giovedì 28 agosto 2014

All'ombra del penultimo sole




Trattandosi di un racconto abbastanza lungo, suggerisco come sempre di stamparlo e di leggerlo con comodo a chi lo desiderasse.


Verso la fine dell'estate, siccome era diventato troppo vecchio per andare assieme ai figli in mare aperto, aveva deciso di pigliare la barchetta piccola, quella che serviva ai nipoti per andare sottocosta alla ricerca di una caletta dove stare con qualche ragazzina del paese, e di andare a pescare a bolentino. Nulla a che fare con la pesca sul serio, quella con le reti che un tempo aveva insegnato ai figlioli portandoli con sé fin da quando avevano compiuto i quindici anni; ora, secondo le stagioni della vita, toccava a loro. A loro fare stare in pena le mogli e le famiglie, a loro partire e ritornare, a loro sgobbare come negri, a loro gioire per una buona pesca e disperarsi per una magra. A lui, invece, ora toccava la barchetta di legno sulla quale era salito fin da bambino; suo padre gli diceva sempre di non sapere nemmeno lui da quanto tempo fosse della famiglia, era stata riparata, impiallacciata e ricatramata chissà quante volte, eppure era ancora buona a condizione, naturalmente, di non provare nemmeno a allontanarsi troppo dalla costa. Altrettanto naturalmente, però, il vecchio F. era testardo come una gita sociale di muli e non se ne preoccupava troppo. Cosa aveva fatto per tutta la vita? Pescare. Non poteva andare più coi figli a far pesca d'altura? Si capisce, quando arriva il momento di essere dichiarato non più buono, arriva; aveva, il vecchio F., settantotto anni compiuti il ventiquattro di febbraio. E a star lontano dal mare non ce la faceva proprio; fino a quattro anni prima non ne aveva voluto sapere, e continuava a andare assieme ai figli e ai loro compagni di lavoro, ma una volta, oltre la Capraia, si erano beccati una burrasca da levare il pelo, di quelle col prete sul molo, le mogli in ginocchio a salmodiare, il maresciallo dei carabinieri e la Campagnola della Pubblica Assistenza (modello 1967) con su scritto “Protezione Cibile” col pennarello. Proprio così: “cibile”. Che cosa intendesse proteggere, lo sapevano solo loro.

Il vecchio F. non era, come dire, un modello di cristiane virtù. Il mondo dei pescatori, a qualsiasi latitudine, indulge comprensibilmente alla religiosità; ci son dei frangenti, in mezzo al mare, in cui un bell'iddìo, una madonna o un santo fanno parecchio comodo. Lui, però, proprio non ne voleva sapere, e aveva attaccato ai due figli, R. e T., un palese spregio di ogni forma di credenza soprannaturale. Avendone viste di cotte e di crude in mare, si era accorto ben presto che, nonostante preghiere e invocazioni a questo o a quell'abitatore de' cieli, quand'era ora di andare a far da pasto ai pesci ci si andava e basta. Questione di due cose: il culo e la forza. Il culo di averci una via di scampo, un punto riparato a poca distanza, una barca messa bene o una barca più grossa nelle vicinanze; e la forza che ci vuole per governare un'imbarcazione in circostanze del genere. E ce ne vuole parecchia, di quella che s'ha a trentacinque o quarant'anni. Nonostante tutto questo, spesso e volentieri non bastava neppure quello, e allora -diceva il vecchio- si ristabiliva un po' di giustizia; visto che i pesci gli avevano dato da mangiare per tutta la vita, arrivava un momento quando bisognava far mangiare un po' loro.

