mercoledì 29 ottobre 2014

Battan l'otto



Una pura casualità. Appena rientrato a casa, stamani, ho acceso immediatamente la televisione senza nessun motivo specifico, così per sentire qualcosa mentre mi preparavo qualcosa da mangiare. Così mi sono visto tutto in diretta, su Rai News 24. Accesa la tv proprio nel momento in cui il canale oramai totalmente embedded si ritrova, suo malgrado, a tornare per un quarto d'ora servizio pubblico. Niente papa, niente pallosissime conferenze stampa del pezzo di merda italiano o europeo di turno, niente economisti (nella vana attesa che ne appendano finalmente un paio a un lampione, cosa invero assai economica e dotata di straordinaria efficacia), no. Quindici minuti di autentica repressione poliziesca in diretta, invece, con l'inviato che non sapeva che dire mentre si era appena svolta una carica. Così le polpette rifatte in salsa di pomodoro hanno aspettato.

La scena: Roma, piazza Indipendenza, vicino all'ambasciata del Quarto Reich della Repubblica Federale di Germania. Protagonisti: un corteo di operai delle Acciaierie di Terni, di proprietà Thyssen-Krupp (toh!) da una parte, dall'altra ingenti forze di polizia che bloccano totalmente la piazza e pure il corteo, impedendogli di raggiungere detta ambasciata e altri centri di potere nelle vicinanze (ministero dello Sviluppo Economico, oramai i nomi dei ministeri hanno superato quelli di 1984 di Orwell). I fatti: pestaggi polizieschi. Guest star: il segretario della FIOM, Landini.


Seduto al tavolo di cucina, non posso fare a meno di pensare che la televisione di regime, stavolta, è stata colta del tutto alla sprovvista. C'è un operaio a terra (se ne dice persino il nome: curiosamente sembra che si chiami Venturi, come me), cui si sta prestando soccorso; un altro lavoratore si aggira sanguinando dalla testa. L'inviato, a un certo punto, veramente non sa più che accidenti dire; e la tv recupera momentaneamente quello che dovrebbe essere il suo ruolo. Stare zitta e fare sentire le voci vere.


"Vere" non significa "non surreali". La surrealtà, anzi, domina sovrana. Gli operai ternani, in diretta televisiva, ne dicono di tutte ai poliziotti, e fin qui ci siamo: e pregherei i miei assidui lettori della Questura di non convocarmi in una stanzetta, stavolta, perché riferisco soltanto quanto sentito da una rete televisiva pubblica da casa mia. Servi di merda! Schiavi schifosi! Fascisti luridi, siete solo degli schiavi senza palle! Pestate dei lavoratori! Questo è solo un piccolo campionario delle espressioni meno violente, ma comunque sufficientemente chiaro. Dicevo della surrealtà, però. Se ne ha un esempio quando si sente, a un certo punto, un operaio urlare cose come: Ma non avete anche voi dei figli? Non avete una famiglia? Che cosa gli direte stasera?

Il classico dei classici. Anche in mezzo alla repressione governativa e poliziesca, ci sono operai che non possono esimersi dall'italico appello ai figli e alla famiglia dei poliziotti. Ehi, certo che hanno pure loro figli e famiglie, che domande. Essere degli schiavi senza palle e dei servi di merda (parole loro!) non diminuisce o inficia la capacità di figliare. Non si può fare a meno di fare appello al buon cuore o ai sentimenti, in questo mortifero paese dell'amore; non si riesce a accettare che, a un poliziotto in tenuta antisommossa, non importi una beata sega se di fronte ha degli studenti, dei precari, dei senzacasa o degli operai cui la proprietà tedesca sta chiudendo ogni cosa pronta a mandarli in mezzo a una strada, loro e le loro famiglie.


Ma il clou del surrealismo deve ancora arrivare, e se ne occupa proprio il segretario della FIOM, Landini. Da un lato urla e sbraita, inseguito dai cronisti; ce l'ha con Renzi, col governo, con la Leopolda (fossi il povero granduca di Toscana, mi rigirerei nella tomba...), ogni tre parole una è cazzo; si viene a sapere che, forse, un paio di manganellate le ha prese pure lui (e sarebbe ora: che le devon prendere sempre e solo gli operai?), eppure sentite cosa fa, en resumidas cuentas, il Landini. Si adopera per fermarli, gli operai che stavano cominciando a cercare di rispondere in qualche modo alle cariche dei padri di famiglia che avevano di fronte. Prosegue la diretta tv e Landini prende il megafono rivolgendosi non solo agli operai: anche ai poliziotti.

