"Resurrezione" era, come recitava il suo sottotitolo, un "racconto probabile con Piero Ciampi". L'ho scritto a Friburgo, in Svizzera, tra l'11 agosto e il 12 settembre 2005 postandolo, via via, su una mailing list di cui facevo parte (alcune persone che la frequentavano appaiono, più o meno camuffate, nel racconto). In seguito ne fu fatta addirittura una "sontuosa edizione" su un file .pdf pubblicato dalla "Brigata Lolli". D'accordo; però su questo blog non c'era mai stato. Nei giorni scorsi mi è capitato di tornare un paio di giorni a Livorno, per una cosa che magari vi dirò un'altra volta; il fatto è che questa cosa si teneva proprio nel quartiere dove ho abitato per anni, e dove peraltro si svolge buona parte del "racconto probabile". Mi è venuta quindi voglia di riproporlo, senza cambiarne una virgola; tra chi legge questo blog forse qualcuno se ne ricorderà almeno vagamente, ma presumo che i più non lo avranno mai letto. A questi ultimi dico che il Piero Ciampi che vi compare ha parecchio del sottoscritto e della sua storia, quasi ne fosse un bizzarro alter-ego, e che il racconto deve naturalmente essere riferito, nelle sue vicende, a qualche anno fa. Si tratta di una cosa in gran parte endogena, nata da ricordi e, senz'altro, dalla lontananza e dalle nostalgie insopprimibili che avevo in un posto che era molto più lontano della semplice distanza in chilometri; ma è anche, a modo suo, uno spartiacque tra un "prima" e un "dopo". Altro proprio non saprei né vorrei dirvi; il racconto, originariamente, era diviso in venti capitoli. Ripubblicandolo sul blog, ho deciso che ogni post ne contenga due alla volta. Rispetto sia alla pubblicazione "nuda e cruda" sulla mailing list che a quella sulla "Brigata Lolli" (che pure fu, nei limiti del possibile, "riccamente illustrata"), questa volta mi posso permettere l'iconografia multimediale che avrei voluto allora, senza averne la possibilità. Buona lettura, o rilettura, a chi vorrà.
RESURREZIONE
Racconto probabile con Piero Ciampi
di Riccardo Venturi
scritto a Friburgo (Svizzera) tra l'11 agosto e il 12 settembre 2005
1.
Piero Ciampi morì a Roma il 19 gennaio 1980. Risorse
inaspettatamente alle cinque di mattina del 18 novembre
2005 a Livorno, alla vecchia stazione di servizio
dismessa dell'Api (con Api si vola) in via dell'Antimonio; non
c'era nessuno. Lo videro solo tre vecchi distributori arrugginiti,
quello per la super, quello per la normale e quello
per il gasolio, la tettoia che perdeva sempre più pezzi e il
baracchino coi vetri sfondati che faceva da rifugio ai gatti
della zona. Lo videro le erbacce tirarsi su mezzo intontito
da un terrain vague che il comune aveva delimitato con il
nastro di nailon bianco e rosso; aveva addosso una giacca
marrone senza un bottone e dei pantaloni troppo corti,
da acqua in casa. Spettinato lo era sempre stato; le scarpe
ordinarie, coi tacchi; aveva sete. Una gran sete. E
aveva anche fame, ma in sottordine.
Secondo me se lo aspettava, che un giorno sarebbe
risorto. Era morto a quarantasei anni, più di venticinqu'anni
prima; troppo pochi, budello d'eva. E furono proprio
un cosmico budello d'eva le sue prime parole da
risorto; le disse rivolto a un pannello del Crodino che
stava ancora nel baracchino del distributore, oramai
quasi tutto stinto, ma dove si vedeva ancora una parvenza
di bottiglietta e ancora si leggeva lo slogan dell'analcoolico
biondo. Il Crodino strinse le spalle e gli mormorò
uno "scusa Piero, mi dispiace"; aveva capito che
non era un analcoolico quel che Piero desiderava per
accalmare la sua sete d'un quarto di secolo da morto.
Si ricordava di tutto, Piero, di tutto quel che aveva fatto
in quel periodo. Di dov'era stato. Di chi aveva visto e
incontrato. Di chi aveva amato e odiato. Ma non voleva
ricordarsene, ancora. Ora doveva cercare qualcosa da
bere e da mangiare.
