5.
Dopo aver cerimoniosamente salutato la pesciaiola col
suo fare che venticinqu'anni di morte avevano reso ancora
più démodé, Piero Ciampi s'incamminò per il brevissimo
tratto di strada che lo separava dal quarantuno di Via
Garibaldi. Era un vecchio palazzo popolare, forse degli ultimi
anni dell'ottocento, scampato a due guerre e, soprattutto,
agli scempi edilizi della ricostruzione; un pesante e
scalcinato portone vetrato in metallo grigioscrostato, e
una campanelliera elettrica coi cognomi scritti alla bell'e
meglio, un po' a penna e un po' con il Dymo. Accanto a
Rossi c'era effettivamente un bottone senza alcun nome;
Piero Ciampi lo premette con due brevi tocchi, e dopo
due secondi gli fu aperto senza che nessuno parlasse al
citofono (che, del resto, con tutta probabilità non funzionava
da qualche decennio).
Una rampa di scale ripidissima e buia portava al pianerottolo
del primo piano, con una finestra su una piccola
corte interna da dove s'intravedevano il disordine e
la sporcizia più totali: vasi di piante rinsecchite ammassati
l'uno sull'altro; oggetti di ogni tipo, tra i quali un
discreto numero di vecchie bambole gnude; pezzi di
plastica, reticelle da capelli, pannoloni sporchi di
merda, e, cosa che attrasse per un brevissimo secondo
l'occhio di Piero Ciampi, un filo telefonico che proveniva
da un'altra finestra, e che s'inerpicava per quel
biribissaio fino a sparire in una porta a vetri.
"Tanto ci so' abituato", pensò Piero, appena in tempo
per vedersi aprire la porta da una donna sui trent'anni
e passa, altissima e decisamente robusta, e per sentir
provenire dall'altra porta sul pianerottolo un grido lancinante,
da vecchia strega, che s'interruppe abruttamente
per lasciar posto ad una cantilena in uno strano
dialetto che sembrava quello del noce di Benevento.
"Lei dev'essere il signore che mi ha mandato la
Marisa...piacere di conoscerla, Maria Fortunata
Emiliani."
"Piacere mio, Piero Litaliano", disse lui porgendole la
mano, e con l'orecchio sempre teso ad ascoltare la bizzarra
cantilena della dirimpettaia.
"Non si preoccupi...è una vecchia di più di novant'anni
che ci sta e non ci sta con il capo...però non farebbe
male a una mosca", fece la donna stendendo a Piero
Ciampi un largo e bel
sorriso che riusciva
almeno in parte a
compensare il suo
aspetto da petroliera
verniciata di fresco.
"Si accomodi, signor
Litaliano, le faccio
vedere la sua stanza...
però poi non ho
molto tempo, sa, io
mi occupo di marketing
per Teledue, e
devo uscire...e quindi
se si potesse regolare l'anticipo..."
"Ma certo, signora, facciamo in cinque minuti", disse
Piero ascoltando sempre la voce dall'altra porta, che
era passata a ripetere ossessivamente la frase "I sicilian'
so' tutt' delinguent', i sicilian' so' tutt' delinguent', i
sicilian' so' tutt' delinguent'...."
La porta si spalancò all'improvviso, e ne fece capolino
una vecchia decrepita che pareva davvero esser sortita
dalla più antica iconografia delle streghe, un'immagine
dallo Hexenbuch del Von Lanthen.
"Lei è sicilian', eh...?"
"No...no signora", fece Piero con un sorriso quanto più
possibile ciampiano, "non sono siciliano. Sono di Parigi
e ho conosciuto Céline."
"Ah, mi parev' sicilian', eh...d' Parigg'...e bbrav'...."
E richiuse la porta, sbattendola talmente da far tremare
tutto il piano.
La signora Maria Fortunata Emiliani stava piantata
sulla porta senza dire niente.
Piero Ciampi fu fatto entrare direttamente in una vasta e
scarna sala, senz'alcun corridoio, dove stavano sistemati
un paio di vecchi mobili e due brandine; alle pareti, un
poster con dieci cuccioli di rottweiler dentro al bagagliaio
di una vecchia Mercedes arancione, e una veduta di Via
Garibaldi risalente forse ai primi anni del '900.
