Enrico Bulciolu: Il balcone fiorito di via dei Terrazzini
3.
Tirò avanti per via della Campana, stringendosi la giacca e
rialzandosi il bavero perché la strada era tutta in ombra e
presa d'infilata dal vento, e gli era tornato un freddo trapanaossa;
camminava veloce, a testa bassa, senza guardare
la gente che passava. La vecchia padrona dell'emporio-cartoleria
stava sulla porta a fumare la sua Nazionale col
filtro, mentre discuteva col figlio che stava dentro; uno che,
per una malattia al cuoio capelluto, portava la testa coperta
da un berretto di lana anche in piena estate. Le sembrò
di riconoscere quell'uomo magrissimo e dinoccolato che
era appena passato
sul marciapiede; ma
non ci fece poi troppo
caso. E così sembrò
anche al macellaio
Tinti, e alla pesciaiola
che aveva il barroccino
all'angolo con via
Garibaldi: "ma dove l'ho
visto, quello?..."
Piero Ciampi attraversò
sulle strisce,
standosene sul lato
destro di via
Pellegrini. C'era un'altra
macelleria, tenuta
però da un ragazzo
che era troppo
giovane per averlo
potuto conoscere. Ir
sèssi scioppe, poi; si
ricordò d'averne visti
a Amsterdam, a
Anversa, a
Stoccolma, in quei
porti del Nord
Europa dove ogni
tanto approdava perché
lui, alle stazioni, di solito non si fermava, ma saliva
sui treni senza biglietto. Ora ce n'era uno anche a
Livorno, si vede; si fermò un minuto a intuire la roba che ci
poteva essere in vendita, ma la sua testa quasi si
rifiutava, in quel momento, d'immaginare biancheria
intima allucinante, cazzi di gomma, frustini e chissà cos'altro.
Andò avanti per dieci metri, attraversando la strada
poco prima dell'incrocio perché all'angolo c'era il
ristorante "Sottomarino", e Fulvio lo avrebbe riconosciuto
di sicuro.
Dovevano essere oramai quasi le dieci. L'effetto delle paste
era svanito, e gli era tornata una gran fame; e, in soprordine,
una gran sete. Niente caffè, stavolta. Se era aperta...
L'osteria era sempre lì. Colla tenda verde e la scritta Enoteca Mannari e il numero di telefono pitturati sul
risvolto coi peneri.
Era aperta. Piero si sentì una cosa strana dentro, in
quella sua strana prima mattinata di resurrezione alla
vita; probabilmente si stava ricordando dell'ultima volta
che ci era andato a bere, e forse anche di quando ci
aveva scritto, davanti a un litro di vino, su un foglio protocollo
a righe, Il natale è il ventiquattro. Prima d'entrare,
si prese ancora una volta il portafoglio dalla giacca,
sperando, chissà, che in tutta quella mattinata del
diavolo anche le diecimila lire si fossero trasformate
in...come si chiamavano? Ah, sì, in euro. Che nome.
Chissà cosa voleva dire. Forse ora c'erano gli Stati
Uniti d'Europa? Chissà chi era, allora, il presidente
dell'Europa; o forse, magari, era un re. Sì, proprio bello, un re! Mentre apriva la porta, dopo essersi rimesso il portafoglio
nella tasca interna della giacca, aveva già
cominciato a fantasticare sul nome del sovrano. Pierantonio I?
Ugo IV? O forse, meglio, era una regina? Mariangela
III? Edvige VII?
Sull'Edvige gli apparve
il volto radioso, e anche qualcos'altro, della
Fenech, che gli dissero
d'entrare.
Al bancone non c'era più il vecchio Mannari, e neppure la moglie. C'era un ragazzo di nemmeno trent'anni, con du' bracci come du' forkliffe, che stava asciugando dei bicchieri con un panno; per il resto, non era cambiato nulla. Gli stessi tavolini con le zampe di metallo e il ripiano in fòrmica verde. Le stesse vedute di città alle pareti. Gli stessi scaffali stracolmi di bottiglie di vino e d'ogni altro alcoolico nella sala principale, che prendeva luce dalla porta sulla strada, e la stessa saletta dietro, quasi al buio, coi tavolini, le panche ammassate le une sulle altre e le pile di cassette vuote. La stessa porta in plastica pieghevole che portava al retro, dove il vecchio Mannari teneva la Vespa guasta da vent'anni. E un tizio seduto a un tavolo, con un mezzo litro di vino bianco davanti, e un bicchiere dal quale prendeva un sorso ogni tanto. Il ragazzo poteva anch'essere giovane, ma conosceva bene il tipo di clientela. Scambiò solo un buongiorno con Piero Ciampi, che glielo ricambiò d'una voce arrochita; poi tornò a asciugare i suoi bicchieri. Piero si mise a sedere a un altro tavolo, prendendosi la testa fra le mani. Il giovane, allora, smise d'asciugare e s'avvicinò al tavolo. Era uno che capiva senza tanto bisogno di parole.
