giovedì 21 maggio 2009

John Cocks


Quella che vado a raccontarvi è un'antica storia, avvenuta nell'Inghilterra vittoriana agli albori dell'industrializzazione. Si svolge esattamente nel 1846, nella fiorente città di Bloomtown, nel Tuskshire; una città celebre in tutto l'Impero Britannico per le sue magnifiche opere d'arte (tra le quali la cattedrale di St. Mary of Flowers e l'austero municipio di fattura medievale, detto per questo “The Old Palace”) e per i suoi innumerevoli contributi alle arti ed alle scienze.

Nel giugno di quell'anno -copiosamente piovoso come si confà a quelle latitudini-, fruendo già la Gran Bretagna d'un avanzato sistema democratico, erano previste delle sentitissime elezioni municipali. Ma era un periodo assai particolare; il paese, da oramai diversi anni, era caduto in mano ad una disdicevole cricca di protoaffaristi che si avviavano a divenire il nucleo della prima classe capitalistica industriale del mondo. Invano il movimento Luddista tentava di contrastare l'avanzata delle macchine; anzi, in generale, chi anche asseriva di opporsi al gruppo di potere che aveva, con il beneplacito della Regina, occupato tutti i centri nevralgici dello Stato, a livello centrale e locale, accettava oramai senza fiatare il cosiddetto Great Change (così sembra essere passato alla storia d'Inghilterra).

Capo riconosciuto di quel gruppo, che si faceva pomposamente chiamare People of Liberty (non gli bastava essere un partito: voleva essere tutto un popolo), era un ricchissimo parvenu, Lord Silly Bearlusk, che aveva fatto un'autentica fortuna prima nel campo edilizio e poi in quello editoriale. Era proprietario di diffusissimi giornali, come The Newspaper (certo che, chiamare un giornale Newspaper sarebbe come se, nell'Italia di oggi, ci fosse un giornale che si chiama Il Giornale), Free ed altri; non contento di questo, e del fatto che tali testate lo sostenessero più come si sostiene un padrone assoluto che un editore, poteva contare sull'appoggio non certamente tacito di un altro discreto numero di giornali nazionali e locali, tra i quali si distingueva per l'appunto anche uno dei principali quotidiani di Bloomtown, The Nation. Formalmente “indipendente” e facente parte di un differente gruppo (la Polygraphic Publishing House dell'altro magnate Andrew Ripheeser, che comprendeva anche The Shilling's Rest di Phelsiney e The Day di Workingham), The Nation, cionondimeno, faceva un continuo “battage” in favore del POL e dei suoi candidati alle elezioni nazionali e municipali.

Così quell'anno, scaduta al suo naturale mandato la precedente giunta laburista presieduta dal sindaco Leonard Dominics. Perché Bloomtown era nota nel paese per essere, da sempre, piuttosto allergica sia al “popolo” di Sir Bearlusk, sia alle destre in generale. Non che, in città, mancassero fautori del Great Change; però, in generale, si trattava di persone e gruppi dotati di scarse qualità e dalla condotta quantomeno ambigua. Per quelle elezioni, ad esempio, Bloomtown era stata letteralmente imbrattata di manifesti recanti la curiosa effigie, disegnata da un artista che aveva fatto del suo meglio per celarne i tratti più comici -ma senza riuscirvi del tutto, di un giovane e attivo candidato del POL, tale John Maidens, leader di una formazione giovanile detta Youth Action la quale propugnava i consueti “valori” (forse con la malcelata speranza che fossero quotati alla borsa di Liverpool). John Maidens aveva, peraltro, una condotta quantomeno singolare: si proponeva infatti come campione della tradizione religiosa, ammirava il famoso mistico valacco Hortensiu Zafferanu, aveva sposato una giovine fanciulla celebrando il sacro rito secondo i canoni della più rigida tradizione anglicana nella remota chiesetta di Manfeather, e poi si faceva beccare a sostenere rivistine di dubbio gusto nelle quali si esaltavano le procacità di certe signorine di facili costumi e non corrispondenti propriamente al suo cognome (maidens significa “vergini, donzelle” in inglese).

I laburisti, piuttosto a sorpresa e nell'ambito del generale decadimento della loro stella a scapito del POL, avevano puntato tutto, dopo delle curiose “elezioni primarie” che all'epoca si tenevano in Gran Bretagna all'interno di alcuni partiti storici, su un giovanissimo candidato, tale Matthew Rents; nel 1846, in effetti, era decisamente insolito che fosse candidato alla guida di una città importante un trentaquattrenne. Perdere Bloomtown, per il Labour, sarebbe stato un colpo durissimo; con Matthew Rents speravano quindi di consolidarsi, anche perché il giovinotto non era certo, come si suol dire, un rivoluzionario. Tutt'altro. Bisognava far fronte alle esigenze del periodo.

