venerdì 29 marzo 2013

Cara signora Patrizia Moretti


Cara signora Patrizia Moretti,

Sinceramente non lo so se Lei, durante tutta la vicenda seguita all'assassinio di Suo figlio, Federico Aldrovandi, da parte di quattro agenti di polizia, abbia mai dichiarato (in interviste, dichiarazioni, comunicati) di "credere nella giustizia". Davvero non lo so. E' una frase che ho sentito, non di rado, pronunciare da persone legate ad altre vittime di assassini in divisa, però. Familiari, amici, legali. Dalla sorella di Stefano Cucchi, ad esempio.

Non so davvero se lei lo abbia mai fatto. Può darsi di sì, può darsi di no. Ad un certo punto, nel Suo caso, la "giustizia" dello Stato italiano, lo stesso che annovera come suoi fedeli servitori quei quattro là, il Pontani, il Pollastri, il Forlani e la Segatto, li ha condannati ad una pena ridicola per l'omicidio di un ragazzino di diciott'anni che non aveva fatto niente. Suo figlio, appunto. Sono andati in carcere per scontare un minuscolo residuo di pena: sui 3 anni e 6 mesi di carcere comminati ai quattro, tre anni sono stati infatti condonati per l'indulto: restano sei mesi, che peraltro la Segatto sconterà ai domiciliari perché scarcerata il 18 marzo scorso per il "decreto svuota-carceri".

Ma che diavolo Le sto a dire, signora Patrizia Moretti; sono tutte cose, queste, che Lei conosce anche fin troppo bene. Le ha scolpite addosso. Marchiate nello stesso sangue di Suo figlio, di quel ragazzo massacrato che si vede nella foto che Le è toccato, anche due giorni fa, tornare a mostrare per le strade perché Le erano venuti a fare, i sodali di quei quattro assassini, una lurida mascherata sotto alle finestre del posto di lavoro. Quella foto che è agli atti processuali, e che quelli là continuano a chiamare un "fotomontaggio". 

Qualunque cosa Lei abbia dichiarato in tutti questi anni, questa è la "giustizia" che le viene riservata, signora Patrizia Moretti. 

Bisogna saperlo, che cosa sia la "giustizia" in questo paese. Bisogna saperlo, e trarre delle conclusioni semplicemente logiche.

La "giustizia" di un paese che ha dodici sindacati di polizia, tra cui quel "COISP" che organizza i presidi di solidarietà con gli assassini di un ragazzo sotto le finestre di sua madre. Bisognerebbe, signora Moretti, che si andasse in giro ad esigere, e con nessuna cortesia o rispetto, che i "sindacati di polizia" fossero eliminati. Che fossero tutti sciolti, dal primo all'ultimo e non soltanto il "COISP". Che se ne vietasse la ricostituzione per sempre.

La "giustizia" di un paese dove degli assassini giudicati tali da un tribunale, seppure con l'applicazione di pene inferiori a quelle per il furto di due lattine di birra da un supermercato, si permettono di insultare, di sbeffeggiare, di delegittimare la madre della vittima, certi di trovare ascolto ed appoggio da qualche parte, specialmente nelle istituzioni.

Si ricorderà certamente di quante attestazioni di solidarietà abbiano ricevuto gli agenti, e nel contempo il corpo della polizia intero. Si ricorderà delle consuete grida di "giù le mani dalla polizia!" di Ignazio La Russa. Avrà magari anche visto che, il 27 marzo, assieme ai sodali degli assassini di Suo figlio si è presentato anche un "europarlamentare" del PDL, tale Potito Salatto, a dar loro man forte. È la "giustizia" di uno Stato dove una delle principali associazioni a delinquere della sua storia, il cosiddetto "Popolo delle Libertà", esprime anche personaggi del genere. 

La "giustizia" di una ministra che, pur non avendo preso nessun provvedimento per quei quattro assassini (tipo cacciarli a pedate dalla polizia), limitandosi a "prese di posizione" a parole che hanno sempre lasciato il tempo che trovano, si ritrova ora ad essere attaccata violentemente dal capo di un sindacaticchio di sbirri. Ma dove ha un po' di dignità, questa signora Cancellieri? La ha soltanto per ordinare di manganellare e arrestare i NO TAV? "No a sanzioni, ma giudizio critico"; signora Cancellieri, se ne sbattono del suo "giudizio critico", quelli. 

La "giustizia" di uno Stato che permette ad altri assassini, quelli di Giuseppe Uva (stavolta in divisa da carabinieri), di indagare per "diffamazione" la sorella della vittima.

La "giustizia" che permette impunemente uno stalking di Stato ai danni di una povera donna che già si è vista ammazzare il figlio di diciotto anni per una canna.