I compagni pescatori di Marina di Campo inorridivano. Provenivano in gran parte da un'altra isola nel mare, situata un po' più in giù, che si chiama Ponza; e non ce n'era manco uno, come da loro tradizione e convinzione, che non santificasse e madonnasse come si deve, al pari del resto dei non molti pescatori nativi del posto. Il fatto è che gli elbani non sono pescatori, ma montanari in mezzo al mare; preferiscono salì su pe' le cóte e lasciar pescare i ponzesi. Anche F., del resto, sarebbe stato un montanaro, e un cavatore di granito come tutti quelli di San Piero e Sant'Ilario; e come tutti costoro, era sempre stato animato da un acuto spirito di contraddizione. Cavatore il padre, anche se la barchetta ce l'aveva; cavatori gli zii e cavatori i fratelli; così, arrivato a quattordici anni, aveva comunicato che andava a imparare a fare il pescatore giù in paese. Nel contempo, poiché eran tempi strani, s'era pure messo certe idee in testa, e invece d'andare in chiesina imparava le canzoni di Pietro Gori, e altre belle pensate di questo genere che non starò a raccontarvi perché, qualora le vogliate proprio sapere, non avete che far le opportune richieste presso una discreta quantità di questure. Disperando così la moglie, una brava donna parecchio devota alla quale voleva molto bene (e glielo aveva dimostrato mettendole in pancia solo due figlioli e non i soliti sette o otto), aveva tirato su benissimo i ragazzi: pescatori pure loro, e convinti adepti di una particolare dottrina politica che prevede, come tutti sanno, cappellacci, gatti neri, tabarri e bombe in tasca con la miccia accesa.

Le barche di Marina di Campo parevano un martirologio galleggiante intero. C'erano una Santa Lucia e un San Gaetano, che era proprio pochino visto che il santo in questione è il patrono del paese; in compenso c'erano due San Rocco e due Padre Pio, che per distinguerle le avevano chiamate, pensate un po', Padre Pio I e Padre Pio II. C'erano sei San Silverio; un forestiero si sarebbe chiesto come mai Silverio fosse tanto gettonato, per scoprire poi che era il patrono di Ponza. Si passava poi a Santa Rita, mentre un originalone aveva chiamato la sua barca “Madonna di Megiugorio”; una mattina, trovò che qualcuno, approfittando delle tenebre dicembrine, aveva raschiato il “Megiu” e, con la vernice, aveva cambiato il nome in “Pietrogorio”. S'arrabbiò parecchio, ma non aveva fatto nulla perché il vecchio F., quand'era meno vecchio, era un marcantonio di un metro e novanta con due braccia che sembravano paranchi; a settantott'anni si era tenuto la statura, ma le braccia funzionavano un po' peggio. Sempre meglio non averci a che fare, né con lui e né coi figlioli che erano cresciuti a sua immagine e somiglianza; ma per cavarsela tra la Capraia e la Corsica, in mezzo a una burrasca per la quale i pesci s'eran già messi il bavaglino e studiavano il ricettario, ci voleva ben altro. La barca da pesca di famiglia si chiamava “Sacco e Vanzetti”.

Gli interventi divini sono parecchio strani. In quella burrasca di cui si parlava, due pescherecci, il “Sacro Cuore di Gesù” e il “Mamma Maria Bambina”, erano colati a picco con tutti gli equipaggi, facendo perire in tutto quattordici pescatori. Il “Sacco e Vanzetti”, oltre che a forza di braccia e di fortuna sfacciata, s'era salvato a forza di moccoli, equamente ripartiti tra dèi di vario genere e il vecchio F. che non ce la faceva più a far nulla; e, in frangenti come quelli, quando non ce la si fa più a fare nulla, si è soltanto dei pesi inutili a bordo. Saltò il rispetto familiare; il vecchio padre, che s'incaponiva ancora a pescare, era stato sottoposto a una tempesta di parole in confronto alla quale quella atmosferica sembrava un'aura gentil del primo vere. Ad ogni modo, quel giorno i celìcoli si dovevano esser rotti i coglioni di orazioni e salmi, e s'eran concessi invece un po' di risate ascoltando le fantasiose bestemmie di quei pescatori un po' strani; e così i sacri cuori e le marie bambine erano colate a picco, mentre Sacco e Vanzetti erano tornati a casa sani e salvi. Meglio essere in mare tra la Capraia e la Corsica, pensarono quelli veri da lassù o laggiù, che sulla sedia elettrica. Una volta a casa, i figli decisero che il loro padre, d'ora in poi, se ne sarebbe stato a godersi la vecchiaia; e che, se voleva pescare un po', si prendesse la vecchia barchetta, la canna, la lenza e si mettesse calmo una buona volta. Per la prima volta in vita sua, il vecchio F. decise di chinare il capo; forse.