"Non si preoccupi se c'è un po' di disordine...sa, io non
sto molto tempo in casa, e sono spesso via dal mio
fidanzato a Velletri", fece la signora sempre con un
gran sorriso stampato in faccia.
"Stia tranquilla, signora...non me ne importa nulla dell'ordine,
basta averci un posto per stare per qualche
tempo."
"D'accordo, signor Litaliano, le faccio vedere la stanza,
allora."
S'incamminarono per un corridoio sempre buio, che
portava alla cucina; oltre una porta a vetri, la casa s'illuminava
all'improvviso per la luce proveniente da un'altra
corte interna, molto più grande, che dava sul retro
dei palazzi circostanti. Piero Ciampi, al primo passo in
quella stanza, rivide Livorno. Rivide uno squarcio di
cielo azzurrissimo, rivide i panni sbattuti dal vento,
risentì le voci berciare dalle case, il rumore dei piatti, le
televisioni a tutto volume.
La stanza era semivuota.
Anche lì due vecchi armadi dozzinali, un tavolo bianco,
e una strana serie di scaffalature sempre bianche, che
andavano tutte giro giro su tre pareti. Solo la metà di
quella a destra della porta era occupata da alcuni libri.
"Ecco, signor Litaliano, questa è la stanza. Ci può mettere
quello che vuole...la mia vicina m'ha detto che lei fa
il musicista..."
"Sì, ma sono tornato da....dall'estero, e non ho ancora
niente con me. Magari ci metterò qualcosa quando l'avrò.
Mi va benissimo così..."
"Naturalmente il letto lo prendo dalla sala...le va bene
un lettino solo, o vuole che unisca i due per fare un
matrimoniale?"
"No, me ne basta e avanza uno...e 'unn'ho nessuna
voglia di risposàmmi."
"Ecco, bravo, ha davvero ragione...sa, anch'io sono
stata sposata, anzi, questa che le do era la stanza, anzi
lo studio, di quello....scusi la parola, di quello stronzo del
mio ex marito, speriamo che gli sia venuta la diarrea
cronica ovunque si trovi...ma forse la mia vicina le ha
accennato qualcosa."
"Qualcosa."
"Beh, lasciamo stare, ormai è cosa vecchia, e tanto
quello lì non combinerà mai nulla nella vita a parte scrivere
cretinate su internet...le piace la stanza?"
"Mi va bene."
Nel frattempo, cioè nei due attimi di pausa prima che
la signora Emiliani ricominciasse a parlare, Piero s'era
domandato che cosa fossero il màrchetin, Teledue e,
soprattutto, l'internet dove l'ex marito stronzo scriveva
le sue cretinate.
"D'accordo....senta, io devo davvero uscire, non è
che...?"
"Certo, signora, ma quanto mi chiede al mese?"
"Centocinquanta euro, tanto la dò per arrotondare
qualcosa..."
"Le va bene se le lascio cinquanta li....euro di caparra?"
"Non è che potrebbe fare almeno settanta? Sa, in
fondo non la conosco..."
"Vanno bene settanta, signora."
E tirò fuori dal portafoglio due di quegli strani biglietti
colorati, uno da cinquanta e l'altro da venti. La signora
li prese con un gesto rapidissimo, un gesto che fece
subitamente pensare a Piero Ciampi che il màrchetin
e Teledue non le facessero guadagnare un grand'istipendio.
"Va bene....allora io vado. Guardi, qui accanto c'è il
bagno con la doccia, ma stia attento perché a volte
s'intasano sia quella che il water...cerchi di buttare
poca carta nello scarico, soprattutto...e se vuole farsi
qualcosa da mangiare la cucina è lì, ma io sono a dieta
e c'è poco in frigo."
"Non stia a preoccuparsi, per mangiare me la cavo
fuori."
"Va bene...ecco, prenda, questa è la copia delle chiavi e
stia attento anche a chiudere bene perché ci sono i
ladri. Ci sono due serrature, quando esce chiuda
anche la cassaforte."
