lunedì 23 luglio 2012

L'Isola di Fuori



Più vado avanti, e più penso che la cosiddetta memoria obbedisca più alla distanza, che al tempo.

La memoria e la lontananza. La memoria e i chilometri. I chilometri contano più dei morti, oltre -naturalmente- che dei vivi; ma sarà normale. Del tutto normale.

E, poi, un anno fa, su quell'isola c'erano persone che, abbiamo il coraggio di dircelo, ci attenevano abbastanza poco. Giovani cittadine e cittadini di un paese benestante e freddo. Cinque venuti persino dal nord del nord, dalle isole Svalbard, ottantun gradi di latitudine; morto, tra di loro, un ragazzino di quattordici anni. Si chiamava Johannes Buø. 

Aveva l'isola nel suo nome; quella " ø " finale. Øya è la forma con l'articolo determinato. L'Isola Finale. L'Isola di Fuori.

No, non erano come noialtri. Non li avremmo nemmeno considerati, se non fosse arrivato da Oslo l'Uomo col Gommone. I giovani del Partito Socialista norvegese, che noi chiamiamo più volentieri "Socialdemocratico". Sono denominazioni, queste, che a noialtri antagonisti, critici radicali e quant'altro fanno venire quasi il voltastomaco; ci ricordano, se abbiamo qualche anno in più, Craxi, Martelli, Nicolazzi. Ci ricordano governi e pentapartiti. Corruzione e monetine.

Ragazze e ragazzi che non "anarcavano". Che non sapevano neppure che cosa fosse, in qualche lontano paese, un centro sociale. Che non avrebbero mai visto né subito una mecelleria messicana. Che non erano mai stati a una manifestazione violenta. Che non avrebbero mai lanciato un sampietrino. Chitarre, canti, dibattiti e discorsi. Qualcuno di loro, magari, avrebbe fatto pure carriera nel partito; qualcuno di loro la farà. 

Come fosse il campus estivo, stabilite le debite differenze, del PD o del Partito Socialista francese. Non so, forse anche per questo ci è passata alla svelta la memoria. Per durare più a lungo, ci sarebbe stato magari bisogno che fosse stato il campus della Gioventù Rivoluzionaria norvegese; ma quale rivoluzione si vorrebbe fare, in un paese che ha la pancia piena. Che gode di diritti invidiabili. Che non ha una polizia assassina. Che galleggia sul petrolio e dove non si vede neanche l'ombra della crisi.

Sostengo invece che, quelle, sono state decine di vite spezzate; e che vite spezzate a quel modo siano identiche, sull'Isola di Fuori come a Gaza. In piazza Alimonda come in piazza Dalmazia. Nel villaggio afghano come nel cinema di Denver. E che nessuno abbia il diritto di pensare ai chilometri e alle idee.

È arrivato l'Uomo sul Gommone, e si è messo a sparare. Dopo mezz'ora eravamo tutti, anche qui, a discutere di brodi di coltura, a fare paragoni, ad ammonire, a dire che non era pazzo ma che veniva da un ben preciso retroterra. Per giorni, il nome di Breivik è stato noto anche ai sassi; per giorni. 

Oggi, sui giornali, quel 22 luglio di un anno fa occupa qualche sparuto trafiletto secondario. Non vedo sui blog che seguo, e non sono pochi, nemmeno una parola. Due giorni fa ho voluto ricordare, come tanti, Carlo Giuliani; ritengo naturale voler ricordare anche quelle decine di ragazze e ragazzi ammazzati come cani da un lucido fanatico.

E lo faccio proprio perché mi sento e continuerò a sentirmi lontano da loro, e non soltanto come distanza chilometrica. Mi sento, assieme a loro, su quell'Isola di Fuori dove è calata la Cancellazione. Dove è calato il maglio dell'Uniformità. Rispondo con questo, e mando alla memoria di quei ragazzi e di quelle ragazze un saluto non soltanto da un paese, ma da un mondo lontano. Da una storia remota. Da un'idea inconciliabile. 

E un ricordo che non scomparirà dalla mia Isola di Dentro.