Il fatto gli è che, per andare a pescare a bolentino, un po' al largo bisogna andarci per forza. Ci siete mai stati, voialtri? Magari anche sì, chiamandola “pesca a volantino”, che sarebbe il suo nome in tutto il Mediterraneo (anche in Catalogna dicono volantí). Ma all'Elba si dice bolentino e, anzi, mio padre raddoppiava pure la elle e diceva bollentino; quindi bolentino è e bolentino rimane. La cosa è semplice: si piglia una lenza bella robusta, ma non una gugliata. Ce ne vogliono novanta o cento metri come minimo. Poi ci si attaccano, a distanze fisse (diciamo a un mezzo metro l'uno dall'altro), gli ami che porteranno le esche e il piombo finale perché la lenza deve stare diritta. E' una delle operazioni più noiose che ci siano sulla faccia della terra, e va fatta il giorno prima; il pescatore a bolentino si mette in mare alle quattro di mattina. E poiché ci ha cento metri di lenza con gli ami attaccati, deve andare dove si presume che il mare sia più profondo della lenza; un po' al largo, appunto, e dove non ci sono scogli, perché sennò la lenza può impigliarsi ed è capace anche di arroversciarti la barchetta.

Non glielo aveva detto, perché sennò con la lenza lo avrebbero strozzato. Così aveva detto alla moglie e ai figlioli che sì, se ne sarebbe andato a pescare non oltre la punta Bardella di Galenzana, e con la canna. Per convenienza non stavano in paese, ma sopra il Pozzo al Moro, un po' in campagna; così potevano farsi anche un po' d'orto e un po' di vigna. Il vecchio F. aveva pure la macchina; una Bianchina panoramica del 1964, targata, e se ne ignora il perché, Piacenza. Tenuta impeccabilmente quanto a motore e carrozzeria, col sedile anteriore pulito e in ordine, ma con i sedili dietro tirati via e con l'intero abitacolo posteriore trasformato in magazzino degli arnesi. A destra del vano, il reparto agricolo; a sinistra, quello ittico. Il vecchio F. era un uomo ordinato, anche quando sparava una balla ai familiari; perché il giorno prima, con una scusa, aveva preso la Bianchina dove aveva accuratamente nascosto centoquindici metri di lenza da bolentino Tubertini, gli ami già infilati e preparati il giorno prima sempre di nascosto, il piombo finale e tutto il resto. Le esche (bachi, pezzettini di polpo) le aveva nascoste in frigorifero coi panini; in bella vista nella Bianchina, la canna da pesca, la cassetta e il retino. Dé, ci andassero quegli altri sul molo o vicino a riva a pescare alla canna; lui ci aveva bisogno del mare. Quello sul serio. E così, verso le tre e mezzo, senza svegliare nessuno, s'era avviato verso il paese e verso la foce del fosso, all'inizio della spiaggia, dove teneva la barchetta. La Bianchina, come sempre, la lasciò nella piazzetta all'inizio delle Scalinate, dedicata a Giovanni da Verrazzano ma che lui continuava a chiamare Piazza del Tembien, come qualche ventennio prima; quando a volte andava a ripigliarla, d'estate, dentro ci saranno stati settanta gradi e diceva che almeno lui lo trovava sempre, il posto al sole. Mai una volta all'ombra. Anche quel giorno sarebbe stato così, verso le dieci e mezzo o le undici del mattino; la pesca a bolentino ha bisogno di acque calme, calme, calme. Quando cominciano a passare motoscafi e altre barche, si torna a casa.

