lunedì 13 febbraio 2012

La ballata del Gulotta


Si chiama Giuseppe Gulotta,
ma non lo so come lo devono
avere chiamato
mentre era chiuso nelle loro mani.
Chiuso, sí, chiuso.
Chiuso a desiderare, forse,
di morire a diciott'anni.

Quei due nella foto si chiamano...
non lo so, a dire il vero.
So i nomi di chi li hanno interpretati
e anche quello di uno dei due personaggi
perché era il titolo dello sceneggiato.
Sono un prete e un carabiniere.
Sono tanto buoni.
Aiutano il più debole e la vecchietta,
sono sempre per la giustizia
di cui rappresentano
l'inscindibile connubio tra
il divino e l'umano.
Sono divini e umani.
Piacciono alle famiglie italiane,
hanno divise stabilite e in ordine.
Capiscono tutto
e amano i cani.
Bisogna propagandare sempre
la polizia celeste e quella terrena!
Succede che, poi, qualcuno li tocca.

Giuseppe Gulotta ha diciott'anni
quando, un giorno, lo prendono
con l'accusa di averne uccisi due.
Vittime del dovere!
Madonna, quanti ne ammazza 'sto dovere;
e non l'hanno ancora preso, però.
A centinaia, a migliaia,
e ancora gira libero e impunito
il dovere.
Quando li toccano,
dicevo qualche tempo fa,
all'improvviso non sono più buoni.
Sei un ragazzino,
ma non ti guardano più così paterni,
dandoti buoni consigli
e rimandandoti a casa con un buffetto.
Non gliene importa se hai la fidanzatina,
se mamma ti aspetta a casa
con la pasta al forno che ti piace tanto,
se magari il giorno dopo devi andare a scuola
e se hai lasciato il motorino in divieto di sosta.
No.
Secondo loro hai toccato due dei loro.
Lo devi dire. Lo devi confessare.

E allora ti torturano, senza pietà.
Ti chiudono dove le tue grida
non si sentono;
e la pasta al forno si raffredda,
la fidanzatina non sa dove sei.
La mamma, poi.
Fra due o tre giorni, davanti a un microfono
dovrà dire:
"Se ha sbagliato,
mio figlio deve pagare".
Il motorino andrà all'asta giudiziaria.

Non le sentono le tue grida,
ragazzo che ti ci hanno messo dentro.
Non lo potrai dire a nessuno
quel che ti stanno facendo
quei bravi e onesti padri di famiglia.
Si chiama spirito di corpo, sai;
ma il tuo corpo, ed il tuo spirito
ora sono nelle loro mani.
A te ti hanno preso.
Altri due son dovuti scappare lontano
per non fare la stessa fine.
Il terzo, quello che ti aveva accusato
(chissà perché, chissà perché)
a un certo punto
lo hanno suicidato in carcere.
Torture e tormenti,
tormenti e torture,
de tormentis atque poenis.
Quello che ti aveva accusato
(e che poi è stato suicidato)
dice, invano,
di averlo fatto
sotto
indicibili
orribili
torture.

Nello sceneggiato, e in altri come quello,
non si può torturare.
La tortura non esiste.
O meglio, esiste, ma
la compiono i malfattori.
I malfattori sono brutti e violenti
e spesso parlano con strani accenti.
Le caserme sono pulite e accoglienti,
comprendono anche gli appartamenti;
e negli appartamenti, dio che umanità,
il cagnolino, la storia d'amore,
la pasta al sugo mista al sissignore,
il Natale con l'albero
(quello non manca mai)
la gioia e la delizia a volte
offuscata
dal tragico fatto su cui i buoni
sono chiamati a fare luce.

E così se li immagina la gente,
perché queste finzioni servono a far immaginare;
e così, in un appartamento lindo e sereno,
probabilmente con la sua famigliuola
viveva anche un ufficiale dei carabinieri
cui si darà il nome di Renato Olino.
Uno è morto.
Due sono chissà dove.
Uno è all'ergastolo.
Sí, perché a diciott'anni sei maggiorenne
e puoi prendere il fine-pena-mai.
O come lo scrivono ora:
Fine pena: 9999.
Qualcuno forse sogna
di uscire
nel novemilanovecentonovantanove.
Uscire e vedere finalmente
le astronavi che volano,
e i grattacieli di cinquemila piani,
e ragazze bellissime vestite con tute fosforescenti
e con pettinature remote e future.