"Vuole qualcosa da bere?"
" 'Un ciò nulla. So' senza soldi. Nix vaìni, je suis sorry."
" 'Unn'importa, me li dai 'vando ce l'hai. Dimmi 'osa vòi."
" Un litro di rosso."
" Dé, devi tornà dar deserto der Saàra, te."
" No, peggio. Dar deserto der Gobi. So' arrivato mezz'ora fa colla mongorfiera."
Fu portato il litro e un bicchiere col gambo. Piero si versò un bicchiere pieno. Lo tirò giù d'un fiato, ma piano. Piano. Ma d'un fiato. Perché bere, bisogna saperlo fare; bisogna farlo senza respirare, o quasi, ma con la bocca leggermente stretta, quasi a aspirare il liquido, e gli occhi semiserrati. Ti ci devi perdere dentro, quel bicchiere di vino; bisogna che lui si perda in te. Bisogna sentirselo andare giù senza pensare a nient'altro. E non ne deve restare nemmeno una goccia. Alla prima. Sennò gli occhi non s'illuminano. Sennò gli occhi non si velano, subito dopo, velandosi della stessa cosa di cui prima s'erano illuminati.
Bevuto il primo bicchiere, cominciò a versarsene un altro; e s'accorse che l'avventore all'altro tavolo lo fissava, con un'aria quasi dolce, quasi affettuosa. E lo guardò anche Piero. E lo riconobbe. Ma non si sentì perduto. Era il capitano Anton Germano Vukotich; capitano perché, chissà quando, aveva comandato un rimorchiatore. Un triestino capitato a Livorno dopo la guerra, e che c'era rimasto prendendo uno strano accento dove il livornese si mescolava a delle esse sibilate, parlando inoltre con una calma e una proprietà di linguaggio assolutamente strabilianti, specialmente in quel posto. Era ancora vivo. Con quei suoi occhietti d'un colore da non dirsi, che sembravano grigi quando il tempo era nuvoloso, e azzurri quando splendeva il sole.
"Sei Piero, vero."
"Sì."
"Lo sapevo che non eri morto."
"Parla piano."
"'Un ti preoccupà, Marcello deve lavorà."
Marcello doveva essere il ragazzo,il nuovo oste. Piero aveva bevuto anche il secondo bicchiere, e si stava mescendo il terzo.
"Invece ero morto."
Tanto valeva andare avanti.
"Si deve morì tutti prima o poi."
"Sì, ma io stamani mi so' rinvivito."
"Sei sempre il solito. Le scrivi sempre le canzoni?"
"So' venticinqu'anni che non ne scrivo più. So' stato in un posto dove non c'era musica."
" 'Un di' puttanate, Piero. Non esiste nessun posto senza musica."
" Sai un cazzo te, capitano."
" Hai ragione. So un cazzo io. La vòi una sigaretta?"
" Dé, me lo chiedi."
" Ciò le Emme Esse lait."
" Vanno bene anco 'velle."
" Tè, e fuma. Insomma, da dove vieni? Da Roma?"
" No, l'ho detto prima ar ragazzo. Vengo dar deserto der Gobi."
" E ci sei andato in giacchetta?"
" M'hanno rubbato i vestiti pesanti."
" E t'hanno rubbato anche i soldi."
" Bravo."
" Senti, Piero, io lo sapevo che saresti tornato prima o poi, sai."
" Io no."
" Tieni. Tanto so' rimasto solo, la mi' moglie è morta sedicianni fa."
Gli mise in mano dei biglietti colorati con dei disegni che Piero non riconosceva; ma c'erano dei numeri e sembravano soldi.
" Questi dèvano èsse' l'euro..."
" Dé, no, so' talleri peruviani."
" Te l'ho detto. So' stato via lontano."
" Sono centocinquanta. Me li rendi quando pòi."
" Mi conosci. Io non posso mai."
" E allora me li renderai mai."
" Quanti so' in lire?"
" Quasi trecentomila."
" Boia dé. E' tanta roba."
" Una sega. 'Un ci si 'ompra più nulla. Fatteli bastà."
" Grazie."
" Non mi ringrazià, s'era amici."
" Grazie lo stesso."
" E 'un ti preoccupà per il litro di vino. Anzi, prenditene un altro."
" No. Ora vo a mangiàmmi una zuppa di cipolle."
" Bravo. Così ti profuma un po' ir fiato, ti ci manca solo Jean Valjean e sarebbe perfetto pe' fa' le fogne di Parigi."
" Ma vaincùlo, capitano."
