giovedì 9 agosto 2007

Un giro in bicicletta


Nove agosto duemilasette. E' quasi un mese che non metto più niente su questo blog. Un po' perché ci sono state di mezzo le vacanze, un po' perché quando torno sono sempre lentissimo a "ripartire" con le cose che faccio. A volte non sono neppure ripartito e tutto si è interrotto. Ad esempio il "racconto dell'estate" di cui avevo pubblicato già due puntate qui dentro: ma lo riprenderò, e se per caso sconfinerà nell'autunno, pazienza. Nel frattempo, ricomincio a infilare qualcosa nel "Bignami di riccardoventuri", qualcosa che ancora una volta ha a che fare con l'Isola d'Elba. E' un vecchio post del settembre 2003, spedito al ng di Guccini perché in fondo, in un qualche modo, Guccini lo aveva "ispirato", che parlava della mia vita elbana di allora, in un periodo che sarebbe poi sfociato nell'ineluttabile fine di un amore e nell'inizio di un altro. Nel frattempo, cosa facevo? Giravo in bicicletta. Non avevo l'automobile, così come non la ho adesso; solo che adesso non ho più nemmeno la bicicletta. Quella nera del post si è schiantata l'anno dopo, le è partita la catena, il manubrio, ogni cosa. Vado a piedi, oppure piglio l'autobus o il treno. Ma non è che si parlava soltanto di una bicicletta, in quel post (poi persino ripreso da "Bielle", da cui è tratta l'illustrazione a suo tempo studiata da Giorgio Maimone in persona); si parlava di nomi di strade. Sono importanti, i nomi delle strade. Sono anche loro una parte della memoria, e alla fine ci resterà soltanto quella. La memoria e i ricordi delle piccole cose.

E' una vecchissima bicicletta nera, senza fanale, di quelle che fanno sdeng sdeng a ogni pedalata; nella camera d'aria della ruota posteriore ci devono aver nidificato, perché ogni tanto, specie in discesa, ci si sente venir fuori un chiarissimo pigolìo come d'un pulcino.

E' la mia bicicletta qui, ora che sono finalmente regredito allo stadio di ex automobilista; cerco di non farmi dispiacere la cosa e, come sempre si fa, di concentrarmi sui suoi vantaggi. Certo, non lo nego, una macchina mi farebbe comodo; ma ora come ora non me la posso permettere e l'altro giorno sono inorridito ascoltando un servizio giornalistico sui prezzi delle assicurazioni. E così, mi faccio delle belle pedalate, sovente in memoria del fiato che fu. Più di tanto non mi posso spostare, l'Elba non è uno scherzetto e ci son delle salitelle che schianterebbero anche un grimpeur colombiano.

Qualche giro in paese e al porto, o nella campagna qui attorno (visto che ho, biciclettescamente, la fortuna di abitare in una delle rare piane di quest'isola di montagna); la vecchia "Nerona" ci ha, tra le altre cose, uno di quei rapportini fissi che ammazzerebbero un bove. Deve venire, credo, da qualche nebbiosa piattitudine; casa sua sarà stata in un luogo imprecisato fra Guastalla e Pomponesco, e somiglia terribilmente a quella inforcata da Don Camillo nei famosi film.

Ora, l'altro giorno, e per esser più precisi ieri sera, mi è venuta voglia di fare un giro in una plaga qui vicino; uno dei vantaggi della pedalata è senz'altro quella di starsene nel sole settembrino dell'ultim'ora, senza nessuno fra i coglioni (la gente la sopporto sempre di meno e arriverà il momento che non la sopporterò più) e, come diceva il poeta, assorto nei propri pensieri; i quali pensieri mica devono essere per forza rivolti ai massimi sistemi. Le classiche domande, "da dove vengo?" e "dove vado?", hanno una facile risposta: vengo dal Formicaio e vado a Ciampone. Passando però per la Piastraia e per il Crino. Tiè, vainculo anche alla strada provinciale.

