti di S. Giuseppe in Collotorto, alcool 72%, boia dé o stavvedère che ci si piglia anche una bella ciucca.</p><p>Intanto, il tram fa il suo percorso di sempre. La mia città. Non vi dirò qual è, spinto anche da un improvviso impulso letterario ripensando a Sussi e Biribissi. Mezza vuota, come s'addice in tempo di guerra. Scorrono le fermate: Alamanni Stazione, Porta a Prato Leopolda, Cascine Carlo Monni, Sansovino, Batoni....si sente uno scoppio...ecco ci siamo, altro che batteri, qui ora bombardano...invece è un Gasolone che ha beccato in pieno una Kia Sorento e ora stavvedè' che se le danno...il 9 che mi parte sotto il naso....tutto normale, tutto quasi normale...aspetterò l'autobus dopo, o forse vo a piedi attraversando l'Isolotto Vecchio, canticchiandomi una canzone di tant'anni fa...2021...ho dormito tanto...</p><p><br /></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><iframe allowfullscreen="" class="BLOG_video_class" height="324" src="https://www.youtube.com/embed/yB48Ey9Z8IU" width="390" youtube-src-id="yB48Ey9Z8IU"></iframe></div><br /><p><br /></p>Riccardo Venturihttp://www.blogger.com/profile/10076610025117360920noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-5730727329261310709.post-85977988722839647072021-01-11T17:10:00.003+01:002021-01-11T17:19:28.077+01:00Il lungo sonno<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-2tdVcBvUH50/X_xqgxEMk1I/AAAAAAAAUvo/--09Qnfi_UYhKjrW-nSAX7E0IQ0ljKOzACLcBGAsYHQ/s800/ripvan.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="500" data-original-width="800" height="275" src="https://1.bp.blogspot.com/-2tdVcBvUH50/X_xqgxEMk1I/AAAAAAAAUvo/--09Qnfi_UYhKjrW-nSAX7E0IQ0ljKOzACLcBGAsYHQ/w440-h275/ripvan.jpg" width="440" /></a></div><br /><p>Ahhhhhhh....!!! Che dormita! Mi ci voleva proprio, una pennichella di quelle serie!</p><p>Solo che, perdiana, mi sono risvegliato in un posto un po' singolare. No...niente di esotico, non sono certo su una spiaggia delle Maldive o in una strada di Santo Domingo; sono su un treno. Dico, un posto un po' singolare per risvegliarsi da una dormita veramente galattica; ma non che un treno sia il primo posto dove ritrovarsi al risveglio da un lungo, lungo sonno. Ma è, almeno a una prima occhiata dopo la stiratona di prammatica, un normalissimo treno, mi sembra un "Intercity", coi vagoni e tutto il resto, che corre su delle rotaie, passa per certe stazioni e si ferma a certe altre. Il problema è che, a bordo di questo treno, le cose singolari non sono affatto terminate; lì per lì non ci avevo fatto caso, mezzo assonnato e con gli occhi ancora impastati; poi mi sono alzato per andare a sciacquarmi un po' la faccia in bagno, e ho constatato che la mia dormita deve essere stata davvero interminabile. Per un momento ho temuto di aver dormito i famosi vent'anni di Rip van Winkle, ma poi mi sono accorto che è soltanto il 2021. Undici gennaio duemilaventuno. Ho dormito per un anno e quattro mesi; il 9 settembre 2019 ho ricopiato una lettera di un condannato all'ergastolo, e poi mi sono addormentato. Certo, un anno e quattro mesi non saranno i venti del protagonista della novella di Washington Irving, ma è pur sempre un sonnellino rispettabile.</p><p>Ma dicevo delle cose singolari assai che ho notato a bordo del treno in cui mi sono risvegliato. I passeggeri, prima di tutto; pochi, e tutti con sulla faccia una mascherina chirurgica a coprire la bocca e il naso; e la cosa più singolare di tutte e che, prendendomi la voglia di grattarmi il naso, mi sono accorto che ce la avevo anche io, la mascherina. Qualcuno deve avermela messa mentre dormivo, di sicuro. E, grattandomi la pera, mi sono ovviamente chiesto che cosa stia succedendo. Mi sono detto che i casi sono due: o siamo stati invasi dai giapponesi, che hanno imposto a bordo dei mezzi pubblici l'uso della mascherina come sulla metropolitana di Tokyo, oppure deve essere in corso qualcosa di estremamente grave di cui non mi riesce comprendere bene l'entità. Mi guardo attorno, e vedo davanti a me una signora che legge un libro e che, ogni tanto, si disinfetta le mani con una boccetta di Amuchina. Passa il controllore, e ha pure lui la mascherina (ma col "logo" delle Ferrovie); passano gli agenti di polizia, e pure loro con la mascherina. Tutti mascherati, tutti travisati. Che sia stata finalmente abolita la Legge Reale?</p><p>Mi alzo per cercare di capirne qualcosa di più; come risveglio, insomma, lo si capirà, è abbastanza bizzarro, nonostante sia una radiosa giornata invernale e il convoglio passi per distese di campi lungo la pianura, dove sicuramente neri alberi stanchi son come amanti dopo l'avventura. Le stazioni mi sono familiari: "Fidenza", "Parma", "Reggio Emilia"...ma guardando dai finestrini, non si avverte il consueto viavai di gente. Vado in bagno un'altra volta, per una pisciatina e per sciacquarmi, stavolta, la faccia un po' meglio; su un sedile, abbandonata, la copia di un giornale, non so se la Gazzetta della Sera, il Quotidiano del Giorno o il Corriere delle Quattro e un Quarto; c'è un titolone che parla di Decreti, di Zone Rosse e di Coprifuoco. </p><p>Ecco, ora la terribile verità mi appare chiara; mentre dormivo, è scoppiata la guerra. Alla fine, dài pìcchia e mena, ce l'abbiamo fatta a arrivarci, perdiana. Le mascherine? Del tutto ovvio: figuriamoci se, nel 2021, non c'è il pericolo di una guerra batteriologica. Il coprifuoco, persino; bella roba! Quindi, fra un po', seguendo la logica, ci sarà anche l'oscuramento. E ci credo, allora, che mi sono fatto una dormita cosmica. E dove staranno bombardando? Le nostre truppe al fronte come si comportano? L'abbiamo finalmente presa quella maledetta Gorizia?</p><p>Certo che, durante questo mio sonno, mi devo essere perso un bel po' di cose, e tutte estremamente interessanti; mentre dormivo, in effetti, avvertivo un brusio continuo, un ronzio planetario; era il flusso della Comunicazione. Tutti che mi comunicavano addosso, e io dormivo. Nel mio sonno profondo, mi sembrava di sentire un armonioso canto di uccellini, e invece era Whatsapp. Quante analisi, quanti approfondimenti, quante immagini, quante battute, quante notizie, quanti filosofi, quanta libera espressione mi devo essere perso! Sentivo tutto quel "zzzzzzzzzz", e quasi quasi mi conciliava il sonno; e, nel frattempo, il mondo entrava a capofitto dentro la catastrofe.</p><p>Però, poi, mi sono accorto, guardando meglio la prima pagina del quotidiano abbandonato, che non tutto deve essere cambiato. Sotto il titolone del coprifuoco, vedo una grossa foto di Matteo Renzi, e noto che non è cambiato per niente: la solita faccia a bìschero. Distrattamente, vedo che stavolta, in piena guerra batteriologica, ce l'ha con tale "Conte"; mi chiedo che cosa mai gli abbia fatto l'allenatore dell'Inter, forse che la Fiorentina stia lottando con l'Ambrosiana per lo scudetto, e abbia subito un grave torto arbitrale? Oppure Renzi, per un motivo che mi resta francamente incomprensibile, ce l'ha col cantautore astigiano, quello che faceva l'avvocato e gli piacevano le Topolino amaranto...? Mah. Vallo a capire, quel personaggio. Nella foto, tra l'altro, sembra averci i capelli ancor più unti del solito.</p><p>Il treno corre; il risveglio si completa. Do un'occhiata al mio vecchio portafoglio, mezzo disfatto, e -con mia estrema sorpresa- ci trovo dentro un regolare biglietto ferroviario e ben quaranta euro in contanti. Sul biglietto c'è scritto che devo scendere a Firenze Rifredi, e quindi significa che sto tornando a casa. Qualcuno, sì, deve avermi infilato su questo treno, e lo capisco; anche mentre dormo, sono una presenza piuttosto ingombrante. Oppure che abbia dormito sui treni per un anno e mezzo? Certo, vacca boia, mi chiedo che ne sia stato di casa mia, poerammé. Sempre che nel frattempo non la abbiano pignorata e assegnata alla Pia Confraternita di S. Filomena de' Sottaceti, o non l'abbia occupata il Centro Pranoterapeutico Ayurvedico, cosa ci troverò dentro? Il Museo Nazionale delle Ragnatele? Una colonia di gufi? Una famiglia di kossovari? E chi lo sa; nel qual caso, caro lettore, cara lettrice -sempre che qualcuno di voi esista ancora,- sappi che fra qualche ora mi vedrò costretto a bussarti alla porta e a chiederti ospitalità per stanotte. Mi contenterò di un morbido letto a baldacchino e di una frugale cenetta a base di Blinis Strogonoff e caviale Malossol, innaffiata con un modesto Chateauneuf-du-Pape del 1952. Non ti chiedo molto, in fondo, e soltanto per una notte.</p><p>Ad ogni modo, appena sceso alla stazione di Rifredi, una cosa me la concederò senz'altro, perdìo. Quale risveglio può esistere senza un buon caffè? Mi siedero al tavolino del primo bar, stravaccando i miei piedacci e restando seduto almeno una mezz'oretta servito e riverito; con quei quarant'euro che ho in tasca potrei concedermi persino la cena in pur modesta trattoria familiare. E poi? Boh. Poi torno a casa. E domani, magari, mi riaddormento; la vida è suegno.</p><p><br /></p><p><br /></p>Riccardo Venturihttp://www.blogger.com/profile/10076610025117360920noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-5730727329261310709.post-49464635813237128262019-09-09T22:32:00.000+02:002019-09-09T22:32:03.345+02:00Lettera ai compagni (di Cesare Battisti)<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-YBynTrB_t-w/XXa1ZYLlYXI/AAAAAAAAUmI/rMCmysv-caYvgiECFoTqMN_VfyhGb9XzwCLcBGAs/s1600/cebat.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="209" data-original-width="300" height="222" src="https://1.bp.blogspot.com/-YBynTrB_t-w/XXa1ZYLlYXI/AAAAAAAAUmI/rMCmysv-caYvgiECFoTqMN_VfyhGb9XzwCLcBGAs/s320/cebat.jpg" width="320" /></a></div>
<div style="background: rgb(255, 255, 255); border: 0px; font-family: Verdana, sans-serif; font-size: 14px; margin-bottom: 1.6em; margin-top: 1.6em; orphans: 4; outline: 0px; padding: 0px; text-align: justify; vertical-align: baseline;">
[<em style="background: transparent; border: 0px; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;">Riceviamo e pubblichiamo senza commenti, che lasciamo ai lettori.</em>] <b><span style="color: red;">[*]</span></b></div>
<div style="background: rgb(255, 255, 255); border: 0px; font-family: Verdana, sans-serif; font-size: 14px; margin-bottom: 1.6em; margin-top: 1.6em; orphans: 4; outline: 0px; padding: 0px; text-align: justify; vertical-align: baseline;">
Mi si chiede, era veramente necessario assumermi le responsabilità politiche e penali, insomma la dichiarazione al procuratore di Milano? Mi chiedo, quale necessità muove coloro che si pongono questa domanda? Perché, se io sapessi esattamente cosa ci si aspettava da me, mi sarebbe allora più facile calarmi al loro posto e magari trovarci qualche buona ragione, che sicuramente non manca, per dubitare dell’opportunità o meno della mia decisione.</div>
<div style="background: rgb(255, 255, 255); border: 0px; font-family: Verdana, sans-serif; font-size: 14px; margin-bottom: 1.6em; margin-top: 1.6em; orphans: 4; outline: 0px; padding: 0px; text-align: justify; vertical-align: baseline;">
Ma quanti di questi, a cui vorrei sinceramente rispondere, non solo perché lo meritano, ma anche perché lo considero un dovere di compagno, possono veramente calarsi al mio posto? Ossia, come faccio a spiegare cosa mi succede adesso, senza poter dire che l’oggi è il risultato accumulato negli ultimi quarant’anni, soprattutto da febbraio 2004 in Francia fino al 23 marzo a Oristano?</div>
<div style="background: rgb(255, 255, 255); border: 0px; font-family: Verdana, sans-serif; font-size: 14px; margin-bottom: 1.6em; margin-top: 1.6em; orphans: 4; outline: 0px; padding: 0px; text-align: justify; vertical-align: baseline;">
Prendiamo solo questi ultimi quindici anni. Sono stati un inferno continuo, tra anni di carcere, arresti rocamboleschi, enorme dispendio di energia personale e di forze solidali, in una persecuzione spietata, senza riserve e mai vista prima. Mi ha visto abbandonare più volte casa, famiglia, ripudiato nella pubblica via, scacciato dai posti di lavoro, quando ne trovavo uno, a causa di un’opinione pubblica avvelenata da una propaganda di media senza scrupoli, con lo scopo di disarcionarmi ogni volta che riuscivo ad aggrapparmi a una speranza di vita normale. Lasciamo perdere i gravi problemi finanziari, rischierei di essere patetico.</div>
<div style="background: rgb(255, 255, 255); border: 0px; font-family: Verdana, sans-serif; font-size: 14px; margin-bottom: 1.6em; margin-top: 1.6em; orphans: 4; outline: 0px; padding: 0px; text-align: justify; vertical-align: baseline;">
Per questo, mi chiedo, sarà possibile che con una persecuzione simile, che ha superato in mezzi e durata l’immaginabile, è possibile, dico io, che quelle buone teste di compagni lungimiranti siano riuscite a resistere all’avvelenamento della disinformazione, che non si siano lasciate attingere anche loro, inconsciamente, in maniera moderata, come il martello che a forza di battere ha ragione del chiodo, da una tale organizzazione scientifica della menzogna? Perché, se così non fosse, come spiegare allora che alcuni compagni pretendano da me esattamente quello che da me si aspettano l’opinione pubblica, leggi, istituzioni?</div>
<div style="background: rgb(255, 255, 255); border: 0px; font-family: Verdana, sans-serif; font-size: 14px; margin-bottom: 1.6em; margin-top: 1.6em; orphans: 4; outline: 0px; padding: 0px; text-align: justify; vertical-align: baseline;">
Il “mito Battisti” è stato creato per abbatterlo, questo si capisce ed ha una logica feroce; quello che non si capisce è il “mito” ripreso anche dai compagni, un buon “mito” da sventolare in nome della lotta rivoluzionaria. E succede che poco importa che quel “mito” sia fatto di carne e ossa, che non ne possa più di essere martirizzato – martire da agitare, secondo i gusti, da un lato o dall’altro della barricata.</div>
<div style="background: rgb(255, 255, 255); border: 0px; font-family: Verdana, sans-serif; font-size: 14px; margin-bottom: 1.6em; margin-top: 1.6em; orphans: 4; outline: 0px; padding: 0px; text-align: justify; vertical-align: baseline;">
In fondo, chi avrei realmente danneggiato assumendo le mie responsabilità relative a un processo definitivo, archiviato, demonizzato? Non avrei dovuto dire del fallimento della lotta armata? E perché no? Giacché l’avevo sonoramente dichiarato nel 1981 e ripetuto. C’è qualcuno oggi che può onestamente dire che la lotta armata era da fare, che ne sia valsa la pena? (E non confondiamo Movimento con partiti combattenti). Ho preso questa decisione perché se non smitizzavo il mostro, se non dicevo che sono appena umano, allora sarebbe stato meglio se mi avessero scaraventato subito giù dall’aereo di Stato.</div>
<div style="background: rgb(255, 255, 255); border: 0px; font-family: Verdana, sans-serif; font-size: 14px; margin-bottom: 1.6em; margin-top: 1.6em; orphans: 4; outline: 0px; padding: 0px; text-align: justify; vertical-align: baseline;">
Volete avere un’idea certa su ciò da cui dovevo liberarmi? Ebbene, chiedete pure agli amici di strada, parenti, conoscenti qualunque, colleghi, chiedete loro cosa pensano di Cesare Battisti e avrete la risposta su cosa era che mi toglieva il respiro. Ho confessato senza chiedere una riduzione di pena, è stata anzi la premessa e proprio in questi giorni avete assistito alla conferma dell’ergastolo da parte della Corte d’Assise di Milano, la quale ha grossolanamente legalizzato un sequestro di persona in Bolivia. Ergastolo, tra l’altro, unico al processo PAC!</div>
<div style="background: rgb(255, 255, 255); border: 0px; font-family: Verdana, sans-serif; font-size: 14px; margin-bottom: 1.6em; margin-top: 1.6em; orphans: 4; outline: 0px; padding: 0px; text-align: justify; vertical-align: baseline;">
La domanda da porre sarebbe più concretamente questa: valeva la pena? Sì, indubbiamente (a parte le omissioni che ho lasciato passare al momento della firma, lamento la stanchezza), perché, nonostante il massacro, ho ancora voglia di avere un cervello tutto mio, una sedia e un tavolo per scrivere a voi, alla famiglia e a tutti quelli che ancora vogliono leggere.</div>
<div style="background: rgb(255, 255, 255); border: 0px; font-family: Verdana, sans-serif; font-size: 14px; margin-bottom: 1.6em; margin-top: 1.6em; orphans: 4; outline: 0px; padding: 0px; text-align: justify; vertical-align: baseline;">
Ho scritto d’un sol getto, non farò correzioni e, se incoraggiato, posso raccontare in seguito i retroscena di Ciampino, immagino che i media ci abbiano vomitato su.</div>
<div style="background: rgb(255, 255, 255); border: 0px; font-family: Verdana, sans-serif; font-size: 14px; margin-bottom: 1.6em; margin-top: 1.6em; orphans: 4; outline: 0px; padding: 0px; text-align: justify; vertical-align: baseline;">
Un abbraccio a chi lo vuole.</div>
<div style="background: rgb(255, 255, 255); border: 0px; font-family: Verdana, sans-serif; font-size: 14px; margin-bottom: 1.6em; margin-top: 1.6em; orphans: 4; outline: 0px; padding: 0px; text-align: justify; vertical-align: baseline;">
<b><span style="color: red;">[*]</span></b> <i>La lettera è stata pubblicata da <a href="https://www.carmillaonline.com/2019/09/07/lettera-ai-compagni/?fbclid=IwAR0Tuh6SCxfhFVdIHb2fRaLqm9tkYRzPhiLlkyDgbAbr4Dsrx0lQcIuJm0I"><b>Carmilla On Line</b></a>. Viene qui riprodotta integralmente. I commenti, ovviamente, si riferiscono ai lettori del sito in questione. Da parte mia, un abbraccio a Cesare Battisti; è l'unico commento che faccio.</i></div>
Riccardo Venturihttp://www.blogger.com/profile/10076610025117360920noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-5730727329261310709.post-64671185222292345492019-09-04T17:52:00.002+02:002019-09-04T17:58:12.514+02:00Nomina omina!<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-pAmo3qFUgWU/XW_dorYvnBI/AAAAAAAAUl4/YqyIGT_q7Q0zsCuNsaizeYW6soPcjdnaACLcBGAs/s1600/abbcost.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="416" data-original-width="640" height="260" src="https://1.bp.blogspot.com/-pAmo3qFUgWU/XW_dorYvnBI/AAAAAAAAUl4/YqyIGT_q7Q0zsCuNsaizeYW6soPcjdnaACLcBGAs/s400/abbcost.jpg" width="400" /></a></div>
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<div style="text-align: center;">
<span style="font-size: large;">Speranza alla salute</span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="font-size: large;">Costa all'ambiente</span><br />
<span style="font-size: large;">Pisano all'innovazione</span><br />
<span style="font-size: large;">Boccia agli affari regionali</span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="font-size: large;">Provenzano al sud</span></div>
Riccardo Venturihttp://www.blogger.com/profile/10076610025117360920noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-5730727329261310709.post-84913965936849038162019-07-17T09:37:00.001+02:002019-07-17T09:37:58.102+02:00Seduto in una piazza un diciassette di luglio<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-5CMBwTIaXo0/XS7QPoTl1BI/AAAAAAAAUkw/Jj0ORui4W-ovip1uAjwUjfR9NBqAnq2-gCLcBGAs/s1600/acam.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="689" data-original-width="960" height="458" src="https://1.bp.blogspot.com/-5CMBwTIaXo0/XS7QPoTl1BI/AAAAAAAAUkw/Jj0ORui4W-ovip1uAjwUjfR9NBqAnq2-gCLcBGAs/s640/acam.jpg" width="640" /></a></div>
<br />Riccardo Venturihttp://www.blogger.com/profile/10076610025117360920noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-5730727329261310709.post-81192022895750959252019-06-29T08:33:00.000+02:002019-06-29T11:27:56.438+02:00Carola la violentatrice<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-maJYLj9DGQc/XRb7Na18D1I/AAAAAAAAUkQ/DpNSB18yLi4RqjVIZQb6JWOjpyfiFlGgQCLcBGAs/s1600/carolar.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="368" data-original-width="654" height="360" src="https://1.bp.blogspot.com/-maJYLj9DGQc/XRb7Na18D1I/AAAAAAAAUkQ/DpNSB18yLi4RqjVIZQb6JWOjpyfiFlGgQCLcBGAs/s640/carolar.jpg" width="640" /></a></div>
<span style="color: red; font-size: large;"><br /></span>
<br />
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<i><b><span style="color: red; font-size: large;">"Sono responsabile per le 42 persone salvate in mare, che non ce la fanno più. La loro vita viene prima di ogni gioco politico."</span></b></i></div>
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<br /></div>
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La "cronaca" la leggerete e la guarderete in queste ore, se non lo state già facendo, su giornali, tv, media, pagine Facebook, altri "media": ce ne sono di tutti i tipi. Così saprete che, stamani, Carola Rackete ha forzato il "blocco" a Lampedusa, con la Sea Watch, ha fatto sbarcare i 42 migranti che aveva a bordo ed è stata immediatamente arrestata per il reato di <i><b>"resistenza o violenza a nave da guerra"</b></i> (che prevede fino a 10 anni di carcere).</div>
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<br /></div>
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Povera nave da guerra. E' tutta una violenza. A Lampedusa, mentre molti manifestavano in solidarietà con la Capitana, c'era pure un gruppetto di leghisti -guidati dall'ex sindaca Angela Maraventano. La quale dichiarava (anzi berciava, come sembra): <i><b>"Vergognatevi! Siete i complici degli scafisti. Questa è la mia isola e voi la state invadendo. Fate scendere i migranti ma la capitana deve essere arrestata immediatamente. L'Italia questa sera è stata violentata."</b></i></div>
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<br /></div>
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Povera nave da guerra. E povera isola della leghista sicula, così "violentata" assieme all'Italia intera. Uno stupro di massa perpetrato da una ragazza tedesca al comando di una nave che va a salvare delle persone in mezzo al mare, una delle prime leggi elementari dell'Umanità. Povera "guardia di finanza", la cui motovedetta rischia di essere schiacciata da una nave che sta cercando di attraccare in un porto: un reato gravissimo. Tipo quello della "nave da guerra" italiana, tale corvetta "Sibilla", che il 28 marzo 1997, giorno del Venerdì Santo, schiacciò giustappunto una carretta albanese carica di 120 profughi, la <b>Katër i Radës</b>, mentre cercava di attraccare in un porto italiano, un porto di questo paese così violentato. E ci riuscì benissimo, la "Sibilla", la nave da guerra: 81 migranti morti. Grazie al blocco navale allora decretato, si badi bene, dal governo di Romano Prodi. "Katër i Radës", il nome della nave che non resistette alla nave da guerra, significa: "Battello in rada".</div>
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<br /></div>
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<a href="https://1.bp.blogspot.com/-3n92ETPP-Yo/XRcCU4ZyXfI/AAAAAAAAUkc/8Zy9dexNzow7pA4rWYFi6OUY60yqFdLNQCLcBGAs/s1600/kater_i_rades.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="249" data-original-width="640" height="248" src="https://1.bp.blogspot.com/-3n92ETPP-Yo/XRcCU4ZyXfI/AAAAAAAAUkc/8Zy9dexNzow7pA4rWYFi6OUY60yqFdLNQCLcBGAs/s640/kater_i_rades.jpg" width="640" /></a></div>
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<br /></div>
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Di fronte a tutta questa cieca violenza nei confronti della nave da guerra, dell'isola della Maraventano (Lampedusa è sua, se non lo si fosse capito: infatti è nata a San Benedetto del Tronto, e si fece notare, nel periodo in cui era sindaca, per la proposta di annettere Lampedusa alla provincia di Bergamo) e dell'Italia intera si potrebbero dire tante cose. Ma ora come ora non credo sia il caso. Ne bastano due, molto semplici.</div>
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<br /></div>
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La prima è che Carola Rackete va nelle galere di uno stato fascista, guidato da un bambino che gioca nella vasca con le paperette e che fa la collezioncina di felpe e divise di ogni tipo mentre si prepara gli spaghetti col sugo Star. Uno stato fascista e oramai del tutto disumano, come disumano è il crasso consenso che riscuote. Carola va in galera, infatti, proprio in nome dell'Umanità superstite, ferita, sconciata, derisa, incarcerata; ma esiste ancora e forza i blocchi.</div>
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<br /></div>
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La seconda potrebbe essere riassunta con una sola parola. Ma non la dico. Coraggio, Carola, du hast wohl getan.</div>
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Riccardo Venturihttp://www.blogger.com/profile/10076610025117360920noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-5730727329261310709.post-23705842170892440692019-06-04T02:06:00.002+02:002019-06-04T02:06:45.306+02:00Fozzammàte<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-6BYWCgI4MP0/XPWvGRU-xFI/AAAAAAAAUjU/0Y4uk2tHIYM7EB1aNIyVIL5f4pPz34PygCLcBGAs/s1600/giorgiastica.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="443" data-original-width="500" height="353" src="https://1.bp.blogspot.com/-6BYWCgI4MP0/XPWvGRU-xFI/AAAAAAAAUjU/0Y4uk2tHIYM7EB1aNIyVIL5f4pPz34PygCLcBGAs/s400/giorgiastica.jpg" width="400" /></a></div>
<br />
<div style="text-align: justify;">
Le inevitabili premesse sono: a) che, come sempre, non sono andato a "votare" per le "elezioni europee" e roba del genere; b) che sono profondamente convinto, come messo in luce e ribadito da tanti, che tutte le percentuali che comunque ne sono venute fuori sono in realtà percentuali di percentuali (il famoso 34% di Salvini è il 34% del 68%, ad esempio); c) che, per me, tutte le feste di "repubbliche" con annesse sfilate e parate militari potrebbero tranquillamente finire nel <strike>cesso</strike> dimenticatoio assieme alle relative repubbliche, "costituzioni", "elezioni" e quant'altro.</div>
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<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Detto questo, mi ritrovo davanti (grazie a <a href="https://autolesionistra.tumblr.com/post/185339573902">Autolesionist<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;">я</span>а</a>) ad un'immagine del genere, scattata davanti ar Colossèo durante la <i>festa della repubblica </i>del due giugno. Esiste, cioè, un cinque o sei per cento del sessantotto per cento che sono andati a <i>votare </i>per tale "giorgia meloni" e per il suo raggruppamento di fratelli d'itàglia, tra i quali gli autori dello striscione raffigurato nella foto.<br />
<br />
Ora, alcuni -e forse a ragione- li definiscono una mànica di fascisti. Come tutte le màniche di fascisti che imperversano attualmente in questa <i>repubblica, </i>hanno attualmente un gran successone e non v'è da stupirsene affatto; né tantomeno che lo abbiano in quartieri <i>proletari</i> e/o in città storicamente "rosse" come Pisa, Livorno o Piombino (dove, addirittura, sta per essere eletto sindaco un candidato proprio dei suddetti fratelli d'itàglia).<br />
<br />
Detto questo, bisognerebbe però avere presente la giorgiamelòni. E i suoi accoliti. Bisognerebbe, e il condizionale è d'obbligo. Immaginarla come amazzone guerriera, che so io. No peace, no love. Immaginarla a capo delle <i>forze armate</i> che piacciono tanto a' su' fratelli d'itàglia. Immaginarla in tenuta da combattimento; immaginarla mentre difende eroicamente la <i>nazione </i>dalle 'nvasioni, giòvine e ardita pulzella non seconda a Giovanna d'Arco.<br />
<br />
Bisognerebbe, appunto; ma dubito che, in fondo, servirebbe a qualcosa nell'attuale idiocrazia itagliàna, dominio del ridicolo. E' per l'appunto il ridicolo che è pericolosissimo; molto più del fascismo. E è del tutto trasversale.</div>
Riccardo Venturihttp://www.blogger.com/profile/10076610025117360920noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-5730727329261310709.post-54553716263819370772019-05-22T19:54:00.001+02:002019-05-22T20:03:33.900+02:00Tre donne, una bambina, un somaro e uno sbarco<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-GsJLMOcSdrs/XOV2fh4rkNI/AAAAAAAAUi8/egBAgfHRPHg9NqgV5jbu2jkYIKq6-bSbQCLcBGAs/s1600/famas.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="384" data-original-width="512" height="300" src="https://2.bp.blogspot.com/-GsJLMOcSdrs/XOV2fh4rkNI/AAAAAAAAUi8/egBAgfHRPHg9NqgV5jbu2jkYIKq6-bSbQCLcBGAs/s400/famas.jpg" width="400" /></a></div>
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<br /></div>
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A volte si ritirano fuori vecchie foto, senza un perché e senza un percome. Si ritirano fuori e basta.</div>
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<br /></div>
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A rigore, questa è la fotografia di una fotografia. Non ho né uno scanner, né altri marchingegni del genere. Ho sempre la mia (oramai antidiluviana, credo) fotocamerina digitale, che mi basta e mi avanza; quindi, per riprodurre la foto che si vede qua, l'ho fotografata.</div>