" Dé vacci tu, Piero Ciampi. Ma se' sempre meglio der tu' omonimo!"
Omonimo? Piero s'alzò toccando lievemente con una mano la spalla sinistra del capitano Anton Germano Vukotich. Il litro era vuoto. Non si sentiva volare una mosca e l'oste stava facendo le parole incrociate da un vecchio numero della Settimana Enigmistica. Piero sbirciò un attimo, prima d'uscire. L'oste era bloccato su una parola.
"Brillat-Savarin."
"Cosa, scusa...?"
"Sì, scusa. C'è scritto famoso gastronomo francese, no? Brillat-Savarin, ti dico."
"Dé...hai ragione. Ci sta. Come si scrive?"
"Bril-làt-sa-va-rìn come fosse veneto."
"Grazie! Dé, te lo sei guadagnato ir litro!"
Piero Ciampi non rispose e uscì. Ora poteva anche vedere come continuare a andare avanti in quel primo giorno di rinvivizione. Aveva fame. E, in sottordine, ancora una gran sete.
Al bancone non c'era più il vecchio Mannari, e neppure la moglie. C'era un ragazzo di nemmeno trent'anni, con du' bracci come du' forkliffe, che stava asciugando dei bicchieri con un panno; per il resto, non era cambiato nulla. Gli stessi tavolini con le zampe di metallo e il ripiano in fòrmica verde. Le stesse vedute di città alle pareti. Gli stessi scaffali stracolmi di bottiglie di vino e d'ogni altro alcoolico nella sala principale, che prendeva luce dalla porta sulla strada, e la stessa saletta dietro, quasi al buio, coi tavolini, le panche ammassate le une sulle altre e le pile di cassette vuote. La stessa porta in plastica pieghevole che portava al retro, dove il vecchio Mannari teneva la Vespa guasta da vent'anni. E un tizio seduto a un tavolo, con un mezzo litro di vino bianco davanti, e un bicchiere dal quale prendeva un sorso ogni tanto. Il ragazzo poteva anch'essere giovane, ma conosceva bene il tipo di clientela. Scambiò solo un buongiorno con Piero Ciampi, che glielo ricambiò d'una voce arrochita; poi tornò a asciugare i suoi bicchieri. Piero si mise a sedere a un altro tavolo, prendendosi la testa fra le mani. Il giovane, allora, smise d'asciugare e s'avvicinò al tavolo. Era uno che capiva senza tanto bisogno di parole.
"Vuole qualcosa da bere?"
" 'Un ciò nulla. So' senza soldi. Nix vaìni, je suis sorry."
" 'Unn'importa, me li dai 'vando ce l'hai. Dimmi 'osa vòi."
" Un litro di rosso."
" Dé, devi tornà dar deserto der Saàra, te."
" No, peggio. Dar deserto der Gobi. So' arrivato mezz'ora fa colla mongorfiera."
Fu portato il litro e un bicchiere col gambo. Piero si versò un bicchiere pieno. Lo tirò giù d'un fiato, ma piano. Piano. Ma d'un fiato. Perché bere, bisogna saperlo fare; bisogna farlo senza respirare, o quasi, ma con la bocca leggermente stretta, quasi a aspirare il liquido, e gli occhi semiserrati. Ti ci devi perdere dentro, quel bicchiere di vino; bisogna che lui si perda in te. Bisogna sentirselo andare giù senza pensare a nient'altro. E non ne deve restare nemmeno una goccia. Alla prima. Sennò gli occhi non s'illuminano. Sennò gli occhi non si velano, subito dopo, velandosi della stessa cosa di cui prima s'erano illuminati.
Bevuto il primo bicchiere, cominciò a versarsene un altro; e s'accorse che l'avventore all'altro tavolo lo fissava, con un'aria quasi dolce, quasi affettuosa. E lo guardò anche Piero. E lo riconobbe. Ma non si sentì perduto. Era il capitano Anton Germano Vukotich; capitano perché, chissà quando, aveva comandato un rimorchiatore. Un triestino capitato a Livorno dopo la guerra, e che c'era rimasto prendendo uno strano accento dove il livornese si mescolava a delle esse sibilate, parlando inoltre con una calma e una proprietà di linguaggio assolutamente strabilianti, specialmente in quel posto. Era ancora vivo. Con quei suoi occhietti d'un colore da non dirsi, che sembravano grigi quando il tempo era nuvoloso, e azzurri quando splendeva il sole.
"Sei Piero, vero."
"Sì."
"Lo sapevo che non eri morto."
"Parla piano."
"'Un ti preoccupà, Marcello deve lavorà."
Marcello doveva essere il ragazzo,il nuovo oste. Piero aveva bevuto anche il secondo bicchiere, e si stava mescendo il terzo.
"Invece ero morto."
