giovedì 28 marzo 2019

Familienkongress /1



Un tipo poco raccomandabile




Da tempo è risaputo che nutro un particolare hobby: quello dello sbirro fascinoso. Quando, zitto zitto, mi capita di diventare il capitano Riccardo Venturi dei RIS, compio mirabolanti e pericolosissime imprese e, of course, seduco belle donne. Ma ho anche dei lati parecchio oscuri. Per esempio, che Aldo Moro l'ho ammazzato io, quando ero brigantista, è fatto notissimo già da parecchi anni; ho avuto un'adolescenza assai inquieta e decisamente controversa (nel 1978 avevo quindici anni) e, se da un lato militavo già nella lotta armata di estrema sinistra, dall'altro non disdegnavo qualche capatina anche dall'altra parte, così per vedere che aria tirava e per farmi qualche giretto in treno.   

Lo deve aver saputo (non so come, ma avrà avuto le sue fonti), il sig. Paolo Mastri, che non ho il piacere di conoscere ma che saluto, che presso le edizioni Ianieri ha pubblicato un romanzo dove, finalmente, qualcuno si è deciso a svelare anche quelle mie avventure di enfant terrible. Il romanzo si intitola Tutto così in fretta, è uscito nel 2018 e, dalla presentazione, traggo questo breve e indicativo frammento:

" Mancano meno di otto ore al rapimento di Aldo Moro e all’uccisione dei cinque uomini della sua scorta il 16 marzo del 1978, quando il sostituto procuratore della Repubblica, Massimiliano Prati viene ucciso a Pescara sotto casa dell’amante Silvana Di Labio, vedova del costruttore più in vista della città. Testimone oculare del delitto è Roberto Tintori, il sarto della Pescara bene, da due mesi ingaggiato come informatore del Sisde sotto la pressione di un ricatto. Sul caso indaga il capitano Luise, il capo centro del servizio segreto interno, fino a quel momento alle prese con le indagini su un misterioso assalto all’armeria della Polizia ferroviaria (Polfer) di Pescara, dietro il quale si intuisce l’ombra di Riccardo Venturi, l’imprendibile terrorista nero implicato nella stagione delle stragi sui treni, custode del bottino della rapina di una banca di Parigi, che nel romanzo viene definita la rapina del secolo. "

Insomma, avete capito bene. Da ragazzo avevo giornate parecchio piene e quella del 16 marzo 1978 lo fu particolarmente. Verso le 1 di notte ero a Pescara ad ammazzare il sostituto procuratore della Repubblica Massimiliano Prati sotto casa della sua amante, nella mia versione nera & imprendibile (in effetti, ora che ci penso, non mi hanno proprio mai preso); espletata la bisogna, con una veloce fuoriserie compratami con i frutti della rapina in banca a Parigi -d'accordo, avevo 15 anni ma la sapevo già guidare e mica vorreste che mi preoccupassi della patente, con quel popo' di curriculum criminale che già avevo- correvo a Roma per trovarmi pronto all'appuntamento in via Fani. Mi toccò, ohimè, abbandonare la fuoriserie per una tremenda 128 familiare con una finta targa del Corpo Diplomatico, ma le esigenze del momento lo richiedevano. Il resto è Storia, anche se tuttora ignoro come sia potuta venire a saperlo la Bosco, la mia insegnante di matematica, materia nella quale ero una tragedia (con tutto quel che avevo da fare, lo capirete, trascuravo un po' lo studio; ma se avesse saputo la Bosco che cosa stava rischiando, rimandandomi regolarmente a settembre, ci avrebbe pensato due o tre volte).

Insomma, come dire: quando c'è di mezzo Riccardo Venturi, c'è poco da stare tranquilli. O ti arresta, o ti ammazza. Carabiniere dei RIS, efferato brigatista e imprendibile terrorista nero. Se ci sono di mezzo io, mai nessuno che decida di trasformarmi, che so io, in un placido curato di campagna, don Riccardo Venturi, impegnato nella cura delle anime di un tranquillo paesino della Valdichiana; o nel dott. Riccardo Venturi, eroico medico di frontiera stile vecchi romanzi di Cronin. Nulla da fare. Il mio destino è segnato, che sia sbirro o terrorista bipartisan