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<br /></div>
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La foto, quella originale, è dell'estate del 1948; una volta, spesso, con la matita si usava scrivere la data o l'anno di una fotografia.</div>
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<br /></div>
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Vi si vedono tre donne, una bambina e un somaro mentre salgono su per un ripido sentiero da una spiaggia deserta. Si immagina facilmente il sole a picco.</div>
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<br /></div>
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Siamo all'Isola d'Elba, su una delle sue pietraie della parte occidentale. D'estate, il sole non è uno scherzetto in quei posti là. Ci sono delle località che hanno nomi evocativi da quelle parti: quando uno si ritrova a Seccheto, al Forno, a Sassomorto o a Bollecaldaie penso che non vengano in mente verdi prati, ombrose frasche o chiare, fresche e dolci acque.</div>
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<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Le tre donne, la bambina e il somaro stanno invece risalendo da un posto, quello con la spiaggia, che si chiama Fonza. Non so da che cosa venga questo nome; ma, come quasi tutti quelli di quella zona dell'Elba, ha il suo gemello, o comunque un nome assonanzato, in Corsica. La Corsica, la sorella più grande, è lì davanti. </div>
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<br /></div>
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La donna all'estrema destra della foto è mia nonna Maria, nata a Portoferraio lo stesso giorno in cui, a cento metri di distanza, moriva l'anarchico Pietro Gori. I famosi capricci del destino, come si dice. E' morta la vigilia di Natale del 2000. Nella foto aveva trentasette anni; era vedova da due anni dopo che s'era sposata. Mio nonno, suo marito, si chiamava Francesco, come poi mio fratello. Lavorava alle acciaierie di Portoferraio, morì sul lavoro nel 1935 preso in pieno da un carrello di una tonnellata di peso, mentre era su una passerella.</div>
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<br /></div>
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La donna al centro è mia zia Clara, nata il 14 agosto 1927 a Marina di Campo, grande raccoglitrice di caffettiere, di ricette e di strofe popolari che trascriveva in dei quaderni. Nel 1972, quindi non più da ragazza, si comprò un motorino "Ciao" per andare a lavorare; da allora fu soprannominata "Ago", come Giacomo Agostini, il famoso motociclista. La chiamavano anche "la Fiorina" per la sua abilità nel coltivare fiori e piante; seminava, tra le altre cose, un basilico in delle vecchie tinozze di latta riempite di terra, che faceva delle foglie di una grandezza mai vista. E' morta il 13 luglio del 2014, con la testa che oramai batteva la campagna. Nella foto ha ventuno anni.</div>
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<br /></div>
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La ragazza è mia madre. Si chiama Luciana. E' nata il 16 ottobre del 1933 e è ancora viva, anche se non sta punto bene. Nella foto ha quindici anni, ha il cappello più grande e, anche se sta un po' piegata, si vede chiaramente che è altissima. Così si capisce "da chi ho preso", e anche quel che mi dicevano sempre da piccolo: "Verrà più alto di zio Fausto". Questo zio Fausto, che ho fatto appena in tempo a conoscere, era alto un metro e ottantadue e doveva essere il gigante di famiglia; l'ho passato di una decina di centimetri e rotti, in effetti.</div>
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<br /></div>
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La bambina non so chi sia, e mia madre non se lo ricorda.</div>
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<br /></div>
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Il somaro si chiamava Gustavo. Le tre donne e il somaro hanno il capo coperto, come si conviene. Il somaro era pienamente uno di famiglia, e giustamente gli hanno coperto il capo con una specie di cappello da gondoliere. Sicuramente anche un po' per scherzo, per fargli la fotografia. Qualcuno la deve aver fatta, quella fotografia, e chissà chi sarà stato. Non erano tempi di "selfie". Un po' per scherzo, ma un po' anche per non fargli scottare il capo, povera bestia. </div>
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<br /></div>
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Nessuna lo monta, nonostante l'erta sotto il sole. Nemmeno la bambina, che peraltro è l'unica a capo scoperto (o almeno così sembra dalla foto). Questo non è uno scherzo: è un atto di rispetto per un animale che faticava. Come un somaro, appunto. </div>
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<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Sembra una specie di occasione di festa, o di svago. Le tre donne e la bambina sono vestite abbastanza bene, con proprietà. Mia madre, un'adolescente, si tiene un po' la sottana del vestito che sembra svolazzare al vento. Doveva essere un vento secco e bollente; non lo scirocco. Lo scirocco non fa respirare, porta nuvole grasse e puzzolenti di formaggio e ti fa passare la voglia di fare qualunque cosa.</div>
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Tre donne, una bambina e un somaro, un giorno d'estate di settantuno anni fa.</div>
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<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
A Fonza, in realtà, ci stavano di casa. Quattro anni prima, una mattina di giugno dove lo scirocco, e di quello peso, invece c'era, si erano viste un intero sbarco alleato in casa; tra tutti i posti per lo sbarco, le forze francesi comandate dal generale vandeano De Lattre De Tassigny avevano scelto il posto dove abitava la mia famiglia: l' <i>Opération Brassard.</i></div>
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<i><br /></i></div>
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<i><br /></i></div>
<div align="center">
<iframe allow="accelerometer; autoplay; encrypted-media; gyroscope; picture-in-picture" allowfullscreen="" frameborder="0" height="315" src="https://www.youtube.com/embed/EdzW5B4eq6Q" width="560"></iframe></div>
<br />
<div style="text-align: justify;">
Il filmato per le <i>United News </i>mostra tutto lo sbarco a Fonza del 17 giugno 1944. Vi si vede la stessa spiaggia e la stessa erta percorsa quattro anni dopo da quelle tre donne, dalla bambina e dal somaro. A 13'27" del filmato si cominciano a vedere spesso la casa e il magazzino della mia famiglia, che furono ovviamente requisiti. Vi si vedono le forze francesi, composte prevalentemente da <i>tirailleurs </i>marocchini e senegalesi; così, se vi capiterà di fare un giro al cimitero vecchio di Marina di Campo, quello di San Mamiliano, capirete perché c'è un monumento ai caduti con una scritta in arabo che dev'essere un versetto del Corano. Mia nonna, quella all'estrema destra della foto con le due ragazze, la bambina e il somaro, tirò una secchiata piena d'acqua in testa a un soldato senegalese che, diciamo, le aveva messo un po' gli occhi addosso. Se la vide brutta. Comunque, anche a Marina di Campo e dintorni nacquero due o tre bambini con la pelle scura, come nella canzone napoletana <i>Tammurriata Nera.</i></div>
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<i><br /></i></div>
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A 14'09" del filmato si vede il magazzino di casa mentre vi viene issata la bandiera francese. Mia madre, che per tutta l'occupazione, alta e bionda com'era, era stata letteralmente sfamata da un soldato tedesco che la aveva presa a benvolere, si ricorda che mio zio Ulisse (all'epoca ventottenne) aveva aiutato i soldati a tirare su la bandiera; ma nel filmato non si vede.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Sono solito dire che non tutti possono dire di avere avuto un intero sbarco alleato in famiglia; anzi, proprio in casa. La casa, il magazzino e il terreno di Fonza sono stati venduti nel 1961 a degli industriali di Biella, che ci si fecero la villa al mare. Io ci sono stato pochissime volte, anche da ragazzo; c'era una stradaccia orrenda che spaccava qualsiasi macchina si azzardasse a percorrerla. La vedo sempre da Galenzana, quando ci vado; sta proprio là davanti, dall'altra parte del golfo. Con la vendita di Fonza fu costruita la casa al Formicaio.</div>
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<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Quattro anni dopo lo sbarco, in un dopoguerra, tre donne, una bambina e un somaro con il cappello da gondoliere salivano per quelle ripe, su verso il Monte Tambone, in una giornata d'estate piena. Mi mancavano ancora parecchi anni a nascere; sono del 1963. Nella fotografia, a parte mia madre e (forse e lo spero) la bambina, sono tutti morti.</div>
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<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
A volte si ritirano fuori le vecchie foto. Non c'è un motivo, non c'è nessun anniversario, non c'è un'occasione speciale, non c'è nemmeno l'impeto dei ricordi. Non ci potrebbe del resto essere, dato che non c'ero. Solo una fotografia, né più e né meno.</div>
Riccardo Venturihttp://www.blogger.com/profile/10076610025117360920noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-5730727329261310709.post-11183298005714231582019-05-16T22:04:00.002+02:002019-05-16T22:04:27.711+02:00Ciao Paolo, ora gliele suoni<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-7kYUViC0ZrQ/XN3A51TN8fI/AAAAAAAAUis/QiPtg6wa9Qs618of7RGR43wiu7oCZE0MgCEwYBhgL/s1600/scotcharki.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="480" data-original-width="480" height="320" src="https://4.bp.blogspot.com/-7kYUViC0ZrQ/XN3A51TN8fI/AAAAAAAAUis/QiPtg6wa9Qs618of7RGR43wiu7oCZE0MgCEwYBhgL/s320/scotcharki.jpg" width="320" /></a></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;">Lo so che non c'è un accidente di niente da quell'altra parte. C'è solo il Vastissimo Nulla dove non ci sono più né l'Adesso, né il Qui.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;">Però, Paolo, mi piace immaginare che ora gliele suoni.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;">Gliele suoni quelle divine aule, glieli suoni quegli immensi spazi, gliele suoni quelle eteree navate di nubi. Come facevi con una stanza qualsiasi. La suonavi.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;">Niente arpe. Scotch da pacchi trasparente. Scratch, scratch, scratch ritmico. Prendi la canna e gliela sberci roteandola. Una sèggiola, levi i tappini dalle zampe e giù di perepééééé. Cuscini sbattuti. Clangori di suppellettili. Piattacci rotti di batterie da balera sbattuti per terra. Altro che arpe celestiali. Musica! Musica con tutto quanto, con gli oggetti, con le stanze.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;">No, certo che non esiste, che è un'invenzione di chissacchì. Pero mettiamo che arriva pure il sig. Padreterno: allora a lui non gliele suoni. Gliele canti. Gli canti <b>"Ho visto un re"</b>. Così lo fai scappare. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<div align="center">
<iframe allow="accelerometer; autoplay; encrypted-media; gyroscope; picture-in-picture" allowfullscreen="" frameborder="0" height="315" src="https://www.youtube.com/embed/KJZosuhbUSU" width="560"></iframe></div>
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><br /></span>
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><br /></span>
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;">E poi ripigli lo scotch, le sèggiole, i piattacci, 'gniòsa. E giù come prima. E quel Vastissimo Nulla, d'improvviso, si riempie.</span></div>
Riccardo Venturihttp://www.blogger.com/profile/10076610025117360920noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-5730727329261310709.post-80934907169556802992019-05-13T21:11:00.000+02:002019-05-13T21:41:06.164+02:00Manifesto del Terraquadratismo.<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-Yq3lSj4ixgs/XNlHlvlHZ8I/AAAAAAAAUiI/5oCc4GIeDxcZWMPFRhaTk4a-AIODY0QNACLcBGAs/s1600/terraq.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="807" data-original-width="1023" height="315" src="https://2.bp.blogspot.com/-Yq3lSj4ixgs/XNlHlvlHZ8I/AAAAAAAAUiI/5oCc4GIeDxcZWMPFRhaTk4a-AIODY0QNACLcBGAs/s400/terraq.jpg" width="400" /></a></div>
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Cari amici <i>Terrapiattisti</i>, che così tanto successo state avendo in questi ultimi tempi, secondo me vi sbagliate. La Terra, infatti, non è piatta, e smettetela con queste sciocchezze: la Terra è <b>quadrata</b>, ecciollepròve.</div>
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La prima (e più importante) prova, è che mi sono rotto i quadriglioni di girare da vent'anni e rotti per l'Internet e di non avere creato niente a parte un blogghino sperduto nel nulla. Ho quindi deciso, finalmente, di <i>dare inizio </i>a qualcosa di veramente importante, per il quale la presente data del 13 maggio 2019 e questo post verranno ricordati per l'eternità. Il resto delle prove, per ora, non lo dico; a parte una, che attiene all'ovvietà delle cose. Di uso comune sono espressioni come <i>"ai quattro angoli del mondo"</i> o <i>"ai quattro lati della terra"</i>, e ditemi un po' voialtri se avete mai visto una sfera con gli angoli e i lati. Un po' di <i>buonsenso</i>, suvvìa; che la Terra sia quadrata lo dice la <b>voce di' pòpolo</b>, e i' popolo ha sempre ragione. Anche voi Terrapiattisti, del resto, dalla rotondità non vi staccate affatto: la Terra sarà anche piatta, ma sempre rotonda la rappresentate.<br />
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Naturalmente, vorrei subito sgomberare il campo anche da ogni possibile accusa di <i>antiscientismo</i>, e di attentato alla geometria. So bene che la Terra non è propriamente "quadrata", bensì <b>cubica</b>; così come gli esecrandi Terrarotondisti in maggioranza sanno bene che in realtà, secondo loro, sarebbe sferica. Ma si tratta di comuni denominazioni di comodo, ove la geometria piana prevale nel sentimento popolare su quella solida. Così come "rotonda" equivale a "sferica", "quadrata" equivale a "cubica". Potrei al limite accettare la vostra tesi, cari Terrapiattisti, se almeno dichiaraste che la Terra è <b>piatta e quadrata</b>, come uno di quei famosi piatti da cucina neri dell'IKEA. Potrebbe essere un compromesso accettabile. Ma sul Quadratismo della Terra non accetto contraddittori.<br />