A questo punto bisogna fare una premessa di carattere amministrativo.
Per una volta tanto, sia lode al Comune di Campo nell'Elba, che ha deciso qualche tempo fa una vera e propria rivoluzione toponomastica. Le strade di paese e di campagna avevano dei nomi antichi, a volte antichissimi; ed anche se non c'erano i cartelli, tutti sapevano dove andare. Poi, verso la fine degli anni '50 e, soprattutto, con gli anni '60, scoppia il turismo e il Comune di allora decide di farsi bello; e dal paese scompaiono la "Via Foresta", la "Via Tronca", la "Via del Vapelo", la "Via delle Case Nuove", la "Via per Portoferraio", la "Via del Chiuso Torto", la "Piazza della Fontana" e tante altre, per far posto a stronzate come, rispettivamente, "Via Firenze", "Via Mazzini", "Via Giosuè Carducci", "Via Bologna", "Via Pietro Mascagni", "Via Amalfi" (ma cazzo c'entra Amalfi con Marina di Campo?) e "Piazza Milano".

Due anni fa, visto che tra l'altro i cartelli cadevano a pezzi e si erano sovrapposte varie numerazioni -di modo che, ancora, accanto a certi portoni ci sono tre targhe, una col n° 22, l'altra col 64 e l'ultima col 248, si dà il via alla revolùscion: numerazione civica metrica (il numero dove abito, al 24 di via dell'Orzaio, significa che abito esattamente 24 metri dopo l'inizio della strada; mia cugina degli Alzi abita ad esempio al n° 1326 di via della Costa, cioè 1 km e 326 metri dal capovia) e, soprattutto, ripristino integrale dei vecchi nomi delle strade, comprese le infinite stradette di campagna che si son viste riconoscere finalmente il proprio nome dopo qualche secolo, con tanto di cartelletto bello lucido e pure fosforescente. Al macero le piazze Milano e le vie Carducci, ed ecco di nuovo la piazza della Fontana e la via del Vapelo. E pure la piazza del Tembièn, e chi se ne frega se è un nome un po' fascistotto e riporta alla memoria battaglie abissine, Adua e il generale Baratieri. Si chiamava così da sempre quella piazzetta sul porto, e bài bài pure a Giovanni da Verrazzano.

Eccomi a giro per quelle viuzze che mai si sarebbero immaginate, un giorno, di farsi leggere da Echelon perché a un tizio, una sera, gli è venuta la voglia di parlarne. Canneti, vigne, alberi, giardini di qualche vecchia casa in rovina o di qualche villetta che dorme finalmente il suo sonno dopo le folle agostane. Non ho nulla per la testa; non voglio averci nulla; guardo solo, meravigliato, quei cartelli nuovi nuovi con dei nomi vecchi vecchi. La memoria, per una volta tanto, viene salvata; e rivedo tutto l'oceano dei morti, e i loro visi, e risento le loro voci pronunciare quei nomi, e vicende buffe o dolorose che m'erano raccontate; gli Olmi, gli Alzi, il Pra' d'Arighetto, Castiglione, l'Arnaio. Sono tutti scritti là. E chi sarà stato quell'Arighetto che ci aveva il pra'?

Ma di un nome non avevo mai saputo niente. Me ne sono accorto all'improvviso sbucando da via del Ciampone. Via della Pavana. Mi sono fermato e sono sforcato dal sellino per controllare meglio: sì, è proprio Via della Pavana. Magari l'accento è spostato, ma è una questione del tutto insignificante. Toh, mi son detto, questa la voglio scrivere sul newsgroup, a trecento metri da casa mia c'è sempre stata una Pavana e non lo sapevo. Nessun gesto clamoroso, non mi sono messo a berciare nessuna canzone di Guccini; Guccini, qui, non c'è mai stato e non ci verrà mai. Ma lui canta la sua, di Pavana; ed io la mia, anche se forse l'accento è sulla seconda sillaba.

Non c'è nulla in quella strada; si perde in mezzo a un campo di qualche cosa, ma non di grano. Forse di erba medica, o forse semplicemente d'erbacce. Chissà da cosa le sarà venuto quel nome; che pure, come tutti i nomi, ha un'origine e una storia. Ma non si saprà mai; stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus.

E me ne son tornato a casa.



Nessun commento: