martedì 26 gennaio 2010

Giornate della memoria e ordigni dimenticati


Oggi sarebbe il ventisette di gennaio, vale a dire la cosiddetta giornata della memoria. Fossi uno degli oramai rarissimi sopravvissuti ai lager nazisti, magari uno zingaro o un omosessuale (così tanto per variare), irromperei in uno dei diecimila posti dove si commemora e farei come il giornalista iracheno che ha tirato le scarpe a Bush; ad esempio, le tirerei volentieri a Amos 'Oz e a tutta quella stucchevole e ipocrita intellighenzia "progressista" israeliana che memoreggia così tanto ma, al momento giusto, non manca mai di esercitare la propria sanguinosa ambiguità quando fonde il piombo. Quintali di scarpe ai David Grossmann e al suo figlio morto del cazzo, alle Achinoam Nini (detta Noa) e a tutti i personaggi del genere. Senza neanche nominare Gaza. Ogni scarpa tirata sarebbe una Gaza già di per sé. Magari, sulle scarpe da tirare ci si potrebbe disegnare un grappolo, come quello delle bombe.

A proposito di bombe; anzi, di ordigni. Ventisette gennaio 2010. Fanno esattamente un anno e dieci giorni da quando un "pericolosissimo attentato" fu perpetrato ai danni della Chabad House di Firenze. Non se ne sa più assolutamente nulla. Persisto a non amare la memoria a senso unico, sia che si parli di Mauthausen (posticino dove, vorrei farlo presente, ho avuto un nonno rinchiuso), sia che si parli di qualsiasi altra cosa. Poiché, ai suoi tempi (17 gennaio 2009, ribadisco) tutti i maggiorenti della città di Firenze si scomodarono per una bomboletta di gas da campeggio mentre a Gaza morivano centinaia di bambini, sarebbe il caso che la "giornata della memoria" di oggi fornisse una risposta anche su questo episodio.

Si tratta, naturalmente, di una richiesta del tutto rettòrica. Il buon vecchio Carlo Michelstädter andrebbe riletto con attenzione, coi suoi meccanismi della persuasione. Quel libriccino che, assieme alla Società dello Spettacolo di Débord, è senz'altro il più importante scritto nel ventesimo secolo. Retorica perché non ci sarà proprio nessuna risposta. Il qui presente, per testardaggine innata, continua a parlarne dal suo blog di estrema periferia; ma inanemente. Dimenticanza. Rimozione. Acquisizione della verità massificata e effimera. Persuasione automatica. Silenzio perfetto anche da parte di chi, con un articolo giornalistico una volta tanto coraggioso, aveva paventato scomodissime evenienze. Gente che è stata sbattuta in galera per "attentati" anche molto meno gravi di questo, e che vi sarebbe finita in pompa magna se la consueta e criminale costruzione non fosse stata stoppata inopinatamente.

Non è Piazza Fontana. Non è Piazza della Loggia. Non è l'Italicus. Non è il Rapido 904. Non è Via dei Georgofili. Non è il Moby Prince. Ma è, nella sua infinitamente minore entità, della stessa natura. Nella sua bombolettitudine, è un misterino d'Italia sul quale non verrà mai fatta luce. È qualcosa che non si può dire. È qualcosa che deve essere messa a tacere. È qualcosa sulla quale è intervenuta la verità ufficiale, allontanarsi dalla quale è sovversione. La memoria, con le sue "giornate", è in realtà vuota celebrazione di un sistema che si serve della morte per giustificare repressione e altra morte.