Siccome ne' romanzacci si dice sempre che era una notte buia e tempestosa, in questo raccontaccio si dirà che la notte era dolcissima e senza un filo di vento, e che il mare sembrava talmente un olio che veniva quasi la voglia di condirci l'insalata. A fine estate, bisogna farci comunque parecchia attenzione; mai fidarsi del tutto di Sua Maestà il Re Salato, l'unico sulla cui testa il vecchio F. non intendeva marciare. Usciti fuori dal golfo, l'onda lunga è sempre in agguato anche nelle temperie più pacate; e l'onda lunga ha una sola funzione, quella di rovesciare le barchette dei bischeri che non sanno andar per mare. C'era solo un problema, qualcosa che disturbava parecchio ma che non aveva proprio nulla a che fare col mare, ma col cielo. Non mi si fraintenda, perché pure il cielo era sgombro e splendeva dorata la luna nonostante le pedate di Neil Armstrong; però, puttana dell'eva, c'era un elicottero che girava e rigirava. E, per essere in volo notturno, doveva cercare qualcuno. E se quel qualcuno lo cercavano con l'elicottero a quell'ora, doveva esser successo qualcosa. E se poco dopo il bivio della Piastraia c'era pure il posto di blocco dei Carabinieri (che non lo avevano bloccato; figurarsi se non li conoscevano, lui e la Bianchina piasintëina), la ricerca non doveva essere d'uno uscito per andare a far funghi. E, intanto, l'elicottero girava con tanto di fotocellula; e il vecchio F. cominciò, ancora guidando, a recitare una lenta e ragionata litania di bestemmie, non risparmiando nemmeno santi assai poco noti (che lo ringraziarono di cuore, perché sennò non li nominava mai nessuno). Se continuava così, addio bolentino e per un sacco di motivi; non ultimo perché quelle cose là lo innervosivano. Non sopportava i braccaggi. Non tollerava lo Stato alle calcagna di qualcuno. Se qualcuno gli avesse nominato Sciarl Bodlèr, avrebbe chiesto se era un tipo di lenza oppure il commissario che sparò a Mesrine (lui, sì, lo conosceva); ma era l'incarnazione dell'uomo libero che ama il mare. Mi spiace per Mauro Corona, ma la montagna era tanto amata da Julius Evola (tiè, ok, non c'entra un cazzo col racconto ma era tanto che ci avevo la voglia di dirlo, 'iosagrataccio!)

Decise, ciò nonostante, d'andare avanti. Aveva perso tre ore, il giorno prima, a incoccare gli ami, e poi figuriamoci se uno come lui tornava indietro per un elicottero che svolazzava e un posto di blocco. Al massimo non pigliava manco un pesce; e poi, chissenefrega del pesce. Quello che gl'importava davvero, era starsene lontano, in mezzo al mare, ascendendo pian piano dal buio all'aurora, dall'aurora all'alba, dall'alba al giorno fatto; e a quegli ami abboccassero pure scarponi bucati. Era mescolare la profondità del sotto con la vastità del sopra. Era fumare una Nazionale ripensando a tutto. Era percepire il minimo movimento di centoquindici metri di niente, abituandosi al silenzioso esercizio dei sensi. Era, non sempre ma quella mattina ci aveva fatto la bocca, riplasmarsi un mondo su una piccola barca, e un mondo come lo si vuole per davvero almeno fino alle undici la mattina. Di questo gli importava, e di tutta un'altra serie di cose; e siccome così m'immaginavo mio padre, seppur confusamente, da bambino quando lo vedevo preparare i bolentini per il giorno dopo, m'immagino pure il vecchio F.; chissà, magari è lui.

Nulla di tutto questo, porca della schifosa di quella baldracca, con quell'elicottero di merda. Parcheggiando in piazza del Tembien, ebbe voglia di tirare una sportellata da svegliare mezzo paese; poi pensò che un colpo del genere avrebbe spaccato in due l'eroica e vetusta utilitaria. Prese tutta la roba, nascondendo però la canna da pesca e la cassetta sotto una coperta talmente militare che doveva aver fatto la guerra d'Abissinia, e s'incamminò verso la barca canticchiando una canzoncina dove si diceva d'imitare tali Bresci e Ravasciòl; forse, chissà, l'aveva scritta Alighiero Noschese.

