giovedì 16 febbraio 2017

Surrealismo e Solitudine


L'ambientazione è stata perfetta.

Lavagna straziata dal dolore. Sembra una vecchia classe scolastica. I gessetti che piangono disperati e la cimosa piegata in due dal magone. Il parroco. Non si nega a nessuno un parroco, nemmeno a un ragazzino suicida. Un tempo, va ricordato, gli sarebbe stata negata degna sepoltura in terra consacrata, come al Miché della ballata di De André che era pure di lì vicino.

A Lavagna, fra due o tre giorni non gliene fregherà più una sega a nessuno.

Gli striscioni. Nessuno muore sulla terra finché vive nel cuore di chi resta. Non funziona propriamente così. Bisognerebbe una buona volta abolirlo, codesto cuore. Nel cuore, che è una pompa a durata scadenziale, non vive niente e nessuno. Tutto, casomai, vive nel cervello; ma il cervello non va molto di moda, sotto questi chiardiluna.

C'è pure Guccini, tra gli striscioni. Voglio però ricordarti com'eri, pensare che ancora vivi. Però quello era un incidente stradale, se ben mi ricordo. Con gli incidenti stradali, ora più che altro si consumano le vendette dei gladiatori innamorati. In questo caso, in questo ennesimo fatto di cronaca nel quale m'ingaglioffo, le modalità mi sembrano tanticchia differenti.

Uno a uno. Stavolta il ragazzino sedicenne non ammazza i genitori. Stavolta il ragazzino sedicenne s'ammazza per sé. Ha in tasca dieci grammi di fumo. Arriva a casa una delle tante declinazioni di sbirri, e il ragazzino si butta dalla finestra. Non è che ci si ammazza così per giocherellare, neppure a sedici anni. In un dato momento, si preferisce la morte a qualcosa che si paventa; ed è una cosa che esigerebbe perlomeno un granello di rispetto, quello dovuto ad ogni essere umano. Il minimo sindacale, per così dire. Almeno quello.

Oltracciò, quel che sto scarabocchiando ha il grave limite di essere, per forza di cose, mediato da una qualsiasi carta da deretano che riporta "i fatti"; in questo caso, Repubblica. Si tratta di un limite desolante, qualcosa che obbliga ad una scelta. O ne parli, o stai zitto. Se ne parli, occorre accettare la mediazione di una qualche spazzatura. 

Detto questo, mi corre l'obbligo di rassicurare chi eventualmente stia leggendo. Non ho la benché minima intenzione di accusare chicchessia. Non desidero spargere odio. Non mi schiero da una parte o dall'altra. Sono perfettamente conscio che il mestiere di genitore è spaventosamente difficile, tant'è vero che proprio non mi sono sentito all'altezza d'intraprenderlo nella mia vita pur essendo i miei spermatozoi regolarmente funzionanti. Mi sarebbe piaciuto, a volte, parlare un po' del mestiere di adolescente; ma, quando lo ero, i blog non esistevano. Ora che invece esistono, e sono persino passati alquanto di moda, l'adolescenza risale per me circa al tempo delle guerre puniche. Destino cinico e baro.

Quel che mi preme, invece, è attribuire ad una persona ben precisa, almeno da quanto mi è dato leggere e con il beneficio di una decina di inventari, un riconoscimento ed una sorta di premio. Il premio universale per il Surrealismo. La persona destinataria di tale premio è la madre del sedicenne lavagnese suicidato per essere stato trovato in possesso di grammi dieci di un qualche cannabinoide.

La madre del sedicenne lavagnese autodefenestratosi ha tenuto, all'altare della parrocchia in occasione del funerale del ragazzo, il discorso che riporterò tra breve e che merita assolutamente di essere tramandato ai posteri come vetta inarrivabile del Surrealismo. Impallidiscano André Breton, Luis Buñuel, Tristan Tzara, René Magritte, Antonin Artaud, Max Ernst, Philippe Soupault. Si scostino deferenti di fronte a questa madre; la quale, oltre ad aver chiamato di persona la Guardia di Finanza affinché perquisisse il figlio, la ha pure pubblicamente ringraziata per avere ascoltato il suo urlo di disperazione. Come dire: grazie, Guardia di Finanza, per avermi aiutato a sbarazzarmi di mio figlio. La cosa è abbastanza comprensibile: c'è la crisi, non si arriva alla fine del mese, un figlio adolescente costa un occhio della testa e, per di più, si fa pure le canne. Ma bando alle ciance, e consegniamo ordunque alla Storia questo capolavoro che riporto integralmente, permettendomi soltanto, dada- e surrealisticamente, di suddividerlo in cesure poetiche. In mancanza di un titolo ufficiale lo chiameremo: Un cri désesperé d'une mère de Tableaunoir.


