mercoledì 24 febbraio 2010

Il sassolino rosso


Il piazzale del posto dove lavoro è un ammasso di strati di ghiaia. Poiché non è mai stato asfaltato, per evitare che periodicamente diventi una fangaia viene chiamato un camion carico di ghiaia da un deposito convenzionato, e viene sparsa poi con delle pale. Con l'andirivieni continuo delle ambulanze e degli altri mezzi, i sassolini, piano piano, prima si compattano, e poi affondano. Se qualcuno scavasse, vi troverebbe ventitré anni di ghiaia; il primo strato, oramai, dev'essere a una profondità di parecchi metri.

In questo momento, e sono andato persino un momento a controllare, siamo in una fase mediana. La ghiaia compattata resiste nelle zone laterali, quelle meno battute; al centro, dove passano e ripassano gli automezzi, è già un pantano. Presto dovrà arrivare di nuovo il camion, e si aggiungerà un altro strato; quello precedente verrà inghiottito, ed il primo scivolerà ancora più in basso.

In un angolo sperduto, dietro la tettoia, resiste un sassolino. Uno solo. Nessuno sa dove sia di preciso, tranne me: è perché ce l'ho messo io, in quel posto dove nessuno lo potrebbe mai trovare. È colorato di rosso, col pennarello. Quando il colore sbiadisce, lo vado a ripassare e poi lo rimetto dov'era. È un sassolino del primo strato. Mi venne quella strana idea nel maggio del 1987, meno di un mese dopo che l'associazione si era trasferita nella sede dov'è ancora oggi. Non appena fu data quella prima passata di ghiaia, una mattina che ero solo presi un sassolino qualsiasi, gli feci il trattamento di cui ho parlato prima e lo andai a mettere in quel posto dove nessuno va mai. Da allora è sempre lì.

Lo vado a "trovare" spesso, il sassolino rosso. Come se avessi qualcosa da dirgli, da raccontargli. Come se anche lui ne avesse. Premurandomi di non essere mai visto da nessuno, lo prendo in mano e me lo rigiro un po'; poi lo rimetto dov'era. A volte lo copro con un po' d'erba, certo comunque di ritrovarlo; la consuetudine è oramai tale che lo troverei anche a occhi chiusi, o nel buio più fitto.

A questo punto, magari, chi legge si attenderà un qualche paragone; com'è, altrimenti, che uno si metterebbe a raccontare questa storia vagamente assurda? Un paragone con qualcosa della vita, con i ricordi affidati a un sassolino colorato, e forse addirittura con quel che il sassolino avrebbe "visto" in tutti questi anni. Ho sempre trovato ridicolmente deliziosa la storia degli oggetti che "vedono"; l'ulivo millenario, la casa diroccata, qualsiasi cosa. Il bello è che, spesso, ci si convince della cosa, ci piace convincersene. Quel sassolino, che magari avrà pure centinaia o migliaia di anni, ha quindi "visto" ventitré anni del luogo dove mi trovo; e sono io che, a volte, vedo attraverso di esso.

Scorre tutto nella testa. Facce, avvenimenti, voci. Qualcuno non c'è più. Come sentire dei passi, degli aliti. Come sentire qualcosa che batte. Qualche volta, se in terra non è bagnato, dopo aver riposato il sassolino rosso mi metto a sedere per due minuti cercando di fare attenzione ai gesti che faccio. Se mi prendo la testa fra le mani, o se fisso un punto qualsiasi. Non è nulla di cosmico. Non sento sopra di me nessun cielo, nessun universo. Nessun pensiero elevato mi passa per la testa. Sono soltanto solo col mio sassolino, e con i miei strati di non so che cosa. Ogni giorno qualcosa spinge il primo sempre più in fondo. Ogni giorno un camion che arriva. Ogni giorno palate.

Mi chiedo a volte se un sassolino del mio primo strato sia stato salvato, colorato in rosso e messo in una parte di me dove nessuno lo possa trovare. Vorrei, spesso in quei due minuti in cui sto a sedere dietro la tettoia, che fosse quel presunto sassolino a rappresentarmi, a dire chi ero, a far vedere com'ero prima che si accumulassero strati su strati. Ma non c'è. Non ho nessun sassolino. Aspetto quindi nuovi camion. Nel frattempo la notte avanza, e i rumori delle macchine si fanno sempre più radi. Un altro giorno e un altro strato se ne sono andati. In questo preciso momento ti stanno amando e odiando, tutti coi loro strati e coi loro sassolini, rossi o di altri colori. In questo preciso momento il sassolino rosso si illumina di una luce che sai solo te, e comincia a soffiare una bava di vento che somiglia ad un filo tirato fra due punti. Ad un ponte. E ti ci attacchi a quel filo o a quel ponte; ti ci sospendi. Sotto c'è un fiume; ad un certo punto ti lasci andare. E il fiume ti inghiotte.

Ti ritrovi con il culo per terra, accanto al sassolino rosso. È lì. Ti alzi e te ne vai, scuotendoti la terra o la mota dai pantaloni. Scuotendo il capo con una specie di sorriso che assomiglia a un ghigno. Ed è proprio in quel momento là che, un giorno.