E cosa dice, sempre in diretta? Che è inconcepibile che altri lavoratori che si guadagnano il pane per le loro famiglie (i poliziotti, ndr) agiscano in questo modo. E allora vien fatto di dire che te le cerchi, demente. Ma piglia quel megafono di merda e, almeno, di' come stanno le cose, una buona volta. Sei in mezzo a degli operai moltissimi dei quali fanno parte dell'organizzazione che presiedi e che vengono pestati senza pietà, e tu che fai? Ritiri fuori la stronzata dei lavoratori della polizia? Monsignor Pier Paolo Pasolini, chissà, applaudiva dall'Empireo. Insomma, Landini, fra un cazzo e un altro, si occupava di fare il pompiere; come dubitarne. Compito precipuo: quello di far ripartire il corteo alla svelta, ovviamente nella direzione voluta dalla Polizia. Niente ambasciata tedesca, niente Ministero; essendomi trovato in situazioni del genere, pur non essendo un metalmeccanico, sono ben lungi dallo stupirmene. Cariche, manganelli, strade bloccate; e zitti. Soprattutto zitti.

Fin qui la diretta. A dire il vero, poi, non lo so se è proseguita; ho semplicemente spento la televisione e mi sono finalmente scaldato le famose polpette in salsa di pomodoro. Pare che il tutto sia proseguito con quell'altra, sì, la Susanna tutta panna, quella che porta il milione in piazza, in un bel sabato di fine ottobre, ad ascoltare romanze operistiche assieme a Civati e a applaudire sul palco gli stessi che avevano dato il loro pieno assenso alla formazione dei reparti-confino a Pomigliano (anche qui rubo le parole alla stessa persona del link, che saluto).

"Ci sono persone che rischiano il posto di lavoro - ha detto il leader della Cgil Susanna Camusso - che oggi sono state picchiate dalla polizia. Si parli di questo e non delle sciocchezze". Ah, bene; se ne accorge ora, la Camusso, che la polizia picchia persone che rischiano il posto di lavoro; ci sarebbe da chiedersi di che cosa sia stata a parlare lei, visto che di persone "che rischiano il posto di lavoro" oppure, più semplicemente, che il lavoro lo hanno già perso o che non lo hanno mai avuto, ne sono state pestate e mandate all'ospedale a decine, e da parecchio tempo. E così la Susanna, mentre Landini (senza megafono) era al telefono con Delrio che lo rassicurava, se ne è andata in ospedale a visitare i lavoratori rimasti feriti, condannando le cariche con forza e sdegno e chiedendo a Angelino Alfano di fare chiarezza. Impareggiabile. Mi stupisco solo che Angelino Alfano non abbia ancora espresso vicinanza e solidarietà alle forze dell'ordine, come fa sempre in questi casi. Mi ricordo a aprile, sempre a Roma, quando non tardò neanche un secondo a farlo dopo che gli agenti avevano caricato, bastonato e pesticciato senzacasa, studenti e quant'altro in piazza Barberini e in via Veneto. Bisognerà che qualcuno, prima o poi, si occupi di farlo presente alla Camusso; Angelino Alfano esiste solo in quanto ministro dell'interno del governo leopoldiano. E' un nonsisaccosa alla guida di un nonsisacché che verrà spazzato via alla prima "elezione" buona, e che si affretterà o a tornare da un ottantenne  che a sua volta si sta accingendo a essere spazzato via, o a entrare pure lui armi e bagagli nel "Partito Democratico". Una totale nullità che ha, nel suo bagaglio, poche frasi elementari e sempre quelle: solidarietà alle fozzedellòddine, ddiritto demmanifestàre ma colla leggalità, faremo chiarezza seccisonostatabbùsi. Cosa chiedono? Che Alfano si dimetta? Vogliamo babbiare? Uno che, dimettendosi, avrebbe la concreta possibilità di andare a fare il vuotacessi a Girgenti?


Per concludere, forse, ci vorrebbe una di quelle famose prese di coscienza che sembrano tanto ovvie e banali, ma che oramai sono pura fantascienza. Di cariche e manganellate, per non dire di peggio, gli operai di Terni e di altre città (assieme a tutte le altre persone e categorie da eliminare totalmente in questo paese) ne prenderanno ancora, e chissà quante. Continuando magari a fare scampagnate oceaniche a Roma, a ascoltare i trombettisti che la prossima volta, al posto di Vincerò, soneranno L'ora è fuggita e muoio disperata, a veder sfilare Superpippo Civati e a farsi spedire all'ospedale accompagnati da Landini e dalla Camusso (che gioia). In che cosa dovrebbe consistere la presa di coscienza di cui parlavo prima, non sto oramai nemmeno a dirlo; in questo paese dove tutti, operai e poliziotti, tengono famìgghia, bisognerà forse aspettare finalmente il fausto giorno in cui le famigliuole saranno davvero con le pezze al culo, ridotte alla fame vera e a non a quella finta di cui si continua a cianciare. E forse non basterà neppure quello. 

Nel frattempo, ahi ahi ahi. Si ripestan gli operai. Anche se Landini e la Camusso se ne accorgono solo ora, è storia secolare. Tanto più per gli stabilimenti di Terni. Nel 1907, proprio dalle acciaierie di Terni, partì uno sciopero selvaggio, altro che corteo davanti al ministero. Fabbrica occupata e serrata sine die; la repressione fu selvaggia da parte del governo Giolitti. Lo sciopero degli operai ternani durò, prima di essere stroncato nel sangue, novantatré giorni; fu accompagnato da un'ondata di scioperi senza precedenti in tutta Italia (se ne contarono 2258). A Firenze, dove la Leopolda fungeva ancora da stazione ferroviaria e era scesa in sciopero generale con tutti i suoi lavoratori, si ebbero i moti per il pane; per il pane. Nacque proprio in quell'occasione una cazone che Caterina Bueno recuperò nel 1964 a San Giovanni Valdarno, da tale Renato Porri che ancora se la ricordava.




venerdì 24 ottobre 2014

Sessantanove



Trovo altamente simbolico che l'autobus di Borgaro Torinese, quello che inaugura ufficialmente l'apartheid in Italia, rechi il numero 69.