La mia sordida carriera terminerà, lo immagino, in una buia cella di galera in Sardegna dove, peraltro, mi sbatterò da solo in veste di carabiniere. Mi ritroverò senz'altro in compagnia di quell'altro col nome parecchio gettonato, chiedendogli come faccia a stare dentro dal 1916 o giù di lì. Esigeranno anche le mie scuse. Mi autoaccuserò di ogni cosa. Chiederò il perdono ai parenti delle mie vittime, il dott. Massimiliano Prati di Pescara, l'on. Aldo Moro, il sarto della Pescara bene (quello l'ho fatto sparire dopo), la prof. Bosco, tutti. Alla fine, chissà, me lo meriterò anche io un "Venturi giù la maschera" scritto da qualche giornalista di punta. Chissà. Sarà lo scorrere del tempo a mostrarci le prossime puntate



domenica 24 marzo 2019

Grandi Opere


Roma (Italia). Dalle Toilettes della stazione della metropolitana Anagnina
Ieri, come parecchie migliaia di Black bloc provenienti da tutta Italia (e anche dall'estero), ho partecipato a Roma, in uno spezzone anarchico, alla manifestazione contro le Grandi Opere Inutili, di cui qualche notizia dev'essere trapelata anche nelle varie gazzette. C'erano soltanto un cinquanta o sessantamila persone, che volete che siano, da piazza della Repubblica a piazza S. Giovanni.

Preceduti da qualche articolo catastrofico, tipo questo del "Messaggero" (icché messaggerà, 'e lo sa solo lui), i  Black bloc sono arrivati a Roma con ogni mezzo possibile, tra i quali il sottoscritto, con lo zaino contenente -tra gli altri  pericolosissimi oggetti- una copia di una Settimana Enigmistica dell'agosto 2017, un opuscolo sulla Halotti Beszéd (l' "Orazione Funebre" che è il primo documento scritto, nel XII secolo, in lingua ungherese), qualche panino col formaggio e insalata e una bottiglia d'acqua. Facevo parte di tre pullman organizzati da pericolosissimi Black bloc toscani e bolognesi -tra i quali anche il vicesindaco di Serravalle Pistoiese, il primo vicesindaco black bloc di tutto il Paese- arrivati nella Capitale per manifestare, appunto, contro le "Grandi Opere". Concentramento in piazza della Repubblica alle ore 14. 

I pullman ci hanno scaricati, muniti di tutte le nostre armi e del nostro palese terrorismo (vedasi di nuovo l'articolo del Messaggero) all'Anagnina, il terminal della linea A della Metropolitana di Roma. Tra slogan assai bellicosi, sigle variopinte (NO TAV, NO TAP, NO TRIV, NO TTIP, No 'Gnihosa), ci siamo trovati di fronte a delle necessità fisiologiche prima di affrontare le 14 stazioni del Metrò tra l'Anagnina e Termini. Per quanto possa sembrare incredibile, anche ai Black Bloc e ai Terroristi può scappare da pisciare, specialmente alle Black Blocchesse. In gran numero, quindi, abbiamo posato i Kalašnikov, le spranghe di ferro, le fionde caricate a tondini di ferro, le balestre e i bazooka per andare, appunto, a pisciare nelle Toilettes della stazione Anagnina. Io mi ci sarei dovuto fare la seconda mandata delle mie 42 unità giornaliere di insulina, e mica sarò l'unico Black Bloc col diabete esistente al mondo.

E' inutile negarlo: se un'efficace arma contro i Black Bloc è stata mai escogitata, questa sono i bagni dell'Anagnina. Ci siamo trovati davanti a una scena terrificante, di che scoraggiare qualsiasi velleità di scontri o qualsiasi altra cosa. I cessi dell'Anagnina non possono essere immaginati nemmeno da Stephen King, e molti Black Bloc, già pronti a mettere a ferro e fuoco la Capitale, sono usciti da questa esperienza giurando di volersi iscrivere immediatamente alla prima sezione disponibile dei Focolarini. Un'assaggio della situazione lo si vede, appunto, nella foto sotto il titolo, da me personalmente scattata con la mia mitraglietta Sten ben dissimulata da fotocamerina digitale.

Le Toilettes dell'Anagnina sembrano, all'ingresso, dei normali bagni. C'è pure un'insegna elettrica funzionante. Ma, appena entri dentro, vieni messo fuori causa.

