giovedì 26 marzo 2015

Apri la porten, kazzen!




C'è pure il video che spiega come funzionano, al giorno d'oggi, le porte delle cabine di pilotaggio de' rioplàni. Più facile uscire da Alcatraz, a quanto pare; sono le proceduren di sikurezzen che sono state rafforzate dopo l'undici settembre. Perché, va da sé, se si monta su un aeroplano -avarie a parte-, è gioco forza crepare di terrorismen. Salgono due tipi strani, e a un certo punto tirano fuori un paio di pistole, un taglierino, una bomba a mano, un micidiale panino di McDonald's, quello che vi pare, entrano in cabina di pilotaggio e bùùùùmme, non di rado in nome di Allah o del suo Profeta. Quel che è successo sulle montagne dell'Alta Provenza, invece, apre scenari del tutto nuovi e inaspettati; o beccàtevela un po', la sikurezzen, ora. 

In fondo, c'è quasi un sottile piacere quando si monta su un bestione de' cieli; pensare che, tra i passeggeri che siedono assieme a te nel lungo viaggio ci potrebbero essere, e perché no, i terroristi che ti fanno saltare in aria. Quei due simpatici signori dall'aria mediorientale (che magari sono di Battipaglia), quel silenzioso e timido ragazzo, quella giovane mamma con dei ringonfiamenti sospetti in punto vita. Ma che si va mai a pensare; già dagli aeroporti, oramai, salire su un aeroplano fa tornare immediatamente la voglia dei vecchi transatlantici (o bastimenti) o dell'Orient Express. E' un delirio di controlli, di procedure, di metal detector, di divieti tassativi, di cani addestrati, di trattenimenti preventivi, di comunicazioni con la NSA, di formulari, di check in, check out, check bepp, di bagagliammàno. Oh, meravigliosi trenini regionali Firenze-Livorno che viaggiano con centosette minuti di ritardo, ci scusiamo per il disagio! Deh, indimenticabili traversate su traghetti sgangherati che ci mettevano du' ore e mezzo da Piombino a Portoferrajo! Commovente linea 44 da Piazza Pier della Francesca a Ugnano, che sono due continenti diversi. Mi piacerebbe sapere che accidente viaggiate a fare, ora come ora; tanto ve ne state incollati & inebetiti allo smartphone, che andiate in nuova Zelanda o a Pontedera. 

Se andate in Nuova Zelanda, però, c'è il diversivo dei terroristi. E' un pensiero che tiene compagnia e fa passare più velocemente il tempo; il giochino della sottile paura unito alla constatazione di sentirsi al sicuro, perché su un aereo oramai non si può portare con sé nemmeno uno stecchino da denti. Figuriamoci se si va a pensare, che so io, al copilota che gli girano i coglioni per affari suoi; per definizione, i piloti degli aeroplani sono persone equilibrate, vengono valutati in ore di volo, sono percepiti come fascinosi e c'è tutta una casistica di barzellette da caserma sulle loro relazioni con le hostess. Poi, un bel giorno qualsiasi, te ne vai da Barcellona a Düsseldorf su un volo low cost di una compagnia controllata dalla Lufthansa (sinonimo di perfezione, sicurezza e professionalità senza pari), e ti becchi il giovane copilota tedesco Andreas Lubitz, 630 ore di volo e una gran voglia di passare alla storia giocandoti un tiro non solo parecchio brutto, ma anche e soprattutto non contemplato dagli apostoli della sicurezza.

Al comandante scappa una pisciatina, e quella pisciatina diventa il confine tra la vita e la morte. Usufruendo del rigorosissimo sistema di sicurezza per la procedura di apertura e chiusura della porta del cockpit (che dovrebbe tradursi come "buca del gallo", e forse anche come "buca del cazzo" - e nel caso dell'Airbus propenderei per quest'ultima traduzione), il copilota Andreas Lubitz si barrica dentro mentre il comandante Patrick S. tenta, disperato, di scardinare l'inscardinabile. Sì, perché il copilota Andreas Lubitz, che -chissà- lo aveva lasciato la fidanzata oppure era stressato oppure ci aveva una vertenza sindacale oppure era membro della Santa Chiesa degli Ultimi Martiri dei Carciofini Sottolio oppure gli avevano diagnosticato una grave malattia con due mesi di vita oppure ci aveva il cervellino un po' bacato oppure chissà cosa, ha deciso di starsene rinchiuso lì nel cockpit e di azionare il dispositivo di discesa rapida per schiantarsi sul Monte dei Tre Vescovi, in Alta Provenza. Pòle un pilota d'aeroplani decidere d'ammazzarsi in volgarissimi modi, mettendosi una corda al collo, sparandosi una revolverata o buttandosi da un quarto piano se proprio vuole crepar volando? Vuoi mettere schiantasi su una montagna con un Airbus? Sì, va bene, d'accordo, ci sono soltanto una centocinquantina d'altre persone che moriranno assieme a me, che vuoi che sia, mal comune mezzo gaudio. 