Sinistra, Pornografia e Libertà.

Ripeto il breve post in lingua afrikaans, sicuramente più facilmente comprensibile al sindaco PD della cintura torinese e al suo assessore vèndolo:

Ik vind dit baie simboliese dat die bus van Borgaro Torinese, waarmee die apartheid amptelik begin in Italië, het nommer 69.

Links, Pornografie en Vryheid.

lunedì 20 ottobre 2014

venerdì 17 ottobre 2014

Troppo corto



La foto qua sopra fu scattata, il 5 maggio 1945, dal sergente Albert J. Kosiek della 11a Divisione Corazzata americana. Mostra la liberazione del campo di concentramento di Mauthausen-Gusen; il sergente Kosiek comandava il  primo plotone del gruppo D del 41° squadrone di Cavalleria Meccanizzata e si trovava a bordo del primo carro. La sua meticolosa relazione si può leggere al link.

Dei liberatori, qui, non se ne vedono che tre a bordo del carro armato; la foto è quasi interamente occupata dai liberati, moltissimi dei quali con il vestito a strisce del prigioniero. Mi sono sempre chiesto da che cosa sia nato, il vestito a strisce; se per motivi materiali, stoffe di risulta per confezionare indumenti a bassissimo costo, o per qualche altra causa che ignoro del tutto. Tutti salutano, esultano; la pelle è salva. Russi o americani che siano i liberatori; avrebbero salutato anche i marziani, se fossero arrivati per primi.

Sopra il portone d'ingresso del lager, uno striscione enorme con altri prigionieri dietro. Sono gli antifascisti spagnoli rinchiusi a Mauthausen: Los antifascistas españoles saludan a las fuerzas libertadoras. Mauthausen è in Austria; tra tutte le lingue dei rinchiusi, il benvenuto ai liberatori viene dato in spagnolo. La lingua in cui si erano svolte le prove generali della II guerra mondiale, e la lingua degli sconfitti che, dopo la guerra civile, avevano costantemente vissuto (se "vissuto" si può dire) nell'universo concentrazionario. Vivere tutti i giorni in mezzo alla morte. E il resto della vita, con tutta probabilità, in esilio.

Ci si potrebbe chiedere che cosa abbiano pensato, in quel momento; magari anche che quelle fuerzas libertadoras avrebbero pure cacciato via il fascismo dalla Spagna, così come avevano abbattuto Hitler, Mussolini e gli altri fascismi sparsi per l'Europa. Sarebbero bastati pochissimi anni e che la guerra, da calda, si trasformasse in fredda affinché il governo dei libertadores strizzasse l'occhio con grande benevolenza a Francisco Franco, baluardo anticomunista. Sotto la scritta in spagnolo, si legge lo stesso messaggio di benvenuto in lingua russa: Испанские антифашисты.... e qualcosa. Sotto a sinistra si intuisce lo stesso messaggio in inglese. Lo striscione, però, era troppo corto per farci entrare la parola libertadoras. Troppo corto come il ventesimo secolo.  

giovedì 16 ottobre 2014

Et por ce reposer n'osons



Il romanzo Yvain il Cavaliere del Leone (Yvain ou le Chevalier au Lion), scritto da Chrétien de Troyes tra il 1170 e il 1180, è un poema cavalleresco il cui protagonista, Yvain, deriva dal personaggio storico di Owain mab Urien.

Nel poema, Yvain cerca di vendicare il cugino Calogrenant sconfitto da un cavaliere nella foresta di Brocelianda. Yvain uccide questo cavaliere, Esclados, e si innamora della sua vedova, Laudine. Con l'aiuto della damigella di Laudine, Lunete, Yvain riesce a sposarla, ma Gawain lo convince a imbarcarsi in un'avventura cavalleresca. La moglie acconsente, a patto che lui ritorni dopo un anno, promessa che però Yvain non mantiene cosicché lei lo respinge. Yvain si infuria ma alla fine decide di riconquistare l'amore della donna. Egli salva un leone da un serpente, dando poi in seguito di virtù cavalleresche e di lealtà con l'aiuto del felino. Alla fine Laudine permette a lui e al leone di tornare nella fortezza.

La fonte di Chrétien per il poema è ignota, ma la storia ha molti punti di contatto con l'opera agiografica sulla Via di san Mungo (anche conosciuto come san Kentigern), secondo cui il santo sarebbe stato figlio di Owain mab Urien e della figlia di re Lot del Lothian. Le somiglianze suggeriscono che le due opere hanno una comune fonte latina o celtica. Yvain ha avuto un grande impatto sulla letteratura mondiale: il poeta tedesco Hartmann von Aue lo usò come base per il suo Iwein e l'autore di Owain, o la dama della fontana, uno dei romanzi gallesi compresi nel Mabinogion, rimanda l'opera indietro a un background gallese. Il poema esiste in diverse versioni in differenti lingue, compreso l'Ywain and Gawain in inglese medio.

Nel poema, non separato dal resto della narrazione, è contenuto un documento stridente e unico nel suo genere. E' un canto di operaie della seta, filandiere di quei tempi lontani che, nel loro lamento, descrivono le terribili condizioni delle lavoratrici dell'epoca. In tutto questo è necessario, ovviamente, mettersi in un'ottica preindustriale: in pieno Medioevo, la lavorazione della seta (un tessuto pregiatissimo e di lusso, riservato esclusivamente alle classi dominanti) era artigianale e affidata esclusivamente alla mano umana (ancora non si erano sviluppare le gualchiere mosse ad acqua, un'innovazione più tarda che prefigura già una delle prime situazioni protoindustriali). Ciononostante, nei versi del canto si riflettono le condizioni che già allora avevano gli strati più bassi dei lavoratori manuali, i laboratores; la massa della manodopera salariata che non godeva di alcuna protezione corporativa, riservata ai servitori delle corporazioni.



“Manovali affidati al caso del mercato della manodopera” -scrive Le Goff-, “gregge riunito quotidianamente sulla piazza di assunzione (la Place de Grève a Parigi), dove i datori di lavoro o i loro mandanti venivano ad attingere proletariato continuamente in preda alla disoccupazione”. Le Goff parla dell'Europa del XII secolo, e davanti agli occhi abbiamo il caporalato attuale. Abbiamo davanti le operaie clandestine dei “laboratori” in nero, una realtà tuttora ben presente. Abbiamo davanti le ragazze della Triangle Shirtwaist Company, e ci si può domandare se il Medioevo sia mai terminato. Alla fine del XII secolo, le operaie, in quanto proletarie e donne, costituivano la categoria inferiore delle categorie inferiori, messe all'ultimo posto nella “classifica” effettuata da Giovanni da Friburgo nel suo Confessionale. Scrisse un altro famoso storico, il polacco Bronisław Geremek, che il lavoro e il lavoratore erano diventati una merce; praticamente la situazione attuale.

La voce di quelle sconosciute operaie di più di ottocento anni fa affiora da un luogo forse sorprendente, un poema cavalleresco che formava una sorta di “letteratura popolare” largamente diffusa e non tramandata esclusivamente per via scritta (del resto inaccessibile alla stragrande maggioranza della popolazione); e affiora in una maniera cruda, dando la parola perdipiù a delle donne lavoratrici, ultime degli ultimi. Non a caso, molti secoli dopo, i "canti della filanda" avranno gran parte nel dar voce a lavoratrici le cui condizioni non erano mutate nel tempo.

Da quei tempi remoti esce fuori un canto disperatamente modernissimo: nel bel mezzo di un poema di favolose avventure e cortesi tenzoni amorose, questa voce dissonante dove delle donne, delle operaie, parlano di condizioni di lavori durissime, di salari da fame (espressi precisamente con le loro cifre), di miseria, di nottate e giornate intere al lavoro, del padrone che si arricchisce sulla loro pelle, di minacce fisiche ("la ruota" era una comune tortura). Quando si parla di attualità del Medioevo!



TOZ JORZ DRAS DE SOIE TRISTRONS

Toz jorz dras de soie tristrons
ne ja n'an serons miauz vestues.
Toz jorz serons povres e nues
e toz jorz fain e soif avrons;
ja tant gaeignier ne savrons
que miauz an aiiens a mangier.
Del pain avons a grant dangier,
au maint petit et au soir mains;
que ja de l'uevre de noz mains
n'avra chascune por son vivre
que quatre deniers de la livre.
Et de ce ne poons nos pas
assez avoir viande et dras;
car qui gaaigne la semainne
vint souz, n'est mie fors de painne.
Et nos somes an grant poverte,
s'est riches de nostre deserte
cil por cui nos nos traveillons.
Des nuiz grant partie veillons
et toz les jorz por gaeignier;
qu'an nos menace a maheignier
des manbres, quant nos reposons,
et por ce reposer n'osons.

TUTTI I GIORNI DRAPPI DI SETA TESSEREMO

Tutti i giorni drappi di seta tesseremo
ma non ne saremo vestite meglio.
Tutti i giorni saremo povere e nude
e tutti i giorni fame e sete avremo;
e non potremo mai guadagnare tanto
di che aver di meglio da mangiare.
Di pane ne abbiamo con gran pericolo,
la mattina poco e la sera di meno;
poiché dal lavoro delle nostre mani
ognuna non ne ricaverà per vivere
che quattro denari di una lira.
E con questo non possiamo
aver di che comprare carne e stoffa;
perché con un salario settimanale
di venti soldi, non si esce dagli affanni.
E noi siamo in grande povertà,
però si arricchisce con la nostra fatica
colui per il quale lavoriamo.
La maggior parti delle notti vegliamo
e poi tutto il giorno per guadagnare;
e minacciano di mettere alla ruota
le nostre membra, quando riposiamo
e così riposare non osiamo.
 

domenica 12 ottobre 2014

Cittadini, istituzioni e dignità



Il signore ritratto nella foto qua sopra si chiama Marco Doria.

