lunedì 21 settembre 2009

*Dyauw


Τρελά κύματα σ'αυτές τις ημέρες. Fatica di lavoro, e tanta voglia di ricordare senza dare troppo a capire, senza esporsi eccessivamente. Periodicamente, tutto cambia; e mi fanno sempre più ridere (anzi, ghignare) coloro che si pascono nel superamento dell'esistente marxiano senza cambiare un milligrammo della loro vita. Nulla. Mai sentito parlare tanto di movimento quanto da coloro che stanno sempre, disperatamente, immobili.

La porta è, come quasi sempre, aperta nella notte. Rumore di traffico lontano, un bicchiere di vodka pensando al tequila. Mi ero troppo abituato al tequila, e allora ho sentito il bisogno di provarne nostalgia; le abitudini sono cosa che promana dall'inferno. Le abitudini sono segno di trista vecchiaia. Bisogna, scientemente, rinunciare a qualcosa che si ama molto per ritrovarla, un giorno che sa di sole, a segnare un nascosto trionfo di quelli che nessuno saprà mai perché non li si sa dire. Come Nancy che ti dice "amore, sono contenta che sei venuto" nel buio della notte, con un bicchiere colmo di Herradura in mano.

Vodka, sambuca, e qualcosa che assomiglia a dio. Ma etimologico. *Dyauw, come Franz Bopp ebbe a ricostruire basandosi sulle corrispondenze tra il sanscrito (dyauh), l'avestico (daevas), il germanico (*tiwaz) e il latino (deus, da un più antico *dewos). Tutto imparentato con la luce, con il giorno: "dio" e il "giorno" (dies) sono la stessa parola. Assomiglia a dio perché oggi è autunno, e il giorno scema, e la vendemmia sale, e il pensiero alle cose antiche aiuta a ricacciare via baschi rossi in testa a bambini piccoli, moderne idiozie comunicatazzanti, morti nel dodici d'agosto, immagini che si accavallano, tutto. La luce è una conquista dura.

Succede che, con queste cose in testa, entri in un negozio a comprare un po' di pane. È un negozio che conosci fin da bambino, nel quartiere dove sei nato. C'è, al banco, una signora rumena di mezz'età; ti ci diverti, ogni volta che ci vai, a scambiare due parole nella sua lingua; con gentilezza e anche un granello d'allegria. Arriva il signore anziano a commentare; ma sentili questi, sono in Italia e non parlano italiano, glielo farei vedere io a questi qui! Al che, *Dyauw mi prende per mano.

Mi sforzo di fare l'accento più sanfredianino che mi riesce. Gli metto soavemente una mano sulla spalla, e non ho le mani piccole. Senti, pallino, io so' nato qui che forse allora ti si rizzava ancora. Perché 'un tu compri icché tu devi 'homprà e ti levi da tre passi? La signora rumena mi lancia uno sguardo che quasi sembra che mi voglia sposare; il caponegozio ride sotto i baffi che non ha. L'anziano signore è un pochino spaventato. Quel dio etimologico della luce dovrò ringraziarlo di avermi fatto grosso grosso, prima o poi. Negli ultimi tempi me ne ero un po' scordato, colpevolmente.

Via dalla comunanza con l'accondiscendenza. Si passa oltre. Si comincia, o si ricomincia, a fare come nello Spiritual di De André: scendi dal cielo e vienimi a cercare. Mica dio; il tequila. Il tequila è qualcosa che torna incontro nelle sere d'inizio autunno, e la luce arriva a grappoli, e dà sguardi esatti come un coltello. Liquidi. Ventosi. Come quando il mare arriva a buttarti in faccia i primi spruzzi freddi, a testa bassa, di notte, spossato e millimetricamente invincibile.