Tanto valeva andare avanti.
"Si deve morì tutti prima o poi."
"Sì, ma io stamani mi so' rinvivito."
"Sei sempre il solito. Le scrivi sempre le canzoni?"
"So' venticinqu'anni che non ne scrivo più. So' stato in un posto dove non c'era musica."
" 'Un di' puttanate, Piero. Non esiste nessun posto senza musica."
" Sai un cazzo te, capitano."
" Hai ragione. So un cazzo io. La vòi una sigaretta?"
" Dé, me lo chiedi."
" Ciò le Emme Esse lait."
" Vanno bene anco 'velle."
" Tè, e fuma. Insomma, da dove vieni? Da Roma?"
" No, l'ho detto prima ar ragazzo. Vengo dar deserto der Gobi."
" E ci sei andato in giacchetta?"
" M'hanno rubbato i vestiti pesanti."
" E t'hanno rubbato anche i soldi."
" Bravo."
" Senti, Piero, io lo sapevo che saresti tornato prima o poi, sai."
" Io no."
" Tieni. Tanto so' rimasto solo, la mi' moglie è morta sedicianni fa."
Gli mise in mano dei biglietti colorati con dei disegni che Piero non riconosceva; ma c'erano dei numeri e sembravano soldi.
" Questi dèvano èsse' l'euro..."
" Dé, no, so' talleri peruviani."
" Te l'ho detto. So' stato via lontano."
" Sono centocinquanta. Me li rendi quando pòi."
" Mi conosci. Io non posso mai."
" E allora me li renderai mai."
" Quanti so' in lire?"
" Quasi trecentomila."
" Boia dé. E' tanta roba."
" Una sega. 'Un ci si 'ompra più nulla. Fatteli bastà."
" Grazie."
" Non mi ringrazià, s'era amici."
" Grazie lo stesso."
" E 'un ti preoccupà per il litro di vino. Anzi, prenditene un altro."
" No. Ora vo a mangiàmmi una zuppa di cipolle."
" Bravo. Così ti profuma un po' ir fiato, ti ci manca solo Jean Valjean e sarebbe perfetto pe' fa' le fogne di Parigi."
" Ma vaincùlo, capitano."
" Dé vacci tu, Piero Ciampi. Ma se' sempre meglio der tu' omonimo!"
Omonimo? Piero s'alzò toccando lievemente con una mano la spalla sinistra del capitano Anton Germano Vukotich. Il litro era vuoto. Non si sentiva volare una mosca e l'oste stava facendo le parole incrociate da un vecchio numero della Settimana Enigmistica. Piero sbirciò un attimo, prima d'uscire. L'oste era bloccato su una parola.
"Brillat-Savarin."
"Cosa, scusa...?"
"Sì, scusa. C'è scritto famoso gastronomo francese, no? Brillat-Savarin, ti dico."
"Dé...hai ragione. Ci sta. Come si scrive?"
"Bril-làt-sa-va-rìn come fosse veneto."
"Grazie! Dé, te lo sei guadagnato ir litro!"
Piero Ciampi non rispose e uscì. Ora poteva anche vedere come continuare a andare avanti in quel primo giorno di rinvivizione. Aveva fame. E, in sottordine, ancora una gran sete.
4.
Tutte quelle macchine parcheggiate alla bell'e meglio,
con le ruote sul marciapiede, con targhe strane.
Piero Ciampi le guardava. Ce n'era, sì, ancora qualcuna
con la sigla "LI", ma tutta bianca e con dei numeri altissimi;
altre, invece, sembravano un'accozzaglia di numeri
e lettere, non c'era più niente che tornasse. Più niente.
Poteva allora anche darsi che Hitler fosse in galera,
e che il natale fosse il ventiquattro, allo stesso modo in
cui un'automobile era targata CW 787 YZ
"Tanto...tanto una macchina 'un ce l'ho mai avuta...io ci
avevo ir sottomarino...", stava pensando con una specie
di sorriso; quando lo riscossero, nell'ordine esatto
delle cose, un'improvvisa folata di vento che sembrava
aver imboccato via
dei Terrazzini come
una Maserati, la
fame e (in ordine
oramai paritario) la
sete, uno sbatter
d'uscio e un grido:
"Piero! Piero!
Aspetta!"
Era il capitano, uscito
trafelato dall'osteria
con ancora un
bicchiere mezzo
pieno in mano.
"Che cosa c'è?", disse Piero Ciampi scandendo bene le
parole e sforzandosi di pronunciarle senza nessun
accento vernacolare.
"C'è che mi sono dimenticato di chiederti una cosa
importante. Ce l'hai un posto dove andare a dormire?"
"No."
"Bisognerebbe che tu lo trovassi. Di notte fa freddo."