E così, alla graziosa cantante lirica in viaggio con la famigliuola, alla scolaresca del liceo tedesco in viaggio di scambio, alla schiera di imprenditori e manager che vanno a Düsseldorf per lavoro (e già decedere in un viaggio di lavoro è dura, ma persino per andare in quel troiaio di Düsseldorf...), all'attivista australiano per i diritti dei gay, alla massaia catalana coi figli in Germania, alla hostess con la divisa nuova nuova e pure al comandante reduce dalla sua pisciatina, è toccato morire non per il jihadista a bordo, non per il terrorista che si vuole schiantare sulle Torri Gemelle o sul Pentagono, non per tutta quella serie di cose che hanno messo in atto la fuffa planetaria della sicurezza, ma per uno Skettinen con intenti suicidi. La versione aviatoria del pensionato che apre il gas e fa esplodere tutto lo stabile. Povera gente, che a morire proprio non ci pensava neanche, e che invece ha dovuto farlo in un modo ridicolo, anche se altamente istruttivo.

Penso al comandante che prende a mazzate la porta ultrasicura, gridando aprila, kazzen!; e al copilota Lubitz che, in silenzio e respirando normalmente, vede avvicinarsi le montagne. Un ragazzo discreto e felice, come ce lo stanno descrivendo, che aveva il sogno di volare. Sarà perché ho sempre diffidato, e parecchio, da chi ha il sogno di volare. A me piace veder volare gli uccelli, un semplice passerotto di pochi centimetri vale da solo tutti gli aeroplani di questo mondo e, al massimo, ti scarica una cacatina sul capo. Con la coscienza piena, però, che quella cacatina potrebbe anche contenere un gravissimo germe patogeno che ti manda al Creatore in tre mesi; di sicurezza non ce n'è, mai. La sicurezza è come quelle famose cinture obbligatorie che non si sganciano mentre la macchina prende fuoco o penzola in bilico su un precipizio. La sicurezza è come quel suo famoso fratellino, il securitarismo, che ti muore contento e incarcerato mentre peraltro pure tu ti muori da solo credendo d'essere finalmente al sicuro.

Sulla psicologia del Lubitz, di quel ragazzo tranquillo col sogno di volare, si potranno naturalmente fare tutte le ipotesi possibili. Si potrà dire, e si dirà, tutto e il contrario di tutto; non è certo il primo ragazzo tanto discreto e calmo che combina i peggiori disastri, e non sarà l'ultimo; del resto, anche la sua planata sulle montagne sembra essere avvenuta nella massima calma e tranquillità, mentre il comandante se ne stava là fuori a non farsi aprire e i passeggeri cominciavano a urlare. Ma sarà bene parlare anche di una certa porta arcisicura, di quella porta talmente antirerrorismo da non riuscire a farsi aprire neppure dal comandante. Di tutta questa gran sicurezza che chiude tutto dall'interno, senza nessuna possibilità di dare accesso. Di dispositivi che escludono anche i sistemi di apertura di emergenza. Di tutto ciò che, insomma, in nome della sicurezza ha fatto sì che quel cazzo di porta, chiusa dal tranquillo copilota tedesco Lubitz, non si aprisse più; e, se tanto mi dà tanto, i disgraziati passeggeri dell'Airbus devono la loro morte più a tutto questo che ai neuroni del giovanotto di Montabaur (Renania). Devono la loro morte al fatto che la prima domanda che è stata posta a proposito del copilota, sia stata relativa alla sua religione e alla sua etnia. Devono la loro morte, in ultima analisi, pure loro al terrorismo. Al terrorismo della sicurezza ad ogni costo. Al terrorismo delle impenetrabili porte chiuse. Al terrorismo impalpabile dell'idiozia securitaristica, dalla quale dovremmo guardarci molto di più che dall'ISIS.