venerdì 12 aprile 2013

Cattivi bidelli


Chissà da quant'era che non c'entravo, dentro qualcosa di universitario; nemmeno una facoltà, poi, iersera. Una casa dello studente. Nemmeno "a suo tempo" c'ero mai entrato dentro, a una casa dello studente; non avendo studiato fuori sede, non ne avevo mai avuto né l'occasione, né la necessità. Non saprei dire nemmeno che impressione mi abbia fatto, anche perché non si parla certo d'impressioni o di sensazioni del cavolo; la ragione per cui ieri sera sono andato alla casa dello studente del viale Morgagni era ben altra. Un film documentario, intitolato "Bianco e Nero", girato nel 1974 da Paolo Pietrangeli. Sembra che coloro che hanno organizzato questa cosa abbiano penato parecchio per averne una copia; introvabile presso gli archivi della RAI, introvabile ovunque, tranne che in casa di un altro cantautore, che la ha gentilmente messa a disposizione. Dico "un altro" cantautore, perché quel Paolo Pietrangeli che girò il documentario nel '74 è lo stesso che ha scritto e cantato "Contessa". Cinque giorni dopo tale difficoltosa consegna, qualcuno ha pensato bene di ficcarlo su YouTube; è un viaggio nel neofascismo italiano dal dopoguerra ai tentativi di golpe, dagli appoggi missini ai governi democristiani fino alle stragi di Piazza Fontana, di Brescia, dell'Italicus, dalla rivolta di Reggio Calabria e dai suoi treni di lavoratori fino alla Rosa dei Venti. Contemporaneità. Dura un'ora e ventisei minuti, il documentario di Pietrangeli; forse sarebbe bene che gli deste un'occhiata.


La serata, organizzata da un collettivo studentesco, prevedeva una specie di introduzione "teatrale". Nessuna velleità da parte mia; non sono mai stato, né mai sarò, un teatrante. Nemmeno volendo.  Un breve testo, scritto da una persona che conosco e che mi è cara, nel quale sono stato chiamato a fare come da "spalla" per leggere alcune piccole parti, forse perché non c'era un impianto microfonico nell'auditorium dello studentato, e ho una voce che si sente bene. O forse, chissà, per quelle misteriose alchimie che, di recente, mi hanno persino portato a recitare per due minuti (nella parte di un autentico imbecille) in un film indipendente girato da un regista che conosco; ma tanto non vi dico come si chiama, e quindi va bene così.  L'introduzione teatrale parlava, in grandissime linee, di guardare attraverso gli occhi di vittime del neofascismo e dello stragismo di stato italiano; come, ad esempio, l'operaio tedesco Horst Mader, che ebbe l'intera famiglia sterminata nella strage di Bologna del 2 agosto 1980. Una delle cose che dovevo fare era appunto gridare la frase: "Guardate con gli occhi di Horst Mader!"; mi è venuto da pronunciare correttamente quel nome, Hoasht Mààda o qualcosa del genere, e pensavo magari che quella correttezza poteva avere un indesiderato effetto comico. Chissà. Ma dire "Horrrst Màderrrr" all'italiana non mi viene. Infine, l'autore dell'introduzione ha recitato la famosa poesia "A chi esita" di Bertolt Brecht; è morto, Brecht, lo stesso anno in cui lui è nato. Poco più di un mese dopo; lui nato il tre di luglio, e Brecht morto il quattordici d'agosto del '56.

Poi, il documentario. Non lo avevo mai visto. Me lo sono guardato non tra le file dell'auditorium; casualmente ho scovato una sedia vuota, una sola, su una specie di rialzo che dava sulla porta del giardino; e c'era pura una bella ringhiera per poggiarci sopra le gambe. Davanti a certe cose, Almirante e Junio Valerio Borghese che parlano in francese, o a Mario Scelba, ho bisogno di starmene ragionevolmente da solo. Però quando, ad un certo punto, ho sentito la voce di quel pezzo di merda di Luciano Lama intervenire ai funerali dei morti della bomba di Piazza della Loggia, non ce l'ho fatta; ho berciato un "ma vaffaculo" e me ne sono uscito nel giardino a fumare un mezzo sigaro. Dev'essere stato lì che m'è venuto in mente di fare il cattivo bidello, dopo.