La barchetta era lì, e sarebbe stata nel buio assieme alle altre se non fosse stato per una fotocellulata che la prese in pieno per due secondi. Aveva pure lei un nome, ma considerando che la usavano i nipoti (un ragazzo di vent'anni e un'altro di diciassette) per andare nelle calette dietro Capo Poro, tipo le Cavine, assieme alle pischelle, i loro genitori s'erano imposti sul nonno che la voleva chiamare Luisa Miscèl. Era stata quindi, orrore!, battezzata “Chicca”. Ogni volta che vedeva quel nome scritto sulla barchetta, il vecchio F. pensava che “Chicca” si poteva chiamare una gatta, non una barca; indi per cui, una gatta di casa, chiaramente tutta nera, era stata chiamata Luisa Miscèl, ché tanto i gatti il loro vero nome lo sanno solo loro -come ebbe a scrivere un certo Iliot, o Ilio, come Ilio Barontini che era un brav'omo anche se era comunista. Concedendosi un ultimo moccolo (U.M.), sistemò la roba nella Chicca e s'apprestò a spingerla in mare; quando udì un sussurro. Una voce d'omo, bassa bassa ma altissima al tempo stesso; diceva, “Shtare fermo, mi zerkano”. Il vecchio F. aveva, fortunatamente, la capacità di capire al volo. Si fermò subito e non disse mezza parola. Non era lui che doveva parlare; il sussurro si fece ancor più basso, e al tempo stesso ancor più alto. Disse, con uno strano accento: “Ascolta, non mancio da più t'un ciorno. Tu afere manciare ?”

Il vecchio F. si mise a sedere sulla rena e, dal sacchetto, tirò fuori i due panini con la frittata di pomodori che si era portato, passandoli a una mano nascosta sotto il telo della barca. Sentì mangiare una fame nera, e parlare una sete mortale anche se questa non aveva detto ancora nulla. Nel sacchetto c'erano due bottigliette, una piena d'acqua gassata e l'altra di vino bianco della sua vigna. Aveva, quel vino, sedici gradi e era torbo come quello avvelenato che la Donna Lombarda voleva far bere a suo marito becco. Passò tutto a quella mano, continuando a stare a sedere sulla sabbia e facendo attenzione all'elicottero.

Ascolta, fattene e non ti mettere in kuai”, disse la voce senza la mano. “Sono scappato ta Porto Zurro. Sono quello ke ha mazzato....”, e disse un nome che il vecchio F. capì molto male. Poteva essere la moglie, un impiegato dell'Agenzia delle Entrate o il presidente della Repubblica; il vecchio, in un istante, si decise a dire pure lui qualcosa dimolto sottovoce, e pure dimolto alta. “Non me ne vo. Senno so' peggio che morto.” Per un poì ci fu silenzio; l'elicottero stava puntando di nuovo il fanale in quella direzione, e era passata anche una pattuglia della stradale di Portoferraio. Forse andava a fare la multa agli ergastolani evasi. Quando tutto fu di nuovo al buio, il vecchio F. disse alzando il telo della Chicca per due centimetri: “Io 'un me ne devo andà, bambolo. Sei tu che te ne devi andà. Ti garba la pesca a bolentino?”

La mano era quella di Simon Altdörfer, da Caldaro sulla Strada del Vino, o meglio Kaltern an der Weinstrasse, provincia autonoma di Bolzano o meglio Südtirol; e la pesca a bolentino non sapeva nemmeno che cosa fosse. Aveva ammazzato, in modo squisitamente premeditato, il sindaco del paese, Wilhelm-Klaus Perathoner, per una questione amministrativa: lo aveva trovato a letto con la figlia di sedici anni e mezzo. Scontava l'ergastolo da otto anni e mezzo e sarebbe uscito di galera, come tutti sanno, il 99/99/9999. “Peska a kosa...?” “Lascia stare, amico. Ora la impari alla svelta. Fra du' minuti devo levà ir telo, ma se torna l'elicottero ti monto sopra. Capito?” La mano fece un cenno che voleva dire sì, e siccome le mani pensano, pensò che erano circa otto anni e mezzo che nessuno lo chiamava più amico, né Freund, né filos, né niente. Il vecchio F. spinse rapidamente la Chicca verso la battigia; poi la mise in mare, tolse il telo e saltò sopra sempre spingendola visto che a Marina di Campo, in quel punto, prima di trovare un metro d'acqua bisogna fare mezzo chilometro. Alla fine il vecchio F., quando l'acqua fu un po' più alta, saltò in barca e si mise a remare; in mezzo alle burrasche sul peschereccio Sacco e Vanzetti magari non era più buono, ma a remare sì; e in men che non si dica passò il molo a forza di braccia. Poi verso punta Bardella, all'estremità della spiaggia di Galenzana; si vedeva una finestra, una sola, illuminata alla Villa. L'ammiraglio era mattiniero. L'elicottero, invece, pareva essersi stufato e magari aveva pure finito il carburante. Dopo tre quarti d'ora di remata, mentre ancora si rifiutava d'albeggiare, il vecchio F. aveva trovato il punto giusto per buttare giù il bolentino; cominciò a infilare le esche, che puzzavano parecchio. Ai pesci, però, sembra che piacciano.