"Ho dormito per venticinqu'anni di fila. 'Un credo che mi
piglierà tanto sonno, stanotte."
"Sì, bravo; però, se ti piglia, magari rimòri."
Mancava ancora una cosa a quella prima giornata di
palimbìosi. Una risata. Una risata come si deve, di quelle
che ti pigliano come un colpo di maglio dato su un'incudine.
Si mise a ridere come un pazzo, come uno che
non rideva più da una morte intera.
"...e magari poi riresùsciti fra àrtri venticinqu'anni, e ar
posto dell'osteria ci trovi..."
"...un supermercato! "
E giù risate, insieme, risate e fiatate vinose, risate e
toccarsi, risate e ridersi.
"...no...una chiesa! "
"Sì, dé, come no la 'iesa dello Spirito Divino! "
Stettero cinque minuti a ridere fino alle làgrime, quando
all'improvviso, il capitano smise e si rifece, con
molta fatica, serio:
"Piero, ascolta, dammi retta. T'ho dato dei soldi. So'
pochi, ma 'un ti preoccupà, se te ne servissero ancora,
quarcos'artro te lo rimedio. L'hai vista la pesciaiola
all'angolo di via della Campana?"
"Boia che l'ho vista. La 'onoscevo anche. Ma cosa c'entra?"
"C'entra che quella conosce una cèa di gente che dà camere
a pòo prezzo. Se glielo chiedi, vedrai che ti trova un posto
dove stà' a tre vaìni buàti, tanto a te ti va bene lo stesso."
"E che gli dico?"
"Gli dici che te l'ho detto io. E se fa problemi, dìnni che
fo da garante. Fai un tentativo, perlomeno. 'Un ti 'osta
nulla."
"No, 'un mi 'osta nulla. E se mi riconosce?"
"E se ti riconosce, ti metti a predìnni ir futuro."
Passarono
altri cinque
minuti a ridere
come disperati,
quando la
fame e la
sete ricordarono
a Piero
Ciampi che
s'era fatto
quasi mezzogiorno;
s'abbracciarono
come chissà
avevan fatto
tante di quelle
volte, lui e il capitano Anton Germano Vukotich, e si salutarono,
e si lasciarono con una certa quale scontrosa
grazia presa in prestito dalla poesia di un triestino.
"Rimòio...'ni predìo ir futuro..."
E ancora risate fra sé e sé, mentre rifaceva all'indietro
i cinquanta metri di via Pellegrini, mentre ripassava
davanti ar sèssi scioppe e alla macelleria, mentre n'approfittava
per entrare alla tabaccheria all'angolo con
via Garibaldi per comprarsi un pacchetto di sigarette
vere. Chiese le Gitanes, ma non le avevano; quando
chiese le Gauloises, gli fu dato un pacchetto rossiccio
di cose col filtro; finalmente si decise per delle Nazionali,
sempre col filtro. Sembrava che le sigarette senza filtro
fossero scomparse dall'orbe terracqueo. Pagò,
aprì il pacchetto, ne cavò una e se l'accese.
"Scusi, signore, qui 'un si pole fumà'."
Piero Ciampi lo guardò con un'aria decisamente stupita:
"Come 'un si pole fumà'? Da un tabacchino 'un si pole fumà?"
"No, 'un si pole. E' la legge. Per favore, esca o la spenga."
La legge? Rimase con la sigaretta in mano, e la mano a mezz'aria. La legge.
" 'Un si pole più fumà dove si vendono le sigarette?..."
"Signore, ma dove vive? 'Un lo sapeva?"
"So' stato via tanto tempo e torno oggi."
"Ah, capisco. Però, per favore, spenga la sigaretta o esca, mi dispiace."
"Esco subito. Ci mancherebb'altro che vìolo la legge!", disse insistendo sulla "i" accentata di vìolo; e uscì guardando quella prima sigaretta che oramai s'era quasi tutta consumata dalla stupefazione.
"Signore!"
"Che c'è ancora? O 'un so' uscito?"
"Sì, però le volevo dire...visto che è stato via tanto, guardi che 'un si pole più fumà nemmeno ne' bàrri e ne' ristoranti. La volevo avvertì. "
"Sempre la legge?"
"Sempre la legge e quer budiùlo der ministro Sirchia."
Ir ministro Sirchia? O di che governo era uno che faceva vietà' di fumare nelle tabaccherie e ne' barri? Se ne accese un'altra. La pesciaiola del barroccino all'angolo di via della Campana, che poco prima lo aveva visto passare chiedendosi dove mai l'avesse già veduto, stava cominciando a sbaraccà' ogni 'osa pe' tornàssene a casa. Aveva già finito di rimettere i pesci a posto nel frigorifero che teneva nel magazzino lì accanto, e stava levando i cartelli scritti a mano coi prezzi. Piero Ciampi si fermò e le rivolse la parola con molta e signorile cortesia, proprio mentre quella finiva di staccare il cartello con su scritto Boghe a poco - bone per il cacciucco; era una signora in carne senz'essere grassoccia, e con una specie di riccioli castani chiari, con delle gote rubizze da donna d'una certa età abituata a star sempre all'aperto e a riscaldarsi 'òlla stufa der gottino, come si dice in Alasca.
