martedì 10 maggio 2022

Invectiva in carbonaram

 



Sì, certo, lo so, la pandemia non va via e c'è la guerra. Ma poiché ho rinunciato fin dall'inizio a far sentire il mio parere su questi capitali avvenimenti dell'attualità e a contribuire al chiacchiericcio globale col mio granellino di stronzate, vorrei -per quanto mi è possibile, cioè molto poco- focalizzare l'attenzione su una questione molto più seria che attanaglia il nostro paese e, direi, anche una buona parte del mondo: gli spaghetti alla carbonara.

Lo dico subito: a me la carbonara piaceva. Anzi, dirò di più: piaceva un botto. Ero di quelli che se ne mangiava tranquillamente tre etti buoni, y con mucho gusto. Ero di quelli che, in compagnia di presupposti amici, mettevo il broncio se non me ne toccava una congrua porzione. Ero di quelli che me toccava pijàmme le lezziòni de carbonara (il bello è che non mi è mai successo da parte da un romano). Ero di quelli, e non lo sono più. Ora, odio gli spaghetti alla carbonara. Non li sopporto più. Non ne voglio più sentire neanche il puzzo. Mi hanno randomizzato le gonadi. Da quando?

Da quando non passa giorno. Da quando ci sono le eccellenze. Da quando imperversano gli chef. Da quando gli spaghetti alla carbonara hanno cessato di essere un piatto di pasta alla buona e sono diventati un simbolo dell'identità nazionale. Non ho mai sopportato le identità, e men che mai quelle nazionali, ma riconosco di avere senz'altro indulto a talune di esse; ma, oramai, la carbonara è passata in mano ai talebani e, allora, ho defezionato. Defezione facilitata anche dal fatto che sono diabetico, e che non posso riempirmi di carboidrati; ma non sto a sottilizzare troppo, tenendo anche conto che, della mia salute, potrebbe non fregarglieme niente a nessuno; e lo capisco alla perfezione.

Sfogliare i giornali, a partire dalla Repubblica con l'Elmetto, è diventato un carbonara-tour. Putin? Il virologo? Zhelensky? Il GIMBE? La violenza sulle donne? Lo scudetto? Macché, notizie di secondo piano. Quotidianamente, c'è prima da sorbirsi la dose quotidiana di carbonara news. Filologia della carbonara, in primis: i soldati americani? I carbonari (non quelli del Risorgimento, quelli proprio del carbone)? La zia Pina de via der Mandrione? Il brigante Erasmo Schioppettone di Amatrice, che giustappunto fu bandito dal paese e si diede al brigantaggio perché lui il guanciale lo voleva mangiare con le uova invece che con il pomodoro e er pecorino? Fosse soltanto questo; il problema è che, oramai, i media di qualsiasi tipo sono occupati dai preparatori della carbonara autentica, dal cuoco pluristellato al ragazzotto improvvisato che fa i video, dall'intellettuale gastronomo allo YouTuber che fa vedere sdegnato come la carbonara è preparata dagli americani, dai francesi, dai tedeschi o dai coreani. Autentici anatemi contro la panna, principalmente. Guai anche a nominare la “pancetta”, specialmente affumicata o, peggio ancora, il bacon. Il bacon, tra l'altro, darebbe credito all'origine da parte dei soldati americani, e la carbonara ha da essere lazzziàle e romana, ce vole er guanciale e no er bàco. Sta nascendo il reato di lesa carbonara, che s'è -naturalmente- portato dietro anche la gricia. Gricia capta ferum victorem cepit.

Basta leggere i commenti alle migliaia e migliaia di video dove ognuno dà la sua versione della famosa carbonara autentica, che deve essere cremosa. Ora va di moda anche la risottatura. Preparare quello che, in fondo, è un troiaio a base di uova e pezzetti di grasso di maiale, è diventato una questione di vita o di morte, dove chi sgarra è punito con l'esilio, con la derisione, con la gogna più o meno virtuale, con il vade retro Satana! Penso con sudorini freddi a quando, a volte, mi facevo la carbonara con le penne rigate, cuocendo i dadini di pancetta affumicata (sic) nella birra, sbattendo le uova in un piatto e non direttamente nella padella prima di mettere a risottare la pasta, dimenticando a volte di mettere la capitale acqua di cottura e imbottendo tutto il mappazzone che ne veniva fuori di peperoncino infernale invece che della spruzzata di pepe macinato fresco. Ho rischiato seriamente la vita senza rendermene conto; eppure mi garbava lo stesso, dio carbonaro. Mi garbava anche perché ero convinto che ognuno se la potesse fare come più gli aggradava, anche con la panna, anche con la birra, anche con le cipolle, con il Gran Biraghi del Penny Market, anche con la merda. Era, nelle mie convinzioni, un piatto di libertà totale, una pastaccia da combattimento sempre buona ancorché letale, una sana botta di occlusione coronarica, uno sberleffo ai puristi. Mi sbagliavo. Hanno vinto loro. Su tutti i fronti, riuscendo a trasformare in culto patriottico e mediatico persino la pasta cacio e pepe.

E così, ora mi vado a leggere le cotidiane disquisizioni carbonàriche, in quanto gli spaghetti alla carbonara sono diventati una bandiera, e a me le bandiere stanno più indigeste dei mappazzoni che mi preparavo olim. Me le vado a leggere per alimentare il mio odio -che peraltro è un odio decisamente salutare. Stianterète voialtri e il vosto guanciale, vi porteranno in terapia intensiva con il buzzo pieno di pasta risottata e di sugo cremoso, altro che col “Covid”. Vi ci porteranno a voialtri al pari degli americani che ci mettono la panna, e dei francesi che scuociono criminalmente la pasta e ci mettono la crème fraîche nella quale navigano etti di pancetta bretone o di prosciuttino cotto dell'Auchan. Non vi serviranno a nulla la ricetta de famija, er guanciale der nonno e le uova delle galline ruspanti der Laurentino 38. Creperete risottati, ma felici d'aver fatto la vera carbonara, er simbolo di questo paese de fave lesse, il caposaldo di Repubblica fra un riarmo, un pelouche in una casa bombardata di Mariupol e le sempre meno gettonate esternazioni di Burioni, er piastriccio domenicale ma senza la panna, er vuoto a pancia piena.