mercoledì 17 aprile 2013

A mille albe



Finalmente ci sono arrivato, a dimenticarmi completamente d'avere scritto qualche cosa. Quella che segue risale addirittura al 12 luglio 2005.  Non soltanto quasi otto anni fa; incalcolabili circostanze fa. Ci sono ricapitato per puro caso su questa cosa che avevo scritto, ed in un modo decisamente pittoresco che, forse, merita d'essere brevemente raccontato. Oggi, dopo pranzo, m'è presa la voglia di farmi una bicchierata d'acqua e effervescente; mentre tiravo fuori il barattolo, m'è venuto chissà come in mente l' "effervescente Tortoroglio", che avevo visto qualche volta in una lontana cucina francese. Non so mai come spiegarmelo: molto spesso mi restano fissati nella mente particolari insignificanti, oggetti comunissimi di cui mi ricordo però perfettamente a distanza di anni e anni; e quel barattolo di effervescente trovato in una cucina di un posto distante e improbabile, in un altro paese, mi doveva aver colpito. Forse anche per il nome, perché sono uno estremamente sensibile alla consistenza fonetica di una parola; quel "Tortoroglio" doveva avere questa caratteristica. Così è andata; e mentre mi bevevo il bicchierone con l'effervescente "Crastan", sono andato su Google a cercare l'effervescente Tortoroglio. Trovandolo nominato in una cosa scritta il 12 luglio 2005 da tale Riccardo Venturi sul newsgroup di Francesco Guccini. E così mi sono ritrovato davanti alla lotta in Valsusa di otto anni fa. Alle battaglie di Venaus. Eccola qui, proveniente da anni che si allontanano, e da un barattolo di effervescente; ma, forse, servirà a ricordare qualcosa.

Ci sono stato una volta sola, in Val di Susa. Mi ci portò a fare un giro, tantissimi anni fa, una persona che allora mi era molto amica, e che adesso fa il fisico nucleare. Vorrei poter dire che non mi sono dimenticato di quei luoghi, ma non sarebbe vero; o meglio, ne ho sì dei ricordi, ma molto labili, e che sfumano sempre di più. Sono passati più di vent’anni, ventidue per l’esattezza. Era una giornata d’aprile, ma grigia e piovosa. Nessuna primavera. Ma, ogni tanto, la Valle di Susa, come molte altre cose, tornava a fare capolino dalle cose più impensate, come un barattolo di granulato effervescente nell’armadietto di una cucina. Effervescente “Tortoroglio”, prodotto in Val di Susa. Con gli ingredienti tradotti persino in olandese. E così mi ricordai d’aver percorso, seppure per una sola e remota giornata, quelle strade; me ne ricordai per cercare di digerire qualche cena pesante.

Le strade della Val di Susa, oggi, sono percorse dalla sopraffazione e dalla violenza dello Stato. Si incrociano con quelle di Avola, con quelle di Napoli, con quelle di Genova. Su di esse giace il corpo schiacciato e sconciato di Giannino Zibecchi. Ci vogliono far passare un treno. Ma il vero treno che ci passa è l’Italicus. E’ il rapido Milano-Lecce. E’ il treno di uno Stato che ai suoi cittadini riserva distruzione e morte, ora in forma di bombe, ora in forma di cantieri, di foreste cancellate, di montagne crivellate in nome del “superiore interesse”. Lo stesso “superiore interesse” che ora si manifesta come ferrovia, ora come guerra. E’ lo Stato che, come sempre, fa la guerra ai suoi soggetti preferiti: i propri sudditi. Il termine “cittadino” diventa privo di senso, se mai lo ha avuto. Bisogna parlare in termini di sudditanza. Di chinare il capo. Valsusino, togliti di torno e taci. Della tua valle, del tuo bosco, della tua montagna noi facciamo quel che vogliamo. Non vuoi la ferrovia? Non ce ne importa nulla, assolutamente nulla. La ferrovia s’ha da fare. E decidiamo anche che non hai nulla da temere, perché abbiamo fatto studi approfonditi. Abbiamo stabilito quale sia l’ “impatto ambientale”. Abbiamo deciso anche il tipo di impatto che ti sarà riservato se non la smetti di bloccare l’inizio dei lavori, e se ti ostini a considerare tua quella valle. E’ un impatto affidato ai carabinieri, alla polizia. E’ un impatto che scatta all’alba. E’ l’impatto con il fascismo. E’ questo, l’ambiente. Questo è l’impatto ambientale che ti spetta.

E il suddito si riunisce con altri sudditi, decidendo di voler tornare ad essere un cittadino, di voler gridare la sua opposizione. Il suddito osa reclamare delle cose impensabili: il suo territorio, la sua vita. A contrastare il suddito vengono mandati uomini in armi. E il suddito non può neppure minimamente pensare di fare altrettanto; opporsi in armi, anche se fossero soltanto dei randelli contro fucili, mitragliatrici e autoblindo, sarebbe una rivoluzione. E la rivoluzione è una cosa brutta e cattiva. C’è chi l’ha fatta con dei sassi contro dei carri armati, e tutti sappiamo com’è stato chiamato: terrorista. Tra le numerose galere del suddito c’è la “legalità”, guai ad uscirne. La protesta deve sempre essere “pacifica”, e schiere di politici, di preti, di intellettuali e di giornalisti son sempre lì a ricordarlo e predicarlo ogni giorno, ogni momento. Il suddito deve agire “nella legalità”, altrimenti è un terrorista; è la stessa “legalità" rappresentata dagli sbirri dello Stato che li sta cacciando via, pestando, ammazzando a colpi di manganello e di ruspe. E così, il suddito si ritroverà ad essere sfrattato dal padrone, condannato magari ad essergli grato perché, tutto sommato, gli permette di stare ancora lì. Ma sì, in fondo mica sta costruendo una diga sopra Longarone, questa volta. Com’è buono lo Stato. Com’è comprensivo. Com’è legale. Ha inventato anche l’impatto ambientale: suddito, siigli riconoscente. Guarda come ha cura di te. Guarda quanto bello sgobbo ti va a produrre. Guarda pure la grande “Cooperativa rossa” cui sono stati affidati i lavori, e che non si dica mai che lo Stato è condizionato da pregiudizi politici. Valsusino, ritirati in buon ordine. Vedrai che, un giorno, a lavori ultimati, non te ne accorgerai neppure. Vedrai che erano tutte falsità di quei maledetti ambientalisti, anarcoinsurrezionalisti, terroristi. Vedrai come sono belli i treni veloci, velocissimi. Lo Stato può tutto. Lo Stato è legale. Lo decide per te. Lo Stato ti possiede, tu e i tuoi luoghi.

E se, nonostante tutto questo, ancora non ti va bene, lo Stato ti manda la truppa. A sloggiarti e a reprimerti all’alba, a dieci albe, a mille albe. Oggi, domani e sempre.