Dopo il film, il dibattito. Pare che questo classico sia sopravvissuto a tutta una serie di "mutate condizioni", e poi la serata era stata organizzata dagli studenti per gli studenti tant'è vero che la sala era piena...di sessantenni. Il dibattito doveva consistere, come detto da un giovanotto che studia, nell'individuare "analogie e differenze"; così mi sono, all'improvviso, trasformato in cattivo bidello. 

Logico che io non possa nutrire nessunissima ambizione, o velleità, o possibilità di fare da "cattivo maestro"; prima di tutto perché non avrei nulla da insegnare né da addurre come esempio. Non ho "fatto" niente; non ho rovesciato autobus né impedito comizi missini; non giravo in motorino mentre arrivava la notizia della morte di due compagni in una rapina; non ho sognato di fare la rivoluzione quando sembrava là dietro l'angolo ed era dato crederci. Nulla che possa "comunicare" direttamente, insomma; solo brandelli, esperienze a volte strampalate e sotterranee, disiecta membra rimessi insieme, e parecchio male, con lo sputo. All'università, beninteso, c'ero negli anni '80; quel che ho vissuto là dentro significava che all'ingresso si vedevano già, e indisturbati, i banchetti e le stronzate degli Studenti Cattolici, e persino un enorme manifesto a collage degli stessi all'ingresso in Piazza Brunelleschi, che riproduceva "Guernica" di Picasso con la scritta "La prima politica è vivere". Ma andassero in culo! E io lì come un cretino a studiare antichi poemi islandesi e roba del genere, nelle mani di un pezzo di merda che girava in Mercedes ma che diceva di votare per il PCI. 

Non sono abilitato a nessun tipo di "insegnamento", quindi;  e me ne tengo rigorosamente lontano. L'unica cosa che credo di aver sviluppato, nella mia vita, è legare pezzi di ricordi (perché ad esempio, della cacciata di Lama dall'università di Roma mi ricordo davvero, quattordicenne e puzzolente), un vero e proprio puzzle, all'apprendimento dai libri e dalle persone che hanno realmente partecipato a determinati avvenimenti e che hanno recato con sé modi di pensare e di agire. Avendo a che fare con me si deve tenere presente questa cosa, che si è incrociata con la mia capacità mnemonica, che non so nemmeno come definire. Provengo da tutto questo, ed è stata una strada maledettamente accidentata; dico soltanto che, probabilmente, le persone che più mi hanno influenzato, e continuano a farlo, per un motivo o per l'altro hanno finito col detestarmi o addirittura col cancellarmi dalla loro vita. Ma poiché mi sono imposto di essere oggettivo sempre e comunque, non posso fare a meno di dire questo. Può darsi che succederà ancora, e magari anche con persone che attualmente mi sono carissime.

Tutto ciò ha fatto emergere in me, però, una specie di "spirito di servizio". E' un'espressione veramente orrenda, ma non so se potrei trovarne di migliori. Non posso "insegnare" in alcun modo, nemmeno con una semplice testimonianza o una partecipazione, ma metto a disposizione quel che so e che ho elaborato da ricordi diretti, pagine e racconti. Cerco di spazzare la scuola frequentata da una parte dai giovani cui non posso certo più dire di appartenere, a cinquant'anni; e, dall'altra, da quelli della generazione precedente alla mia, in cui ho cercato spesso di entrare abusivamente finché non mi son reso conto, non di rado in modo amaro, che si tratta di una cosa la quale mi ha alienato nel senso più vasto del termine. Però c'è un terzo lato, che poi è quello che più sento. Sia andata come sia andata, alla fine le cose mi sono apparse chiare e con tutto il loro carissimo prezzo, e dalla parte da cui mi sono messo non si torna più indietro. Indi per cui mi sono messo a fare, in quella "scuola" di cui parlavo prima, l'unica attività che ritengo mi sia consentita: quella del cattivo bidello. L'inserviente che dà una mano sia all'alunno che all'insegnante. Quello che rimette a posto le cose e si azzarda a dare qualche utile suggerimento, ma sempre mettendo in chiaro di non essere altro che un bidello. Mi si scusi per questo fluviale preambolo, ben più lungo di quanto seguirà.

