martedì 15 novembre 2011

Piccolo antidoto contro (ad esempio) i tecnocrati


Pur muovendomi poco o punto, sono convinto che il mondo sia tuttora straordinario. Che la sua varietà, pur sconciata, messa in pericolo, disprezzata, distrutta e sottoposta ad ogni tipo di omologazione e banalizzazione, sia al tempo stesso l'unico vero tesoro veramente a disposizione di tutti e il miglior mezzo non soltanto per resistere (ché di resistere e basta, diciamocelo chiaro, ce ne abbiamo oramai fin qui), ma anche per insistere e, una buona volta, attaccare.

Questo è un gruppo di comunisti nepalesi che cantano l'Internazionale nella loro lingua. All'inizio sembrano disciplinati e messi in riga; sembra, e probabilmente lo è, una commemorazione per dei caduti. Poi attacca la musica. Ne salta fuori un delirio. La musica di Degeyter, il compositore operaio di Lille, trasformata in una specie di festa di tamburelli alle pendici dell'Himalaya. Tranquilli signori, ragazze, berrettoni di lana, chitarrini, pugni chiusi, cappellini da pescatore, ragazzi con le armi in pugno, maglioni a collo alto. Un casino di una compostezza inconcepibile, fregandosene allegramente del tempo musicale ma mantenendo la mesta fermezza di chi ha lottato, riuscendoci, per liberarsi da un regime feudale. Facce vere, e sguardi che tradiscono una lotta durata anni e sangue.

Tutti buoni a dire che siamo nati per marciare sulla testa dei re mettendoselo magari nella firmina dei post; questi, sulla testa di un re, ci hanno marciato sul serio. E ci fanno sentire questa Internazionale dove manca soltanto Eugène Pottier a cantare insieme a loro, portandosi dietro qualche pezzo di barricate della Comune. In piedi, dannati della terra! Da niente diventeremo tutto.