Essere morti, in fondo, è comodo. È comune. A volte
persino vantaggioso. Sicuramente Piero aveva
avuto in sorte d'essere più conosciuto da morto che
da vivo, ad esempio. Gli avevano intitolato un premio,
a Livorno. Addirittura una via, sulla collina di
Montenero, vicino al santuario. Si erano scritti libri
su di lui. Si costruivano siti internet sulla sua vita e
sulle sue canzoni. Ma tutto questo Piero non lo
sapeva affatto; non lo sapeva, perché in tutto quel
periodo era stato morto. Essere risorti, invece, è un
bel casino; che doveva fare? Presentarsi in città,
andare a vedere se gli fosse rimasto qualche amico
vivo e dirgli "oh, ciao, so' Piero"? Minimo lo avrebbero
preso per un pazzo mitomane, per uno che gli
somigliava talmente tanto da desiderare di giocare
una beffa atroce a mezzo mondo. E che avrebbe
detto? "No, guardate, vi sbagliate, io sono Piero
Ciampi, di professione poeta come sta scritto sul
mio passaporto rilasciato in data ******, nato a Livorno il
28 settembre 1934, morto a Roma il 19 gennaio
1980 e se so' risorto unn'è còrpa mia, dé, e se un
mi credete vardate 'n po' d'andà affanculo?" Lo
avrebbero messo in manicomio seduta stante, dato
che Piero ignorava anche che i manicomi non esistevano
più.
L'unica era fare finta di essere un altro. Un altro di cui,
magari, qualcuno avrebbe detto: toh, ma guarda quello
come somiglia al povero Piero. Perché, oltretutto, era risorto
a quarantasei anni; si strinse la giacca addosso, si sgranchì
le gambe e cominciò a rendersi conto di dove si trovasse.
Proprio mentre cominciava a schiarirsi, passò una pattuglia
dei carabinieri che lo vide sortire dall'area del distributore
dismesso; un gesto sicuramente assai sospetto.
Erano le sei e un quarto.
L'appuntato Michele Musumeci, di Trapani, e il brigadiere
Josef Kellner, di Merano, entrambi distaccati
presso la vicina stazione di via Mastacchi, percorrevano
la strada in pattuglia a bordo di una fiat Uno mezza
scassata. "Guarda quello lì", fece l'appuntato
Musumeci al collega; "Er muss gesoffen sein", gli rispose
il brigadiere Kellner in tedesco, senza pensarci, la
sua lingua materna.
"Eh?"
"Scusa, dev'essere ubriaco. Dai, andiamo a vedere."
Si avvicinarono all'uomo che stava ancora immobile, in
piedi, mezzo intirizzito. "Problemi, capo?"
Piero Ciampi
lo guardò con un'aria indefinibile e uno sguardo definibile
soltanto da Piero Ciampi, e gli rispose:
"No, no, sto
bene".
"Ce li hai i documenti?"
Piero si frugò in tasca. Sentì un portafoglio, e lo prese
meccanicamente. Lo aprì; c'erano diecimila lire e la
carta d'identità. Porse tutto ai due militi.
"Ciampi Piero, residente a Roma in via Macrobio
29...signor Ciampi, ma ci è o ci fa? Questa carta didentità
è scaduta nel 1982!"
"Sì, lo so, è che non ho avuto tempo...lasci perdere,
lasci perdere, è una storia troppo lunga."
"D'accordo, ma se lei risiede a Roma, cosa ci fa a
Livorno alle sei di mattina in un distributore dismesso?"
"Guardi...guardi che io so' di Livorno. So' venuto a trovà
de' mi' amici. Non ho fatto nulla di male."
"E chi ha detto che lei ha fatto qualcosa di male?
Aspetti comunque, che controlliamo per radio..."
Piero Ciampi si sentì raggelare; se avessero controllato
per radio, avrebbero scoperto che Piero Ciampi,
residente in via Macrobio 29 a Roma, era defunto da
venticinqu'anni e rotti. Magari lo avrebbero accusato
di furto di documenti, o addirittura di assassinio, e lo
avrebbero messo in galera. Ma quando si risorge, ci
dev'essere qualcosa nell'aria. Qualcosa che fa guastare
anche la radio di una pattuglia dei carabinieri.