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Come tutti voi saprete, l'incontrovertibile verità della Terra Quadrata viene nascosta ai suoi abitanti oramai da secoli, abbinata a tutta una serie di menzogne astronomiche frutto di complotti capillari e ben orchestrati. Uno di questi riguarda la cosiddetta "Luna". Sulla rotondità della luna non possono esistere dubbi, dato che tutti noi la vediamo in cielo ogni sera, mirabile esempio di geometria cosmica che fa girare un cerchio attorno a un cubo. Ma la Luna, lei sì, è in realtà <b>piatta</b>. Non esiste nessuna "faccia nascosta"; nascondersi la faccia ammodino dovrebbero casomai farlo tutti coloro che hanno portato avanti, e continuano a diffondere, questa falsità.<br />
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Con gli amici Terrapiattisti, ai quali raccomanderei di trasformarsi all'istante (già da ora che sono a congresso a Palermo) in <b>Lunapiattisti</b> e di incamminarsi assieme a me sui quadrati destini del Pianeta, posso certamente condividere alcune appurate tesi complottistiche. Sono certamente d'accordo sul fatto che essersi fidati di un pisano, tale Galileo Galilei, sia stato un errore storico di cui ancora paghiamo le conseguenze; i lodevoli tentativi di Santa Madre Chiesa Cattolica & Apostolica di metterlo a tacere non hanno purtroppo sortito gli effetti sperati. Godevano, egli e quel suo sodale polacco che osò mettere in dubbio che il Sole girasse intorno alla Terra (Quadrata), di appoggi potentissimi, in grado di sconfiggere anche il Magistero della Chiesa; appoggi che si sono perpetuati nei secoli.<br />
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Da Copernico a George Soros, dal misterioso complotto Antiquadratista perpetrato da miriadi di pseudoscienziati, da una Chiesa oramai appiattita (ebbene sì!) sulle posizioni <i>mainstream</i> alla bieca senzadìo Margherita Hack, la Verità che viviamo sulla superficie di un cubo è stata sapientemente celata; ma è ora che, finalmente, essa torni alla luce di quel Sole che, piatto anch'esso, gira attorno al nostro perfetto Cubo.<br />
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Ora mi direte senz'altro, cari Terrapiattisti, che non avrei che da fare una cosa sola; perché lanciare questo decisivo manifesto del Terraquadratismo da un blog <i>of the cabbage, </i>che nessuno lo legge? Perché non ti fai la tua bella pagina <b>Facebook</b>, "La Terra è Quadrata!" (The Earth is Square!), entrando nel màgico mondo degli eventi, delle <i>Amicìzzie</i>, delle taggate, delle <i>condivisioni </i>e dei gruppi? Potresti così essere del tutto certo che, in men che non si dica, troveresti una marea di <b>imbecilli</b> che ti seguono a livello planetario, senza naturalmente calcolare tutti gli altri <i>social</i> che verrebbero investiti di riflesso. Dopo un po' parlerebbe di te anche "Repubblica" e ti farebbe scrivere gli articoli contro dai massimi scienziati italiani; diventeresti un fenomeno mondiale. Altro che blogghino!<br />
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Eh sì, lo so. Ma, debbo dirlo, io ho un temperamento fondamentalmente romantico. Mi piace poter pensare che la Verità della Terra Quadrata nasca (o rinasca) proprio da questo luogo sperduto nella Bloggosfera (la quale, va da sé, è anch'essa rigorosamente quadrata: la dittatura della Sfera ha invaso tutto!). Che la Verità si propaghi quindi goccia a goccia, poco a poco, per tramite di accessi casuali, di ricerche Google che da impostazioni tipo "scambio mogli mariti cuckold" o "risultati cricket India-Pakistan 1976" portano fino a qua (è successo!), di cosmica confusione come preconizzata dal saggio Eraclito.<br />
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Esiste, inoltre e purtroppo, il rischio che, sui predetti <i>Social</i>, qualcuno ci abbia già pensato; e che, in realtà, la Verità della Terra Quadrata già circoli abbondantemente. Insomma, come si suol dire, che io, col mio blogghino, sia in realtà arrivato <i>èsimo</i>. Se ne venissi a conoscenza, sappiate comunque che non demorderò. Andrò avanti, in tale caso, con un'altra possibilissima Verità: la Terra è <b>Triangolare</b>. E anche qui ci avrei le prove: il triangolo, come del resto lo stesso numero 3, non è da sempre simbolo della perfezione celeste? E la Santa Trinità? E lo chiamavano Trinità? E Trinitàpoli? E il Ponte a Santa Trìnita? Tutti simboli che non possono che riferirsi ad una sola cosa.<br />
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<a href="https://3.bp.blogspot.com/-ghcCnFd8x8w/XNnDTtJERWI/AAAAAAAAUiU/IvBL6dU6Rpwe9IN2bxKCwxL_7tJ49pl-gCLcBGAs/s1600/terratriang.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1080" data-original-width="1080" height="320" src="https://3.bp.blogspot.com/-ghcCnFd8x8w/XNnDTtJERWI/AAAAAAAAUiU/IvBL6dU6Rpwe9IN2bxKCwxL_7tJ49pl-gCLcBGAs/s320/terratriang.jpg" width="320" /></a></div>
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Ma anche qui, nel Quadrato Universo dei <i>Social</i>, potrebbe darsi che qualcuno ci abbia già pensato. Non resterebbe che attenersi alle fotografie della NASA, la quale ha ripreso (con foto sconvolgenti, ovviamente tenute <i>top secret</i> da complotti orchestrati da Donald Trump, Mao Tse Tung, Ho Chi Minh, Paolo VI, Luther Blissett, Santa Teresa di Calcutta, Santa Teresa di Gallura, Fabrizio Corona e dallo staff del Game of Thrones), la <b>vera e indubitabile </b>forma del nostro Pianeta, la quale fotografa al tempo stesso anche tutto quanto l'Universo dei <i>Social Media</i> :<br />
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<a href="https://1.bp.blogspot.com/-wCq_kNGejXg/XNnE6DgDaSI/AAAAAAAAUig/2Bd7MyqcERgV_XtL6RNSazlbUzfA40HlgCLcBGAs/s1600/earthcock.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="225" data-original-width="225" height="320" src="https://1.bp.blogspot.com/-wCq_kNGejXg/XNnE6DgDaSI/AAAAAAAAUig/2Bd7MyqcERgV_XtL6RNSazlbUzfA40HlgCLcBGAs/s320/earthcock.jpg" width="320" /></a></div>
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Ma la Terra è quadrata, e comincia da qui il suo viaggio; sarà lungo e non ne vedrò la fine. Non gusterò il trionfo. A voi, oggi 13 maggio 2019, consegno questo Manifesto, che un giorno sarà Storia. Un felice giorno ci renderemo tutti, finalmente, conto di aver vissuto e di vivere su un Cubo, e qui vi lascio.<br />
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Riccardo Venturihttp://www.blogger.com/profile/10076610025117360920noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-5730727329261310709.post-52475337701190752842019-05-07T11:14:00.004+02:002019-05-07T11:17:21.206+02:00It was the seventh of May, on the election day<br />
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<a href="https://4.bp.blogspot.com/-S-fQuzFlje4/XNFLDqU6U5I/AAAAAAAAUh4/dHl29hc0Hhw3tSEpIYhAGtEYhM27G0_eQCLcBGAs/s1600/funser.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="266" data-original-width="200" height="400" src="https://4.bp.blogspot.com/-S-fQuzFlje4/XNFLDqU6U5I/AAAAAAAAUh4/dHl29hc0Hhw3tSEpIYhAGtEYhM27G0_eQCLcBGAs/s400/funser.jpg" width="300" /></a></div>
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<div style="text-align: justify;">
<span style="background-color: #fafafa; font-size: 15.68px;"><span style="font-family: "verdana" , sans-serif;">Francesco (Franco) Serantini was born in Cagliari on Sardinia on 16th July 1951 and abandoned at birth. He was given both his names by an official of a literary bent or a priest or policeman who had seen in the paper recently mention of the Romagnol writer of the same name, an author of picturesque novels, one of which was <i>I Bastardi</i>.</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 15.68px;"><span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><br /></span></span></div>
<span style="background-color: #fafafa; font-family: verdana, sans-serif; font-size: 15.68px; text-align: justify;">He was adopted at the age of two by a childless couple. After the death of the adoptive mother he went to live with his maternal grandparents at Campobello di Licata. At the age of 9, he was transferred to an institution in Cagliari.</span><span style="background-color: #fafafa; font-size: 15.68px;"></span><br />
<span style="background-color: #fafafa; font-size: 15.68px;">
</span>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 15.68px;"><span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><br /></span></span></div>
<span style="background-color: #fafafa; font-family: verdana, sans-serif; font-size: 15.68px; text-align: justify;">In 1968 he was sent to the Institute for the Observation of Minors and from there to the Pietro Thouar reformatory of Pisa which had an open regime, where he had to eat and sleep in the institution. He went on to attend a school of business accounting in Pisa. Student life opened him up to new and radical ideas and he began to take an interest in the youth organizations of the Communists and Socialists, before joining the leftist group Lotta Continua and finally arriving at anarchism and activity in the Giuseppe Pinelli anarchist group which had its centre in via San Martino in autumn 1971.</span><span style="background-color: #fafafa; font-size: 15.68px;"></span><br />
<span style="background-color: #fafafa; font-size: 15.68px;">
</span>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 15.68px;"><span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><br /></span></span></div>
<span style="background-color: #fafafa; font-family: verdana, sans-serif; font-size: 15.68px; text-align: justify;">At that time in 1968, Pisa, with Trent and Turin, was one of the centres of student radicalism.</span><span style="background-color: #fafafa; font-size: 15.68px;"></span><br />
<span style="background-color: #fafafa; font-size: 15.68px;">
</span>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 15.68px;"><span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><br /></span></span></div>
<span style="background-color: #fafafa; font-family: verdana, sans-serif; font-size: 15.68px; text-align: justify;">Franco was intensely active in the various political activities of the period, including the Red Market in the working class neighbourhood of Cep, where fruit and vegetables were sold at low prices to the poor, in various anti-fascist activities, and in the campaigns for the liberation of framed anarchist Pietro Valpreda.</span><span style="background-color: #fafafa; font-size: 15.68px;"></span><br />
<span style="background-color: #fafafa; font-size: 15.68px;">
</span>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 15.68px;"><span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><br /></span></span></div>
<span style="background-color: #fafafa; font-family: verdana, sans-serif; font-size: 15.68px; text-align: justify;">On the 5 May 1972 he took part in the anti-fascist demonstration called by Lotta Continua against the meeting of Giuseppe Niccolai of the fascist party MSI. The demonstration was attacked by the police. Franco found himself surrounded by a group of mobile police of the 3rd and 4th platoons of the 3rd Company of the Ist Raggruppamento Celere di Roma and was severely beaten.</span><span style="background-color: #fafafa; font-size: 15.68px;"></span><br />
<span style="background-color: #fafafa; font-size: 15.68px;">
</span>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 15.68px;"><span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><br /></span></span></div>
<span style="background-color: #fafafa; font-family: verdana, sans-serif; font-size: 15.68px; text-align: justify;">From there he was taken to the police barracks and then on to the Don Bosco prison. There he was interrogated and beaten again. The examining judge, the jailers and the prison doctors did not regard his injuries as serious.</span><span style="background-color: #fafafa; font-size: 15.68px;"></span><br />
<span style="background-color: #fafafa; font-size: 15.68px;">
</span>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 15.68px;"><span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><br /></span></span></div>
<span style="background-color: #fafafa; font-family: verdana, sans-serif; font-size: 15.68px; text-align: justify;">After two days of agony he was found in a coma on 7th May and transferred to the prison clinic where he died at 9.45am.</span><span style="background-color: #fafafa; font-size: 15.68px;"></span><br />
<span style="background-color: #fafafa; font-size: 15.68px;">
</span>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 15.68px;"><span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><br /></span></span></div>
<span style="background-color: #fafafa; font-family: verdana, sans-serif; font-size: 15.68px; text-align: justify;">The afternoon of the same day the prison authorities tried to obtain the quick burial of Franco. The court turned this down, whilst news of Franco’s death spread through Pisa. Luciano Della Mea, an anti-fascist militant, together with the lawyer Massei, asked for the body to be delivered up.</span><span style="background-color: #fafafa; font-size: 15.68px;"></span><br />
<span style="background-color: #fafafa; font-size: 15.68px;">
</span>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 15.68px;"><span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><br /></span></span></div>
<span style="background-color: #fafafa; font-family: verdana, sans-serif; font-size: 15.68px; text-align: justify;">After the autopsy, the lawyer Giovanni Sorbi emerged and announced that he had been traumatised by what he saw. The chest, shoulders, arms and head of Franco were covered in blood, and not an inch of his body had been left untouched. Franco’s funeral on the 9th May saw a huge demonstration. The veteran anarchist Cafiero Ciuti gave a speech at the graveyard, followed by a Lotta Continua militant and a member of the Durruti anarchist group of Florence (Cinti was a retired railway worker, an Ardito del popolo in 1921, sacked by the fascists in 1924). The old anarchist song Sons of the Factories was sung at the graveside.</span><span style="background-color: #fafafa; font-size: 15.68px;"></span><br />
