mercoledì 20 gennaio 2010

Spazzatura, ovvero Quando Prào doveva chiudere


Ditemi un po', ve lo ricordate di quando Prào doveva chiudere? Nemmeno un anno fa, per la precisione. Il caso Prato che ebbe risonanza nazionale, con tanto di Santoro e Ballarò. L'accorata manifestazione con il bandierone tricolore lungo un chilometro o roba del genere. La crisi che stava uccidendo Prato. I piagnistei collettivi degli imprenditori e della gente comune, dall'ultima delle radiacce locali fino alla stampa nazionale. S'era, naturalmente, in campagna elettorale. Bisognava fare i' cambiamento. 'E gli era ora di hambià, perdìe. Soprattutto con tutti quegli sporchi cinesi.

È passato un po' di tempo. A Prào c'è stato il tanto agognato cambiamento, ben preparato, ottimamente strombazzato e realizzato sia pure per un pugno di voti. Prào è diventata l'avanguardia in territorio nemico, il fortino, la testa di ponte; e così, anche in Toscana, finalmente sappiamo che cosa sono i legaioli, che cosa sono le retate a Chinatown e tutto il resto. Hanno cominciato con le insegne in italiano (ovvero: basta che non siano in cinese, poi possono essere in tutte le altre lingue del mondo). Niente più manifestazioni. La crisi? Puff, scomparsa da un giorno all'altro. "Prato riparte", è diventato lo slogan; e come sia ripartita lo si percepisce bene nelle parole di non mi ricordo nemmeno quale parlamentare del PDL che oggi, dalle righe della Nazi(st)one, esulta per l'ennesima "retata contro l'illegalità": "A Prato è tornata la legge", dice. Già, la legge dei padroni. La legge dei bifolchi arricchiti. La legge della sopraffazione. La legge dell'idiozia.

Il sistema è collaudato. Si parte sempre col degrado, con la sihurezza e con la legalità. Paladini di queste cose, oltre naturalmente ai soliti servi mediatici, sono generalmente coloro che sono stati e sono in prima fila nel degradare la società per i loro interessi, nel fomentare la paura criminale e nel dispregio della legge: gli imprenditori pratesi ne sanno qualcosa, e molto bene. Dopo il battage, si parte con le geremiadi. Arriva la crisi, e l'occasione non può andare perduta. Una crisi che, a Prato, ha come cause principali la miopia, la stupidità, l'ingordigia e l'assenza di qualsiasi autentica programmazione economica, (secondo il principio del basta fa' quattrini, compràssi i' Suvve, fa le vahanze alle Seicèlle, i' viaggiodinozze alle Mardive e avècci la ganza), viene trasformata nel metodo per "regolare i conti" con quei musi gialli; i quali, nel frattempo, lavorano, mandano avanti la baracca e, soprattutto, ci hanno alle spalle quella che ormai è la prima potenza economica mondiale. Ma a Prào che gliene importa; che non se ne sbarazzeranno affatto lo sanno benissimo, e anche che non gli fa punto comodo. Solo che c'è da dare fumo negli occhi a' cittadini, previamente istupiditi a forza di giornaletti, di trasmissioni, di degradi, di sihurezze, di paure, di efferati crimini, di cronaca di merda.

Arrivano loro, e tutto è risolto. Il bandierone tricolore viene riposto, avendo assolto al suo compito: quello di essere il ridicolo simbolo di una massa di stronzi. Vengono cancellate le insegne in cinese. La cosiddetta "opposizione" viene ridotta a quel che è, ovvero una congrega di balbettanti poveracci che fanno sempre di più a gara per somigliare a coloro cui si dovrebbero "opporre". Ogni settimana una retata, espulsioni, galere; i fascisti scorrazzano liberi e impuniti, i leghisti cominciano ad ammorbare anche l'aria toscana con il loro puzzo di democristiani nazisti verdognoli, e le opposizioni autentiche, quelle poche, vengono fatte tacere.

È, se ci si pensa bene, lo stesso che è accaduto con la famosa spazzatura a Napoli. Viene prima creata l'emergenza che, per un certo periodo, è la notizia principale. Diventa un'emergenza nazionale. Telegiornali, giornali, dibattiti, tutto è occupato da questa emergenza; la cui colpa è sempre, ovviamente, della parte "avversa" al Signor Padrone, al Dvce di Villa Certosa (metto "avversa" tra virgolette, perché in questo sistema oramai nulla è avverso a nulla). Arriva la farsa delle elezioni, i pecoroni con la matita copiativa obbediscono come automi, e la spazzatura scompare due giorni dopo. Silenzio. Spazzata via tutta. Così come il terremoto in Abruzzo, così come qualsiasi emergenza che viene sfruttata soltanto a fini di potere. E così è stato per la crisi pratese, quella per cui la bidonville delle coscienze che è diventata quella città doveva "chiudere", oh tragedia, oh catastrofe! Si è visto bene cosa nascondevano quelle parole, "Prato non deve chiudere". Significavano in realtà: "Datecela, ché ora vi si danno un po' di retate, un po' di razzismo e un po' di crasse imbecillate che vi garbano tanto, e noi si fa meglio quel che cazzo ci pare".

E allora non resta che rispondere in un linguaggio chiaro. E in cinese:

去地狱,肮脏的人 !

Ovvero:

ANDATE ALL'INFERNO, LURIDI!