lunedì 13 agosto 2007

La terra di nessuno


Buffa cosa ritrovarsi in macchina, dopo mesi e mesi. Non che non ci sia andato in macchina in tutto questo tempo, non che non abbia guidato; ma una macchina a disposizione, seppure prestata, seppure per qualche giorno, era un po’ che non la avevo. Tutta mia, insomma. Una bizzarra scatoletta di un’amica che è partita col fidanzato per le vacanze in Sardegna, dopo una piccola operazione; una Panda vecchia di vent’anni, targata Bergamo con tanto di tondino della Lega sulla targa assolutamente incancrenito (e pensare che l’amica che mi ha prestato la macchina è calabrese). Come se non bastasse, questa mia amica è pure devota della madonna del suo paese (l’Italia, come è noto, è un paese basato sulla pluralità delle madonne) e, sul parabrezza, ha appiccicato il relativo adesivo che riproduce l’immagine di questa santa vergine. Ieri pomeriggio, in una domenica quasi deserta e afosa, sono andato ad accompagnarla dal fidanzato con le valigie, e poi me ne sono tornato a casa attraversando la città con quel mirabile automezzo interamente a mia disposizione.

Ritrovarsi da solo alla guida. Un tempo è stato uno dei miei facitori preferiti di pensieri in libertà, di sogni a occhi aperti, di improbabili dialoghi immaginari con vari personaggi (la mia ex di turno, lo stronzo con cui avevi avuto una discussione, l’amico perso); quante gliene ho dette alla guida, su strade urbane e extraurbane. I chiarimenti mai avvenuti, che non sono mai potuti avvenire per semplice e definitiva interruzione del rapporto; le cose che, quando ce n’era stata magari l’occasione, non si è avuto mai il coraggio, la forza o la presenza di spirito di dire. Mi è successo tante volte, in passato, di avere di codeste conversazioni mentali, ora pacate, ora agitate, ora addirittura accompagnate da gesti, da risate e da lacrime. Qualche automobilista di passaggio, che mi ha incrociato, mi avrà sicuramente visto qualche volta; e mi domando che cosa debba avere pensato in quel momento. Anche nulla, va da sé.

Così, ieri, ho riprovato dopo tanto tempo a stabilire un contatto automobilistico con certe persone e certe situazioni del mio passato. O forse del mio presente, o forse del futuro. Nel pensiero la temporalità è, spesso, disturbata, interferita, accavallata; in ogni caso indefinibile. Nel pensiero libero tutto è possibile, die Gedanken sind frei; e così si possono stabilire persino incontri immaginari, interventi miracolosi (in questo caso si tratta davvero di dei ex machina!), soluzioni mai avvenute, vendette raffinate. Quante volte, in automobile, mi sono ritrovato ad essere una specie di Conte di Montecristo. Insomma, tutta una casistica piuttosto vasta. Di materiale ne ho sempre avuto parecchio. Basta cambiare le marce, pigiare i pedali; basta non perdere quel minimo di concentrazione necessaria per osservare i segnali, per fermarsi ai semafori, per badare alla circolazione. Tutto qui. Ma ieri non mi è riuscito. Avevo la testa completamente vuota, come se tutto si fosse cancellato.

Ci ho provato, eccome. Ho messo in campo tutto il teatrino della mia vita, tutti i normalissimi rimpianti e rancori, tutte le delusioni, tutti i sogni che mi hanno accompagnato per questi quarantaquattro anni di esistenza. Nulla. Il vuoto pneumatico. Poi sono arrivato al semaforo di piazza Puccini.

Uno di quei momenti qualsiasi in cui, all’improvviso, le cose arrivano. Chiare, limpide, nell’attimo giusto. Non potrebbe essere un momento diverso. Sarebbe bastato un momento prima, in cui l’attenzione era distolta dallo scalare di marcia e dal frenare; o un momento dopo, in cui avrei dovuto mettere la prima e ripartire (“attento a non tirare la prima”, mi avrà raccomandato la mia amica diecimila volte). E’ arrivata, quella cosa, mentre ero fermo. Tra una macchina scura con targa spagnola e una Peugeot 206. Mi è arrivata la consapevolezza che non me ne frega più un cazzo di niente, ma assolutamente di niente. Non m’interessa più di conversare, di incazzarmi, di gesticolare, di ridere o di piangere per delle figure che sono svanite. La certezza di avere chiuso i conti, e se non c’è stata la possibilità di chiuderli a quattr’occhi, pazienza. Sempre che, poi, le cose possano davvero essere chiuse a quattr’occhi; sempre che anche questa non sia nient’altro che un’illusione.

Anzi, le cose, mi sono poi detto percorrendo la fatidica via del Ponte alle Mosse, sono state più chiuse nella mia testa in tutti questi anni, guidando automobili raffazzonate, alfe romeo scassate, polo blé senz’olio, fiat uno col tetto sfondato, honde HRV altrui tenute impeccabilmente. Definite e chiuse. Le cose sono state dette, magari con la segreta speranza che giungessero in qualche etereo modo a destinazione. A volte mi sono ritrovato persino ad averne la certezza!

E così in questa vecchia panda bianca mi sono gustato il guidare e basta per la mia città in una domenica d’agosto. Tutto dato e tutto ricevuto. I ricordi, belli e brutti, ricondotti alla loro essenza e ad un loro equilibrio. Non so come chiamarla, questa cosa; è possibile che non abbia neanche un nome; o forse ce l’ha, ma me lo tengo per me. E’ bene tenersi sempre qualche cosa per sé, è bene a volte rifiutarsi di condividere cose che, quando invece le hai condivise, spesso e volentieri ti sono state poi utilizzate sul muso.

Ma stamani ho voluto fare un’ultima riprova. Così, tanto per fare. Dovevo andare in ufficio. Di solito ci vado in treno, e avevo pensato, anche per risparmiare un po’ di benzina, di andare in macchina soltanto fino alla stazione del Campo di Marte. Invece, alla fine, quasi la macchina ha puntato da sola verso “Firenze Nova”, trovando persino un bar aperto dove pigliare un caffè e leggere del primo goal di Luca Toni con la maglia del Bayern di Monaco. L’alternativa sarebbe stata leggere le scuse di Caruso, e non ho avuto nessun dubbio su cosa leggere mentre sorseggiavo il caffeino.

Niente. Di nuovo guidare e basta, e guardare. Godersi persino il peraltro scarso traffico di questo lunedì tredici agosto. Canticchiare qualcosa. Magari, un giorno, vi saranno nuovi personaggi con cui conversare, nuove illusioni, nuovi gesti. Per ora mi godo, o semplicemente vivo, questa specie di terra di nessuno dove ci sono solamente io. Il ventiquattro di agosto andrò a restituire la panda bianca alla sua legittima proprietaria, che non saprà mai cosa è accaduto dentro alla sua macchina. Tanto questo blog non lo legge.

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