<span style="background-color: #fafafa; font-size: 15.68px;">
</span>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 15.68px;"><span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><br /></span></span></div>
<span style="background-color: #fafafa; font-family: verdana, sans-serif; font-size: 15.68px; text-align: justify;">On 13th May a huge demonstration called by Lotta Continua took place. Gianni Landi spoke for the anarchists and Adriano Sofri for Lotta Continua. The demonstration finished at the last residence of Franco before his death and a plaque was put up there.</span><span style="background-color: #fafafa; font-size: 15.68px;"></span><br />
<span style="background-color: #fafafa; font-size: 15.68px;">
</span>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 15.68px;"><span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><br /></span></span></div>
<span style="background-color: #fafafa; font-family: verdana, sans-serif; font-size: 15.68px; text-align: justify;">Demonstrations took place regularly in memory of Franco every year. In Turin a school was named after him, and in 1982 the San Silvestro square in Pisa was renamed Piazza Franco Serantini with a monument donated by the marble workers of Carrara.</span><span style="background-color: #fafafa; font-size: 15.68px;"></span><br />
<span style="background-color: #fafafa; font-size: 15.68px;">
</span>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 15.68px;"><span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><br /></span></span></div>
<span style="background-color: #fafafa; font-family: verdana, sans-serif; font-size: 15.68px; text-align: justify;">All attempts to bring the police officers to justice ground to a halt in the courts. Despite this, the campaigning of the anarchist movement and Lotta Continua kept the murder of Serantini in the public eye. The Justice for Franco Serantini Committees, the ballad </span><i style="background-color: #fafafa; font-family: verdana, sans-serif; font-size: 15.68px; text-align: justify;">Ballata per Franco Serantini</i><span style="background-color: #fafafa; font-family: verdana, sans-serif; font-size: 15.68px; text-align: justify;"> by Piero Nissim, and the book on Serantini’s life by Corrado Stajano made sure that Franco’s memory was not forgotten.</span><span style="background-color: #fafafa; font-size: 15.68px;"></span><br />
<span style="background-color: #fafafa; font-size: 15.68px;">
</span>
<div style="text-align: justify;">
<span style="background-color: #fafafa; font-size: 15.68px;"><span style="font-size: 15.68px;"><span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><br /></span></span></span></div>
<span style="background-color: #fafafa; font-size: 15.68px;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 15.68px;"><span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><br /></span></span></div>
</span>
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<div align="center">
<iframe allow="accelerometer; autoplay; encrypted-media; gyroscope; picture-in-picture" allowfullscreen="" frameborder="0" height="315" src="https://www.youtube.com/embed/A-tW7hmv_VY" width="560"></iframe></div>
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<div style="text-align: center;">
<span style="color: red; font-family: "verdana" , sans-serif;"><b>THE BALLAD OF FRANCO SERANTINI</b></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;">La ballata di Franco Serantini</span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><i>Written by Piero Nissim</i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><i>Rewritten in English by Riccardo Venturi, May 7, 2019.</i></span></div>
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<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><br /></span></div>
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<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><span style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">It was the seventh of May, on the election day,</span><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><span style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">The first results, as you see, are coming from the jails.</span><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><span style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">There was a comrade who lay there dead</span><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><span style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">And he was only twenty years old.</span><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><em style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">There was a comrade who lay there dead<br />And he was only twenty years old.</em><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><span style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">A meeting was scheduled with fascist Niccolai,</span><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><span style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">Franco and his comrades resolv'd to bar him the way:</span><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><span style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">“We have to stop him, happen what may,</span><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><span style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">That filthy fascist mustn't speak today.”</span><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><em style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">We have to stop him, happen what may,<br />That filthy fascist mustn't speak today.”</em><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><span style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">Franco was caught by the cops on Gambarcorti quay,</span><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><span style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">Those serfs of the State beat him until he lay.</span><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><span style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">“And now, you fuckin' reds finally understand</span><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><span style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">That you can die if you against us stand!”</span><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><em style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">And now, you fuckin' red finally understand<br />That you can die if you against us stand!”.</em><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><span style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">And later, left to the mercy of Zanca and Ballardo,</span><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><span style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">Franco was beaten again by the cops and the wardens:</span><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><span style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">“I already warn'd you six months ago”,</span><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><span style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">Zanca says beating him without pity.</span><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><em style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">“I already warn'd you six month ago”,<br />Zanca says beating him without pity.</em><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><span style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">Franco lies alone in jail, now he feels he is dying</span><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><span style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">When an attorney comes to the cell where he's lying.</span><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><span style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">He then asks Franco: “What brought you there?”</span><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><span style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">“The idea of freedom; that's why I'm dying here.”</span><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><em style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">He then asks Franco: “What brought you there?”<br />“The idea of freedom; that's why I'm dying here.”</em><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><span style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">They suddenly hurry up, you're dangerous even dead,</span><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><span style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">An operation's launched to bury you with speed.</span><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><span style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">“He's only an orphan, let's get rid of him,</span><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><span style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">Nobody will come and reclaim his body.”</span><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><em style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">”He's only an orphan, let's get rid of him,<br />Nobody will come and reclaim his body.”</em><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><span style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">But all your hopes crashed, all your tricks were in vain.</span><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><span style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">The day Franco was buried, three thousand comrades say:</span><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><span style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">“Here's our will, here's our promise</span><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><span style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">That our struggle will never cease.” </span><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><em style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">Here's our will, here's our promise<br />That our struggle will never cease.”</em><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><span style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">It was the seventh of May, on the election day,</span><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><span style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">The first results, as you see, are coming from the jails.</span><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><span style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">There was a comrade who lay there dead</span><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><span style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">And he was only twenty years old.</span><br style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;" /><em style="background-color: #e4f9ff; text-align: start;">There was a comrade who lay there dead,<br />Dead for our freedom; his light will spread.</em></span></div>
Riccardo Venturihttp://www.blogger.com/profile/10076610025117360920noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-5730727329261310709.post-47024021348958261522019-05-06T10:51:00.000+02:002019-05-06T10:51:22.978+02:00Quale futuro per l'Anarchia?<br />
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://3.bp.blogspot.com/-25OK9DxVF1E/XM_exqN112I/AAAAAAAAUhU/PCtroId9-IYW6RoNYwWtSolGLRZpEye7wCLcBGAs/s1600/erorn.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="598" data-original-width="800" height="478" src="https://3.bp.blogspot.com/-25OK9DxVF1E/XM_exqN112I/AAAAAAAAUhU/PCtroId9-IYW6RoNYwWtSolGLRZpEye7wCLcBGAs/s640/erorn.jpg" width="640" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Johann Baptist Theobald Schmitt, <i>Ziereremit in Flottbeck bei Hamburg, </i>XVIII Jhr.</td></tr>
</tbody></table>
<div style="text-align: justify;">
A chi non è mai successo di sentirsi dare dell'<i>anarchico da salotto, </i>o <i>da tastiera</i>, o tutte e due le cose assieme? A dire il vero, lamentandosi attualmente la progressiva scomparsa dei salotti anche nelle comuni abitazioni (la "sala buona" era un'istituzione anche nelle modeste case piccoloborghesi), l'anarchico da tastiera ha preso il sopravvento, trasformando casomai in salotto la propria pagina <i>facebook</i> dove, come un'ottima padrona di casa, accoglie e intrattiene benevolmente gli ospiti e caccia via con fermezza i disturbatori e gli indesiderati; ma non è questo l'argomento di questo trattatello propositivo cui ho dato, lo riconosco, un titolo un po' impegnativo.</div>
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<br /></div>
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Lo spunto è una conversazione tenuta poche sere fa con un giovane anarchico di una trentina d'anni circa, F.T., in uno di quegli <i>spazi sociali autogestiti </i>che, nelle nostre città, vivono oramai una vita sempre più grama e precaria, sotto costante minaccia di sgombero e chiusura, e che purtuttavia tentano ancora di non cedere. Ribadisco: non cedere, che è una cosa sottilmente differente dal "resistere". Non cedere in mezzo ad un oceano di problemi di natura ideale e pratica sui quali non sto a disquisire, ma che chiunque si sia trovato a frequentare tali luoghi sia per una militanza, sia per una semplice presenza più o meno saltuaria, ben conosce. </div>
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<br /></div>
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Seduti su un divano sgangherato in quello <i>spazio sociale, </i>mentre in una sala imperversava un interessante convegno d'argomento storico, nella cucina improvvisata si preparava un pentolone di pasta al sugo ed all'esterno provenivano voci, confusioni, musiche etniche e balli di ragazzotti e ragazzotte che riproponevano simpaticamente l'abbigliamento di Pippi Calzelunghe, io e F.T. discutevamo appunto su un possibile futuro dell'Anarchia. O meglio, su dei possibili futuri. F.T. è un ragazzo che ha, merce rarissima, due doni: quello dell'intelligenza e quello dell'ironia. E' uno dei frequentatori e, oserei dire, dei gestori (si dice così?) di quello spazio sociale occupato & sgomberando in cui la discussione ha avuto luogo. Da quella discussione è venuta fuori un'interessante proposta che, in realtà, riguardava precipuamente quelle realtà agricole e di produzione diretta che, ispirandosi a valori ideali quali l'autogestione diretta, l'agricoltura slegata dal mercato e dal padronato (la "terra senza padroni", per intendersi) e il totale rispetto dell'ambiente e dei cicli naturali.</div>