Giuseppe Gulotta è all'ergastolo
perché nella tortura ha detto sí.

Nella tortura si dice sí a tutto.
Ti chiedono:
hai mangiato tu il rinoceronte del papa?
Dici: sí!
Ti chiedono:
maledetto, hai smontato tu la Torre Eiffel?
Dici: sí, sono stato io!
Ti chiedono,
a te e al tuo sangue
a te e al tuo soffocare
a te e al tuo morire:
hai ammazzato tu i nostri ragazzi?
E dici sí.
Sí!
Sí.
E allora hai confessato.
E poi ritratti, dici di no
e magari, ah ah, dici pure
che ti hanno estorto la confessione.
I carabinieri, estorcere?
I carabinieri ci proteggono.
Sia mai detto!
Quindi, ragazzino,
quindi, Giuseppe Gulotta,
ti pigli l'ergastolo.
Esci nel 9999.
Pena ostativa.
Hai ammazzato due vittime del dovere
quindi non esci mai.
Ma figuriamoci, poi,
in questo paese dove anche i bambini dell'asilo
oramai chiedono a gran voce la certezza della pena
alla maestra, se il compagno ruba la merendina.

Nel 2007, trentuno anni dopo, trentuno,
l'ufficiale dei carabinieri Renato Olino
dice di non reggere al rimorso.
'Sto rimorso del carabiniere mi sembra
un po'come una di quelle cacate
che scappano in posti impossibili,
proprio dove non la si può fare.
Bisogna reggerla!
E che sarà mai, per trentuno anni;
alla fine un posto si trova
dove cacare 'sto rimorso
che tanto gli avrà rimorduto
a questo lurido
bastardo merdoso
fottuto.

Renato Olino, carabiniere,
caca tutto alla fine:
caca torture e menzogne,
caca la storia
di come hanno cacato la vita di Giuseppe Gulotta,
di Giuseppe Vesco,
di Vincenzo Ferrantelli,
di Gaetano Santangelo.

Diciott'anni, Giuseppe Gulotta.
Aspettava la pasta al forno
e la fidanzatina sul motorino in divieto di sosta,
aspettava tutta una vita
nell'anno in cui lo sceneggiato
di moda, il '76, era Sandokan.
C'erano meno carabinieri e preti nel '76.
Sandokan, Sandokan,
Kabir Bedi e la Perla di Labuàn.

"Dopo la chiamata di correità
Giuseppe Gulotta
fu arrestato e massacrato di botte per una notte intera.
La mattina,
dopo i calci, i pugni, le pistole puntate alla tempia,
i colpi ai genitali e le bevute di acqua salata
avrebbe confessato qualunque cosa
e firmò un
documento
in cui affermava
di aver partecipato all'attacco alla caserma."

Oggi Giuseppe Gulotta
è stato assolto.
Hanno riveduto il processo, capito.
Ora, trentacinque anni dopo,
dicono che il ragazzo
può tornare dalla fidanzatina,
e a mangiarsi la pasta al forno
preparatagli dalla mamma
(che magari si sarà un po' freddata,
come la mamma stessa, del resto).
Il motorino? Ma sí, magari marcia ancora.
Ha un figlio, sembra, Giuseppe Gulotta.
Non so di quanti anni.
Non so di quanti anni.

La famosa frase di sempre:
chi ridarà a Giuseppe Gulotta
la sua vita perduta?
Perduta, poi?
No, non l'ha perduta.
Gli è stata rubata e torturata.
Gli è stata ergastolata.
Gli è stata, la sua vita,
ridata come fosse il 9999.

E penso a quanti ce ne sono stati,
ce ne sono, e ce ne saranno,
di Giuseppe Gulotta.
Penso ai buoni che amministrano l'acqua salata.
Penso alle loro buone facce di merda
e mi viene un'insopprimibile voglia
di sparare a Terence Hill
e anche a quel coglione di Nino Frassica.
Penso a come dev'essere.
Penso a un sacco di cose
e sono pensieri che non
mi fanno stare quieto.

Leggo, Giuseppe Gulotta,
che vivrai quel che ti resta da queste parti,
a Certaldo,
il paese di Giovanni Boccaccio
e, ora un sorriso amaro,
dell'allenatore Spalletti.
Leggo che farai il muratore,
tu che ti avevano murato vivo.
Leggo, e non so chi sei.
O forse so chi sei.
O forse so e non so.
O forse è ora
di.