"Chiuderò tutto. Qui nel palazzo, do noia se suono la chitarra?"
"Di giorno no. Di sera, guardi un po' lei, magari non
oltre le undici e mezzo..."
"D'accordo. Non oltre le undici e mezzo."
"Arrivederci, signor Litaliano."
"Arrivederci a lei, signora Emiliani."
Rimasto solo in casa, Piero Ciampi si sedette sul pavimento,
nella stanza che era diventata sua, e si mise a
pensare.
"Stamani sono risorto. Ora sono qui in questa stanza.
Ieri a quest'ora ero ancora morto. Ora sono vivo."
Non riusciva a pensare ad altro.
Per quanto si sforzasse.
Si alzò, e aprì la finestra.
Ne entrò una folata di vento, di puzzo di fritto, di umido,
di vita d'ogni giorno.
E Piero Ciampi riuscì all'improvviso a pensare un'altra
cosa.
"No. Non voglio morire mai più. Piuttosto di rimorire,
mi ammazzo."
La fame e la sete avevano però sovvertito ogni ordine,
sotto e sopra, e ora si spintonavano, s'accapigliavano,
si davano der budiùlo l'una all'àrtra, si 'azzottavano
come D'Agata e Atzori, se non addirittura come
Benvenuti e Monzón; e visto che la fame stava per far
la fine di Benvenuti, e che era comunque sempre
meglio bere dopo aver messo qualcosa nello stomaco
vuoto, Piero Ciampi andò in bagno, si dette una sciacquata
al viso e fece una pisciata già vinosa; poi prese le
chiavi dategli dalla signora Maria Fortunata Emiliani,
marchettingara ("Ma sarà mica...?", pensò ridacchiando)
di Tele Due ("Sarà qualche televisione libera"....), e
uscì. Le scale, viste dall'alto, sembravano ancora più
ripide.
Un minuto dopo era di nuovo sul marciapiede di via
Garibaldi.
Era quasi il tocco.
6.
"Dé, penzavo di dovenni dà' cento euri, e invece unn'ha
voluti 'e settanta...trenta di più, chissà quante lire
fanno...e ora vo a mangià."
C'era una specie di voce, dentro Piero Ciampi, che gli diceva,
mentre camminava verso la piazza del Voltone, che uno
appena risorto dal regno dell'Ade avrebbe fatto forse
meglio a cogitare qualcosa di più profondo, o di elevato; per
esempio, a chi o a che cosa avesse fatto sì che si ridestasse
dal cosiddetto sonno eterno per approdare a Livorno in
una qualsiasi mattinata di novembre. Ma se vita doveva
esser di nuovo, la vita è questa: mangiare, bere, dormire,
magari anche fare all'amore, e le cose in sovrappiù non verrebbero
mai senza sfamarsi, senza dissetarsi e senza riposare.
"Dé, figuriamoci poi se la vita continuerebbe senza fà'
all'amore...", si disse, e rivide sua figlia Mira, e rivide due
donne alte, bionde e snelle, e rivide il fosso grande attorno
alla Fortezza, quello in cui era cascato
chissà quante volte dentro.
Ancorate alle bordate de' fossi c'erano
le solite decine di barche; qualcuna,
persino, la riconosceva. Si ricordava
dei nomi: il "Grinta", il "Santa
Giulia", lo "Scubidù"...e c'erano ancora
i gatti, di tutte le taglie, di tutti i colori,
che se ne stavano spanciati sugli
scali delle Cantine a riscaldarsi al sole
e al loro effabile, ineffabile, effanineffabile
nome...
...e arrivato in piazza Garibaldi, proprio
mentre le bancarelle del mercatino
stavano sbaraccando, rivide
dopo venticinqu'anni la statua
nella piazza. Si fermò.
Poi traversò la strada con passo
incerto, mentre la fame opponeva
un'ultima eroica e disperata resistenza
prima di soccombere definitivamente
alla voglia di scolarsi un bel litro di vino
rosso, dolce o amaro che fosse.
La statua nella piazza.
Si mise a guardarla.
