mercoledì 28 gennaio 2009

L'ordigno



Poiché questo è un blog di storie, ve ne racconto una assolutamente straordinaria, anche se legata senz'altro all' “attualità”.

Tutto comincia a Firenze la sera del 17 gennaio scorso, quando in via dei Pilastri, nell'antico quartiere di Santa Croce e a due passi (ma veramente due passi) dalla sinagoga, viene ritrovato un ordigno sistemato davanti alla Chabad House, o Beyt Chabad, la sede fiorentina del movimento ultraortodosso ebraico dei Lubavitch. Tale movimento dei simpatici Chassidim (e se dico “simpatici” non è sarcastico: mi ispirano, da sempre, una sincera simpatia per vari motivi che non sto a spiegare) prende nome da una cittadina russa che, nel 1941, fu completamente rasa al suolo dai nazisti.

A questo punto un piccolo ma necessario excursus.

Il termine ordigno è amatissimo dai media. Quel suo deciso sapore ottocentesco, da attentatore anarchico, come dire, fa “presa”. Un tempo alcuni genitori anarchici chiamarono Ordigno uno dei figli maschi; se ne può vedere ancora qualche esempio in Toscana (al Gabbro, vicino a Rosignano Marittimo). Un ordigno è, al tempo stesso, qualcosa di più e di diverso di una semplice bomba. Le bombe si mettono sui treni, nelle stazioni o dentro le banche, magari a cura dello Stato; gli ordigni sono più romantici, sanno di neri pastrani, di ombre furtive nella notte, di gesti solitari. Gli ordigni sono quasi sempre fatti in casa: si usano gli oggetti più disparati (scatole di metallo, tondini di ferro, polvere da sparo trovata in soffitta); da qui un aggettivo che, spesso, li accompagna: rudimentale. Naturalmente, se ben confezionato, anche un ordigno rudimentale può fare danni seri; volendo, anche una bottiglia molotov lo è.

Torniamo a noi. La sera del 17 gennaio scorso, un ordigno rudimentale viene ritrovato davanti alla suddetta Chabad House dei Lubavitch, in via dei Pilastri. Si tratta di una “bomboletta di gas da campeggio e un innesco con pezzi di carta” (dichiarazione del procuratore capo di Firenze, Giuseppe Quattrocchi). Prosegue l'alto funzionario: “L'ordigno rudimentale non sembra cosa idonea a conseguire risultati significativi”.

Il 17 gennaio siamo ancora in piena offensiva militare su Gaza, con le relative manifestazioni di opposizione e di sostegno nei confronti di Israele. Apriti cielo: l'ordigno rudimentale basta per mettere in modo il meccanismo della “solidarietà istituzionale” nei confronti della comunità ebraica fiorentina colpita dal vile tentativo di attentato. Tutti, dal sindaco Domenici al presidente della Regione Toscana, Martini, da svariati parlamentari fino addirittura alla Confcommercio, al neo-arcivescovo Betori e all'imam della comunità musulmana, Ezzedin Elzir, esprimono solidarietà e sdegno, organizzando addirittura un presidio davanti al Tempio Israelitico fiorentino di via Farini, la mattina di domenica 25 gennaio. Perché, naturalmente, tutto ciò si iscrive nel rigurgito di antisemitismo che attanaglia Firenze, assieme a tutto il mondo, dopo l'intervento militare a Gaza. Nonostante le parole del procuratore capo, il rabbino Joseph Levi dichiara alla stampa: “L'ordigno poteva procurare gravi danni”.

Chi può averlo piazzato? Sembra che una telecamera abbia ripreso “due ombre nella notte”. La stampa, in primis la Nazione, non tarda a tirare in ballo la “pista anarchica”; già magari qualcuno s'immagina la retatona al centro sociale, o roba del genere. E le indagini, quasi d'istinto, in un primo momento sembrano orientarsi in questa direzione che potremmo chiamare degli antisemiti rossi, come piace tanto scrivere a questi signori.