Con quel cognome lì, non poteva essere che genovese; e, infatti, attualmente fa di mestiere il sindaco di Genova.

A Genova, ogni anno, c'è l'alluvione. Anzi, no: c'è l'evento imprevedibile. Talmente imprevedibile, che basta scorrere le date: 1970, 7/8 ottobre (44 morti). 1992, 27 settembre (2 morti). 1993, 23 settembre (5 morti). 2010, 4 ottobre (1 morto). 2011, 4 novembre (6 morti). 2014, 9/10 ottobre (1 morto). A Genova, tra l'inizio dell'autunno e i primi di novembre, si verificano episodi atmosferici del genere praticamente ogni anno, del tutto trasversali alle giunte comunali, ai governi, alle protezioni civili, agli allerta meteo; episodi atmosferici che si abbattono, va da sé, su una gestione criminale del territorio. Non soltanto a Genova, è chiaro; ma a Genova la cosa, mettiamola così, è particolarmente evidente.

Mi ricordo quando, nelle famose giornate del luglio 2001, si sentivano tanti e tanti genovesi, oltre che fare il tifo per le squadracce della polizia e dei carabinieri, accusare i black bloc di "distruggere Genova". Nossignori. Genova ve la siete distrutta da soli, giorno dopo giorno, e in un modo assolutamente capillare. Altro che tre vetrine e due macchine incendiate. Ve la siete distrutta accettando che lo fosse senza un minimo di ribellione. Accettando che una città meravigliosa, ma dall'equilibrio territoriale del tutto speciale e fragilissimo, fosse non devastata, ma polverizzata. Alla fine, è del tutto logico che, in autunno quando si scontrano fronti atmosferici, il territorio non ce la faccia più e esiga il suo tributo. 

Il signor Marco Doria, quel sindaco che ora insultate e minacciate e al quale promettete schiaffi e badilate di fango, è stato eletto dalla cittadinanza genovese che si è recata a votare al ballottaggio, il 21 maggio 2012, con quasi il 60% dei suffragi.

Non è, a quanto mi risulta, né migliore e né peggiore dei suoi predecessori. Di quella Marta Vincenzi, ad esempio, che il 14 maggio 2007 era stata eletta con il 51,21% dei voti e che, nel novembre del 2011, avevate insultato, minacciato, preso a badilate di fango ecc.

E non sarà neppure migliore o peggiore del prossimo sindaco che eleggerete, di qualsiasi partito o coalizione egli o ella sia, che insulterete, minaccerete e piglierete a schiaffi dopo la terribile alluvione del 19 ottobre 2017 o di chissà quando. Perché, al pari di ogni città, paese e campagna di questo paese, non siete mai stati capaci di ribellarvi una volta per tutte. Siete rimasti lì a minacciare, insultare, promettere e spalare fango. Perché avete preferito pensare al negozietto, a farvi intervistare dal tiggì di turno sul fatto che avete perso tutto, perché avete aspettato di ricominciare e poi, zàc, siete tornati a votarli.

Quindi è inutile, cari miei, che ve la prendiate tanto col sindaco Doria di turno. Spalàtevi il negozietto e il Borgo Incrociati, fischiate pure le istituzioni che poi correte a rilegittimare, magari andate dietro la prossima volta a quel vostro concittadino che fa il comico, e buona esondazione. Dateci fùlgidi esempi di solidarietà, fateci presente che oggi a spalare con voi ci sono gli stessi immigrati che col bel tempo vorreste ributtare a mare, e cantateci lodi sperticate degli angeli del fango e del calciatore del Genoa.

Nel frattempo, indignatevi pure con i TAR che "bloccano tutto coi ricorsi", perché i soldi ci sono. I soldi ci sono sempre, però ci sono sempre pure le alluvioni.  E ci saranno sempre pure sindaci che dovranno passare il loro quarto d'ora alla gogna, ché tanto cosa volete che sia. Oh, mica glielo ha ordinato il dottore di fare il sindaco; e non mi sembra che sia propriamente una sinecura. 

A voialtri, invece, bisognerebbe far presente che non si è cittadini soltanto nelle emergenze. Lo si è tutti i giorni, e che la principale caratteristica del cittadino dovrebbe essere quella di intervenire, e intervenire facendosi sentire con le buone e con le cattive, nei giorni qualsiasi. In quelli quando le istituzioni vi preparano e vi ammanniscono la quotidiana distruzione della quale, poi, vi accorgete quando arriva il fronte perturbato e vi scarica addosso l'evento imprevedibile. Allora, all'improvviso, sembrate accorgervi che cosa siano, realmente, le istituzioni; e vi incazzate per dieci minuti scarsi, perché poi ci avete da spalare i vostri negozietti di cianfrusaglie e le vostre case di fronte al Rio Fereggiano. O di fronte a qualsiasi rio Fereggiano d'Italia, da Aosta a Capo Passero. 