"Dé...me la riordo 'vella sera...e non ero nemmeno briaco,
ero solo disperato. Solo disperato. Solo disperato."
E nel ripensare a quanto fosse stato disperato quella
sera, per una non chiara alchimia sorrideva largamente,
trasmettendo l'ondata del sorriso anche a un ciuffo
di capelli che si mise a ondeggiargli sulla fronte.
E gli si mise a canterellare dentro:
Un pianto che si scioglie,
la statua nella piazza
la vita che si sceglie
è il sogno d'una pazza.
La sera è già calata,
comincio a camminare
sperando d'incontrare
qualcuna come te...
E si disse, ancora, che quella canzone l'aveva chiamata
"Livorno" perché, quella triste triste sera, lui stava
vagando per il centro di Roma alla ricerca di qualcuna
come lei, come si fa sempre quando s'è perduto qualcuno
di amato, e si cammina, e si cammina, e si cammina
senza una mèta nella speranza che il destino consegni
una copia in carta carbone. Riconsegni quegli
sguardi, quelle parole, quelle braccia, quelle labbra.
Forse, ci si dice, è lì, dietro l'angolo ad aspettare; o
forse è in un altro continente, o su un altro pianeta
dove qualche nave porterà di sicuro...
Ho incontrato una nave che salpava
ed ho chiesto dove andava...
"Nel porto delle illusioni",
mi disse quel capitano,
Terra, terra, forse cerco una chimera,
questa sera, eterna sera.
"Guarda, è morto anche Marchetti."
Erano la fame e la sete che gli parlavano
in coro, oramai unite dopo
che l'arbitro aveva rinunciato a
dirigere quel match, e che avevano
deciso di riscuoterlo in un
modo un po' sgarbato. Ma Piero
Ciampi, da gran signore qual era,
fece un inchino. Un paio di passanti
lo guardavano scuotendo il capo.
L'insegna d'un bar qualunque,
all'angolo della piazza. Panini in
mostra nelle bacheche. Gente ai
tavolini che mangiava e beveva, il
televisore acceso.
I panini erano imbottiti d'ogni sorta
d'untume, gravidi di maionesi giallastre,
di würstel tagliati a metà, di
pomodori, di fette di mortadella e
prosciutto, di milanesi plastificate,
di sottoli che sembravano usciti da
un terremoto del sesto grado
della scala Richter, di melanzane arrabbiate, di pasta
d'acciughe che in Gorgona, al massimo, ci dovevano
essere state messe all'ergastolo.
"Desidera, signore...?"
"Mi dia...due panini."
"Come li vuole?"
"Faccia lei. A caso."
"Tanto, dé, dèvano fà' tutti schifo...", pensò Piero Ciampi
nel più rigoroso silenzio, mentre passava la sigla del
telegiornale del tocco e mezzo.
Gli fu messo in mano un piattino con due panini, uno
con il prosciutto crudo e le melanzane, e l'altro con i
gamberetti e una salsa dal colore e dalla consistenza
della tempera Giotto rosa.
"Vuole qualcosa da bere...?"
"Sì...mi dia un litro di vino rosso, pe' piacere."
"Un litro?"
"Sì, un litro...'un si pole?"
"Le posso dare una bottiglia, caraffe non se ne servono".
"Mi dia una bottiglia, allora. Una da non tanto."
"Ci s'ha ir vino di Monteàrlo a tre euri."
"Va bene ir vino di Monteàrlo, chissà che 'un vinca pure
ar casinò."
Il barista si mise a ridere, pensando che quello strano ed
allampanato tipo ci aveva di certo voglia di ruzzare, prese
la bottiglia e la stappò porgendo a Piero Ciampi anche un
bicchiere. Piero si mise a mangiare in piedi, con la bottiglia
e il bicchiere appoggiati sul frigorifero dei gelati
Sanson. La televisione gracchiava sempre; c'era un servizio
in corso su una guerra, si vedevano carri armati che
passavano, autoblindo saltate per l'aria, case bombardate,
sangue, persone fatte a brandelli, bambini con ustioni
orribili, e soldati, e armi...il giornalista parlava di Bagdad e
di altre città dai nomi sconosciuti, qualcosa come
Bassòra, Fallùia, Mossùl, e di americani, e d'inglesi...
