martedì 18 marzo 2014

Der Prozess



Qualcuno doveva essersi sentito calunniato dal blogger Richard V., perché una mattina di marzo vennero a casa sua a notificargli un rinvio a giudizio. L'attacco kafkiano non è certamente fuori luogo, e più che altro è del tutto reale; nel senso, appunto, che andrò a processo. Sono stato denunciato a mia insaputa, circa un anno fa, per avere infranto gli articoli 278 e 99 del codice penale; il 99 è la recidiva, il 278 è il cosiddetto Attentato all'onore e al prestigio del Capo dello Stato. Il tutto è dovuto a un articolo da me scritto su questo blog sabato 20 aprile 2013 e intitolato Sfrizzola il vilipendulo (debitamente stampato e allegato in copia all'atto di rinvio a giudizio); e poiché da detto atto risulta che la denuncia nei miei confronti è stata estesa lo stesso giorno 20 aprile 2013, se ne deduce che, in qualche ufficio giudiziario e/o di polizia, questo blog conta dei lettori giornalieri. Cosa che, del resto, già sospettavo (mettiamola così). L'udienza preliminare nei miei confronti è stata fissata per il 2 aprile 2014, cioè fra pochi giorni.

Detto questo, debbo fugare immediatamente alcuni timori che potrebbero prendere chi leggesse questo post. 1) Non si tratta minimamente di un appello alla solidarietà o roba del genere, perché non vi farei mai sprecare una nobile e serissima cosa come la solidarietà per una cosa simile; meglio che la teniate per chi viene mandato in galera con accuse di terrorismo per aver messo fuori uso un compressore, oppure per chi ha dovuto passare torture a cura di questo meraviglioso stato "democratico"; 2) Non si tratta di una specie di "trofeo" o di ostentazione del tipo: Avete visto come so' gajardo, me becco le denunce e i processi per quello che scrivo qua dentro. Sappiate invece che ne farei volentieri a meno (come tutti, penso). Ho, sì, il vizio di scrivere con pochissimi peli sulla tastiera quel che mi passa per la testa in dati momenti, e senza nemmeno la scusante di non immaginarne le possibili conseguenze (altrimenti non avrei, per esempio, intitolato un post in quel modo); ma ritengo anche che tutto questo afferisca a tutta una serie di considerazioni che vanno dalla libertà alla responsabilità, e soprattutto a quel mio insopprimibile desiderio di dire (e scrivere) tutto quel che voglio rifiutando al contempo ogni molecola di "eroismo". In questo, posso affermare con buona certezza di essere l'esatto contrario della gratuità; se scrivo certe cose, senz'altro le scrivo per colpire e, specialmente in frangenti come questi, sono ben cosciente di che cosa possano comportare anche se provenienti da un insignificante blogghino di periferia; 3) Non si tratta né di "incoscienza", o "imprudenza", o di altre cose del genere. Alla fin fine, bisognerà pure pigliarsi qualche rischio; anche da un blog, perché no. Ciò senza minimamente inficiare, da un lato, le componenti squisitamente kafkiane di tutta la vicenda che mi riguarda, e senza proporsi, dall'altro, come esempio di "coraggio". Bisogna invece avere la percezione dei propri atti, sempre; anche se minimi e piuttosto banali; anche per questo, qua dentro, ci sono il mio nome e cognome, indirizzo e numero di telefono. "Asociale" sì, ma senza nascondersi (ché poi, tanto, quando vogliono ti trovano lo stesso).


Naturalmente, ho ben presente che potrebbe toccare a tutti. Perlomeno a chi tiene un blog, o comunque manifesta pubblicamente il proprio pensiero anche in forme non ortodosse. Nella pratica, però, è passata una grande e comprensibile fifa. Si è visto oramai definitivamente come nessuna forma di azione (e intendo questo termine nella sua accezione più vasta) che travalichi la legalità imposta come dogma di controllo e strumento di omologazione sia tollerata; essa deve essere stroncata, anche se si manifesta in forme e luoghi francamente minori come, ad esempio, questo blog. In un certo qual senso, la mia vicenda può essere emblematica o, quantomeno, può fornire un valido esempio di capillarità. L'alternativa è: tacere. Oppure occuparsi, nei propri spazi in Rete, di cose del tutto innocue, mostrando rispetto e critica che rientri nei canoni della (loro) Legge.