Il signore che si vede qua sopra, perché questo post è pieno di signori qua sopra, è pure genovese. Come il sindaco. Solo che, lui, fa un mestiere diverso: fa l'arcivescovo. Ha una carriera più che rispettabile, perché prima faceva nientepopodimeno che il presidente della Conferenza Episcopale Italiana.

Nei giorni scorsi, come hanno raccontato i giornali, l'arcivescovo di Genova è stato protagonista di un curiosissimo episodio.
Durante l'ultimo evento imprevedibile, infatti, la sua auto blindata ha subito la sorte di centinaia di automezzi: è stata portata via dalla furia delle acque, alle quali della blindatura o meno nun jene pò' fregà de meno.

La cosa curiosa è che l'autovettura blindata del cardinal Bagnasco veniva ospitata nel cortile della Qvestvra, che pure è stata colpita dall'annuale cataclisma. Orbene, la grossa vettura, sollevata dalla massa d'acqua, è stata trascinata via finché non ha sfondato un portone: quello dell'ufficio immigrazione della Qvestvra medesima. Un modo un po' singolare, per un cittadino extracomunitario qual è Bagnasco, di andare a rivolgersi all'ufficio competente.

In questo post si è parlato parecchio di cittadini e di istituzioni; parliamo adesso un po' di dignità. So che è una parola scivolosa, questa; ci si scivola sopra ben più che sul fango depositato dal Bisagno o dal Polcevera, antico torrente dove in tempi remotissimi sguazzavano i salmoni (il nome deriva dall'antico ligure *Porko-bhera "che porta i salmoni", ove porko- riflette l'antico nome del salmone, "pesce porco").

Ci si scivola sopra, quella parola, perché tutti noi crediamo di averne a bizzeffe, di dignità. Rifiutiamo di considerarci dei poveri piccoli indegni con la tastiera o col badile in mano, mentre scriviamo post o spaliamo fango insultanto il sindaco o aggredendo le squadre dei vigili urbani perché, in quel momento, rappresentano le istituzioni e lo Stato dal quale ci si sente "abbandonati". O se siete sempre "abbandonati dallo Stato", che ne direste una buona volta di abbandonarlo voialtri, lo Stato?.... Ci avete mai pensato, invece di ripulire lo scantinato?

Tornando al Cardinale Arcivescovo di Genova, oggi costui si è sentito in dovere, Lui, di bacchettare lo Stato italiano e le sue istituzioni.

Ha dichiarato infatti: "Lo Stato non si nasconda!", mentre era in mezzo agli alluvionati. I quali, va detto, non si sono manco sognati di insultarlo e minacciarlo perché Egli, com'è noto, ha fatto di tutto e di più per salvare il territorio genovese, per salvaguardarlo da ogni sorta di speculazioni, per impedire lo sfacelo. Un autentico Faro. Ci fosse stato lui, come sindaco! "Lo Stato non sia distratto e lento", ha dichiarato; et voilà, pure la lezioncina di Sua Eminenza. Il quale, peraltro, non ha spalato nulla; e la macchina blindata gli verrà sostituita prontamente.

Fossi stato io il Sindaco di Genova, o qualsiasi altro rappresentante delle istituzioni di questo Stato, a questo punto sarei scoppiato. Vanno bene gli insulti. Vanno bene le palate di fango. Vanno bene pure le minacce, ché tanto son cose che si dicono e poi non si fa assolutamente nulla, come sempre. Ma pure il ditino puntato di questo qui? Ma uno, dico uno, un sindaco, un assessore, un consigliere comunale, un parlamentare che si sia alzato e gli abbia detto: "Ma te che cazzo vuoi?" 

Ma come, in quanto Stato italiano a te, alla tua organizzazione planetaria, al tuo principale più buono del 30% degli altri papi della stessa fascia, alle tue ingerenze continue, ai tuoi uomini di paglia che abbiamo in quantità esorbitante qui fra noi, alle tue favole mediorientali, alle tue speculazioni edilizie (anche a Genova!), alle tue tasse dalle quali sei esentato, ai tuoi ermellini estoni, alla tua RaiNews24 (ora PapaNews 24, servizio non-stop), ai tuoi presidenti del consiglio, alle tue preghierine e a tutto il resto, abbiamo fatto sempre ponti d'oro parando il culo ad un semplice cenno della mano, e ora ci vieni pure a fare la ramanzina? Nasconderci? "Distratti" e "lenti"? Ma se siamo così solleciti, così attenti e così rapidi a obbedire a te e a quelli come te! Che ci hai da dire, ancora? 

