Cose che accadono quando l'estate se ne va via, nella sera in cui ci si rimettono i pantaloni lunghi, i calzini, la camicia. Aumenteranno via via gli indumenti, accorceranno ancora le giornate fino al buio dicembrino; volata. Come, quasi, non ci fosse stata. Sfiorata al suo inizio, quasi per metà passata a prendere pasticche per far passare un dolore, lavorata, sudata, stancata. Per caso, e per non sapere cos'altro fare perché il sonno non vuole arrivare, si approda come Ulisse sul sito di una televisione di quelle notturne, di quelle lontane nel tempo; trasmettono l'Odissea.
Proprio lei, l'Odissea di Franco Rossi, l'Odissea di Bekim Fehmiu. Ed è proprio la puntata del naufragio sull'isola dei Feaci, di Nausicaa; come fosse, quasi, ieri. Un'estate passata lontano dall'Isola; quant'era. Senza buttarsi in mare da uno scoglio qualsiasi, senza il portico, senza il giro della costa occidentale che lo avrò fatto diecimila volte, e ogni volta è a sé. Ricordo, tempo fa, una discussione a proposito di isole, con uno che mi diceva che non esistono; mi accorgo sempre di più che non esistono, invece, coloro cui l'isola non batte dentro. Forse vengono da isole troppo grosse, ché le isole hanno da essere piccole e magari ignote a tutti, come quella dei Feaci. E se uno ha da essere Ulisse, bisogna che vaghi quarant'anni in mezzo a un mare, e con un dio contrario.
Era bellissima, l'Odissea in televisione; era bellissima perché dava il senso vero del poema omerico. All'inizio di ogni puntata, una voce leggeva dei versi: era quella di Giuseppe Ungaretti, che sarebbe morto di lì a non molto. Era bellissima, perché riusciva a dare l'insularità a un bambino di sei anni così come ad un uomo fatto o a un vecchio. Ulisse è un viaggio fra un'isola è l'altra, alla ricerca eterna della propria; ma tutte lo sono un po', ognuna è qualcosa di sé e la vita dell'uomo è un ponte che le attraversa, e l'uomo è il marinaio e un imperfetto guerriero che conosce ed accetta la debolezza e la vigliaccheria così come il valore e la lealtà. Un'isola è l'opposizione a stolide purezze, e un'isola esiste sempre proprio come esiste la vita.
Così, a notte fonda ma nel sole della storia, ecco che Ulisse arriva, naufrago, all'isola dei Feaci; è un giorno d'una antichissima estate. Ci sono anch'io. Un fiume che sfocia su una spiaggia, e tutto mi è familiare. È il Seccheto. Guardo i particolari e tutto corrisponde alla perfezione, e il sentiero che mena al Palazzo è identico, e il Palazzo di un'isola come quella sarà stato più probabilmente una rozza casa colonica. Nausicaa credo di averla conosciuta quando avevo quattordici o quindici anni, mi hanno detto che ora è sposata e ha due figli grandi, ed un marito greve e addormentato; e il mare, poi. Il mare come cristallo che lambisce la pietra e il tamarisco; mi accendo una sigaretta. Il mare lambisce anche lei. Resto incollato allo schermo e ai dialoghi in lingua curatissima, ma una parte di me è là, su quell'isola, in disparte. Non vorrei mai far parte della vicenda. Non interferirei mai con Ulisse, con Nausicaa, con Alcinoo; starei, su una Galenzana come ogni isola ne racchiude, a osservare senza che nessuno mi veda; in questo modo sono nessuno, e sono Omero. Perché Omero e Nessuno sono la stessa persona. Lo sono stato non so nemmeno io quante volte, da solo, in qualche angolo, con il mare, una sigaretta e me stesso; lo sarò ancora fino alla fine dei miei giorni. Ad ognuno la sua Odissea, e l'Odissea per ogni isola.
Poi sono venuto a sapere che Bekim Fehmiu, il volto di Ulisse, il 15 giugno di quest'anno si è tolto la vita. Si è sparato un colpo di pistola nella sua casa di Belgrado. Sono venuto a sapere che era nato in un'isola chiamata Sarajevo, da genitori kosovari. Irene Papas, Ειρήνη Παππά anzi, naviga nell'Egeo della sua vecchiaia, ancora bellissima e nobile. La bellissima Nausicaa, Barbara Bach, ha passato la sua Odissea tra filmetti di serie B per poi scomparire, perdersi. Franco Rossi, il regista, era nato a Firenze un 19 aprile, proprio lo stesso giorno in cui era nata mia nonna materna sull'Isola; dopo l'Odissea traspose in film televisivo anche l'Eneide. A combattere con Enea c'erano anche, dice Virgilio, trecento Ilvates. Trecento elbani. C'ero anch'io, ma non lo dite a nessuno: ero il trecentounesimo. Me ne stavo però in disparte, a Galenzana, con una sigaretta e uno stecco in mano a disegnare parole greche nell'aria. A modo mio, combattevo.