"Dé, boia, 've' popò di merdosi dèvano èsse' riandati a rifà
la guerra da quarche parte...Bagdad...aspetta, in Irak,
sì....in Irak...o cosa ci so' andati a fà...", pensava Piero
Ciampi addentando i due panini e versandosi il terzo bicchiere
di vino. Si sentiva
meglio; la gente ai tavoli, però,
non sembrava essere molto
interessata al servizio sulla
guerra, e continuava a parlare
di Lucarelli e della paratona
di Amelia che aveva salvato il
risultato a San Siro, al novantaduesimo.
Finito il servizio
sulla guerra, con l'annuncio
che la democrazia stava
facendo passi avanti, l'annunciatrice,
una specie di cariatide
imbellettata da qualche
truccatore in vena di fare il
buontempone, passò alla notizia
successiva:
"E ora la politica interna. Non si placano le polemiche
suscitate dall'attacco di Ignazio La Russa al presidente
della repubblica Ciampi..."
Per poco, a Piero non andò un boccone di panino di traverso.
Un pezzo di würstel subì una frenata brusca,
prima di andare a fare il bagno nel vino precipitandogli
giù a rotta di collo per l'esofago appena risorto. Il presidente
della repubblica Ciampi?
Passarono le immagini di un tizio dall'aria vagamente e
stupidamente luciferina, con un pizzetto da eia eia alalà
("budello...'vello dev'èsse' fascista di siùro..."), seguito da un
altro tizio più anziano, vestito da presidente o forse vestito
da repubblica, che parlava davanti a dei parrucconi in
toga da giudice con un accento vagamente livornese.
Piero Ciampi s'azzardò a rivolgere la parola a un tizio che
sembrava seguire il telegiornale, sorseggiando un caffè
che oramai doveva avere una temperatura antartica:
"Mi scusi..."
"Prego?"
"Ma...quello lì....?", fece Piero Ciampi indicando il televisore.
"Quello lì Ciampi?"
"Sì, quello..."
"E' ir presidente della repùbbria, 'un lo rionosce...?"
"Ma certo...ma volevo dì...'un mi riordo...ancora quanto
ci deve stà'?"
"Boh...fino ar dumilasei, l'anno prossimo....ma come
mai lo vole sapé?"
"Così...pe' curiosità."
Il tizio tornò a bersi il suo caffè diaccio, mentre il presidente
della repubblica Ciampi ammoniva i giudici a non farsi
mai strumento di istanze politiche e a mantenere la loro
indipendenza. Il cantautore, musicista e poeta anarchico
e comunista Piero Ciampi, alias Piero Litaliano, invece,
pensò di nuovo fra sé e sé che tutti quei pezzi di merda
esistevano ancora, che nessuno li aveva mai smossi, e
anche se avevano facce mai viste o delle quali s'era
dimenticato, che potevano tranquillamente andà a fàsselo
troncà' ner culo con tutti i loro discorsi der cazzo. E, per
sottolineare il concetto, buttò giù d'un fiato il quinto e ultimo
bicchiere di rosso, visto che la bottiglia ci aveva evidentemente
un buco sul fondo. "Ir presidente
Ciampi...ecco perché
m'avevan detto dell'omonimo,
mònimo,
omomonònimo...", si
disse Piero avviandosi
al bancone per
pagare; e gli prese un
ridere,
ma un ridere,
ma un ridere,
ma un ridere,
ma un ridere che gli
tornò sete.
"Undici euro e settanta", gli fece il barista chiedendosi dove diavolo avesse già visto quello strano tipo
"Dé...quasi quasi mi fo passà' per 'ir su 'ugino...so' a
posto!"
E gli riprese, uscendo da quel bar, un ridere da fargli
venir la voglia d'andare in Via Grande, perché in via
Grande ci passano le bimbe belle.
E, poi, in fondo a via Grande comincia ir porto.
S'accese una sigaretta, appena fuori. S'era persino
ricordato del divieto del ministro Nerchia.
(5/6 - continua)