In cosa consistessero tali “esigenze”, ben preparate, fomentate, inculcate e propalate dalla stampa cittadina (e non solo da The Nation), era presto detto. Dopo i sanguinosi attentati dell'11 settembre 1838 a New York, organizzati dai terroristi mormoni del sedicente “vescovo dello Utah”, Ossiah Ben Leathen, nel mondo si era diffuso un comodissimo senso di unsafety. Dico comodissimo, perché l'allora presidente degli Stati Uniti, George W. Bush (che non ha niente a che fare con il suo omonimo di un secolo e mezzo dopo), ne aveva approfittato per lanciare una sorta di guerra mondiale che si era risolta in un totale fiasco. Da allora, però, era scatatta in tutto il mondo la caccia al mormone, era nata la mormofobia, gli immigrati di qualsiasi razza e religione avevano cominciato ad essere visti come nemici mortali, erano comparsi libelli (famosi quelli di una giornalista ora totalmente dimenticata, Auriane Phallax) che propugnavano lo scontro di civiltà e, soprattutto, chi comandava aveva visto in tutto questo in modo perfetto per sviare l'attenzione dell'opinione pubblica dai propri affari, affaretti e affarucci. Inutile dire che Sir Silly Bearlusk e i suoi luogotenenti (John Francis Phinney, Ignace Larousse, Denis Greenlittle, Paul Goodhelp -questi due ultimi entrambi nativi di Bloomtown) vi si erano buttati letteralmente a pesce, potendo contare su tutti i mezzi per influenzare la gente. Aveva inoltre ottenuto grande successo una formazione separatista del Northumberland appartentata al POL, la cosiddetta Northern League, dichiaratamente razzista e xenofoba; era guidata da un curioso personaggio, un ex manovale che rispondeva al nome di Humbert Box.

Anche a Bloomtown, quindi, negli anni precedenti alle elezioni municipali del 1846 ed a cura della Nation, del New Courier, di The Kingdom (quotidiano che si definiva vicino al Labour, ma spesso su posizioni del tutto analoghe a quelle della presupposta “parte avversa”) e del foglio volante gratuito The Bloom Town, erano comparse tonnellate di safety and decadence. Bloomtown, città splendida, non male amministrata e relativamente tranquilla rispetto, ad esempio, a Liverpool, a Manchester, a Birmingham e alla stessa Londra, nelle pagine ben manovrate di quei giornali si era ritrovata ad essere una sorta di sentina di criminalità. Il vecchio centro, dove operavano immigrati gallesi, irlandesi, italiani, scozzesi e persino norvegesi, era diventato una polveriera; bastava un episodio insignificante per scatenare campagne di denigrazione (particolarmente colpiti i norvegesi, quel barbaro popolo di stupratori e delinquenti); le zone della città, anche quelle dove non si registrava un fatto di sangue dall'epoca di Cromwell, erano diventate quadrilateri della morte; e così via. Urgeva un cambiamento. Il Great Change, appunto.

Il problema era che, come detto, a Bloomtown there was no tripe for cats, come recita un vecchio proverbio del vicino Yorkshire. I bloomtowners proprio non ne volevano sapere del POL e di Sir Bearlusk. Fu così che the Anointed of the Lord ebbe uno dei suoi numerosi colpi di genio. Tra le numerose cose che possedeva, c'era anche la principale squadra di cricket del paese, il My Land, vincitrice di ogni cosa ci fosse da vincere in quel popolarissimo sport. Anni prima, quando ancora non era entrato in politica, il My Land aveva acquistato proprio dalla squadra di Bloomtown, la Bloomtown Flower Cricket Club, un fortissimo giocatore, idolo degli appassionati locali; il suo nome era John Cocks.

Nativo di una città fortemente rivale di Bloomtown, Shitville, John Cocks, terminata nel My Land la sua luminosa carriera, era tornato brevemente come dirigente nella Bloomtown Flower, venendone però cacciato dai proprietari, gli industriali calzaturieri della famiglia Valleys, per manifesta incapacità; accade sovente nel mondo dello sport, allora come adesso, che alle grandi doti atletiche non corrispondano altrettanto grandi doti gestionali. John Cocks restava comunque una figura popolare a Bloomtown, nonostante i suoi tristissimi natali e l'aver militato in una squadra nemica. Sir Bearlusk pensò quindi a lui come alfiere del Great Change, quello che avrebbe finalmente strappato Bloomtown al Labour, il fiore all'occhiello che mancava, la definitiva conquista di tutto l'Impero Britannico (ed un futuro da imperatore, in cuor suo, sir Bearlusk lo prefigurava in modo del tutto preciso).

In men che non si dica, i più valenti disegnatori ed artisti britannici furono ingaggiati per sostenere la campagna di John Cocks: la città fu invasa da enormi cartelloni dove il suddetto, con aria da tranquillo padre di famiglia e con un sorriso calmo e rassicurante, era raffigurato assieme a comuni cittadini, famigliuole borghesi e bambini; il tutto sullo sfondo del panorama mozzafiato che si godeva dal piazzale Geoffrey Chaucer, con la cattedrale ed il fiume Harn, e, soprattutto, con grandi scritte inneggianti al Great Change, rigorosamente di color viola. Il viola, infatti, era il colore sociale della Bloomtown Flower Cricket Club, che proprio in quegli anni stava tornando ad ottimi piazzamenti e che rappresentava un simbolo della città.