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<br /></div>
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Nei dintorni della nostra città esiste da anni una realtà del genere, che non nominerò ma il cui nome comincia per "M". Naturalmente, tale realtà, che ha ottenuto una certa fama e che è stata presa non di rado a modello, è sotto costante pericolo di essere sgomberata ed eliminata. Se per le altre realtà cittadine si discuteva su cosa ne sarebbe stato dopo (l'occupazione trasfomata in museino d'arte moderna o in comando distaccato di vigili urbani, il centro sociale restituito all'edilizia scolastica, lo squat riadattato ad appartamentini <i>di prestigio</i>, ecc.), per la fattoria occupata -dicevamo F.T. ed io- non sarebbe potuta divenire, una volta sgomberata a forza (in vendita lo è già da tempo, anche se le aste vanno regolarmente deserte), che un'assai scenografico agriturismo di lusso, un <i>resort </i>nelle campagne toscane, un luogo di ristoro e di benessere per una clientela facoltosa e internazionale adatta -naturalmente- anche alle <i>famiglie </i>e con pacchetti di proposte differenziate: <i>Tuscan Countryside Experience</i>. Da qui è partita la mia proposta per uno dei possibili futuri per l'Anarchia che ha trovato, lo debbo dire, un'entusiastica accoglienza da parte del mio giovine interlocuture. Una proposta, sì, specifica per quel tipo di realtà, ma che -a pensarci bene- potrebbe trovare applicazioni più vaste per chi ancora si ostina dichiararsi e professarsi aderente all'Anarchia nelle sue più variegate (e sovente contrastanti) componenti e declinazioni.</div>
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<br /></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://4.bp.blogspot.com/-OidM4dhzjHM/XM_t79EsawI/AAAAAAAAUhg/ltbaWdOKrJU66O-MxRqyzTMyU8dwsCPrQCLcBGAs/s1600/ergrotta.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="682" data-original-width="1024" height="213" src="https://4.bp.blogspot.com/-OidM4dhzjHM/XM_t79EsawI/AAAAAAAAUhg/ltbaWdOKrJU66O-MxRqyzTMyU8dwsCPrQCLcBGAs/s320/ergrotta.jpg" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">La grotta dell'Eremita nel parco di Villa Barbarigo, Galzignano Terme (PD)</td></tr>
</tbody></table>
<div style="text-align: justify;">
L'idea mi è venuta dopo aver letto, ed anche un po' approfondito, la storia degli <b><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Eremita_ornamentale">Eremiti ornamentali</a></b> (o <i>Eremiti da giardino</i>, inglese <i>Garden Hermits, </i>tedesco <i>Schmuckeremiten </i>o <i>Ziereremiten</i>) che, sembra, furoreggiarono nelle grandi tenute nobiliari europee, anche italiane, nel XVIII e nel XIX secolo. Chi erano gli Eremiti ornamentali? In sintesi, si trattava di persone ingaggiate per vivere appositamente, a scopo decorativo, in eremi costruiti all'interno dei grandi parchi delle ville nobiliari. Il compito degli Eremiti ornamentali "era quello di comparire in determinati periodi del giorno al fine di essere osservati dal padrone e dagli ospiti e, sebbene non potesse rivolgere la parola a nessuno, in alcune occasioni erano tenuti a intrattenere l'interlocutore con discorsi filosofici". L'ammiraglio scozzese Charles Hamilton (1747-1825) assunse, ad esempio, un eremita ornamentale per la sua tenuta con un regolare contratto: <i>"[All'eremita] sarà fornita una Bibbia, occhiali ottici, una stuoia per i suoi piedi, un piolo per il suo cuscino, una clessidra per il segnatempo, l'acqua per la sua bevanda e il cibo della casa. Deve indossare una tunica color cammello e mai, in nessuna circostanza, deve tagliarsi capelli, barba o unghie, deviare oltre i limiti del terreno di Mr. Hamilton, o scambiare una sola parola con il servo."</i> A dire il vero, dopo tre settimane l'eremita venne ritrovato briaco in un pub della zona. Da molti, gli Eremiti ornamentali sono considerati i diretti predecessori dei Nani da giardino; ma invito a leggere interamente l'interessantissimo articolo di Wikipedia.</div>
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<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Mi sono detto (e ho espresso chiaramente a F.T.): poiché il destino di tutti gli spazi sociali autogestiti (anarchici, antagonisti ecc.) è oramai segnato e si va verso la loro eliminazione, come potremo sopravvivere nella nostra antica e storica idealità? Potremmo allora proporci come <b>Anarchici ornamentali, </b>o Anarchici da giardino (inglese <i>Garden Anarchists, </i>tedesco <i>Zieranarchisten</i>) per le tenute-agriturismo di ogni consistenza (dal superlusso alla conduzione familiare) e/o per i parchi nobiliari e altoborghesi, con indubbi vantaggi. Sfruttando la solforosa fama degli Anarchici, potremmo costituire un'ottima attrattiva per una clientela in cerca sì di riposo e svago, ma anche di emozioni inaspettate e stimolanti: nel cuore di una natura rigogliosa e di strutture prestigiose e storiche, autentiche <b>comuni anarchiche </b>che farebbero rivivere tempi pericolosi e bui, ma altamente spettacolari.</div>
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<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-9omgnjs3AZI/XM_wNFPdLJI/AAAAAAAAUhs/4mDw-Pf3HP4kMaHEXgFt7a5yD8EIZ3T5gCLcBGAs/s1600/anarchik.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="800" data-original-width="541" height="320" src="https://1.bp.blogspot.com/-9omgnjs3AZI/XM_wNFPdLJI/AAAAAAAAUhs/4mDw-Pf3HP4kMaHEXgFt7a5yD8EIZ3T5gCLcBGAs/s320/anarchik.jpg" width="216" /></a></div>
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Uno spazio ritagliato all'interno delle tenute e dei parchi, dove gruppi di Anarchici di ogni età offrono un programma di <b>giornate o serate a tema</b>, dando ovviamente la possibilità ai ricchi ospiti di partecipare. Dalla serata cospirativa, vestiti in modo iconografico (mantello nero, cappellaccio e bomba accesa in tasca) all'autentico convegno clandestino con fiocchi alla Lavallière, dalla "Giornata Ponte della Ghisolfa" con riproposizione dell'Anarchico buttato giù dal quarto piano della Questura (ad un'ospite a scelta potrebbe essere data la possibilità di interpretare San Luigi Calabresi) alla Vetrina dell'Editoria, dalla serata <b>"Young Anarchists"</b> per gli ospiti più giovani, che potrebbero così immergersi per qualche ora nell'autentica atmosfera di un vecchio centro sociale di periferia alla giornata-concerto coi canti tradizionali, dal <i>Galeone </i>a <i>Addio a Lugano</i> ma senza trascurare quelli più recenti (se ne continuano, pensate un po', a scrivere tutt'oggi). In occasioni particolari, una serata potrebbe prevedere un autentico <b>attentato anarchico</b>, con un ospite particolarmente desideroso di provare emozioni proibite lasciandosi immolare nei panni dell'odiato padrone (ciò che, magari, è sul serio). Il tutto in un ambiente sereno e rilassato, con gadgets per i più piccoli (copricellulare con la "A" cerchiata, magliette, astucci con bandiere rosse e nere e immagini di Bakunin ecc.). Naturalmente, Anarchici scelti per la loro provata competenza e affabilità sarebbero scelti come guide, introducendo gli ospiti al variegatissimo mondo ed alle componenti storiche ed attuali dell'Anarchismo; a tale riguardo, particolarmente graditi sarebbero dei Situazionisti, con il sogno di poter contare un giorno su Raoul Vaneigem in persona (che Iddio lo mantenga, visto che dovrebbe avere oramai un'ottantacinquina d'anni e rotti).</div>
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<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
In tale modo, vivendo e operando da Anarchici Ornamentali, potremmo finalmente trovare luoghi dove espletare in santa pace la nostra attività senza incorrere in galere, ospedali e cimiteri; forniremmo un'immagine positiva ed attraente, tornando finalmente ad aumentare il nostro esiguo numero e, chissà, preparandoci al giorno (sicuramente lontano) in cui dai parchi, dagli agriturismi e dalle ville usciremo di nuovo fuori come una ciurma sì, ma un po' meno anemica. E quel giorno si smetterà di ornare. </div>
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<br /></div>
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Riccardo Venturihttp://www.blogger.com/profile/10076610025117360920noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-5730727329261310709.post-5572598299840877002019-05-03T00:18:00.000+02:002019-05-03T00:19:16.750+02:00他妈的<br />
<br />
<div style="text-align: justify;">
Vaffanculo a Viterbo e provincia.</div>
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<br /></div>
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Vaffanculo ai palloni di ogni ordine e grado. Palla rotonda, palla ovale, palla prigioniera, pallacorda (compreso il giuramento), 'gnihosa. Salvo dal vaffanculo solo la mia povera palla "Super Tele" portata via dal vento da una spiaggia di Hydra, isola greca, nell'estate del 1990. Usualmente ci giocavo da solo.</div>
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<br /></div>
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Vaffanculo agli dèi di ogni ordine e grado, con l'unica eccezione di Proserpina / Persefone.</div>
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Vaffanculo a "Repubblica" e al suo antifascismo fascista.</div>
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Vaffanculo a Internet, ed è un vaffanculo cosmico, intersiderale, che si estende fino al Bar ai confini dell'Universo. La risposta è 42.</div>
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<br /></div>
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Vaffanculo al lavoro, ai fautori del lavoro, alle sue nobilitazioni. Les aristocrates à la lanterne!</div>
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Vaffanculo ai governi, ai ballottaggi, alle elezioni e, tanto che ci siamo, alla majala di su' ma'.</div>
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<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Vaffanculo al rap, al trap, al crap, al brap e al papa.</div>
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<br /></div>
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Vaffanculo a Don Ciotti.</div>
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<br /></div>
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Vaffanculo ai ricordi dei vent'anni.</div>
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<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Vaffanculo al Trono di Spade, al Game of Thrones e a tutto il virtuale di questa ceppa di minchia.</div>
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<br /></div>
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Vaffanculo alla Δημοκρατία.</div>
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<br /></div>
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Vaffanculo a una cosa che ho scritto e che ho subito cancellato, ma vuoi mettere l'effimero piacere di vederla scritta in pubblico anche se solo per due picosecondi.</div>
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<div style="text-align: justify;">
Vaffanculo, e mi scuso con il culo per l'indebita utilizzazione in un caso del genere, a Maria Giovanna Maglie.</div>
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<br /></div>
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Vaffanculo agli Angeli.</div>
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<br /></div>
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Vaffanculo ai cuochi, agli stilisti e alle archistar.</div>
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<br /></div>
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Vaffanculo, infine, al sig. Mestesso. E' esercizio sempre utile mandarsi finalemente affanculo da soli; implica la presa di coscienza definitiva di non essere estraneo al flusso dell'essere divenuto e del divenire, un'infuturazione dell'io cosciente nel magma psicocosmico del pappappèro.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Il vaffanculo più sentito è, naturalmente, alla filosofia intera con l'unica eccezione, commossa, dell'oscuro Eraclito.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Vaffanculo alla vita, la quale è, altrettanto naturalmente, unica e meravigliosa.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
A domani, doman l'altro, e chi lo sa.</div>
Riccardo Venturihttp://www.blogger.com/profile/10076610025117360920noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-5730727329261310709.post-74425365254609884922019-04-17T19:30:00.002+02:002019-04-17T20:06:24.378+02:00Un'enorme marmellata bianca<br />
<br />
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm; orphans: 2; widows: 2;">
“<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;">Si
chiamava Alessandro Di Meo. Era un grandissimo poeta, di Benevento.
Aveva fatto l'occupazione delle terre, era venuto a Milano. L'ho
conosciuto in Mondadori, insieme facevamo le correzioni e le
revisioni. A un certo punto, lui non aveva una casa. Io avevo una
casa popolare che mi faceva cagare, cioè non mi piaceva proprio per
niente. A me piaceva stare in Brera, giocare a carte, eccetera, gli
ho detto, senti queste sono le chiavi, pigliati la casa. Lui aveva
scritto un libro. Aveva scritto un libro e lo aveva portato a
Feltrinelli, e Feltrinelli gli aveva detto: sì, prima o poi te lo
pubblico. E lui su questa speranza aveva messo su tutta la vita.
Tutta. E un giorno arriva lì al bar Giamaica, a Milano, che era il
bar degli artisti, eh, e dice: Feltrinelli mi ha detto che non lo può
pubblicare, i fascisti non vogliono. E abbiamo capito che non stava
bene, cominciava a non stare bene. E allora lo abbiamo portato al
Paolo Pini, è uscito dopo ventinove giorni perché sennò diventava
cronico, e io volevo capire cosa cavolo era successo. Abbiamo dovuto
riportarlo dentro. E siamo ritornati dopo altri ventinove giorni.