L'efaso altoathesino stava sempre giù e non parlava. Faceva pure parecchia fatica a parlare in italiano, però in galera aveva imparato ad esprimesi discretamente nel dialetto di Bitti (Nuoro), da un compagno che gli avevano messo in cella. Maledizione, poi; non si ricordava come si dice “jetzt” in italiano; gli ci volle un po'. “E ora...?”

E ora nulla, amico. Stai giù che devo pescare un po' e a bolentino si sta zitti”, rispose il vecchio F. Teneva la lenza arrotolata in modo strano tra il polso e le nocche della mano sinistra; non era mancino, ma trovava che a bolentino ci sentiva meglio con la mano del diavolo. Ora, anzi jetzt, sì che cominciava a albeggiare; volendo, il vecchio F. avrebbe potuto vedere che faccia avesse il criminale; non lo fece e non si voltò. Simon Altdörfer faceva il meccanico di motorini; in certi casi è bene che su una barca in mezzo al mare ci siano un meccanico e un pescatore. Ci fossero stati un professore di filosofia e un filologo germanico, avrebbero potuto pericolosamente convenire che si trattava di una situazione assurda, e dalle situazioni assurde si viene fuori non pensandoci nemmeno per un istante e, ancor meglio, non rendendosene conto. Il vecchio ritirò, all'improvviso, la lenza; a un amo aveva abboccato un prelibato scatolone di biscotti Ringo, fornitura per catering, buttato in mare probabilmente da un traghetto. Echeggiò la risata più silenziosa di questo mondo.

E ora...?”, ripeté all'improvviso l'efaso; “E ora”, rispose il vecchio, “si guarda spuntare il sole. E' il primo, e ci aiuterà, a tutti e due. Perché, sai, non ho due figli cretini; a volte cerco di fregarli, però il problema è che li ho tirati su parecchio furbi e lo sanno che io non mi accontento di fare le giratine sottocosta. Poi li ho tirati su senza un particolare amore per l'ordine costituito, sai amico. E li ho tirati su che è già la quarta volta, porcaccia della schifosa dell'eva, che cerco di andare a pescare a bolentino di nascosto, e che mi vengono a ripigliare col peschereccio. Poi stamani ti ci sei messo pure tu, e a pensarci bene ora ci ho pure una fame boia e mi hai mangiato e bevuto tutto, acqua e vino...”

