giovedì 20 ottobre 2011

Καίγει η Ελλάδα


Nei momenti di crisi peggiore (e questa è una crisi che investe le strutture più profonde del sistema capitalista, sarà bene ricordarlo e ribadirlo), lo scontro non è unicamente sociale. Il conflitto è anche da due differenti modi di intendere e esercitare tale scontro, che rappresentano uno spartiacque decisivo. Oscurate sia dalla "notizia del giorno" (la morte di Gheddafi, sulla quale avrò a tornare brevemente in seguito) sia dall'ovvia necessità mediatica di regime di presentare gli avvenimenti odierni in Grecia come la solita contrapposizione tra "violenti" e "nonviolenti", le notizie provenienti da Atene e dalle altre città elleniche ci presentano una realtà ben diversa, la realtà della collera incontenibile di una generazione intera che anche a Roma si è espressa in un linguaggio non fraintendibile.

Vale la pena ricordare che, in Grecia, le statistiche parlano di una disoccupazione che interessa un giovane ogni sei, e che le misure di austerità che il governo di Papandreu sta per varare aggraveranno la situazione a livelli oramai insostenibili per la maggioranza della popolazione del paese. Lo sciopero generale che è stato proclamato in Grecia non è come la farsa promossa dalla CGIL lo scorso 6 settembre, farsa che peraltro non ha avuto alcun seguito. In Grecia sono oramai anni che si svolgono a cadenza pressoché quotidiana manifestazioni in cui lo scontro con la polizia è pratica corrente e condivisa (e principalmente per questo motivo le notizie relative, in Italia, sono off-limits; non avessero a turbare i sonni dei nonviolenti e dei legalitari istituzionali e non e, più che altro, a far porre troppi interrogativi seppure a cervelli in gran parte atrofizzati che riescono a considerare come "atto di protesta" esporre alla finestra una bandiera tricolore). In Grecia è in atto uno scontro la cui portata deve essere sottaciuta, perché fa paura; in tale senso, è indicativo che, nel dare ogni tanto qualche notizia, non si sia trovato di meglio che presentare anche gli scontri di questi giorni come "manifestazioni pacifiche rovinate da pochi violenti": col cazzo. In Grecia non esistono e non sono mai esistite, da tre anni a questa parte, "manifestazioni pacifiche". In Grecia non esistono "indignati" con tende e striscioni colorati. In Grecia è stato dato fuoco a ogni cosa, dagli alberoni di Natale alle sedi del PASOK. In Grecia migliaia e migliaia di persone si concentrano nella piazza principale del potere, dove ha sede il parlamento; non a caso, la rottura del corteo romano del 15 ottobre si è avuta proprio quando chi non intende seguire gli itinerari della "protesta" anodina e gradita al regime (quella "condivisa" persino da Draghi e addirittura da chi, come un Di Pietro, poco dopo ha invocato leggi speciali) ha deviato verso i centri di potere.

La Grecia brucia, e quando le fiamme fanno paura bisogna nasconderle dato che non è possibile soffocarle. Come riportato puntualmente da Baruda, in Grecia (ma in termini decisamente più duri e chiari) quel che sta accadendo in Grecia propone esattamente lo scontro aperto tra la rabbia autentica e l'intruppamento, tra chi attacca e chi svolge pienamente una funzione sbirresca. Il riferimento è agli stalinisti del ΠΑΜΕ (acronimo sí di Πανεργατικό Αγωνιστικό Μέτωπο "Fronte di Lotta di Tutti i Lavoratori", ma che in greco può essere letto anche come πάμε "andiamo"...affanculo, ci aggiungerei volentieri), che oggi in piazza Syntagma si è immediatamente schierato a difesa dei cordoni di polizia, ancor prima che la polizia si fosse pienamente schierata nella grande piazza del parlamento. Il parallelismo con la situazione di sabato scorso a Roma, dove il corteo "pacifista e nonviolento" era di fatto in sintonia (anzi, in presintonia) con gli sbirri poi invocati a gran voce, applauditi e festosamente aiutati nella repressione, è evidente; a Atene i servizi d'ordine di questi maiali sono stati attaccati in forze dal blocco antiautoritario, e sono volate molotov, bottigliate, bastonate assieme all'assalto alla polizia "propriamente detta", l' Αστυνομία, dato che certamente non si era rinunciato ad avvicinarsi al palazzo dove il "parlamento democratico" stava votando l'assassinio premeditato del popolo greco.