Ma il “Cricchettiere”, come lo chiamavano invero assai spregiativamente i suoi avversari, non aveva fatto certi conticini. In primis con gli stessi, e numerosissimi, tifosi della Bloomtown Flower, che non sembravano certo disposti a farsi menare per il naso. Era infatti chiarissimo che John Cocks altro non era che uno specchietto per le allodole per captare i loro voti, perdipiù in un momento in cui si stava animatamente discutendo della costruzione di un nuovo e più ampio cricket ground dalle quali parevano dipendere le sorti di ogni cosa. Ma, nei pub, nei negozi e ovunque si discutesse delle vicine elezioni, i tifosi tiravano casomai l'acqua dalla parte esattamente opposta.

The Nation, come è logico, faceva una campagna in favore di John Cocks che rasentava lo spudorato. Diffusissima sui tavoli dei pub, nei club e presso i pensionati, non perdeva occasione per magnificare la “grande occasione per Bloomtown”, quella di liberarsi una buona volta di quei maledetti “reds” che avevano ridotto la città -a loro dire- a qualcosa a metà tra gli slums di Bombay e le peggiori stambergopoli del Galles minerario. In realtà, a Bloomtown si viveva piuttosto bene; ma tra la gente, batti e ribatti, si era diffusa la credenza di abitare una città oramai inesorabilmente destinata alla rovina se non fosse intervenuto LUI, sir Bearlusk, per mano del suo angelo John Cocks, a “cambiarla” e salvarla. Ci speravano sul serio, insomma. Speravano di riuscire a rincoglionire anche i Bloomtowners, come già avevano fatto con successo in quasi tutto il paese.

Tutto questo fino al fatidico 19 maggio 1846; una data nella quale proprio The Nation fu costretta a pubblicare un sondaggio che presentava le cose in modo radicalmente differente. Nonostante il battage, nonostante i cartelloni, nonostante tutto quanto, il quieto Matthew Rents sfiorava la maggioranza assoluta e l'elezione diretta al primo turno. Non solo: altri candidati avversi al POL, come Wald Thorns e lady Hornella Van Zoord (un'elegante baronessa di origine fiamminga convertitasi alla militanza rivoluzionaria) ottenevano risultati piuttosto cospicui. John Cocks, lui, l'angelo mandato dal Signore, si fermava ad un misero 28/30%, e The Nation doveva prenderne amaramente atto. La città dimostrava inoltre scarsissima affezione anche per un altro paio di liste che, a lungo andare e nonostante i loro propositi bellicosi di “indipendenza”, alla prova dei fatti si sarebbero apparentate ànema e core con il POL: la prima era una curiosa accozzaglia di grulli capitanati da tale Marius Rathsnell, uno che aveva fatto sua ragione di vita l'opposizione alla costruzione del servizio di diligenze a vapore tra il sobborgo di Scandyke e il centro (“il vapore è morte”!, era il suo slogan); l'altra era una listarella di picchiatori ultranazionalisti, ma sempre pronti ad andare a frignare dal Royal Tuskshire Constabulary quando venivano mazzulati a dovere, chiamata “People, City, Nation”, guidata da tale Paul Hills.

Quel che avvenne alle elezioni del 7 giugno 1846, purtroppo, non posso raccontarvelo. Non dipende dalla mia volontà; gli è che, disgraziatamente, le fonti informative e storiche riguardo a quella giornata sono state totalmente cancellate. Come se quel giorno non fosse mai sorto. The Nation dell'8 giugno 1846 riporta in prima pagina due immagini a china, la prima di un poliziotto municipale e la seconda di una graziosa signorina con la conturbante immagine di un malleolo nudo. The Kingdom non uscì, in quanto il lunedì non veniva pubblicato. Il New Courier cessò stranamente le pubblicazioni riconvertendosi in rivista osé. Gli archivi comunali, come tutti sanno, andarono completamente distrutti nel furioso incendio del 14 novembre 1864. Si sa comunque che Matthew Rents fu visto sventolare una bandiera della Bloomtown Flower in occasione del terzo campionato vinto dalla squadra, nel 1847; ed aveva una fascia alla vita coi colori dell'Union Jack. Hornella Van Zoord fu vista qualche volta presso il principale covo di rivoluzionari e sovversivi della città, il Self-run People's Centre di Greatvillage Street. Si sussurrava anche di una sua improvvisa storia d'amore con Wald Thorns. Sir Silly Bearlusk morì nel 1851 dopo una cocente e inopinata sconfitta elettorale, stroncato da un infarto del suocardio (e perché mai dovrebbe essere del mio, di cardio?). Di John Cocks non si seppe più niente. C'è chi lo vide, molti anni dopo, presentarsi come candidato sindaco nel vicino, piccolo paese di Reenhain-on-the-Harn, con una sua lista civica, risultando peraltro sonoramente battuto persino dal candidato del Beefsteak Party.

Nel frattempo, sir James Murray, iniziatore e principale compilatore del monumentale Oxford English Dictionary (OED), l'opera capitale della lessicografia inglese, arrivato dopo anni ad inserire il lemma decadence fu colto da un inspiegabile, sommesso, beffardo sorriso.