giovedì 6 giugno 2013

Bok parçası. Istanbul è qui.


Il tizio che si vede nella foto è un bok parçası.

Bok parçası è un'espressione universale. Significa infatti alla lettera: pezzo di merda. O "stronzo", che è la stessa cosa. A dire il vero, ci sono delle lingue in cui non funziona esattamente così; in francese, ad esempio, l'espressione *morceau de merde non si usa. Si dice, casomai, tas de merde "mucchio di merda", e raramente riferita a persone. Comunque sia, nella lingua qui presa in esame, il turco, la corrispondenza con l'italiano è perfetta; non si è nel Mediterraneo così per caso. 

Viene quindi naturale di aggiungere una consonante iniziale al suo cognome, e di chiamarlo "Merdogan". Va bene come attacco grandguignolesco? Del resto, sono un hijo del pueblo cui un bizzarro destino ha riservato sì qualche conoscenza settoriale, ma niente di più. Non nomino nemmeno mai Keynes in quello che scrivo, e sono indeciso se Giorgio Agamben sia un podista trentino o  un cantante milanese. Ah no, quello era Giorgio Gaber, scusate.

Non ho speciali "competenze" geopolitiche, sociologiche o di altra natura consimilare; quand'anche le avessi, non potrei aggiungere nulla a quel che si legge in diversi luoghi tenuti da persone dotate di una profondità e una sottigliezza di analisi che io manco mi sogno. Ho la tendenza a semplificare, a andare al sodo; anche perché succede che, non volendo seguire le apparenze, si va a cadere non nella realtà, ma in una sua qualche rappresentazione personale. Costruzioni mentali spesso assolutamente perfette, ma che non tengono minimamente conto di quel che si ha davanti agli occhi; anzi, quel che si ha davanti agli occhi deve essere per forza sbagliato, malinteso, ignoto -tranne, naturalmente, all'analista che è in possesso del Segreto e della Verità.

Su quel signore là sopra, il bok parçası o Merdogan che dir si voglia, si sta quindi -come di consueto- leggendo di tutto, tranne una cosa: che è soltanto, appunto, un lurido pezzo di merda. Quando i luridi pezzi di merda sono a capo di paesi strategicamente decisivi sullo scacchiere, membri della NATO, alleati, potenze regionali e titolari di indici economici in crescita costante, sembra impossibile limitarsi alla crudezza delle cose evidenti e bisogna, invece, ricorrere agli scenari. Oppure tirare in ballo idiozie travestite da mille e mille cose.

Il signor Recep Tayyip Erdogan viene, ad esempio, chiamato un islamista. Attualmente ha un po' smesso di essere definito moderato; in realtà è, ed è sempre stato, un democristiano con la Mezzaluna. Per questo tutti gli esperti analisti in forza al regime si sono affrettati a dargli l'ambitissima patente di "moderato", ricambiata graziosamente dall'interessato. E', il Merdogan, un neoliberista di ferro che sembra fatto apposta per l' "Occidente"; il suo islam è una facciata, così come lo era (anzi, è) il "cattolicesimo" dei democristiani. La sostanza è però la stessa: fedele alleato dell'Occidente, saccheggiatore del territorio per interessi economici e finanziari, repressore infaticabile (e, per questo, perfetto democratico al pari di uno Scelba o di un Tambroni). Cementificatore e devastatore: sulla sola Istanbul sono piovuti, negli ultimi anni, miliardi di metri cubi di cemento, mentre dal centro storico, come accade ovunque, sono stati spazzati via gli abitanti per far posto ad una "classe media" fedelissima al bok parçası. 

Non è certamente un caso se, al posto del Gezi Park che ha dato origine alla rivolta turca di questi giorni, il Merdogan voglia far costruire sia un enorme centro commerciale che un'altrettanto enorme moschea. I quattrini e i consumi accanto al pregatoio; e così l'islam diventa rassicurante e si mette al servizio della Civiltà e del Mercato. Assolutamente perfetto. Ma non finisce qui; contemporaneamente, il pezzo di merda si dà da fare per islamizzare la società turca, vale a dire mette in atto un sistema di controllo efficacissimo. Le città turche subiscono lo stesso saccheggio della Palermo di Ciancimino mentre si vietano gli alcolici, mentre si restringe il diritto alla contraccezione e all'aborto, mentre si impiantano modelli di "morale" che nascondono soltanto l'avidità e l'asservimento. Brutta, bruttissima fine sta facendo l'islam nelle mani di questo sudicio e dei suoi accoliti; ma mi viene anche di dire che è la fine che si merita. Quella di uno scatolone totalmente vuoto.

Così, quando scoppia la rivolta, il primo compito che ci si assume nel mondo è quella di ridicolizzarla con le immaginette stereotipate, tipo quella della "rivolta della birra". Tutto viene ridotto a un po' di lattine, a 600 alberi di un parco e alle solite fregnacce sulle "giovani generazioni", oppure sulla "popolazione cittadina" contrapposta a quella "rurale". Altro che "popolazione rurale" o "poveracci"; il Merdogan è invece sostenuto da un'orrenda media borghesia che, in Turchia, esiste. I procedimenti, peraltro, non dovrebbero destare stupore: anche a Istanbul i fogliacci di regime battono duro sulla "sicurezza" (emniyet) e sul "degrado" (zillet), sistemi perfetti per abbattere i quartieri centrali, trasformarli in "salottini" (in questo, Erdogan somiglia parecchio a Matteo Renzi), consegnarli alla speculazione e spostare la popolazione sempre più nelle periferie della megalopoli. Non dovremmo sentire lontano quel che sta accadendo a Istanbul, perché accade anche in ogni nostra città, grande o piccola che sia. Il Gezi Park, nella sua sostanza, non è diverso dai Nidiaci o da Piazza del Carmine. Le politiche neoliberiste sono sempre quelle.