Senonché, proprio oggi 28 gennaio, passati il défilé di politici davanti alla sinagoga e anche la Giornata della Memoria, il quotidiano Il Firenze se ne esce con, in prima pagina, un autentico scoop: macché anarchici, macché antisemitismo. Secondo “un autorevole esponente della comunità ebraica fiorentina”, che intende restare anonimo ma le cui dichiarazioni “trovano però importante riscontro tra gli inquirenti”, si tratterebbe nientemeno che di una faida tra ebrei. Uso tale espressione riprendendola dal titolone in prima pagina del Firenze. Dichiara l' “autorevole esponente”: «Macchè antisemitismo. È tutto da ricondurre ai contrasti personali interni tra la comunità fiorentina ed i Lubavitch, alcuni ebrei ultra-ortodossi che frequentano solo saltuariamente la sinagoga di via Farini». Proseguono gli articolisti del Firenze, C. Bozza e S. Brogioni:

L' ipotesi è avvalorata anche dall'assenza di una rivendicazione della bomba, fatto piuttosto anomalo nel caso si fosse trattato di una matrice politica. Un contesto delicatissimo quello fiorentino, in cui coesistono con difficoltà due modi diversi di concepire e praticare la religione ebraica. Da un lato la quasi totalità della comunità guidata da Joseph Levi, rabbino della sinagoga di via Farini, dall'altro appunto gli hassidim, l'anima più rigorosa dell'ebraismo, segnati da una religiosità fortissima, quelli che di sabato, per shabbat, non accendono la luce e non prendono neanche l'ascensore. I gravi contrasti nella manciata di metri tra via Farini e via de' Pilastri iniziano nel 2000, quando Eli Borenstein, uno dei più influenti leader del movimento internazionale Lubavitch in Italia, acquista il fondo di una merceria per aprire appunto la Chabad House, al cui interno c'è solo un mucchio di cianfrusaglie, in un punto però strategico e di grande visibilità per attirare potenziali hassidim. Questi ebrei di Firenze sono appunto Lubavitch [...] Caftano nero, boccoli a cavaturacciolo e Borsalino nero in testa, arrivano da tutto il mondo per incontrare il leader Borenstein, che però sta a Bologna -dove ha ricevuto un altro avvertimento- e di solito arriva a Firenze solo una volta a settimana -il sabato appunto- per ospitare e ristorare gli aderenti al suo movimento. Un giorno sacro il sabato, in cui oltre al divieto di camminare a lungo, preparare cibo e fare molte altre cose, è vietato persino telefonare: per questo, curiosamente, Borenstein ha avvertito i carabinieri solo al tramonto, quando il shabbat si era concluso, nonostante si fosse accorto dell'ordigno già dalla mattina. «Si spera in una pacifica convivenza, ma vedere i Lubavitch che in via dei Pilastri fuori dalla sinagoga fanno proselitismo tra i turisti ebrei americani non sembra gradito alla comunità», scriveva Repubblica Firenze in un reportage pubblicato poco dopo l'arrivo dei Lubavitch in città. Un mancato gradimento, poi degenerato in un conflitto tra i due gruppi, che però fa solo da sfondo all'atto intimidatorio del 17 gennaio, che potrebbe essere figlio di dissapori personali.”

Ora, vi sono da dire alcune cose necessarie. La prima è che, a me personalmente, non piacciono punto le dichiarazioni anonime, nemmeno quelle che troverebbero “riscontro tra gli inquirenti”. La seconda è che Il Firenze, dopo un inizio promettente, è un quotidiano che -in generale- si è perfettamente allineato alla cialtroneria mediatica, proponendo ad esempio le sue brave dosi di sicurezza, di law & order eccetera (certo, senza raggiungere i livelli inarrivabili della Nazione, titanica creatrice di polveriere, quadrilateri della paura, esasperazioni de' cittadini eccetera). Lo scoop odierno va preso quindi per quello che è, e un'elementare prudenza mi impone di usare in modo costante il modo condizionale.

Certo, però, se e solo se le affermazioni del Firenze si rivelassero esatte, e se l'ordigno rudimentale sistemato davanti alla Chabad House fosse stato confezionato, come dire, “in famiglia” (e senza nulla togliere alla gravità -anche simbolica- dell'episodio), si aprirebbero scenari impensabili. Ad esempio, chi dovrebbe andare a spiegare al sindaco, agli onorevoli, al presidente dell'ASCOM, Soderi (quello che raccomandò ai commercianti la "serrata" in occasione del Social Forum del 2002), a tutti gli altri esponenti istituzionali, all'arcivescovo e all'imam che, in realtà, domenica 25 gennaio si sono recati davanti alla Sinagoga a fare un presidio per i Lubavitch?

Mi si perdoni la cosa, ma immaginarmi Domenici col Borsalino nero e le treccine, Matteo Renzi a imbriacarsi per il purim, Claudio Martini ad accendere la hanuqqah, Soderi a fare un corso accelerato di yiddish o Graziano Cioni a non poter telefonare il sabato a Salvatore Ligresti , mi riempirebbe di autentica gioia, di purissima letizia. Oltre a farmi restare ancora più simpatici i Chassidim, coloro che si avviavano alle camere a gas cantando il Pishku Li.