No, ci mancherebbe. Ossequi. Sia dalle istituzioni statali bacchettate, sia dalla famosa gente, la quale avrebbe dovuto tirargli una cestata di fango a merda, al pari che al Sindaco. E allora fallo te, il Sindaco, appunto! Magari ti eleggerebbero pure a man bassa. Magari gli angeli del fango li faresti scendere direttamente da' Cieli. Anzi, perché no, saresti pure capace, con qualche intercessione messa bene, di bloccare i fronti perturbati, quando arriva ottobre. E, se non ci riesci, nessuno ti insulterebbe. Meglio insultare lo Stato e le sue istituzioni terrene, senza preoccuparsi però mai di abbatterle, con quei badili e con qualcos'altro. Meglio mugugnare e spalare, bravi e onesti come si è. E la dignità viene, come sempre, scambiata per una vita tanto onesta e laboriosa e per un condono edilizio.


venerdì 10 ottobre 2014

Loukanikos sulla luna




Se stasera si guarderà la Luna, ci sarà anche Loukanikos. Ha passato, come diceva non mi ricordo quale essere umano, il suo quarto d'ora di notorietà, e qualcuno magari se ne ricorderà pure: il cane delle manifestazioni greche, sempre in prima fila, chiamato in un primo tempo Kanellos (o forse era un altro cane, quando c'entrano mezze leggende anche i nomi fluiscono), che vuol dire "valoroso" in greco, e poi riportato ad un ben più prosaico e canino nome (Loukanikos vuol dire "salsiccia", come la lugànega, nel quale si tramanda il nome della Lucania, antichissima terra d'insaccati di maiale). Ma quel cane c'era per davvero, in mezzo ai riots di questi anni a Atene; leggenda sia, ma stavolta è un mito con tanto di fotografie e di lacrimogeni polizieschi, soprattutto. Perché pare proprio che Loukanikos, che aveva una decina d'anni (età più che rispettabile per un cane) sia stato, come dire, aiutato a morire dal fumo del CS che ha respirato di continuo.


La foto sotto il titolo è, probabilmente, la più famosa del bastardone ambrato senza padroni. Ripreso mentre abbaia a uno squadrone di poliziotti in tenuta antisommossa. Lui sta facendo semplicemete il cane, però. Non era né un anarchico e né un compagno: era un cane. Come tale, abbaiava a una fila di malfattori che invito a guardare bene: tutti uguali. Sembrano clonati. I ragazzi venuti dal Brasile. Automi, con davanti un essere vivente che fa quel che gli dice la sua natura. Poi non so, e non posso sapere, se alle manifestazioni e agli scontri qualcuno ce lo portasse, o se ci venisse da solo; c'è anche da credere che si divertisse semplicemente come un matto. E poi ve lo posso dire per esperienza, mettiamola così: ad ogni manifestazione, dovunque nel mondo, ci sono decine di cani. A quelle greche non ci sono mai stato, ma ne ho visti altri di cani abbaiare alla polizia; ivi compresa l'Askina, la cagnetta di una ragazzina che conosco, che con un Loukanikos ci se ne farebbe tre. E ivi compresa la Stellina, che a cagnare va spesso in posti dove di CS ne lanciano parecchi, e a tutto quello che si muove. 

Retorica no, Luna sì. Anche perché, almeno per ora, si presume e si spera che sulla Luna non arrivino i lanci di gas, gli spray al peperoncino, le pistole elettriche, i manganelli, le prese di contenzione, i controlli delle assicurazioni dei motorini. Tutto sommato non sarebbe male raggiungere Loukanikos sulla Luna e mandarli tutti nel culo, quelli di quaggiù. Dicono sia diventato un simbolo, ha avuto canzoni, insegne di negozi, persino la copertina di Time; a lui, però, sono ragionevolmente certo che non gliene fregasse un emerito cazzo. Lui andava e abbaiava, e l'Astynomia ci stava persino parecchio attenta, lacrimogeni a parte. Avesse ammazzato un simbolo come quel cane, sarebbe stato molto peggio che ammazzare qualche ragazzino di quindici anni, qualche immigrato o qualche rapper; i quali, davvero, vorrei che stasera, naturalmente sempre sulla Luna, facessero giocare Loukanikos e gli lanciassero palline e stecchi (con l'assenza di gravità dev'essere proprio un bel gioco). Basta candelotti, finalmente. Lo hanno chiamato in trecento modi, il cane black bloc, il Riot Dog, il cane anti-troika; sulla Luna potrà fare, finalmente, il cane e basta. E magari farci delle belle pisciatine in testa, anche se un uccellino mi ha detto che cadranno più volentieri sui caschi e sulle divise antisommossa che sui manifestanti. 

Sulla Luna, poi, c'è sempre un discreto viavai. Ora pare che stia arrivando una comitiva di studenti messicani. E di ragazze curde. Addio, Loukanikos, stasera sentirai che ululati e che abbaiate. Qui nel mio cortile hanno già cominciato, e pensa che c'è una cagnona lupa che si chiama come te: Salsiccia. Qua la zampa, amico. Qua la zampa.