Io...io stare strata del fino....”; Simon Altdörfer aveva capito la metà di uno che non capisce nulla, in quel che il vecchio gli aveva detto; solo che, dopo un'altra mezz'ora, bello al largo del Capo Poro, duecentoottantasette metri di profondità, il nove settembre di un anno che non mi ricordo, vicino alla Chicca comparve un peschereccio d'altura dedicato a un tizio di Torremaggiore e a un altro di Villafalletto; e questo vorrà pur dire qualcosa. “Babboooo !!!!”, urlo T.; il vecchio non si mosse mentre il grosso peschereccio, procedendo al minimo de' minimi, si accostava alla barchetta. “Un'altra volta! Ma lo sai se ti piglia una burrasca qui, testaccia di legno...?” L'altro figlio, R., non diceva nulla; era stato il primo a notare che nella Chicca c'era un'altra persona, e aveva capito immediatamente. Con una manata zittì il fratello, che aveva cominciato a dirne di tutti i colori al padre immobile, che non si guardava neppure intorno. Fu a R. che, alla fine, là in mezzo al mare che doveva pur pullulare, da qualche parte, di motovedette e altre belle invenzioni, disse poche parole secche: “Questo è scappato dal Forte. Lo cercano da stamani presto. Ora lo pigliate, vi mettete in assetto da gran pescata e fate un salto in Corsica. Di volata. Se non lo fate, vi ammazzo a tutti e due. E lo nascondete anche nel posto più merdoso, nella cella frigorifera, gl'infilate ventisei maglioni, fate voi. Di corsa e ci si vede stasera a casa. Se non tornate si vede che siete in galera anche voi e ci si vede fra qualche anno, i figlioli so' grandi, le mogli ve le tromba qualcun altro e ora andate.” Quando Simon Altdörfer fu fatto salire in due secondi sul peschereccio “Sacco e Vanzetti”, non si era nemmeno reso conto che lo stavano facendo scappare all'estero; “Che ne facciamo di questo, in Corsica?”, disse T.; “Lo lasciate da qualche parte vicino a un paese. Lo buttate in mare. Sai nuotare tu, amico?” “No...”, rispose; “Beh, tu impari, sennò crepi. Poi in Corsica so' cazzi tuoi, ti arrangi, tu provaci e vedrai che ce la fai con du' soldi che ti danno questi due e magari anche una cosina che hanno a bordo e fa pum pum. Ce la avete sempre, no...?”

S'era fatto giorno pieno, e era ora di tornare a casa. Ci aveva, il vecchio F., da affrontare la moglie e spiegarle un po' di cose, tipo che i figli avevano deciso d'andare a pescare in Corsica. Nulla di strano; altro che Corsica, col Sacco e Vanzetti qualche volta erano arrivati in Sardegna e fra poco facevano a fucilate coi pescatori del posto, che non sono molto accomodanti coi forestieri. Per questo motivo, a bordo, di cosine che fanno pum pum non ne avevano una sola. Il primo sole aveva fatto strada al secondo, che picchiava nonostante il settembre, e non c'era ombra; il vecchio F., sudando, tornò a remi alla spiaggia senza aver preso nemmeno un pesce. La lenza Tubertini si era tutta attorcigliata e per sbrogliarla ci sarebbe voluta una razione supplementare di moccoli; lo scatolone dei Ringo era rimasto sulla barca, disfatto, e, come se non bastasse, sulla spiaggia si accorse che lo aspettavano due gendarmi a cavallo. Pure quelli avevano chiamato. Con calma rispinse la Chicca dove stava e i due gendarmi, stando in sella, gli fecero qualche domanda.

Senta, è lei S.F.?”
Sono io. Desiderano?”
E' sua la Bianchina targata Piacenza parcheggiata in piazza da Verrazzano...?”
E' mia. Qualcosa non va?”
C'è già un ordine di rimozione forzata. Se si sbriga a toglierla, forse se la cava con una multa e basta...”
Accidenti!”, e si tirò un finto nocchino sulla fronte perché se fosse stato vero si sarebbe suicidato. “Corro! Vi ringrazio per la gentilezza! Posso solo una domanda...?”
Ma prego.”
Come mai c'era tutta quella confusione stamani presto presto...? Posti di blocco, l'elicottero...Uscivo a pescare e non so nulla...”
Eh...è evaso un assassino da Porto Azzurro. Per caso ha notato qualcosa di strano...?”
Io? No....”
Stia attento, quello è uno pericoloso. Corra adesso, sennò le portano via la macchina!”

Fece, il vecchio, una specie di sorriso. Così imparavano a disturbagli la pesca con quel cazzo di elicottero. Così imparavano a mettere la gente all'ergastolo. Ci aveva, però, una fame che si sarebbe mangiato un bove con tutte le corna; evadessero, porca puttanaccia, portandosi dietro almeno tre panini e un tetrapak di Tavernello; invece no. Gli era pure toccato versare il vino e spezzare il pane a chi diceva ho sete, ho fame; andò a ripigliare la Bianchina e, poi, dal Bertelli a farsi mezzo chilo di schiacciata all'olio. La sera, al penultimo sole quando sarebbero tornati i figli, ci sarebbe stata, a casa, una burrasca peggiore di quella di qualche anno prima; aveva dei figlioli meravigliosi.