Dopo lui s'è spiegato, e purtroppo la sua spiegazione è stata
fatale, perché Alessandro Di Meo poi, grandissimo poeta sconosciuto,
grande lottatore per la terra, di Benevento, è morto. Ma più o meno
si era spiegato così. Vi dico la verità, io non ho mai saputo chi
fosse l'uomo bianco. Ogni tanto me lo chiedevo e mi dicevo: ma fai un
po' te, che ne so, sarà...che cazzo ne so, Wallace, il governatore
dell'Alabama, un bel bianco. Il papa, un bel bianco anche lui, ogni
tanto... Oggi ho capito che cos'è il bianco. Oggi ho capito: non è
Berlusconi, no. Troppo facile. Troppo comodo. È l'insieme delle
informazioni, delle televisioni, di tutto quello che ci puppiamo
sette, otto ore al giorno compresi i nostri figli, che fa dei nostri
cervelli un'enorme marmellata bianca.” </span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm; orphans: 2; widows: 2;">
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; orphans: 2; text-align: center; widows: 2;">
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><b>Ivan Della Mea,
Genova, 29 agosto 2004.</b></span><br />
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><b><br /></b></span>
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><b><br /></b></span></div>
<div align="center">
<iframe width="560" height="315" src="https://www.youtube.com/embed/63v8V_g0Iz0" frameborder="0" allow="accelerometer; autoplay; encrypted-media; gyroscope; picture-in-picture" allowfullscreen></iframe></div>
Riccardo Venturihttp://www.blogger.com/profile/10076610025117360920noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-5730727329261310709.post-54603765323281104762019-04-16T17:50:00.000+02:002019-04-16T17:51:36.208+02:00A proposito dell'incendio di una cartolina, di Serge Quadruppani<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-XGNMpkgI2qs/XLX5GrYowiI/AAAAAAAAUg0/UcWc6Bn2Di4FJfmuoVPqzc-6nCVLNKFYQCLcBGAs/s1600/cartepostale.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="160" data-original-width="533" height="192" src="https://4.bp.blogspot.com/-XGNMpkgI2qs/XLX5GrYowiI/AAAAAAAAUg0/UcWc6Bn2Di4FJfmuoVPqzc-6nCVLNKFYQCLcBGAs/s640/cartepostale.jpg" width="640" /></a></div>
<br />
<div style="text-align: justify;">
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="font-weight: normal;">Traduco
in italiano (con il suo permesso) il seguente articolo di Serge
Quadruppani apparso sul suo blog </span></i><span style="font-style: normal;"><span style="font-weight: normal;"><a href="http://quadruppani.blogspot.com/2019/04/a-propos-de-lincendie-dune-carte-postale.html">Les contrées magnifiques</a></span></span><i><span style="font-weight: normal;">
oggi 16 aprile 2019.</span></i></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="font-weight: normal;"><br /></span></i></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;">È
noto che la guglia che è bruciata e il <i>gargoyle
</i>che
è caduto sono invenzioni di Viollet-le-Duc, e che, in generale, la
Cattedrale icona della Parigi turistica deve a questo architetto,
amico di Prosper Mérimée, la parte essenziale dell'aspetto che ha
avuto fino ad oggi. Questo Medioevo che ha emozionato così tanti
contemporanei è quindi una ricostituzione dipesa dalla storiografia
e dall'estetica della seconda metà del XIX secolo. Entrambe hanno
poi subito seri attacchi critici, ma si è verificato un altro
fenomeno: la patrimonializzazione degli edifici antichi, che ha
definitivamente fissato nella forma conosciuta Notre-Dame e tutti gli
altri monumenti reinterpretati da quel gran mitomane di
Viollet-le-Duc (dal Mont Saint Michel ai bastioni di Carcassonne).
Fino al XIX secolo non dava affatto fastidio distruggere e
ricostruire. La Roma medievale e barocca, quella sia delle
catapecchie che dei palazzi, è stata costruita con le pietre e con i
pezzi di sculture della Roma antica. La possibilità di reperirli
negli edifici odierni è, del resto, una delle meravigliose
attrattive della Roma moderna. Tornando a Notre-Dame, non più tardi
del 1972 veniva smontata la guglia precedente, che serviva da
campanile, e che Viollet-le-Duc aveva rimpiazzato con un semplice
ornamento sistemato altrove. Il cambio d'atteggiamento nei confronti
dei monumenti è largamente dovuto al fiorire del romanticismo, che è
stato una reazione alla modernità industriale. Mi è caro il gusto
che tale movimento estetico internazionale aveva per la nostalgia: in
quanto sentimento che la vera bellezza e la vera vita sono altrove,
la nostalgia è un sentimento prezioso che nutre sia la poesia che la
passione rivoluzionaria. Poiché la civiltà industriale è in grado
di ricuperare ogni cosa, è paradossale che, in fin dei conti, il
romanticismo abbia contribuito a trasformare il fascino del passato
-con tutta la rimessa in causa del presente che comporta- nell'eterno
presente della merce.</span></div>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;">Ho
vissuto quarant'anni a Parigi, e in quarant'anni non sarò entrato
che una volte o due nella cattedrale, per accompagnare qualche
parente in visita turistica. È fuori di dubbio che mi sarò perso
qualche bel momento emozionante, ma per questo sarebbe occorso
farcela a destreggiarmi tra gli orari di punta, dato che la
contemplazione solitaria e mistica alla Claudel dietro il suo
pilastro era oramai un sacro graal difficilmente raggiungibile. Però
mi piaceva prenderla alle spalle, Notre-Dame, col suo bel giardino e
la sua gonnella di pizzo, per uno di quei tragitti (nella fattispecie
isola di San Luigi-Lungosenna-rue de Savoie, per far visita alla mia
casa editrice di sempre) che mi hanno fatto sentire a casa mia a
Parigi. E amavo la sagoma di nave incagliata che dava all'isola che
porta il suo nome. In breve: il pensiero che Notre-Dame sia bruciata
non mi lascia indifferente. Ma questo non impedisce di riflettere su
quel che sia l'autenticità (le grotte di Lascaux 2 e 3 sono meno
belle della grotta di Lascaux chiusa al pubblico? La Cappella Sistina
restaurata è più autentica di quella che il tempo e la sporcizia
stavano cancellando?) e di criticare ciò che dà forma e formato
allo sguardo moderno, e la nostra pretesa di bloccare lo scorrere del
tempo. Non impedisce neppure di ridacchiare tristemente dinanzi al
malsano riutilizzo dell'avvenimento da parte degli oligarchi e del
loro mandatario dell'Eliseo.</span><br />
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;">Sono
rimasto inorridito dalla distruzione di una parte della Palmira che
avevo tanto amato, non tanto per attaccamento alle vecchie pietre e
alla loro sagoma nel cielo del deserto, quanto per l'odio verso un
passato che non sia il proprio, e che Daesh sbatteva in faccia al
mondo. Sono altrettanto disgustato dalla dittatura del dolore
mediatizzato e utilizzato a fini politici. E percepisco anche il
trionfo di un presente che aborro, sotto forma di appropriazione di
un passato trasformato in scenario di selfies.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;">Ora
che si sta finendo di costruire la Sagrada Familia, un monumento che
ci guadagnava parecchio nel non essere finito, le questioni
commerciali in gioco sono troppo forti perché si possa pensare,
anche solo per un momento, che sarebbe stato assai più bello, dal
punto di vista estetico e emozionale, lasciare Notre-Dame in rovina.
Sicuramente la si ricostruirà com'era e dov'era, contribuendo così
a darle un po' di più, sotto ogni aspetto critico, l'irrealtà di
un'icona e la realtà di una cartolina.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
Riccardo Venturihttp://www.blogger.com/profile/10076610025117360920noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-5730727329261310709.post-18949618879337793972019-04-16T14:52:00.001+02:002019-04-16T14:53:16.185+02:00Fumus identitatis<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-fPYblpVajuE/XLXMSlPOQtI/AAAAAAAAUf4/ZCBXTaDrnngf2AugENTDS1VRcszz_f78ACLcBGAs/s1600/fumus.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="492" data-original-width="656" height="300" src="https://4.bp.blogspot.com/-fPYblpVajuE/XLXMSlPOQtI/AAAAAAAAUf4/ZCBXTaDrnngf2AugENTDS1VRcszz_f78ACLcBGAs/s400/fumus.jpg" width="400" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;">Alle
ore 18.50 circa di ieri, 15 aprile 2019, è andata a fuoco la
<b>Cattedrale della Madonna di Parigi</b>.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;">Circa
venti minuti dopo, già un denso <b>fumo di identità</b> avvolgeva
la cattedrale, più denso addirittura di quello fisico che si
sprigionava dal tetto in legno e dalla guglia che bruciavano.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;">In
pratica, non stava bruciando un'importantissima e antica chiesa
cattolica, ma tutta una serie di <b>identità concentriche</b>, che
partivano da quella parigina per arrivare in un istante prima a
quella francese, e poi a quella europea e infine a quella mondiale,
<i>tout court</i>.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;">Mentre
ardeva tutto questo simbolo, avvolto dal fumo del legno, delle
impalcature di restauro e delle identità, già serpeggiava in
parecchi una certa qual delusione. Fin dal primo momento, infatti, si
tendeva ad escludere un'<i>origine dolosa</i><span style="font-style: normal;">
ripiegando su un corto circuito, o comunque su qualcosa partita dal
cantiere di restauro. Nessun attentato, nessuno stato islamico,
nessun terrorista di qualsiasi genere che dà fuoco all'identità
europea, ma un banale e normalissimo incidente. Vittorio Feltri era
già pronto.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><span style="font-style: normal;">Una
mezz'ora dopo, si ricordava come la cattedrale della Madonna di
Parigi avesse già subito distruzioni nel corso della sua lunga
storia. Particolarmente gettonata, perlomeno nei commenti televisivi
e giornalistici dall'Italia, la </span><i>devastazione </i><span style="font-style: normal;">che
avrebbe subito nel 1871 da parte dai </span><span style="font-style: normal;"><b>Comunardi</b></span><span style="font-style: normal;">,
autentici mostri assetati di sangue che la avrebbero data alle fiamme
e distrutta. Per la cronaca, i Comunardi si limitarono ad incendiare
alcune panche e alcune sedie, senza fare praticamente nessun danno.
Nel frattempo, i pii e devoti Versagliesi di Thiers erano impegnati a
distruggere coscienziosamente tutto il resto di Parigi, facendo circa ventimila morti (e demolendo poi l'antica città per fare spazio, a scopi militari, ai </span><i>boulevards</i>).<span style="font-style: normal;"> </span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://3.bp.blogspot.com/-gj7dW-a4Kaw/XLXM4EHsqlI/AAAAAAAAUgA/WN63zdZZeGcX-xUi6KVpLtpNjOrt4SHGwCLcBGAs/s1600/commune.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="270" data-original-width="550" height="157" src="https://3.bp.blogspot.com/-gj7dW-a4Kaw/XLXM4EHsqlI/AAAAAAAAUgA/WN63zdZZeGcX-xUi6KVpLtpNjOrt4SHGwCLcBGAs/s320/commune.jpg" width="320" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><span style="font-style: normal;">Qualche
minuto dopo, sempre in mezzo a un densissimo fumo identitario che si
spandeva oramai su tutta quest'Europa assediata dai corti circuiti, e
mentre persino il presidente Macròn si sentiva bruciare assieme alla
cattedrale, crollava la </span><i>Flèche</i><span style="font-style: normal;">,
la guglia, manufatto di 745 tonnellate assolutamente finto. Era stato
realizzato nel 1860 dal famoso architetto </span><span style="font-style: normal;"><b>Viollet
Le-Duc</b></span><span style="font-style: normal;">, specializzato nel
rifare ogni cosa più antica di prima. Era lo stesso, per fare un
esempio, che aveva preso una cittadina di origine medievale
completamente in rovina e semidisabitata nel sud della Francia,
Carcassonne, e la aveva ricostruita come a quell'epoca si immaginava
il Medioevo. Da allora, </span><i>Il ne faut pas mourir sans avoir vu
Carcassonne </i><span style="font-style: normal;">(la versione
francese del “Vedi Napoli e poi mori”).</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-urX8VftW8iI/XLXNrHCqnVI/AAAAAAAAUgM/udHv-04tGt4qrmYHsdwoXoJzVLRxbmArQCLcBGAs/s1600/carcassonne.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="212" data-original-width="300" src="https://1.bp.blogspot.com/-urX8VftW8iI/XLXNrHCqnVI/AAAAAAAAUgM/udHv-04tGt4qrmYHsdwoXoJzVLRxbmArQCLcBGAs/s1600/carcassonne.jpg" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><span style="font-style: normal;">In
mezzo a tutti questi fumi e crolli di guglie, poco dopo si cominciava
a ricordare ogni 12 secondi che la cattedrale della Madonna di Parigi
è il </span><i>monumento più visitato del mondo</i><span style="font-style: normal;">.
D'accordo il simbolo dell'Europa cristiana e l'identità, ma
un'occhiata all'industria turistica deve comunque essere data.
Cominciavano le previsioni sulla ricostruzione; un giornalista
italiano residente a Parigi continuava a ripetere che sua figlia, una
bambina di 9 anni, forse sarebbe potuta entrare di nuovo nella chiesa
quando avrebbe avuto quarant'anni. </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><span style="font-style: normal;">Poteva
forse il fumo non avvolgere anche i </span><i>gilets jaunes</i><span style="font-style: normal;">?