Proprio lei, l'Odissea di Franco Rossi, l'Odissea di Bekim Fehmiu. Ed è proprio la puntata del naufragio sull'isola dei Feaci, di Nausicaa; come fosse, quasi, ieri. Un'estate passata lontano dall'Isola; quant'era. Senza buttarsi in mare da uno scoglio qualsiasi, senza il portico, senza il giro della costa occidentale che lo avrò fatto diecimila volte, e ogni volta è a sé. Ricordo, tempo fa, una discussione a proposito di isole, con uno che mi diceva che non esistono; mi accorgo sempre di più che non esistono, invece, coloro cui l'isola non batte dentro. Forse vengono da isole troppo grosse, ché le isole hanno da essere piccole e magari ignote a tutti, come quella dei Feaci. E se uno ha da essere Ulisse, bisogna che vaghi quarant'anni in mezzo a un mare, e con un dio contrario.
Era bellissima, l'Odissea in televisione; era bellissima perché dava il senso vero del poema omerico. All'inizio di ogni puntata, una voce leggeva dei versi: era quella di Giuseppe Ungaretti, che sarebbe morto di lì a non molto. Era bellissima, perché riusciva a dare l'insularità a un bambino di sei anni così come ad un uomo fatto o a un vecchio. Ulisse è un viaggio fra un'isola è l'altra, alla ricerca eterna della propria; ma tutte lo sono un po', ognuna è qualcosa di sé e la vita dell'uomo è un ponte che le attraversa, e l'uomo è il marinaio e un imperfetto guerriero che conosce ed accetta la debolezza e la vigliaccheria così come il valore e la lealtà. Un'isola è l'opposizione a stolide purezze, e un'isola esiste sempre proprio come esiste la vita.
Così, a notte fonda ma nel sole della storia, ecco che Ulisse arriva, naufrago, all'isola dei Feaci; è un giorno d'una antichissima estate. Ci sono anch'io. Un fiume che sfocia su una spiaggia, e tutto mi è familiare. È il Seccheto. Guardo i particolari e tutto corrisponde alla perfezione, e il sentiero che mena al Palazzo è identico, e il Palazzo di un'isola come quella sarà stato più probabilmente una rozza casa colonica. Nausicaa credo di averla conosciuta quando avevo quattordici o quindici anni, mi hanno detto che ora è sposata e ha due figli grandi, ed un marito greve e addormentato; e il mare, poi. Il mare come cristallo che lambisce la pietra e il tamarisco; mi accendo una sigaretta. Il mare lambisce anche lei. Resto incollato allo schermo e ai dialoghi in lingua curatissima, ma una parte di me è là, su quell'isola, in disparte. Non vorrei mai far parte della vicenda. Non interferirei mai con Ulisse, con Nausicaa, con Alcinoo; starei, su una Galenzana come ogni isola ne racchiude, a osservare senza che nessuno mi veda; in questo modo sono nessuno, e sono Omero. Perché Omero e Nessuno sono la stessa persona. Lo sono stato non so nemmeno io quante volte, da solo, in qualche angolo, con il mare, una sigaretta e me stesso; lo sarò ancora fino alla fine dei miei giorni. Ad ognuno la sua Odissea, e l'Odissea per ogni isola.
Poi sono venuto a sapere che Bekim Fehmiu, il volto di Ulisse, il 15 giugno di quest'anno si è tolto la vita. Si è sparato un colpo di pistola nella sua casa di Belgrado. Sono venuto a sapere che era nato in un'isola chiamata Sarajevo, da genitori kosovari. Irene Papas, Ειρήνη Παππά anzi, naviga nell'Egeo della sua vecchiaia, ancora bellissima e nobile. La bellissima Nausicaa, Barbara Bach, ha passato la sua Odissea tra filmetti di serie B per poi scomparire, perdersi. Franco Rossi, il regista, era nato a Firenze un 19 aprile, proprio lo stesso giorno in cui era nata mia nonna materna sull'Isola; dopo l'Odissea traspose in film televisivo anche l'Eneide. A combattere con Enea c'erano anche, dice Virgilio, trecento Ilvates. Trecento elbani. C'ero anch'io, ma non lo dite a nessuno: ero il trecentounesimo. Me ne stavo però in disparte, a Galenzana, con una sigaretta e uno stecco in mano a disegnare parole greche nell'aria. A modo mio, combattevo.