lunedì 4 luglio 2011

Succo di mela


Quando sorto da una notte a lavorà, ci ho di solito parecchia fame. Quegli oramai non tanti che mi conoscono sanno perfettamente cosa voglio dire, e che senso dare all'aggettivo indefinito parecchia. Capacissimo di infilarmi nel primo bar pasticceria che mi capita a tiro, e lasciarci quindici euri fra tramezzini, spume e caffè; e il bello è che, nell'ultimo anno e mezzo, ho perso circa quindici chili di peso. Sarà, forse, che tirare giù vecchie di ottantacinque chili dai terzi piani alle tre di notte e gli è una bella palestrina; o fors'ancora perché ho un metabolismo tutto a modo suo, e fors'ancor di più perché, tutto sommato, smuovere il culo dalla sedia dove facevo il gran traduttor de' traduttor di Polimèro mi ha fatto bene sia al fisico che alla capa. Però mi garantiscono che vedermi mangiare è sempre un discreto spettacolo; c'è persino chi ha rallentato cene e pranzi in mia presenza perché lo influenzo e gli fo mangiare il triplo del suo solito. E così lui ingrassa, e io dimagrisco.

Questo il classico e lungo preambolo alla Venturik. Quasi sempre la piglio molto larga. Fatto sta che stamani, uscito dal turno di notte a base di marocchino ai giardini che si è fatto sí una Heineken, ma sul viso, di vecchia d'anche più di ottantacinque chili cascata dal letto mentre andava a pisciare e d'altra vecchia che non respirava (quarto piano: le vecchie che non respirano non stanno mai al pianterreno), ci avevo una famuccia delle mie. Tornando a casa, e passando per un periferico quartiere e popolare, dotato di centro commerciale naturale (a mio modesto parere l'inventore di tale espressione meriterebbe di essere messo a remare a vita su una galea granducale, ma lasciamo stare), ho parcheggiato la macchina e sono entrato con piglio deciso nel bar. Ci ero già stato altre volte, i panini e il caffè sono buoni, e lì a due passi c'è una vecchia e meravigliosa lapide che ricorda la lotta del quartiere contro il nazzifascismo. Sí, con due zete e non state tanto a sottilizzare: in realtà, parole come nazista, nazismo eccetera si scrivono con una zeta ma si pronunciano con due. L'ortografia è una convenzione, e manco poco fascista.

Neanche faccio in tempo a entrare nel bar, che sento la seguente conversazione tra il barrista (stesso ambiente fonetico del nazzista) e un cliente non attempato:

- Ma fanno proprio bene a bastonàlli tutti in Vardisusa!
- Sí, ma poi icché vogliano 'sti bleck blocche...io li manderei a Napoli a spalà la spazzatura!
- Ma lì 'un ci vanno miha...lì c'è da lavorà, brutti pelandroni...e gliela dare' io la Vardisusa...!
- Sì come quell'artro che gni spararono a Genova...dovevano sparagni a tutti anche lì...
- Comunque a Napoli so' tutti una massa di zozzoni...vedrai se 'un gni piglia i' colera anche stavorta...!

Avete presente cosa vuol dire bloccarsi su una soglia? Ecco, io non ce l'ho fatta. Avevo già preso l'abbrivo, pronto a lasciare in quel bar una somma imprecisata di quattrini. Il gentile barrista mi aveva già dato il buongiorno. Buongiorno una sega, brutto sudicio. Così, davanti a lui e agli avventori, ho sfoderato un sorriso a trentotto denti, non ho detto una parola, ho voltato il culo e sono uscito. Immaginarsi la scena alla sua reale velocità: è durata nemmeno cinque secondi. Certo, il bar è assai frequentato, il quartiere avrà sicuramente votato in massa ai referendum, il PD avrà la maggioranza assoluta, c'è il centro commerciale naturale e pure la lapide contro il nazzifascismo. Pero', n'i' bàrre, si fanno discorsini del genere, ovviamente con la Nazzione (altro ambiente fonetico, e non solo fonetico, identico a nazzista) bella aperta sul tavolino. Allora, a quel bel bar coi panini buoni, e gli si farà mancare una colazione che si prennunciava più che cospicua; e non ci si metterà più piede nemmeno per sbaglio. Mi è passata la fame, all'improvviso. Mi devo essere immaginato di pigliare quei due, di infilar loro una carota nel culo e di rosolarli a fuoco lento.

Poco più in là c'è un tabaccaio che vende anche birra e bibite. Siccome mi mancavano le sigarette, ne ho approfittato per bermi un succo di mela bello fresco. Col bicchierino di carta e tutto quanto. Il succo di mela è buono e fa bene. E magari, se tutti quanti cominciassero a disertare i luoghi dove il popolo va a bere caffeini e idiozia, alternando forche e pallone, montolivi e black bloc, prìncipi di merda che vanno sposi e lacrimogeni, cervelli all'ammasso e televisioni, non sarebbe mala cosa. E me ne son tornato a casa col sapore del succo di mela in bocca, e quel succo sapeva di non poche altre cose, ed era alla salute di quella gente lassù. Chissà, forse un montanaro valsusino deciderà di andare, durante una gita a Firenze, a fare colazione in quel bar; e sarà düra. Non per lui, ma per il barista.