venerdì 30 novembre 2012

Primavera



Dicono che arriveranno sempre meno rondini; le piogge acide, altri veleni e chissà cos'altro. Poi, comunque, è ancora lontanissima. E' lei che hanno scelto per i conteggi; ha venti, cinquanta, ottanta primavere. Mai inverni, estati o autunni.

Ma la primavera può essere ancora una stagione fredda, e piovosa. Secoli fa un poeta svedese, Lars Wivallius, si lamentava per una fredda e secca primavera; ne se stava rinchiuso dentro una cella di galera, e pensava alla tiepida pioggia primaverile che non arrivava.

Scrisse una lunga poesia intitolata Klage-wiisa öffuer thenna torra och kalla wåår, nella strana e incerta ortografia che aveva la sua lingua nel '600; me ne ricordo, di quando la leggevo meravigliato in anni in cui le primavere erano tornate stupide e calme.

Un siciliano cantava di "stupide galline che si azzuffano per niente" e seppelliva a suon di musichette le primavere della passione, le primavere delle rondini abbattute, le primavere calde e fredde del cambiare. Nessuno gliene ha mai chiesto conto. Ora fa l'assessore regionale.

Marzo. Il mese che più aspetto ogni anno. Marzo di portici e pallottole conficcate nel muro. Marzo di quelle ultime voci da una radio, mentre stavano abbattendo la porta e entrando d'autorità. Marzo di un corridoio insaguinato. Marzo lontano.

Le primavere e le città. Ci si muoveva per le città veramente al passo delle stagioni. La vita era fatta assieme al clima e a quei vestiti economici; l'eskimo nacque solo perché costava poco, e non era nemmeno che lo portassero tutti.

E ritrovarsi soli a percorrere vialetti di parchi dove ancora c'erano le foglie secche dell'autunno precedente. Ragazzini che immaginavano. Non c'eravamo e c'eravamo lo stesso; toccava tutti quanti. Se nel cuore batteva comunque una pur incerta stilla di rabbia, c'eravamo.

E le città sembravano essere libere. Le piazze erano come le rondini, arrivavano a primavera. Si vedevano delle facce e degli sguardi che non erano mediati da nulla; sterminio. E, laddove non ci fu lo sterminio, silenzio. Opportunismo. O la scelta di camparci sopra per il resto della vita.

Le primavere che s'infuocavano all'improvviso. Ora, quando la temperatura si alza, trovano dei nomi infernali: Caronte, Satana o roba del genere. In quelle primavere i nomi erano via Mancini, via Nazionale, via del Pratello.

Ma, penso, per provare una qualche forma di nostalgia bisognerebbe esserci stati. "Nostalgia" vuol dire "passione per il ritorno"; e non si può voler tornare dove non si è mai stati. Eppure, è comunque qualcosa del genere.

Qualcosa del genere assieme a tutte le rabbie quotidiane, assieme alle pochezze e alle mediocrità scoperte in chi credevi ne fosse immune, assieme alla stratificazione del tempo, assieme a un presente che, con tutte i suoi orrori, fra trent'anni apparirà allo stesso modo.

La primavera non comincia il ventuno di marzo. E' l'unica stagione che comincia con la sua lunga attesa. In casa abbiamo più di un calendario; quello coi gatti, quello con l'Isola, quello col rivoluzionario barbuto, i bambini, i prigionieri baschi.

L'armadio e i cassetti coi soliti maglionacci bisunti che non si buttano mai via. Le magliette acciorcellate. I pensieri di come dev'essere stato morire a vent'anni, lo sparo, l'ultimo momento, le ultime parole dette. Per qualcuno sarebbero potute essere "dammi una sigaretta".

Poi, dopo, è stata scoperta la parola "generazione". Una generazione se ne accorge sempre dopo, di esserla stata; è una parola, sempre, da vecchi. Ha quel suono biblico, quella consistenza sacrale che dev'essere amata molto da chi ha vissuto un dato periodo.

La generazione che ha perso. La generazione incarcerata. La generazione massacrata dall'eroina. La generazione della rivoluzione. La generazione seppellita da una canzonetta di enorme successo dove le si dava di stupide galline.

Per questo io continuo a parlare della primavera; la primavera non ha generazioni. A Santiago era quasi primavera in quel remoto settembre. A primavera inoltrata spuntavano sempre delle magliette che sembravano troppo strette.

Sol warma, förbarma! Caldo sole, abbi pietà! Il poeta sembra fosse, come spesso accade, un fior di truffatore. Era finito in carcere per avere abbindolato la figlia di un importante nobiluomo facendole credere di essere ricco, mentre non aveva un soldo; e l'aveva sposata per fregarle la cospicua dote.

Chissà come sono le stagioni in carcere. Se in galera c'è una primavera. Eppure ci si pensa; in prigione sei a Pisa e non sei a Pisa, come ragionava Adriano Sofri, e sei in primavera e non ci sei. O, forse, ci pensiamo così tanto perché la galera è ovunque.

Ma che importa; già che importa. Arriverà puntuale, col sole o con la pioggia. Con un anticipo d'estate o con una coda d'inverno. Col vento forte o con la bonaccia. Sarà bene, comunque, tenersela stretta e abbandonarsi all'attesa.

Sarà nuova? Certo che sì. Se non è nuova, sei morto. La vita è, grosso modo, il nostro unico lusso. Dai, su; a primavera tutto cambia. Una notte, senza quasi accorgersene, ci si stenderà su un prato immaginario, e si sentirà la rugiada calda.