Nel fare questo, il blocco antiautoritario ha semplicemente applicato una logica conseguenza. Si attacca sí la polizia, ma in ogni sua entità ivi compresa quella travestita da "protesta". Gli stalinisti del ΠΑΜΕ (che non per niente, sul loro sito, denunciano la δολοφονική επίθεση εναντίον της συγκέντρωσης του ΠΑΜΕ "aggressione assassina contro il concentramento del PAME", con un linguaggio che ricorda da vicino quello dei "festosi" di casa nostra). La reazione è stata ovvia e consueta: gli stalinisti hanno agito da sbirri esattamente come i "nonviolenti" a Roma, affiancando la polizia e consegnandole gli attaccanti. In non molto tempo, la piazza viene presa dalle due polizie, che in pratica sono una sola: quella dello stato e quella del PAME. Inizia la cattura e la repressione.

Vale la pena, a questo punto, tornare un attimo a casa nostra e raccontare di come è stata presentata la giornata di oggi ad Atene da Popolare Network, radio fintamente "progressista" e schierata a pieno titolo con le forze dell'impacchettamento e della delazione. Secondo Popolare Network, infatti, ad Atene oggi ci sarebbe stata la "ribellione contro i violenti di chi intende protestare pacificamente", nelle stesse modalità di sabato a Roma. In pratica, una situazione come quella odierna a Atene viene presentata come una ripetizione di ciò che è avvenuto il 15 ottobre, e gli scopi di questa forzatura della realtà appaiono chiarissimi. Naturalmente ignorato è stato il fatto che, nel prosieguo della serata, gli scontri sono continuati e, anzi, si sono allargati con gruppi della sinistra antagonista che si sono uniti negli assalti agli sbirri stalinisti del PAME. Il risultato è stato che la polizia "DOC" è stata costretta ad aprire una via di fuga per i "colleghi" stalinisti, che si sono allontanati per andare a scrivere sul loro sitacchione di come siano stati "vilmente assaliti" (il termine che usano è indicativo: προβοκάτσια, che si legge provokatsia e che non ha bisogno di traduzione) e, presumibilmente, per andare a lamentarsi presso i media greci. Nei prossimi giorni ho intenzione comunque di monitorare la situazione direttamente sui siti in lingua greca, soprattutto per controllare se anche in Grecia si sia praticando diffusamente l'invito alla delazione.

Inutile dire che "Repubblica" non perde occasione, in una notiziuola relegata quasi in fondo al suo portale, di esaltare i "pacifici" che avrebbero "respinto i violenti"; a questo punto, la cosa deve essere ricondotta semplicemente ad una ovvia strategia di menzogna sistematica che accomuna in un solo "blob" fascisti e "progressisti", "nonviolenti" e delatori, "democratici" e grancasse di regime. L'espressione "forze dell'ordine" è oramai pienamente applicabile non solo alle polizie, ma anche a chi le spalleggia fattivamente. Il tutto, naturalmente, nel particolare contesto di oggi dove la "notizia principale" è quella della morte di Gheddafi con i relativi giubili, esaltazioni e gridolini di orgasmo da parte degli obami, dei sarcozzì neopaparini, dei napolitani, dei fratt(agl)ini e compagnia bella. Qui si fermano la "nonviolenza" e il "pacifismo", comunque la si voglia vedere e, soprattutto, considerata l'attitudine di chi non cessa di volersi scegliere le sue "rivoluzioni" preferite al pari dei suoi "manifestanti" preferiti. Intanto, la Grecia continua a esplodere, e sto immaginandomi le reazioni se, tra qualche tempo, in un qualche cunicolo (o in una fogna) una folla in armi dovesse stanare Papandreu, qualche governatore di una banca centrale oppure, chissà, Nichi Vendola o Casarini mentre consumano l'ultimo disperato amplesso con Draghi e Montezemolo.