"Michele, non c'è nulla da fare. E' morta. Partita.
Kaputt."
"Impossibile!"
"Ti dico che non funziona. All'improvviso. Dobbiamo tornare
in centrale, e di corsa. Non si può stare in giro
senza contatto radio. Dai, lascia perdere quel poveraccio
e sali in macchina."
"Guarda che mica mi convince tanto, quello. Ha una
carta d'identità scaduta nell'82. E poi sapessi cos'ha
nel portafoglio..."
"E che ci ha nel portafoglio? Droga?"
"No, ci ha diecimila lire."
"Diecimila lire?"
"Sì, diecimila lire, lire, li-re, capito? Tutte spiegazzate.
Come te lo spieghi?"
"E che ne so...magari ce le tiene come portafortuna,
non è il primo che fa una cosa del genere, sai..."
"Mah...sarà..."
"Senti, chi se ne frega, non lo vedi che non farebbe
male a una mosca? Dai, su, monta."
"Va bene, arrivo."
Si allontanarono.
Piero Ciampi restò lì, a contemplare lo scampato pericolo
che se n'andava. Il giorno stava facendosi chiaro.
Una bella mattinata di novembre.
Solo che Piero Ciampi non sapeva neppure che giorno
fosse. Che mese fosse. Che anno fosse. E ci aveva una
gran sete. E, in sottordine, una gran fame.
2.
Provò a fare un passo, scoprendosi a pensare d'avere
dei pensieri e a riflettere addirittura su quale gamba
dovesse muovere per prima. Si toccò gli avambracci
incrociando le mani; optò per la gamba destra. Doveva
essere tardo autunno, se non proprio inverno; faceva
freddo, quel freddo umido che conosceva bene. Si
guardò attorno muovendo la gamba destra; poi la sinistra;
poi ancora la destra. "Devo essere vivo sul serio,
santa madonna", pensò a voce alta.
Ci mise due minuti a riconoscere dove si trovava. Non
ci era mai venuto spesso da quelle parti, quasi all'estrema
periferia nord
di Livorno, anche
se ogni tanto andava
a imbriacarsi da
qualche amico a
Shangay; in fondo a
via Garibaldi ci
aveva avuto una
ragazza, chissà
quant'anni fa; in
Corea ci aveva dormito
qualche notte,
una volta che la polizia
lo cercava per
una rissa, nascosto
da una bagascia,
tale Franca Del
Soldato, che era
innamorata di lui.
"Ma guarda te dove
m'ha fatto rinvivì,
quer popo' di pezzo
di mota lassù in
cima. Ar distributore
dell'Api. Dé, ci portavo
ir gasolio quando
lavoravo dar
Razzaguti..."
Dopo aver fatto i
primi venti passi e
il primo sorriso da
rinvivito, ed essere
finalmente sortito
dal terrain vague
per approdare sull'asfalto
mezzo sbrecciato
di via dell'Antimonio, si accorse di nuovo d'avere sete.
E, in sottordine, fame.
S'incamminò ancora incerto per
la strada, sbucando dopo un po' in via Mastacchi ch'eran
più delle sette; la strada cominciava a essere animata,
passavano macchine che Piero non riconosceva,
dé ma guarda un po' come le fanno ora, so' tutte
tonde, quando so' morto eran tutte quadrate, chissà
se vanno sempre a benzina e ci credo che ir distributore
ha chiuso, passava la gente e i ragazzi che andavano
a scuola. Vestiti strani. Era tutto strano. La cosa più
strana era lui, ma tanto non lo sapeva nessuno.
Piero Ciampi passò finalmente accanto a un'edicola di
giornali. Fuori, la locandina del "Tirreno" annunciava
con un gran titolo che Lucarelli s'era quasi rimesso dall'infortunio
patito due domeniche prima nella vittoriosa
partita del Livorno contro l'Inter, e che domenica
sarebbe stato in campo contro la Fiorentina. "Inter?
Fiorentina? Dé, ma siamo in serie A allora! In serie A!".
E strinse i pugni. Sulla locandina c'era la data di venerdì
18 novembre 2005.
