mercoledì 18 novembre 2009

Un uomo morto


Cosa si scrive su una cosa del genere?

Si potrebbe dire che non si sa se Cesare Battisti abbia o meno commesso i crimini per i quali è stato condannato; ma non è questo il punto.

Si potrebbe anche dire, se si ha ancora un minimo di discernimento e di umanità, di andare a leggersi tutto quel che è stato scritto su Carmilla On Line, una delle poche voci (e forse la sola) a non essersi adeguata. Andateci, sì, se volete. Anche se non lo farete perché avete paura. Ma non è nemmeno questo il punto. O perlomeno non lo è del tutto.

Si potrebbe dire che il sig. Gilmar Mendes, il "giudice della corte suprema" brasiliana che, col suo voto, ha spalancato a Battisti le porte delle carceri italiane, è tutto quel che si vuole, con tendenza alle peggiori cose. Ma proprio non è questo il punto, no davvero.

Si potrebbe ancora dire che, finalmente, giustizia è stata fatta; ma parlare di giustizia in Italia è come parlare di frigoriferi al Polo Nord. In Italia la giustizia è quella delle stragi, dei servizi deviati, delle mafie. Ma ancora una volta, non è questo il punto.

Il punto è che Cesare Battisti si appresta a divenire un uomo morto. Perché è stato condannato a morte.

La cosa, a molti, potrà anche fare piacere. Farà senz'altro piacere ai parenti delle vittime, o meglio a quelli delle vittime di serie A. Quelli che servono ai disegni del potere. Quelli che vengono intervistati di continuo. Quelli che contribuiscono a far sì che la storia di questo paese rimanga ferma.

E se qualcuno mi dice che io non ho rispetto verso queste persone, rispondo semplicemente che nessuno è mai andato a intervistare i parenti di Francesco Lorusso, o di Giannino Zibecchi. Nessuno sa che faccia abbiano i parenti di Rodolfo Boschi. Quelle, come altre centinaia di persone, non sono vittime. Non esistono. Non hanno diritti. Nessuno ha alcun diritto quando l'assassino, pur con diecimila testimonianze più attendibili di quelle che stanno portando alla forca Cesare Battisti, si chiama Stato.

E allora non mi si chieda rispetto verso nessuno.

Si abbia solo il coraggio di dire che Cesare Battisti è un condannato a morte, un dead man walking. Poi se ne gioisca pure, come del resto la classe politica italiana, senza eccezione alcuna, farà e già sta facendo, ben coadiuvata dalle sue fanfare, dai suoi tamburi e dalle sue televisioni di merda.

Oppure, se non se ne gioisce affatto, e se si considera tutto questo come un assassinio legalizzato, non ci si nasconda. Non si volti la testa dall'altra parte per timore di essere considerati complici. Non si pensi alla propria immagine da difendere, ché dire le cose che io sto dicendo in questo momento fa, sicuramente, perdere molta "considerazione".

Lo so benissimo quanta "stima" perdo. Ma come, il Venturi delle "storie elbane" e di tutto il resto, che si schiera perché un maledetto terrorista cui vengono fatte pagare le sue malefatte. Ma il Venturi risponde soltanto alla sua coscienza, e la sua coscienza gli dice questo.

Non servirà, naturalmente, a niente. Nel voto del senhor Mendes ci sono tante cose, e nessuna ha a che fare con la giustizia. Ha a che fare con rapporti internazionali, con affari, con petroli, con commesse. È semplicemente un prezzo per mantenere buone relazioni. Così come la libertà di Silvia Baraldini è stata barattata coi morti del Cermis. Il cadavere di un Cesare Battisti può ben servire a cementare gli ottimi rapporti fra due stati amici. Qualche libbra di carne, di fronte agli Stati, non è niente.

A maggior ragione se il cadavere è quello di un volgare assassino (secondo la definizione del camerata Gianfranco Fini, talmente camerata che lo hanno fatto presidente della camera).

E non serve più nessun'altra parola.

Del resto, nel paese dove si può finire in galera per una scritta su un muro, per venti fotocopie non pagate o per un petardo, altre parole potrebbero essere molto pericolose.

E in galera si muore.

Fate conto quindi che questo post non sia stato scritto da me, ma da chi in galera è morto e continua a morire. Senza essere nessun volgare assassino. Basta essersi fumati una canna o addirittura non avere fatto niente di niente. Lì dentro, si è solo carne da macello.

Tornerà in Italia, Cesare Battisti. Cui il destino non ha risparmiato neppure di essere omonimo di un cosiddetto eroe della Patria. Uno che, però, dal tribunale austriaco che lo aveva giudicato e mandato a morte, fu definito un traditore e un terrorista. I terroristi sono sempre fabbricati dal Terrorista vero, vale a dire dallo Stato. E sono sempre uomini morti.

Tornerà in Italia e la sua morte lenta sarà accompagnata dalla farsa dei perdoni, come di consueto. Ben presto se ne smetterà di parlare. Avrà adempiuto alla sua funzione di pedina di scambio. E a quella di servire da monito. Una certa "stagione" non può essere chiusa. Deve rimanere sempre aperta perché fa un comodo terribile a Lorsignori. Ma non si parli mai di giustizia: si parli sempre e solo di vendetta infinita.

Scrivono, sulle gazzette, che l'ultima parola sull'estradizione di Battisti spetterebbe a un presidente, tale Inácio Lula Da Silva, che un tempo faceva pure l'operaio. E anche uno che, una volta presidente, non ha trovato di meglio che ripetere la solita battuta idiota che fu pronunciata anche da Yves Montand: "Chi è non è di sinistra a vent'anni è senza cuore, chi lo è a sessanta è senza cervello". Lo abbiamo visto, il Lula operaio, recentemente al solito "vertice". Non c'è naturalmente nulla da sperare da un tipo del genere. Anche se ha detto di essere personalmente contrario all'estradizione. Ma anche che non si opporrà alla decisione della "Corte Suprema". Così, bellino lui, si salva pure la faccia.

Bene. Questo è quanto. Si dia pure inizio all'esecuzione.

E se qualcuno vede, durante un viaggio a Tokyo, il signor Hagen Roi, gli chieda magari come ha fatto ad avere la cittadinanza giapponese.