"Signora, mi scusi, vorrei un'informazione."
"Prego, 'ome no. Mi dìa."
"Lo conosce il capitano Vukotich?"
"Ir capitano di Trieste?"
"Lui."
"Lo 'onosco. Se lo cerca, è sempre all'osteria dar Mannari."
"L'ho appena visto, è un mio vecchio amico, sa m'ha detto di venì' da lei per una cosa, ché forze mi potrebbe aiutà'..."
"Ho capito. Lei cerca una stanza a poco. Ma dove l'ho già vista?"
"Non so..." "E' di Livorno, lei?"
"Sì, ma so' stato via pe' tanto tempo."
"Somiglia spicciàto a uno no, ma 'unn'è possibile, dev'èsse' morto da armeno vent'anni... mi scusi, mi scusi, si diceva, lei che lavoro fa?"
Piero Ciampi ci pensò un lungo attimo. Era indeciso; poi rispose: "Musicista."
"Senta, parliamoci chiaro. Io la stanza magari forse gliela trovo anche subito. Però ce li ha i vaìni pe' pagà?"
"Un po' sì."
"Mi scusi ancora, 'un vorrei sembrà' cattiva, però lei 'un mi sembra messo tanto bene in arnese..."
"Stia tranquilla, signora, un po' ce l'ho, un po' me li guadagnerò, e poi ir capitano fa da garante, se si fida."
"Mi voglio fidà..." ("E fa abbastanza male, signora", pensò Piero Ciampi; ma stette zitto.)
"Però in ogni caso più di tanto 'un mi posso permettere, almeno per ora."
"Lei cià un ber...una bella fortuna, signor...?"
"Litaliano."
"Come?..."
"Sì, Litaliano. Mi chiamo Litaliano di cognome, come l'italiano ma senza l'apostrofo. Piero Litaliano."
"Dé, è la prima vòrta 'e lo sento un cognome 'ome questo!"
"In Polonia ho conosciuto uno che si chiamava Grzegorz Brzeczysztikiewicz."
"Meglio Litaliano."
"Eh sì. Le volevo anche dì...bisognerebbe se possibile fa' alla zitta, senza contratti, senza scartoffie. Tanto ci devo stà' pe' quarche mese e basta, poi 'vando dovento ricco mi compro un sottomarino e torno via."
"Si guarderà. C'è proprio la mi' dirimpettaia che dà una stanza, sta ner mi' stesso palazzo. E' una ragazza separata da qualche anno."
" 'Un ci si dovrebbe mai sposà."
" Si figuri che ha mandato in culo ir marito perché ha saputo che 'ni metteva le corne co' una più giovane...successe un bordello di nulla. Lo venne a sapé' da un messaggino 'or telefanino mentre ir marito era 'oll'amici a un pàbbe qui dietro, tutta gente che sonava come lei...e ni piombò dentro e lo pigliò a stianti ner muso davant'a tutti...una scena...!"
" Ha fatto bene."
" Ma, 'un lo so...lui, certo, era un tipo strano forte, lo doveva vedé..."
" E che fine ha fatto?"
" E chi lo sa. Si racconta che la notte è partito briào fradicio su un treno, e 'un s'è più rivisto."
" Succede", disse Piero Ciampi con uno sguardo che s'era fatto all'improvviso andante oltre qualcosa.
" Succede. In ogni modo, se le interessa, ora la chiamo e sento."
"Non importa, signora, se è vicino ci vo io di persona."
"No, meglio che la chiami perché spesso 'un risponde ar campanello."
"E da dove la chiama? Cabine 'un ne vedo..."
"Certo, signor Litaliano, dev'èsse' rimasto via tanto tempo sur serio..."
La pesciaiola tirò fuori un aggeggio colorato da una borsa, munito d'un'antenna e di una tastiera coi numeri. "Pronto, Maria Fortunata? Sì, so'la Marisa, la vicina...ascolta, ce l'hai sempre la stanza da dà'? Qui c'è un signore che mi pare perbene, uno anche d'una certa età, no, un ragazzino 'unn'è, che la vorrebbe...però se si potesse fa fra amiche..." E si misero a parlare, senza che Piero Ciampi potesse sentire quel che l'interlocutrice stava dicendo. S'appoggiò al barroccino accendendosi un'altra sigaretta, e pensando a troppe cose accavallate; un messaggino... ir telefanino, la moglie ner pàbbe, i cazzotti, un treno, la notte...