Appena entrato, un puzzo quasi sublime ti assale; e non è semplice puzzo di merda. E' un puzzo composito, di merda sí, ma anche di piscio, di sudore, di cinquestelle, di Alemanno, di Terra di Mezzo, di ogni cosa. In un angoletto, siringhine di ogni ordine e grado. Il bagno degli uomini è chiuso a quadrupla mandata; evidentemente, l'Amministrazione non se l'è sentita di far subire -neppure ai Black Bloc- una tortura del genere. E' aperto, quindi, solo il bagno delle donne, utilizzato da tutti con un'evidente invito alla più sordida promiscuità; anche perché i cessi sono totalmente privi di porte, a parte uno che ce la ha rigorosamente sfondata. Si organizzano vane autodifese, tipo coprire le compagne con muraglie umane e di armi da guerra; inutile. Dei compagni soccombono e vengono portati fuori a braccia. Ci sono dei lavandini, ovviamente del tutto privi di rubinetti, e che emettono fiotti d'acquaccia in barba allo spreco delle risorse idriche, allagando così le Toilettes dell'Anagnina rendendole una poltiglia fangosa. Le tazze dei cessi sono riempite di merda fossizilizzata, i cui strati inferiori devono appartenere al Precambriano (rendendo così i Bagni dell'Anagnina interessanti dal punto di vista paleo-archeologico). Il water della cabina con la porta presente-ma-sfondata è, a tale riguardo, particolarmente protetto vista la sua estrema rilevanza per la paleoscatologia:

Che cosa ci sia sotto il saccone di plastica, è agghiacciante immaginarlo. Si noti comunque il basamento della tazza completamente incrostato di merda dell'Archeozoico.

Usciti da un'esperienza del genere, sul Metrò abbiamo deciso di scendere a più miti consigli, di lasciare da parte gli slogan combattenti e di intonare EhLa Viulèta e Quarantaquattro Gatti (che alcuni articolisti del Messaggero avranno sicuramente scambiato per un canto di inquadramento militare, "in fila per sei col resto di due"). 

Il corteo si è svolto regolarmente, perdipiù senza praticamente vedere uno sbirro nemmeno per sbaglio. Abituati come siamo alle rigide misure, ci siamo un po' ripresi dall'Anagnina Experience sganasciandoci dalle risate nel vedere una traversa di via Emanuele Filiberto bloccata da un furgone della Polizia Mortuaria. Sic.

Durante la manifestazione, uno spezzone del vasto corteo onorava Orso "Tekosher", l'anarchico fiorentino che è andato a combattere e a morire in Kurdistan contro l'ISIS. Mi unisco al ricordo e onoro il suo nome. Io, invece che in Kurdistan, sono andato iermattina a combattere e a rischiare di fare una morte di merda (in senso letterale) nei cessi della stazione Anagnina della Metropolitana di Roma, capitale dello Stato Italiano. Peraltro certo che anche Orso avrebbe detto che i cessi di Kobane, del Kurdistan intero e persino dello Stato Islamico sono in condizioni assai migliori di quelli dell'Anagnina, Rome, Italy.



Da segnalare che in piazza della Repubblica, prima dell'avvio del corteo, grandi altoparlanti passavano per avvertire i Black Bloc di stare attentissimi ad utilizzare le scale mobili delle stazioni della Metropolitana ancora disponibili: si poteva rischiare di essere risucchiati, e di rimanere incartocciati nei gradoni com'è successo anche pochi giorni fa. In pratica, tutto questo sembra essere una sorta di nuovo corso. Eravamo abituati ad aspettarci, in quanto Black Bloc e Terroristi, gli scontri, le cariche della polizia, le perquisizioni, le manganellate, gli arresti; ora si deve cambiare registro, se si va a Roma: il pericolo vero è quello di rimanere incastrati nelle scale mobili del Metrò. Addio scontri e cariche, quelle le lasciamo ai Gilè Gialli parigini dove la Metropolitana funziona.

In questo delirio di Grandi Opere, la morale non può essere, quindi, che una e una sola. La sintetizzerò con un appello.

Carissimi compagni Black Bloc (inclusi i vicesindaci di Serravalle Pistoiese), carissime compagne Black Blocchesse, è del tutto inutile andare a distruggere Roma, come paventato dal Messaggero. Roma si è già distrutta da sola. Saremmo noialtri, quelli che "distruggono le città"? Casomai, la prossima volta andiamo a aggiustarle un po'. Andiamo, che so io, a ripulire e a raccomodare le Toilettes dell'Anagnina, una Grande Opera ben più utile del TAV, del MUOS, del TAP. Ai compagni NO TRIV dico: trivelliamo piuttosto i cessi dell'Anagnina invece che il Mar Ionio, vi troveremmo senz'altro biorisorse impensabili, merda di epoche remote, biogas in grande quantità, quel che si vuole.  

Facciamole noialtri, le Grandi Opere, quelle vere. Rimettiamo a posto un luogo pubblico dove la gente va ad espletare una reale necessità quotidiana, quella di pisciare e cacare prima di andare a crepare risucchiata da una scala mobile della Metropolitana. Altro che "TAV", altro che gasdotti del cazzo, altro che trivelle e antennoni militari; quelle son cose che non servono a un cazzo di nulla. Altro che una vetrina di Prada o di Benetton.


venerdì 15 marzo 2019