giovedì 16 ottobre 2014

Et por ce reposer n'osons



Il romanzo Yvain il Cavaliere del Leone (Yvain ou le Chevalier au Lion), scritto da Chrétien de Troyes tra il 1170 e il 1180, è un poema cavalleresco il cui protagonista, Yvain, deriva dal personaggio storico di Owain mab Urien.

Nel poema, Yvain cerca di vendicare il cugino Calogrenant sconfitto da un cavaliere nella foresta di Brocelianda. Yvain uccide questo cavaliere, Esclados, e si innamora della sua vedova, Laudine. Con l'aiuto della damigella di Laudine, Lunete, Yvain riesce a sposarla, ma Gawain lo convince a imbarcarsi in un'avventura cavalleresca. La moglie acconsente, a patto che lui ritorni dopo un anno, promessa che però Yvain non mantiene cosicché lei lo respinge. Yvain si infuria ma alla fine decide di riconquistare l'amore della donna. Egli salva un leone da un serpente, dando poi in seguito di virtù cavalleresche e di lealtà con l'aiuto del felino. Alla fine Laudine permette a lui e al leone di tornare nella fortezza.

La fonte di Chrétien per il poema è ignota, ma la storia ha molti punti di contatto con l'opera agiografica sulla Via di san Mungo (anche conosciuto come san Kentigern), secondo cui il santo sarebbe stato figlio di Owain mab Urien e della figlia di re Lot del Lothian. Le somiglianze suggeriscono che le due opere hanno una comune fonte latina o celtica. Yvain ha avuto un grande impatto sulla letteratura mondiale: il poeta tedesco Hartmann von Aue lo usò come base per il suo Iwein e l'autore di Owain, o la dama della fontana, uno dei romanzi gallesi compresi nel Mabinogion, rimanda l'opera indietro a un background gallese. Il poema esiste in diverse versioni in differenti lingue, compreso l'Ywain and Gawain in inglese medio.

Nel poema, non separato dal resto della narrazione, è contenuto un documento stridente e unico nel suo genere. E' un canto di operaie della seta, filandiere di quei tempi lontani che, nel loro lamento, descrivono le terribili condizioni delle lavoratrici dell'epoca. In tutto questo è necessario, ovviamente, mettersi in un'ottica preindustriale: in pieno Medioevo, la lavorazione della seta (un tessuto pregiatissimo e di lusso, riservato esclusivamente alle classi dominanti) era artigianale e affidata esclusivamente alla mano umana (ancora non si erano sviluppare le gualchiere mosse ad acqua, un'innovazione più tarda che prefigura già una delle prime situazioni protoindustriali). Ciononostante, nei versi del canto si riflettono le condizioni che già allora avevano gli strati più bassi dei lavoratori manuali, i laboratores; la massa della manodopera salariata che non godeva di alcuna protezione corporativa, riservata ai servitori delle corporazioni.



“Manovali affidati al caso del mercato della manodopera” -scrive Le Goff-, “gregge riunito quotidianamente sulla piazza di assunzione (la Place de Grève a Parigi), dove i datori di lavoro o i loro mandanti venivano ad attingere proletariato continuamente in preda alla disoccupazione”. Le Goff parla dell'Europa del XII secolo, e davanti agli occhi abbiamo il caporalato attuale. Abbiamo davanti le operaie clandestine dei “laboratori” in nero, una realtà tuttora ben presente. Abbiamo davanti le ragazze della Triangle Shirtwaist Company, e ci si può domandare se il Medioevo sia mai terminato. Alla fine del XII secolo, le operaie, in quanto proletarie e donne, costituivano la categoria inferiore delle categorie inferiori, messe all'ultimo posto nella “classifica” effettuata da Giovanni da Friburgo nel suo Confessionale. Scrisse un altro famoso storico, il polacco Bronisław Geremek, che il lavoro e il lavoratore erano diventati una merce; praticamente la situazione attuale.

La voce di quelle sconosciute operaie di più di ottocento anni fa affiora da un luogo forse sorprendente, un poema cavalleresco che formava una sorta di “letteratura popolare” largamente diffusa e non tramandata esclusivamente per via scritta (del resto inaccessibile alla stragrande maggioranza della popolazione); e affiora in una maniera cruda, dando la parola perdipiù a delle donne lavoratrici, ultime degli ultimi. Non a caso, molti secoli dopo, i "canti della filanda" avranno gran parte nel dar voce a lavoratrici le cui condizioni non erano mutate nel tempo.

Da quei tempi remoti esce fuori un canto disperatamente modernissimo: nel bel mezzo di un poema di favolose avventure e cortesi tenzoni amorose, questa voce dissonante dove delle donne, delle operaie, parlano di condizioni di lavori durissime, di salari da fame (espressi precisamente con le loro cifre), di miseria, di nottate e giornate intere al lavoro, del padrone che si arricchisce sulla loro pelle, di minacce fisiche ("la ruota" era una comune tortura). Quando si parla di attualità del Medioevo!



TOZ JORZ DRAS DE SOIE TRISTRONS

Toz jorz dras de soie tristrons
ne ja n'an serons miauz vestues.
Toz jorz serons povres e nues
e toz jorz fain e soif avrons;
ja tant gaeignier ne savrons
que miauz an aiiens a mangier.
Del pain avons a grant dangier,
au maint petit et au soir mains;
que ja de l'uevre de noz mains
n'avra chascune por son vivre
que quatre deniers de la livre.
Et de ce ne poons nos pas
assez avoir viande et dras;
car qui gaaigne la semainne
vint souz, n'est mie fors de painne.
Et nos somes an grant poverte,
s'est riches de nostre deserte
cil por cui nos nos traveillons.
Des nuiz grant partie veillons
et toz les jorz por gaeignier;
qu'an nos menace a maheignier
des manbres, quant nos reposons,
et por ce reposer n'osons.

TUTTI I GIORNI DRAPPI DI SETA TESSEREMO

Tutti i giorni drappi di seta tesseremo
ma non ne saremo vestite meglio.
Tutti i giorni saremo povere e nude
e tutti i giorni fame e sete avremo;
e non potremo mai guadagnare tanto
di che aver di meglio da mangiare.
Di pane ne abbiamo con gran pericolo,
la mattina poco e la sera di meno;
poiché dal lavoro delle nostre mani
ognuna non ne ricaverà per vivere
che quattro denari di una lira.
E con questo non possiamo
aver di che comprare carne e stoffa;
perché con un salario settimanale
di venti soldi, non si esce dagli affanni.
E noi siamo in grande povertà,
però si arricchisce con la nostra fatica
colui per il quale lavoriamo.
La maggior parti delle notti vegliamo
e poi tutto il giorno per guadagnare;
e minacciano di mettere alla ruota
le nostre membra, quando riposiamo
e così riposare non osiamo.