E la mamma ha preso la parola dall'altare: 
"La domanda che risuona dentro di noi e immagino dentro molti di voi è: 
 perchè è successo, perchè a lui, perchè adesso, perchè in questo modo? 
Arrovellandoci sul perchè, 
ci siamo resi conto che non facevamo altro che alimentare 
uno stato d'animo legato alla sua morte senza possibilità di una via d'uscita. 
Allora abbiamo capito che forse la domanda da porsi in questa situazione è piuttosto: come?
Vi vogliono far credere che fumare una canna è normale, 
che faticare a parlarsi è normale, che andare sempre oltre è normale. 
Qualcuno vuol soffocarvi. 
Diventate protagonisti della vostra vita 
e cercate lo straordinario. 
Straordinario è mettere giù il cellulare e parlarvi occhi negli occhi. 
Invece di mandarvi faccine su whatsapp, 
straordinario è avere il coraggio di dire alla ragazza sei bella 
invece di nascondersi dietro a frasi preconfezionate. 
Straordinario è chiedersi aiuto proprio quando ci sembra che non ci sia via di uscita. 
Straordinario è avere il coraggio di dire ciò che sapete. 
Per mio figlio è troppo tardi ma potrebbe non esserlo per molti di voi, fatelo.
(Ha detto la donna). 
Noi genitori invece di capire che la sfida educativa non si vince da soli 
nell'intimità 
delle nostre famiglie, 
soprattutto quando questa diventa una confidenza per difendere 
una facciata, 
non c'è vergogna se non nel silenzio: 
uniamoci facciamo rete, 
(Ha aggiunto). 
In queste ore ci siamo chiesti perché è successo, 
ma a cercare i perché ci arrovelliamo. 
La domanda non è perché, ma come possiamo aiutarci. 
Fate emergere i vostri problemi
(Ha detto la madre ai ragazzi). 
E alla Finanza ha detto anche: 
Grazie per aver ascoltato l'urlo di disperazione 
di una madre 
che non poteva accettare 
di vedere suo figlio 
perdersi. 
E ha provato con ogni mezzo di combattere 
la guerra contro la dipendenza 
prima che fosse troppo tardi. 
Non c'è colpa né giudizio nell'imponderabile, 
e dall'imponderabile non può che scaturire 
linfa nuova 
e ancora più energia 
nella lotta contro il male. 
Proseguite."

Di fronte ad un simile capolavoro, mi sono alzato con deferenza e mi sono tolto il cappello. Specifico che avevo sì un cappello, ma che l'ho regalato a un anarchico pisano dato che non lo portavo mai; indi per cui, il mio scappellamento è squisitamente metaforico.

Certo, in un impeto di salutare cattiveria, sulle prime mi sono immaginato la signora finalmente libera di fumarsi la cannetta che oramai non serve più al rampollo bell'e morto e sepolto; sinceramente, mi sono vergognato di me stesso. Ho conosciuto una volta una simpatica signora ultrasettantenne che si faceva il suo bravo cannino ogni tanto, è morta in grazia di Dio dopo una vita di lavoro e non si è persa. Ma sono, naturalmente, discorsi così tanto per fare. Quel che resta, è il discorso della Madre di Lavagna, che la Letteratura non potrà fare a meno di annoverare tra i suoi capisaldi con la speranza che la signora non abbia poi a fare come certi ex-surrealisti, come gli Aragon, i Dalí "Avidadollars" e gli Éluard, divenuti infamoni della peggiore specie. Ma nutro speranze positive.

Al che mi sono alzato dalla sedia e sono andato alla porta di casa. Con la sigaretta fatta con le cartine e il tabacco Pueblo. Non ci sono più i pini di fronte a casa mia, come magari saprà chi legge ancora questo blog. Non fa caldo ancora, questo no; ma nei primi giorni di malato sole...

Mi sono messo per qualche attimo a ragionare sulla Solitudine. 

Ci ho avuto un rapporto normalmente complesso, con la Solitudine. Ambiguo. E surreale, appunto, com'è ragionevolmente logico che sia. L'ho mal sopportata, la Solitudine, in alcune parti della mia vita. Ho cercato di sopraffarla in qualche modo, a macchia di leopardo. I risultati sono stati generalmente disastrosi.

Alla fine mi sono accorto di essere intimamente portato alla Solitudine. Che è una compagna perfetta, e che non chiama nessuna Guardia di Finanza. 

Quella Solitudine che ha la gentilezza e l'umanità di non imporsi a nessuno, che abbia cinque o novantacinque anni. Che fa fumare le sue cannette, i suoi dieci grammi di fumo, al bambino e alla nonna; e specifico che sono totalmente allergico ai cannabinoidi, se tiro anche una boccata di fumo strabuzzo gli occhi e tossisco a morte. Quella Solitudine che non va all'altare di un qualche dio di merda a tenere capolavori del Surrealismo. Quella Solitudine che non si unisce e che non fa rete. Quella Solitudine che non fa figli da perdersi per dieci grammi, e menomale che l'anima, come dicono, ne pesa ventuno.

Come finale Surreale, poniamo che quel ragazzo, anni sedici, dal suo volo sia atterrato qui da me. Per quel che mi è possibile alla mia età, lo avrei fatto accomodare e gli avrei fatto fumare la sua cannetta, come una delle ultime che mi sono fatto prima dell'insorgere dell'allergia. Me la aveva regalata un tizio che conoscevo, e che poi si è suicidato in carcere.

Gli avrei fatto conoscere i privilegi della Solitudine, dicendogli di non avercela con sua madre, povera donna all'altare, che vuole fare rete come un centrattacco, e che ringrazia pure la Guardia di Finanza. E' andata così. E' andata così. E' andata così, la sfida educativa, l'intimità delle famiglie, la linfa nuova, l'altare.

Però, sorridendo, un vaffanculo a tua madre te lo concederei. Finisciti 'sta canna, poi ci si fa un mojito. Amen.