Di fronte alla rivolta turca di questi giorni, dalle nostre parti accadono cose strane. Come sempre, del resto.

Ad esempio, c'è chi, allo stesso tempo, "sta" coi rivoltosi turchi e coi "ribelli" siriani, dimenticando magari un po' troppo disinvoltamente che il Merdogan è uno dei loro principali sostenitori e foraggiatori. Dei "media" è anche inutile parlare: loro sono concentrati sulle Yoani Sánchez che se ne vanno a spasso per il mondo, mica sulla repressione selvaggia che imperversa nella "democratica" Turchia. Del resto, mica importa andare in Turchia; si fanno le campagne, qui, per i "blogger perseguitati", poi però si grida alla "giustizia tradita" per l'ennesimo caso di assassini impuniti. Anzi no: impunibili. Si guardano con preoccupazione le violenze inaudite della polizia turca mentre la polizia italiana fa esattamente le stesse cose; nessuno però si azzarderebbe a parlare di "primavera ternana", no? 

Quel che sta avvenendo in Turchia è quel che precisamente spaventa a morte anche a casa nostra: la riappropriazione. Non soltanto degli spazi pubblici, dei centri, dei quartieri; ma anche del diritto di dire no, di opporsi al sistema e al suo braccio armato poliziesco. Ve la ricordate, per caso, la "primavera genovese" del 2001? Vanno bene, le "primavere", soltanto quando c'è da metterci dietro un toponimo che fa comodo? In mezzo mondo stanno tornando le piazze, le quali sono piene di gente che vuole, che esige, che si prende qualcosa. Non me ne importa niente né delle "simbologie", né di altre elucubrazioni inutili. Le cose mi sembrano sufficientemente chiare, di fronte alla mistura di liberismo senza limiti, di bigottismo (che sia "cristiano", "islamico" o di qualsiasi altra stronzata religiosa poco importa), repressione, autoritarsimo, speculazioni e "occidentalismo". A differenza di un mio amico, sono parecchio, ma parecchio parco nell'uso di quest'ultimo termine; e detesto i tormentoni. Hijo del pueblo sì, ma le parole mi piace provare a piazzarle esclusivamente al posto e al momento giusti. Questa volta mi sembra il caso.

Un bok parçası, un pezzo di merda in versione turca. Sostanzialmente, però, non diverso da analoghi pezzi di merda sparsi in tutto il mondo. Potrà magari interessare sapere che il famoso Gezi Park è vicinissimo al quartiere di Tarlabasi, i cui abitanti, perlopiù di etnia Rom, sono stati cacciati via. Le loro case abbattute, sventrate, rase al suolo per far posto alle belle casette dei borghesucci fedeli. Una pioggia di macerie, e di miliardi; ma è forse prerogativa della Turchia? Vi dice nulla la sigla "TAV"? E il Merdogan che, sprezzantemente, comanda che il parco sia abbattuto senza tenere nessun conto delle proteste e mandando la polizia a pestare, sparare e ammazzare non ricorda terribilmente tutti quei signori che vogliono spazzare via la Valsusa? Piazza Taksim, anche per la somiglianza del nome, viene accostata a piazza Tahrir; forse, accostarla a Venaus non andrebbe troppo giù a parecchi, da queste parti.

Il diritto alla città, il diritto sul territorio. Senza andare né a Istanbul, né al Cairo e né in Valsusa, è qualcosa che abbiamo tutti sotto gli occhi, a portata di piedi o di autobus.  Andate nel vostro "centro storico" e guardatelo; privatizzazione selvaggia, "restauro", "riqualificazione" che presiedono all'espulsione delle classi popolari. Stampa del tutto asservita a questo scopo, con le sue "paure", i "terrori", gli "abusivi"; una "Nazione" e una "Repubblica" ci sono ovunque. La stessa "Repubblica" che, in questi giorni, sta occupando Firenze con la sua "R" di dodici metri piazzata in piazza Signoria e le sue "idee" del cazzo, le quali comportano anche invitare quel demente di Orhan Pamuk che viene a dirci di "stare coi rivoltosi" mentre va a divertirsi alla festicciola di un giornale in prima linea coi pezzi di merda pari a Erdogan, e in una città a cui i bok parçaları locali (che hanno in "Repubblica" il loro riferimento) applicano gli stessi criteri (planetari, del resto) del ducetto di Ankara. Si possono riassumere così: forme speculative, grandi progetti (autostrade, complessi commerciali, stadi di pallone ecc.) e trasformazione dei centri in merci, in Disneyland riservate a turisti e ricchi.

Se si dice di "stare" con chi, in Turchia e altrove, si ribella, lo si può fare attivamente. Lo si può fare senza andare a Istanbul, a Smirne, a Ankara e nelle altre città turche. Lo si può fare ovunque, a casa propria. Opponendosi lottando, non con vuote indignazioni, con gli "occhiupài" e fuffa che ha prontamente dimostrato di essere tale. Avrete tutti notato la "certa differenza" che passa tra Gezi Park e lo Zuccotti Park che tanto piaceva persino all'ineffabile Roberto Saviano. Si "sta" con i rivoltosi turchi, e di qualsiasi altra parte del mondo, riprendendosi le città e gli spazi pubblici. Per questo Istanbul è qui, sia con la sua gente, sia coi bok parçaları. Non manca nulla.