"...occhèi, allora, te lo mando...sì, è qui davanti a me, fra un minuto è lì da te, mi raccomando aprigli...ciao, e passa a pagàmmi quando pòi...ciao."
"Allora?"
"Allora, signor Litaliano, deve andà qui dietro ar quarantuno di Via Garibaldi e sonà all'unico campanello senza nome, accanto a quello con scritto Rossi. E ar primo piano. La stanza gliela dà a duecento euri ar mese, e vole un anticipo di almeno cento euri. Ce li ha?"
Piero si fece due conti in mente. Sarebbe rimasto con 45 euro in tasca, ma andava bene.
"Ce li ho. Ar quarantuno ha detto?"
"Sì, ar quarantuno. E 'un s'impressioni pe' ir casino che troverà in quella casa. Come dire, la mia amica non è un granché ordinata, ma è una brava ragazza."
"Come si chiama, che 'un mi riòrdo...?"
"Maria Fortunata. E a me che mi compra?"
"Come, scusi, signora?"
"Prima ha detto che quando doventerà ricco si 'omprerà un sottomarino. E a me che n'ho trovato la stanza, cosa mi 'ompra...?", fece la pesciaiola con un largo sorriso da motosilurante.
"A lei...vediamo una pelliccia di serpente..."
"Lei ci deve avé' voglia di ruzzà."
"...coll'innesto di una tigre."
(3/4 - continua)
"Scusi, signore, qui 'un si pole fumà'."
Piero Ciampi lo guardò con un'aria decisamente stupita:
"Come 'un si pole fumà'? Da un tabacchino 'un si pole fumà?"
"No, 'un si pole. E' la legge. Per favore, esca o la spenga."
La legge? Rimase con la sigaretta in mano, e la mano a mezz'aria. La legge.
" 'Un si pole più fumà dove si vendono le sigarette?..."
"Signore, ma dove vive? 'Un lo sapeva?"
"So' stato via tanto tempo e torno oggi."
"Ah, capisco. Però, per favore, spenga la sigaretta o esca, mi dispiace."
"Esco subito. Ci mancherebb'altro che vìolo la legge!", disse insistendo sulla "i" accentata di vìolo; e uscì guardando quella prima sigaretta che oramai s'era quasi tutta consumata dalla stupefazione.
"Signore!"
"Che c'è ancora? O 'un so' uscito?"
"Sì, però le volevo dire...visto che è stato via tanto, guardi che 'un si pole più fumà nemmeno ne' bàrri e ne' ristoranti. La volevo avvertì. "
"Sempre la legge?"
"Sempre la legge e quer budiùlo der ministro Sirchia."
Ir ministro Sirchia? O di che governo era uno che faceva vietà' di fumare nelle tabaccherie e ne' barri? Se ne accese un'altra. La pesciaiola del barroccino all'angolo di via della Campana, che poco prima lo aveva visto passare chiedendosi dove mai l'avesse già veduto, stava cominciando a sbaraccà' ogni 'osa pe' tornàssene a casa. Aveva già finito di rimettere i pesci a posto nel frigorifero che teneva nel magazzino lì accanto, e stava levando i cartelli scritti a mano coi prezzi. Piero Ciampi si fermò e le rivolse la parola con molta e signorile cortesia, proprio mentre quella finiva di staccare il cartello con su scritto Boghe a poco - bone per il cacciucco; era una signora in carne senz'essere grassoccia, e con una specie di riccioli castani chiari, con delle gote rubizze da donna d'una certa età abituata a star sempre all'aperto e a riscaldarsi 'òlla stufa der gottino, come si dice in Alasca.
"Signora, mi scusi, vorrei un'informazione."
"Prego, 'ome no. Mi dìa."
"Lo conosce il capitano Vukotich?"
"Ir capitano di Trieste?"
"Lui."
"Lo 'onosco. Se lo cerca, è sempre all'osteria dar Mannari."
"L'ho appena visto, è un mio vecchio amico, sa m'ha detto di venì' da lei per una cosa, ché forze mi potrebbe aiutà'..."
"Ho capito. Lei cerca una stanza a poco. Ma dove l'ho già vista?"
"Non so..." "E' di Livorno, lei?"
"Sì, ma so' stato via pe' tanto tempo."
"Somiglia spicciàto a uno no, ma 'unn'è possibile, dev'èsse' morto da armeno vent'anni... mi scusi, mi scusi, si diceva, lei che lavoro fa?"
Piero Ciampi ci pensò un lungo attimo. Era indeciso; poi rispose: "Musicista."
"Senta, parliamoci chiaro. Io la stanza magari forse gliela trovo anche subito. Però ce li ha i vaìni pe' pagà?"