Poiché non intendo né tacere e né uniformarmi -e lo dico da persona normalissima, un cinquantenne e passa che cerca di barcamenarsela come può-, vorrà dire che mi piglierò il processo per avere "attentato" in poche righe all'onore e al prestigio della più alta carica dello Stato italiano. Astrazioni, naturalmente. Si fosse presentato a casa mia Giorgio Napolitano dicendomi scurnacchiat', m'hai disonorat' e m'avesse tirato un par di ceffoni, avrei capito; il problema è che Giorgio Napolitano, con tutta probabilità, non sa assolutamente nulla né di me, né dell'onore e del prestigio cui avrei attentato. Tutto questo si chiama: Istituzioni. La cosa ha a che vedere con il mio rifiuto totale e viscerale di ogni tipo di Istituzione, a cominciare dallo "Stato" di cui il sig. Napolitano sarebbe il Capo. E non voglio definire questa mia cosa in nessun modo che sia, nemmeno "Anarchia". E' semplicemente quello che sono. Tutto qui.

Per concludere, due parole su questo blog.

Ultimamente, fa piuttosto schifo e me ne rendo conto. Non mi sento, di questi tempi, d'aver molte cose da dire e preferisco occuparmi di cose, come le vecchie automobili, che sicuramente non mi porteranno mai in tribunale (ma non è mica detto); è un periodo così. Paradossalmente ma non troppo, questa vicenda mi ha però restituito un po' di vivacità. Si pone quindi il problema di come continuare a dire certe cose quando se ne presenterà l'occasione e, al tempo stesso, di come evitare o quantomeno ritardare un po' l'attività di coloro che mi tengono d'occhio. Ricorrerò a tale riguardo ad un piccolo artifizio, servendomi delle mie capacità linguistiche; se mi rivolgerò quindi a personaggi istituzionali a modo mio, lo farò in lingue un po' strane. Di quelle che faranno un po' sudare i funzionari preposti alla lettura del mio blog, tipo l'islandese, lo yiddish o l'ungherese. Mica l'inglese, il francese o persino il tedesco; di traduttori da queste lingue se ne trovano quanti se ne vogliono. Io andrò pure a processo, ma lasciatemi immaginare gli sforzi in Qvestvra per trovare un traduttore dall'islandese (ché certo non potranno mica allegare agli atti una traduzione fatta con il tool di Google...) oppure, meglio ancora, un paio di funzionari comandati d'imparare rapidamente l'islandese per poter incastrare ancora una volta quel maledetto sovversivo del Venturi. Peraltro, sarebbero costretti probabilmente a scaricare il Corso di islandese moderno per italiani (Kennslubók í nútíma íslensku handa ítölum) che, ironia della sorte, è stato scritto proprio dal Venturi. Insomma, come dire: denunciatemi pure e mandatemi in galera, ma prima ve la dovete vedere con 643 pagine di corso e con le sessanta declinazioni della lingua islandese (pappappero). Auguri!

Certo, potreste ragionevolmente dirvi: Obbravo, d'accordo, non ci capiranno una mazza in Qvestvra e in Tribvnale, ma non ci capiremo un cavolo neppure noi. Vero; ma si vedrà come fare in privato, casomai v'interessi.

L'Ekbloggethi in versione islandese.


Bene, carissimi lettori e lettrici di questo blog pluri-inquisito e processato, nonché attentatore di onori e prestigi; vi saluto. Il due di aprile dev'essere una data un po' così, per me; molti anni fa, il 2 aprile 1974, quando ero in qujnta elementare, fui sbattuto fuori dal Doposcuola perché la maestra mi aveva sequestrato una poesiola in cui (oltre a varie e oscenissime considerazioni sui miei compagni di classe) la avevo pesantemente presa per il culo. Quarant'anni esatti dopo, invece, mi processano per un articoletto un po' pesantuccio su quel signore che rappresenta la nostra coësa unità nazionale. Se volete, buttatemi un pensiero; ma ancor meglio, fatevi un paio di risate e bevetevi un bicchier di vino. A presto. In islandese, anche. Verið þið öll blessuð og sæl.