La "giustizia" di uno Stato fascista. Perché quelli sono fascisti, come la stragrande maggioranza di chi appartiene alle "forze dell'ordine". Ci si scandalizza perché la schifosa polizia greca fa ormai le squadracce miste assieme ai nazisti di Alba Dorata, ma in Italia sono come loro. Di qualsiasi tipo, ordine e grado. I "bravi poliziotti" esistono solo nella penna di Camilleri. Fascisti, e fascisti pericolosissimi, certi dell'impunità, protetti da una divisa. Con la mentalità e la struttura di una banda organizzata, di una squadraccia, di una cosca mafiosa; poi ci fanno anche i filmini sopra, fortunatamente ignorati nonostante i gran lanci pubblicitari. Arroganti, violenti, prevaricatori. Al di sopra della legge; e non è un certamente un caso che la peggiore banda di criminali mai comparsa in Italia, quella della "Uno Bianca", provenisse in blocco proprio dalla polizia. Tra i fratelli Savi e i quattro di Ferrara esiste una contiguità precisa.

Vengono selezionati, arruolati e addestrati per questo, da sempre. Sempre e solo dalla parte dei padroni, cara signora Patrizia Moretti. Se ne è accorta sulla Sua persona. Si è accorta di che cosa sia capace lo Stato che schiaccia i suoi "cittadini" come formiche, potendo oltretutto contare su un'opinione pubblica manipolata, forcaiola, luridamente reazionaria, fatta di bravi "padri di famiglia" che godono "quando il ladro muore, se si arresta una puttana, se la parrocchia del Sacro Cuore acquista una nuova campana", come cantava -giustamente- anni fa Claudio Lolli.

E' la "giustizia" di uno Stato i cui "cittadini", del resto, telefonavano alle radio genovesi e nazionali esprimendo gioia e letizia per l'assassinio di Carlo Giuliani; e quella non era la polizia, erano i vicini di casa, le massaie alla televisione, i "lavoratori", tutti quanti. Chissà se qualcuno di quelli che telefonava ridendo e urlando "uno a zero" su Carlo assassinato, è finito qualche tempo dopo nella polvere della "crisi", e magari si è pure suicidato perché non arrivava a fine mese o lo avevano licenziato. 

Che cosa vuole che sia, signora Patrizia Moretti, un ragazzo ammazzato? Lo sa quanti ne hanno ammazzati, questi, di ragazzi come Suo figlio? Certo che lo sa, purtroppo.

Come sa benissimo, signora Patrizia Moretti, che Lei appartiene ai "parenti delle vittime" che non contano nulla. Quelli, anzi, che possono essere perseguitati, intimiditi e indagati. Lei non è, signora, il figlio dell'orefice che è stato messo in carrozzina, peraltro, da un colpo sparato da suo padre. Per Lei, signora, non nascono le crisi col Brasile. Federico Aldrovandi, di anni diciotto, non è un "marò" per il quale si scomodi Staffan De Mistura o si dimetta il ministro. Anzi, nel Suo caso il ministro si affretta a urlare "no a sanzioni" mentre viene fatto passare per un idiota.

Le è toccato, signora, far parte dei parenti sbagliati. Quelli cui consigliano di dire "credo nella giustizia" per non aggravare le cose. Lei non è la vedova Calabresi. Le tocca scendere le scale del Comune di Ferrara, dove lavora, e mostrare una foto la cui visione schianterebbe chiunque, mentre la claque degli assassini Le volta le spalle e apostrofa con arroganza un sindaco. 

E allora, signora Patrizia Moretti, mi auguro semplicemente che Lei quella frase, "credo nella giustizia", non la abbia mai pronunciata. Lo voglio sperare. Vorrei che non fosse più pronunciata da nessuno. Vorrei che si dicesse: "No, nella vostra giustizia io non ci credo. Non ci credo non solo perché non esiste, ma perché non può esistere."

Lo Stato non giudica se stesso e i suoi servi. Ha dovuto, signora, non soltanto apprederlo nel dolore e nel sangue; ha dovuto anche accontentarsi di una farsa per la quale è sottoposta ad un trattamento orrendo. "No a sanzioni"; tra sei mesi, perché un ragazzo ammazzato a diciott'anni da dei poliziotti costa sei mesi, torneranno a lavorare. Rimetteranno loro le armi in mano e ad affidare loro l' "ordine", l'ordine della morte.

Lo gridi allora, quando ne avrà la possibilità, che in questa "giustizia" lei non ci crede affatto, perché non è possibile crederci. Perché è un controsenso crederci. Perché è un controsenso stampato, e calpestato, nella pozza di sangue attorno a Suo figlio.

E se per caso Lei leggesse queste righe, signora Patrizia Moretti, la abbraccio forte.