Così, ad esempio, prendendo la parola mi son permesso, da bidello, di suggerire agli studenti di venti o venticinqu'anni che, essendo stato girato il documentario nel '74 non si faceva ancora menzione di una cosa, o di una scelta, o di un'opzione, o di una strada; la si chiami come si vuole. Il 18 aprile 1974 le Brigate Rosse rapivano il giudice Mario Sossi, a Genova; un ragazzo a breve distanza da me ha fatto una faccia un po' strana, mezza stupita e mezza spaventata. Bisognava legare tutti i fatti e tutte le figure presenti nel documentario di Pietrangeli a ciò che è anche venuto dopo, tenendo presente del fatto che tra gli studenti presenti nell'auditorium ieri sera ve n'erano alcuni che hanno ammesso candidamente di non sapere a quale "episodio" ci si stesse riferendo nell'introduzione quando parlavamo dell'operaio tedesco Horst Mader e della sua famiglia sterminata. Il documentario non ci arrivava, al 1980. Non poteva arrivarci.  

E così, mentre qualche sessantenne "che c'era" scuoteva la testa e i ventenni o poco più facevano facce bizzarre, il dibattito ha preso una strada attuale, chiamiamola così. E' intervenuta una ragazza di ventiquattro anni, C., la quale ha parlato della sua generazione.  Ne è venuta fuori una serie di cose agghiaccianti. I desideri ideali compressi nell'inutilità, detto in sintesi. Tutto vanificato sia dallo scarso numero, sia dalla mancanza di un qualsiasi punto di riferimento ideale e ideologico. La riduzione di tutto ad azioni e iniziative effimere. La memoria sfracellata. La "comunicazione" impossibile; e visto che C. insisteva tanto su questo punto, mi son permesso di domandarle -infilandoci anche un par di bestemmie- com'era possibile tutto questo nell'odierna orgia "comunicativa" che mette a disposizione strumenti che tre o quattro decenni fa erano pura fantascienza. Le ho chiesto se aveva mai visto, anche in fotografia, un ciclostile. Ne è venuta fuori un'ammissione: l'ipercomunicazione non serve a nulla. L'ipercomunicazione non crea interesse, idee e azioni: è semplicemente e totalmente fine a se stessa. Si autoriproduce. Ne è venuta fuori, soprattutto, una generazione già disillusa e schifata a molto meno di trent'anni, immobile, bloccata. Incapace di spastoiarsi dalla pania dove per metà l'hanno infilata, e per l'altra metà si è infilata da sola. "Noi ci proviamo, ci proviamo, ma non ci ascolta nessuno", diceva la ragazza. E domandava: Come possiamo fare? Come possiamo fare?

Sarebbero dovuti intervenire i "maestri", credo; e io sarei dovuto tornare a spazzare e a riporre le cose, da buon bidello cattivo. Ma siccome i maestri, a parte uno che ha ricordato d'andare in una certa piazza il venticinque aprile, stavano zitti, mi è venuto di dare qualche possibile risposta. Alla buona, come si conviene a un bidello. Così, ad esempio, alla ragazza che chiedeva "quale linguaggio si dovese parlare" ho ricordato che -a volte- un modo opportuno di "comunicare" consiste nel tirare una bella pattonata nel muso a certa gente. E' un linguaggio di immediata comprensione, specialmente per certa gente; ed a volte occorre davvero parlare il linguaggio degli altri, tipo a nemmeno duecento metri di distanza da quella piazza Dalmazia del signor Casseri di Casapound. Ci si va in nemmeno cinque minuti a piedi, da lì dov'eravamo, in piazza Dalmazia. Naturalmente c'è il linguaggio e il metalinguaggio; il linguaggio della pattonata (tirata bene, forte, a far male) che stavo nominando sottintendeva ovviamente il metalinguaggio del rifiuto della "legalità" di un regime che ti manda in galera, oramai, per aver tirato due uova o ti affibbia sette anni per un sampietrino. Nemmeno con le leggi speciali votate dal PCI (sì, ho ricordato anche quello, sì) succedeva tanto.

E poiché la cosa, dal primitivo "antifascismo" si stava spostando decisamente sul famoso "futuro", o meglio sulla sua "mancanza" che è uno dei cavalli di battaglia sia della generazione interessata, sia dei loro padri e nonni che la stanno distruggendo senza nemmeno ricorrere alla galera e all'eroina, ho provato a dire alla ragazza, e a tutti i ragazzi presenti, che magari sarebbe l'ora di finirla con tutto questo "futuro", e di mandarlo una buona volta affanculo. Una generazione intera massacrata a colpi di futuro; non si era mai visto. Succede quando il "futuro" è interamente circoscritto nel circolo prefissato del "lavoro", del "mercato", dell' "occupazione", della "famiglia"; oramai non sono capaci neanche più di offrire un avvenire da schiavi. Così, ecco il linguaggio dell' Andare Oltre. Di spezzare questo cerchio, sia riprendendo vecchie cose, sia immaginandone di nuove; e il bidello deve aver fatto due grammi di breccia, avendo visto qualche sorriso sulla faccia di quei baby-disillusi. Il fatto gli è che io mal sopporto i disillusi coi capelli bianchi, figuriamoci quelli che hanno passato da poco l'adolescenza (o non l'hanno ancora passata). Il "futuro" di lorsignori e delle loro strutture deve essere semplicemente distrutto, prima che distrugga voi. Anzi, che distrugga tutti noi.