"Un po' sì."
"Mi scusi ancora, 'un vorrei sembrà' cattiva, però lei 'un mi sembra messo tanto bene in arnese..."
"Stia tranquilla, signora, un po' ce l'ho, un po' me li guadagnerò, e poi ir capitano fa da garante, se si fida."
"Mi voglio fidà..." ("E fa abbastanza male, signora", pensò Piero Ciampi; ma stette zitto.)
"Però in ogni caso più di tanto 'un mi posso permettere, almeno per ora."
"Lei cià un ber...una bella fortuna, signor...?"
"Litaliano."
"Come?..."
"Sì, Litaliano. Mi chiamo Litaliano di cognome, come l'italiano ma senza l'apostrofo. Piero Litaliano."
"Dé, è la prima vòrta 'e lo sento un cognome 'ome questo!"
"In Polonia ho conosciuto uno che si chiamava Grzegorz Brzeczysztikiewicz."
"Meglio Litaliano."
"Eh sì. Le volevo anche dì...bisognerebbe se possibile fa' alla zitta, senza contratti, senza scartoffie. Tanto ci devo stà' pe' quarche mese e basta, poi 'vando dovento ricco mi compro un sottomarino e torno via."
"Si guarderà. C'è proprio la mi' dirimpettaia che dà una stanza, sta ner mi' stesso palazzo. E' una ragazza separata da qualche anno."
" 'Un ci si dovrebbe mai sposà."
" Si figuri che ha mandato in culo ir marito perché ha saputo che 'ni metteva le corne co' una più giovane...successe un bordello di nulla. Lo venne a sapé' da un messaggino 'or telefanino mentre ir marito era 'oll'amici a un pàbbe qui dietro, tutta gente che sonava come lei...e ni piombò dentro e lo pigliò a stianti ner muso davant'a tutti...una scena...!"
" Ha fatto bene."
" Ma, 'un lo so...lui, certo, era un tipo strano forte, lo doveva vedé..."
" E che fine ha fatto?"
" E chi lo sa. Si racconta che la notte è partito briào fradicio su un treno, e 'un s'è più rivisto."
" Succede", disse Piero Ciampi con uno sguardo che s'era fatto all'improvviso andante oltre qualcosa.
" Succede. In ogni modo, se le interessa, ora la chiamo e sento."
"Non importa, signora, se è vicino ci vo io di persona."
"No, meglio che la chiami perché spesso 'un risponde ar campanello."
"E da dove la chiama? Cabine 'un ne vedo..."
"Certo, signor Litaliano, dev'èsse' rimasto via tanto tempo sur serio..."
La pesciaiola tirò fuori un aggeggio colorato da una borsa, munito d'un'antenna e di una tastiera coi numeri. "Pronto, Maria Fortunata? Sì, so'la Marisa, la vicina...ascolta, ce l'hai sempre la stanza da dà'? Qui c'è un signore che mi pare perbene, uno anche d'una certa età, no, un ragazzino 'unn'è, che la vorrebbe...però se si potesse fa fra amiche..." E si misero a parlare, senza che Piero Ciampi potesse sentire quel che l'interlocutrice stava dicendo. S'appoggiò al barroccino accendendosi un'altra sigaretta, e pensando a troppe cose accavallate; un messaggino... ir telefanino, la moglie ner pàbbe, i cazzotti, un treno, la notte...
"...occhèi, allora, te lo mando...sì, è qui davanti a me, fra un minuto è lì da te, mi raccomando aprigli...ciao, e passa a pagàmmi quando pòi...ciao."
"Allora?"
"Allora, signor Litaliano, deve andà qui dietro ar quarantuno di Via Garibaldi e sonà all'unico campanello senza nome, accanto a quello con scritto Rossi. E ar primo piano. La stanza gliela dà a duecento euri ar mese, e vole un anticipo di almeno cento euri. Ce li ha?"
Piero si fece due conti in mente. Sarebbe rimasto con 45 euro in tasca, ma andava bene.
"Ce li ho. Ar quarantuno ha detto?"
"Sì, ar quarantuno. E 'un s'impressioni pe' ir casino che troverà in quella casa. Come dire, la mia amica non è un granché ordinata, ma è una brava ragazza."
"Come si chiama, che 'un mi riòrdo...?"
"Maria Fortunata. E a me che mi compra?"
"Come, scusi, signora?"
"Prima ha detto che quando doventerà ricco si 'omprerà un sottomarino. E a me che n'ho trovato la stanza, cosa mi 'ompra...?", fece la pesciaiola con un largo sorriso da motosilurante.
"A lei...vediamo una pelliccia di serpente..."
"Lei ci deve avé' voglia di ruzzà."
"...coll'innesto di una tigre."
(3/4 - continua)