"Dumilacinque. Dumilacinque. So' stato morto venticinqu'anni,
e il Livorno è in serie A."
Continuava a stringere i pugni, gridacchiando qualche
"alé" con un sorriso che gl'illuminava i denti sporchi e l'alito
d'inferno; un ragazzo su una Vespa, passando, lo vide e
berciò un "Forza
amaranto!" sventolando
una sciarpa
col Che Guevara.
Piero Ciampi si voltò
e gli rispose con un
pugno chiuso, che gli
era venuto spontaneo.
Ora sapeva in
che giorno, in che
mese e in che anno
era. Sapeva che il
Livorno era in serie
A. Gli mancava solo
di bere e mangiare
qualcosa; e sulla
locandina c'era qualcosa
che non tornava.
Il prezzo. "0,95
cent".
Cent?
O che erano tornati
l'ameriàni?
L'Italia non esisteva
più e era diventata
ir cinquantunesimo
o ir sessantasettesimo
stato americano?
Si tirò fuori il portafoglio.
Prese le
diecimila lire.
"Budello d'eva, stai
a vedé' che ora si
paga in dollari. E
che cazzo fo? Ma
chi se ne importa. O
la va, o la spacca. Vorrà dì' che laverò i piatti. Ar limite
fo finta d'èsse' francese."
Trenta metri avanti c'era un bar. L'insegna diceva "Bar
Futuro"; da fuori si vedeva un ragazzo giovane al bancone,
una signora che girava per i tavoli, e tre clienti seduti a dei
tavolini che sembravano aver fatto la guerra, ognuno con
la tazza del caffè o del cappuccino, intenti a leggere il giornale;
due leggevano "Il Tirreno", il terzo il "Tuttosport". Piero
Ciampi entrò ravviandosi prima un po' i capelli da cui emanava
un odor di terra bagnata.
"Bonjour madame, pardonnez-moi, je ne parle pas bien
l'italien..."
"Giovanniiii..dé vieni 'n po' vì che c'è uno 'e parla straniero...
l'hai fatto un po' d'ingrese alle Benci, no?"
"Marisa mi dispiace, io ero in una classe sperimentale
dove ci facevano fa' l'esperanto
dé me lo riordo anche 'n po', vi parolas esperanton?..."
"Vabbè, senti 'n po se ti riesce di 'apì' cosa vole 'vesto..."
"Uì monsiè?"
"Je viens de la Guadeloupe je suis un matelot, vous
savez. On ne m'a donné que ça pour payer, je suis
désolé, je n'ai pas de dollars..."
"Diecimila lire??? Dollari??? Sinjoro, vi ne povas pagi
kun liraj kaj ni havas euron. Euro, ciu vi komprenas?"
"Oui je comprends, j' suis pas sourd...c'est quoi l'euro?"
"Nostra moneta ora, o-ra. Avant, lire, mentenàn, eurò,
vusaveccomprì?"
"Oh...c'est vraiment dommage...moi je croyais que c'était
le dollar, vous savez...c'est la première fois en ce
pays pour moi....je fais quoi maintenant?"
"Marisa, questo è un marinaio d'unsoccazzodove, credeva
che in Italia si pagasse 'or dollaro e n'hanno dato
diecimila lire! Dé, poeròmo, l'hanno preso 'n po' pe' r
culo! Cosa devo fa'?"
"Dé, 'un lo vedi 'e sembra appena sortito dalla stiva?
Senti 'osa vole e dànni 'un caffè e du' paste, si farà finta
di pagà noi, va'."
"Senta, brav'òmo, lo vole un caffè?"
"Du café? Oui..."
"Poi prenè du' paste dalla baqueque, sé gratìs, mangè
e a bon ràndr!"
"Merci monsieur...je ne savais pas quoi faire, vraiment...
vous avez dit...l'euro?"
Fu preparata una tazza da cappuccino piena zipilla di
caffè, e Piero Ciampi scelse due paste dalla bacheca,
una con la crema e l'altra alla frutta con la gelatina
sopra. Mangiò e bevve come uno che non mangiava da
venticinqu'anni.
"Sa và meglio?"
"Oui...mejò"
Mi sento praticamente risorto, pensò Piero fra sé e sé.