Sarei dovuto, se fossi stato un bidello completamente cattivo, andare più in là. Non l'ho fatto.  Altri volevano parlare, giustamente. So ancora riconoscere il limite, spesso sottile, che passa tra l'espressione di idee e di fatti, e lo show personale. Niente di tutto questo; avevo solo voglia di gettare dei sassi nello stagno che mi sembrava di aver percepito, uno stagno che -peraltro- chiedeva quasi disperatamente che qualcuno finalmente si decidesse a buttarci dentro qualcosa. Però, qua sopra, quasi alle quattro di mattina, c'è un'ultima cosa che mi preme dire. Chissà se qualcuno di quei ragazzi mi leggerà, e se mi leggerà anche qualcuno di quei sessantenni e oltre con l'impieghino statale o qualcosa del genere.

Mi preme dire che quel cerchio dentro al quale sono imprigionati quei ragazzi e quelle ragazze, e nel quale siamo probabilmente imprigionati tutti noi, ha un nome. Si chiama: Borghesia. 

Nulla esce fuori, se ci pensiamo, dai desideri e dalle aspirazioni borghesi. Se una data generazione è stata capace, pagando un prezzo mortale, di spezzarlo almeno un po', è perché proveniva da una situazione storica, sociale e economica molto diversa da quella di adesso. L'apprendimento di quella generazione, avvenuto che sia nelle aule universitarie o nelle fabbriche, nelle strade o nelle assemblee, negli scontri o nei momenti di riflessione e introspezione, è stato fatto con un desiderio fondamentale, e comune a tutti: cambiare il mondo. Il mondo è quella cosa che può andare dalla strada di casa fino al bar al termine dell'Universo. Quello e null'altro. I desideri attuali, sia pure spinti dalle migliori intenzioni, si fermano alla soddisfazione delle proprie vitucce borghesi di merda. Questo il risultato perfetto di trent'anni e più di sterminio; i giovanotti che, dopo aver sbattutto contro il muro insanguinato di Genova, affollano le sfilate a base di donciotti e di magistrati "democratici", gli stessi che non esiterebbero un istante a dar loro un 270 bis per un petardo. Gli "antagonismi" ridotti a ghetti. La disperazione indotta soltanto dall'impossibilità di omologarsi. Si capisce quindi molto meglio perché sia stato concesso il palliativo della finta "comunicazione universale", la cui natura è invece soltanto quella di una capillare (e ferrea) forma di controllo. Quelli credono di "comunicare", mentre invece è come se avessero una telecamera personale fissa addosso. Se non "ce la fanno" da queste parti, fanno i "cervelli in fuga", e per fuggire dove: in una borghesia che parla un'altra lingua, ma ha gli stessi meccanismi perversi di tutto quanto il capitalismo. Magari sarebbe acconcio specificare che le "fughe" di quarant'anni fa avvenivano invece per due motivi solo apparentemente diversi: l'emigrazione delle masse a fare i Gastarbeiter nell'Europa del Nord, oppure scappare dall'esser presi e ingabbiati dallo Stato. Ora fuggono i "cervelli", prima fuggivano braccia e gambe. Alle quali, però, era collegato un cervello che, spesso, pensava cose parecchio più grandi di questi ragazzi che iersera, a un certo punto, sorridevano e mi salutavano a guancia guancia bacino bacino senza che li avessi mai visti prima. 

Chissà.

Certo che non c'è mica da illudersi troppo; figuriamoci.

A questo punto, in questo lunghissimo "post", ci starebbe bene la classica immaginetta simboleggiante la "disillusione"; facciamo conto che ci sia.

Sono stati, naturalmente, ragionamenti da cattivo bidello. Più ci rifletto, e più penso che davvero non mi riuscirebbe andare più in là. Concetti base, niente di più; probabilmente assai rozzi. Ciononostante, è quello a cui sono arrivato nella mia vita. Altro non mi riuscirebbe oramai fare. Buonanotte.