Già un'ora dopo, mentre tutto continuava a bruciare, mentre
l'Identità Europea era ferita a morte e mentre il presidente Macròn
rimandava un'importante </span><i>discours à la nation</i><span style="font-style: normal;">,
si cominciava a ricordare che l'incendio della cattedrale interveniva
proprio in un periodo in cui Parigi già vedeva </span><i>distruzioni,
devastazioni </i><span style="font-style: normal;">e </span><i>ferite
</i><span style="font-style: normal;">settimanali, a cura dei
maledetti </span><i>casseurs</i><span style="font-style: normal;"> (e,
come si può vedere nella foto, tra la folla che assisteva impietrita
all'incendio c'era almeno un gilet giallo). I paragoni si facevano
arditi: la devastazione della cattedrale da parte delle fiamme veniva
paragonata senza mezzi termini a quella delle vetrine e dei </span><span style="font-style: normal;"><b>negozi
di lusso</b></span><i>, </i><span style="font-style: normal;">in una
“Parigi ferita nella sua bellezza”. Se ne potrebbe dedurre
agevolmente che la cattedrale della Madonna di Parigi è assimilata
pienamente a una vetrina o a un negozio di lusso sottoposto alla
furia iconoclasta. Ritengo che tale assimilazione abbia fondamento;
la funzione economica dei monumenti artistici non è, in effetti,
affatto dissimile da quella del negozio di Prada o della gastronomia
di lusso.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><span style="font-style: normal;"><br /></span></span></div>
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-M5je0YL-t5E/XLXN1Hotj9I/AAAAAAAAUgQ/VZenXUUVBYU5bwNwfr3T93MJYTDxgfQwwCLcBGAs/s1600/giletjaune.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="307" data-original-width="511" height="240" src="https://1.bp.blogspot.com/-M5je0YL-t5E/XLXN1Hotj9I/AAAAAAAAUgQ/VZenXUUVBYU5bwNwfr3T93MJYTDxgfQwwCLcBGAs/s400/giletjaune.jpg" width="400" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Parigi, 15 aprile 2019. Da un ponte, un Gilet Giallo contempla un vero e proprio incendio della Madonna, facendo finta di niente.</td></tr>
</tbody></table>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><span style="font-style: normal;">Ne
fa fede il fatto che le prime enormi </span><i>donazioni </i><span style="font-style: normal;">per
la ricostruzione della cattedrale vengano annunciate due o tre ore
dopo la prima scintilla, e proprio da parte di </span><span style="font-style: normal;"><b>magnati
del lusso. </b></span><span style="font-style: normal;"><span style="font-weight: normal;">Il
gruppo LVMH, di proprietà della famiglia Arnault (che controlla, tra
gli altri, Fendi e Bvlgari), annuncia una donazione di </span></span><span style="font-style: normal;"><b>200
milioni di euro</b></span><span style="font-style: normal;"><span style="font-weight: normal;">,
seguita dall'altro magnate Pinault (si vede che tutti questi magnati
francesi hanno cognomi in -</span></span><i><span style="font-weight: normal;">ault</span></i><span style="font-style: normal;"><span style="font-weight: normal;">),
proprietario della Kering che controlla Gucci e Balenciaga, dona
“solo” </span></span><span style="font-style: normal;"><b>100
milioni di euro</b></span><span style="font-style: normal;"><span style="font-weight: normal;">
(pidocchi!). Da segnalare che i fondi per il restauro della
cattedrale, dopo che sembrava letteralmente cadere a pezzi, con le
relative impalcature dalle quali pare essere partito l'incendio,
ammontavano a dei miserrimi </span></span><span style="font-style: normal;"><b>6
milioni di euro. </b></span><span style="font-style: normal;"><span style="font-weight: normal;">Una
volta ricostruita, la cattedrale della Madonna di Parigi potrà
quindi, e a buon diritto, essere trasformata in negozione di lusso;
ci vedrei benissimo, verso il 2030 o giù di lì, una magnifica
sfilata di moda identitaria e simbolica.</span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://3.bp.blogspot.com/-VK6Upg0KtEA/XLXOfTkKdOI/AAAAAAAAUgc/3wSGvp4cutgmvOHw2eiJkKd0Pau9jLmYQCLcBGAs/s1600/trumptweet.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="271" data-original-width="634" height="136" src="https://3.bp.blogspot.com/-VK6Upg0KtEA/XLXOfTkKdOI/AAAAAAAAUgc/3wSGvp4cutgmvOHw2eiJkKd0Pau9jLmYQCLcBGAs/s320/trumptweet.jpg" width="320" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><span style="font-style: normal;"><span style="font-weight: normal;">Occorre
comunque segnalare l'ennesima </span></span><span style="font-style: normal;"><b>figura
di guano </b></span><span style="font-style: normal;"><span style="font-weight: normal;">del
presidente degli Stati Uniti d'America, </span></span><span style="font-style: normal;"><b>Donald
Trump</b></span><span style="font-style: normal;"><span style="font-weight: normal;">,
uno che -non nutro alcun dubbio al riguardo- fino a due minuti prima
credeva fermamente che Notre Dame stesse sì a Paris, ma in Texas.
Nel suo </span></span><i><span style="font-weight: normal;">tweet</span></i><span style="font-style: normal;"><span style="font-weight: normal;">,
Trump invitava ad “agire immediatamente” facendo intervenire i
Canadair sull'</span></span><span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><span style="font-style: normal;"><span style="font-weight: normal;">Î</span></span></span><span style="font-weight: normal;">le
de la Cité. <i>Must act quickly!</i> Gli rispondevano alcuni pompieri, compreso il comandante
dei Vigili del Fuoco di Roma, che i Canadair sono fatti per
intervenire sui boschi in fiamme, non in mezzo a una città e su un
edificio. Tanto sarebbe valso bombardare la cattedrale e abbatterla,
perché l'effetto di tonnellate e tonnellate d'acqua sarebbe stato
esattamente lo stesso (oltre a provocare un'inondazione sull'isola
intera). </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><span style="font-style: normal;"><span style="font-weight: normal;">Passa
la notte, e ci si accorge con sollievo che la struttura muraria della
cattedrale sarebbe salva. Insomma, non è crollata ogni cosa come, ad
un certo punto, si paventava. Possono quindi essere portate in salvo
le </span></span><span style="font-style: normal;"><b>mirabili opere
d'arte </b></span><span style="font-style: normal;"><span style="font-weight: normal;">presenti
all'interno della cattedrale e, più che altro, le </span></span><span style="font-style: normal;"><b>reliquie
della tradizione cattolica</b></span><span style="font-style: normal;"><span style="font-weight: normal;">,
altro possente simbolo identitario.</span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><span style="font-style: normal;"><span style="font-weight: normal;">Si
salvano quindi la </span></span><span style="font-style: normal;"><b>Sacra
Corona di Spine</b></span><span style="font-style: normal;"><span style="font-weight: normal;">,
proprio lei, quella che i soldati romani misero sulla testa di Gesù
Cristo in segno di scherno. Non è ovviamente mia intenzione
aggiungere altro scherno a quello che dovette subire il Salvatore, ma
ho il fondato sospetto che a quel povero cristo dovettero mettere sul
capo non una corona, ma un rotolo di spine di una cinquantina di
metri. Tra corone e singole spine, oltre a quella della cattedrale di
Parigi, se ne trovano infatti ancora a Parigi (una porzione intera
nella Sainte Chapelle), nella chiesa parrocchiale di Wevelgem
(Belgio), nella cattedrale di San Vito a Praga (una sola spina), nel
duomo di Treviri (la città natale di Carlo Marx), nel tempio della
Santa Corona a Vicenza, nel duomo di Colonia, due spine nella chiesa
di Santa Croce in Gerusalemme a Roma, un'altra piccola parte nella
chiesa di Santa Prassede sempre a Roma, un ramo spinoso intero negli
Spedali Riuniti di Santa Chiara a Pisa, un frammento nella chiesa di
Santa Maria Incoronata a Napoli, ancora una spina nella chiesa di San
Michele a Gand (Belgio), l'ennesima spina nella cattedrale d Maria
Santissima Assunta a Avellino, due spine nella cattedrale di Ariano
Irpino (Avellino), una spina nella parrocchia di San Giovanni Bianco,
un'altra spina ancora nella chiesa di Santa Maria Maggiore a Vasto,
una misera spina a testa nella cattedrale di Barcellona e in quella
di Siviglia (mentre quella di Oviedo ne ha ben cinque!) e, infine,
persino una spina al British Museum di Londra.</span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><span style="font-style: normal;"><span style="font-weight: normal;">E'
stato messo in salvo anche un </span></span><span style="font-style: normal;"><b>chiodo
della passione di Cristo</b></span><span style="font-style: normal;"><span style="font-weight: normal;">,
ma qui è meglio sorvolare. Se la corona di spine sembra un rotolo di
cinquanta metri, coi chiodi della Passione sparsi per il mondo si
potrebbe inchiodare, credo, una portaerei intera.</span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><span style="font-style: normal;"><span style="font-weight: normal;">Alle
ore 7.26 di stamani, come informa il </span></span><i><span style="font-weight: normal;">Figaro</span></i><span style="font-style: normal;"><span style="font-weight: normal;">,
un deputato di estrema destra fiammingo ha comunque provato a mettere
in relazione l'incendio della cattedrale della Madonna di Parigi con
l'ISIS. I giornalisti (specie italiani) proseguono invece con gli
arditi paragoni: da questo punto di vista, quasi inevitabile quello
con l'11 settembre. </span></span><i><span style="font-weight: normal;">“Parigi
stamani sembra New York dopo l'attacco alle Torri Gemelle” </span></i><span style="font-style: normal;"><span style="font-weight: normal;">(sentita
coi miei orecchi, Rai News 24).</span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><span style="font-style: normal;"><span style="font-weight: normal;">Il
settimanale </span></span><i><span style="font-weight: normal;">Charlie
Hebdo, </span></i><span style="font-style: normal;"><span style="font-weight: normal;">quello
che tutti quanti jesuissavamo qualche tempo fa in nome della sacra
</span></span><span style="font-style: normal;"><b>libertà di
espressione, </b></span><span style="font-style: normal;"><span style="font-weight: normal;">non
ha perso tempo pubblicando una vignetta in prima pagina che ha
provocato già </span></span><i><span style="font-weight: normal;">numerose
e indignate polemiche </span></i><span style="font-style: normal;"><span style="font-weight: normal;">(particolarmente
in Italia, dove non si sono scordate le vignette irrispettose in
occasione di terremoti, valanghe sui resort invernali, crolli di
ponti ecc.).</span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><span style="font-style: normal;"><span style="font-weight: normal;"><br /></span></span></span></div>
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://4.bp.blogspot.com/-KiwI-cM-6D4/XLXPDi-UlyI/AAAAAAAAUgo/K1VAcLWr_Zw8mm-Sq68PW0q3P5tz8q5LACLcBGAs/s1600/reformes.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="365" data-original-width="655" height="356" src="https://4.bp.blogspot.com/-KiwI-cM-6D4/XLXPDi-UlyI/AAAAAAAAUgo/K1VAcLWr_Zw8mm-Sq68PW0q3P5tz8q5LACLcBGAs/s640/reformes.jpg" width="640" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">(Macron): "Riforme. Comincio dalle impalcature!"</td></tr>
</tbody></table>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><span style="font-style: normal;"><span style="font-weight: normal;"><br /></span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><span style="font-style: normal; font-weight: normal;">In Francia, almeno sei quotidiani su dieci escono stamani con il medesimo titolo basato su un gioco di parole: </span><i style="font-weight: bold;">"Notre drame"</i> ("il nostro dramma", aggiungendo una semplice "R" a "Notre Dame"). Tra di essi, <i>Libération </i>(come dubitarne?).</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><span style="font-style: normal;"><span style="font-weight: normal;">Lo
storico dell'arte </span></span><span style="font-style: normal;"><b>Philippe
Daverio</b></span><span style="font-style: normal;"><span style="font-weight: normal;">
ha invece fatto presente che, certamente, alla conservazione ed al
restauro dei monumenti artistici e architettonici potrebbe essere
dedicata maggior cura, specialmente se così simbolici e altamente
identitari come la cattedrale della Madonna di Parigi; maggior cura,
e maggiori fondi -visto che, quando poi bruciano o vengono comunque
danneggiati seriamente o distrutti, tutta Parigi, tutta la Francia,
tutta Europa e tutto il Mondo piangono e si sentono privati di una
parte di sé. Daverio ha fatto presente che, magari, con qualche
cacciabombardiere in meno si sarebbe potuto ovviare. </span></span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><span style="font-style: normal;"><span style="font-weight: normal;">Non
vorrei, per concludere, far pensare che sono contento che la
cattedrale di Parigi sia bruciata, magari a causa d'un cantiere, di
una volgare impalcatura (su cui si leggono dei cartelli </span></span><i><span style="font-weight: normal;">“Europe
Échafaudages”</span></i><span style="font-style: normal;"><span style="font-weight: normal;">,
“Impalcature Europa”) come un capannone industriale qualsiasi,
come un condominio riempito di immigrati, come una discarica di
rifiuti. Disgraziatamente, la storia è piena di monumenti e altre
bellissime cose andate in fiamme per i più svariati motivi. Sono
bruciate città intere, e anche delle maggiori. Altre volte, invece,
i monumenti e le città intere sono state rase al suolo da qualche
guerra, che sembra essere, questa sì, la nostra vera </span></span><i><span style="font-weight: normal;">identità.
</span></i><span style="font-style: normal;"><span style="font-weight: normal;">Coraggio,
dunque; verrà rifatta anche Notre-Dame de Paris, verrà ricostruita
una guglia più finta di quella precedente, Parigi riavrà il suo
</span></span><i><span style="font-weight: normal;">skyline</span></i><span style="font-style: normal;"><span style="font-weight: normal;">
e tutti vivremo più buoni e più felici, dando magari fuoco al campo
Rom (e senza generose donazioni per ricostruirlo).</span></span></span></div>
<br />Riccardo Venturihttp://www.blogger.com/profile/10076610025117360920noreply@blogger.com