La signora Marisa rideva, mentre i tre clienti continuavano
a farsi gli affari loro e a leggere il giornale. Piero
Ciampi chiese del bagno; si ritrovò in uno sgabuzzino
puzzolente e sporco d'ogni cosa, ma c'era un lavandino,
una saponetta e l'acqua corrente. Si sciacquò
con cura il viso passandosi un po' di sapone anche
sui capelli. Attaccato a uno spago pendeva un
asciugamano lercio; aveva una barba che sembrava
di tre giorni, e si mise a fischiettare Amsterdam di Jacques Brel.
Uscì dal bagno pure
rinfrescato e un po' lavato.
Salutando e ringraziando ancora la signora e il
ragazzo del bar, Piero Ciampi uscì di nuovo per
strada. Erano giù più dell'otto, il traffico s'era fatto
grosso e c'era uno di quei soli autunnali che riescono
quasi a scaldare, o perlomeno a asciugare.
Pensò rapidamente a cosa dovesse fare, anche
perché il caffè era buono, le paste pure, ma gli era
rimasta una certa voglia urgente da appagare. Non
se l'era sentita di chiedere a quelle persone anche
un raso di vino rosso; ché tanto, se magari anche
glielo avessero dato, gli sarebbe subito presa la
voglia d'un altro, e poi d'un altro, e poi d'un altro
ancora, e ci sarebbe scappato un litro molto
amaro. La vita va così; figuriamoci poi se è pure la
seconda.
Scese giù per via Mastacchi fino a arrivare a piazza
San Marco, e da lì in via Palestro ritrovandosi all'angolo
con via Garibaldi. Ora tutto gli appariva più familiare;
i negozi di via Garibaldi erano tutti aperti, ma su uno di
quelli vecchi, quelli che si ricordava lui, ce n'erano dieci
di nuovi. Decise intrafinefatta di non preoccuparsi delle
novità, di non stupirsi degli apparecchi che vedeva nelle
vetrine, delle scatole lucenti che sembravano televisori
ma che non lo erano, dei minuscoli telefoni portatili che
tutti parevano avere, dei negozi di alimentari con l'aceto
balsamico di Modena che, quand'era vivo lui, al massimo ci si trovava quello rosso di Collesalvetti. Via Garibaldi. Il quartiere
dov'era nato.
Le strade sembravano essere tutte ancora al loro
posto, però. Girò sotto la volta di via della
Cappellina inoltrandosi nella specie di casbah che
stava là dietro, con le mani in tasca. La piazzetta di
San Luigi, che ancora nessuno ci aveva mai messo
un cartello. L'inizio di via Pelletier. Si mise a sedere
su una delle due panchine della piazzetta, sul praticello
senz'erba, e si domandò dove avrebbe potuto
raccattare una sigaretta; lo sguardo gli cadde allora
su una quasi intera, per terra, mezza schiacciata
ma intera. La prese. Era una Winston. Le ridiede
un po' di forma; fortunatamente, non c'era che un
buchetto piccolissimo, e bastava tapparlo con il
dito.
Si frugò nelle tasche, perché aveva già sentito
che il padreterno l'aveva dotato d'una scatola di
cerini; la cartavvetro era tutta consumata, però.
Poco male. Si accese il cerino sulla fischiarola dei
pantaloni, con un gesto quasi consueto, e appicciò
la sigaretta. Sapeva di merda. Ma andava bene lo
stesso.
Se la fumò tutta, fino allo scottadito. Poco mancò che
si fumasse pure il filtro.
Si disse che prima o poi avrebbe scritto una canzone
sul fumo.
O forse l'aveva già scritta.
Le canzoni.
Dopo tre quarti d'ora e dopo aver trovato una mezza
cicca di una Peer più che passabile, s'incamminò per
via Pelletier contando i numeri civici. Sessantadue, sessanta,
cinquantotto...
Arrivò al trivio con via della Campana e via Adriana.
Aveva una gran sete.
Bastava tirar diritto per via della Campana, riattraversare
via Garibaldi, tirare ancora diritto per via
Pellegrini e voltare alla prima a sinistra.
Via dei Terrazzini.
C'era qualcosa che conosceva, in via dei Terrazzini.
Chissà se c'era ancora.
(1/2 - Continua)