Post Scriptum. Però, come prossimo animale-simbolo delle manifestazioni e delle sommosse, spero arrivi un Velociraptor. Secondo me sarebbe molto, molto efficace; e le salsicce di sbirro gli piacciono particolarmente. Lo si potrebbe chiamare Batsòfagos ("mangiasbirri").






giovedì 9 ottobre 2014

La voce delle prigioni




La sentite la voce delle prigioni,
Dei rivoltosi di Toul, di Nancy,
Di Clairvaux, Loos, Amiens o di Nîmes,
Quella voce che grida « insurrezione! »

Sono i nostri fratelli, figli, mariti,
Le nostre sorelle, i nostri compagni e amici
Ai quali non resta che la violenza
Per abbattere il muro del silenzio.

Ma fuori, dietro le sbarre,
La miseria ha lo stesso sapore,
Rivoltosi delle Bastiglie,
Tutti quelli che lottano sono con voi,
Tutti quelli che lottano sono con voi.

Contadini, operai o precari,
Immigrati, militanti, clandestini,
I soprusi, le perquise, gli arbitrii :
Ce ne saranno per tutti quanti.

Ché riprenderti la libertà non basta:
La prigione è un territorio di non-diritto
Se un giorno la apri o ne hai abbastanza
È isolamento, è cella di rigore.

Ma fuori, dietro le sbarre,
La miseria ha lo stesso sapore,
Rivoltosi delle Bastiglie,
Tutti quelli che lottano sono con voi,
Tutti quelli che lottano sono con voi.

In tutte le prigioni si fanno pestaggi,
Tre secondini si annoiano, e ci passi.
Si ha freddo, si mangia male, si dà di fuori
Ammassati in qualche metro quadro.

Ammazzare il tempo in questo ghetto, giorno dopo giorno,
Contare le ore ogni notte senza amore
Nei bracci della morte lenta non c'è più riparo,
Bisogna tenere duro per non scoppiare.

Ma fuori, dietro le sbarre,
La miseria ha lo stesso sapore,
Rivoltosi delle Bastiglie,
Tutti quelli che lottano sono con voi,
Tutti quelli che lottano sono con voi.

Quelli di Toul hanno indicato la strada:
Rifiuto del carrello, di rientrare in cella, dell'ora d'aria
All'inizio volevano dialogare
Ma il direttore non ha voluto cedere su niente.

Una scintilla, e la prigione si è infiammata,
E quando i ragazzi sono montati sui tetti,
Tutti insieme sul cornicione fronte al muro
Urlavano “Abbasso la dittatura”.

Ma fuori, dietro le sbarre,
La miseria ha lo stesso sapore,
Rivoltosi delle Bastiglie,
Tutti quelli che lottano sono con voi,
Tutti quelli che lottano sono con voi.

Da qualche parte, su uno striscione
Hanno scritto: “Ci trattano come cani”,
Altri hanno gridato: “I giovani con noi”
E i media hanno detto che erano ubriachi.

Ubriachi marci, questi uomini incazzati
Che all'improvviso osavano rivoltarsi
Contro le galere, anticamere della morte,
In nome del diritto alla dignità.

Ma fuori, dietro le sbarre,
La miseria ha lo stesso sapore,
Rivoltosi delle Bastiglie,
Tutti quelli che lottano sono con voi,
Tutti quelli che lottano sono con voi.

Il signor Papon si crogiola col bagnoschiuma,
I padroni assassini dormono al calduccio
Mentre là, da quelli delle pene a lunga decorrenza
Subdola, la tortura bianca fa il suo lavoro.

E gli ergastolani alla fine dell'esilio e della sopravvivenza,
I detenuti anziani, malati, disabili,
Disumanizzati, disprezzati, abbandonati,
Agonizzano con i ceppi ai piedi e ammanettati.

Ma fuori, dietro le sbarre,
La miseria ha lo stesso sapore,
Rivoltosi delle Bastiglie,
Il cuore del popolo batte per voi,
Il cuore del popolo batte per voi.

La sentite la voce delle prigioni,
Dei rivoltosi di Toul, di Nancy,
Di Clervaux, Loches, Amiens o di Nîmes,
Di Caen, Périgueux, Melun, La Talaudière,
Saint-Maur, Arles, della Santé, delle Baumettes,
di Fleury-Mérogis, di Lannemezan, di Poissy
Bastia, Angers, Tarascona, Perpignano, Pontoise,
Muret, Fresnes, Mulhouse, Grenoble, Saint-Michel,
Draguignan, Mende, Ensisheim, Besançon,
Lione Saint-Paul, Saint Joseph, Avignone
Fontevraud, Ajaccio, Eysses, Saint Martin de Ré,
Bois d’Arcy, Angoulême, Evreux, Dieppe,
Beauvais, Saintes, Coutances, Mesqueleu, Nantes,
Varces, Digione, Montpellier, Douai, Rouen,
Rennes, Pointe-à-Pitre, Tulle, Béthune, Saint-Mihiel,
Colmar,  Neuvic sur l’Isle, Remire-Montjoly in Guyana
Questa voce che grida INSURREZIONE ! 

Dominique Grange
1972. 

lunedì 6 ottobre 2014

Jobs Act.


Non è mai troppo tardi (da Cavallette)


Liverpool, 28 settembre 2014. Ressa fin dalla notte davanti a un negozio per accaparrarsi l'iPhone 5.

Il 5 ottobre, vale a dire ieri, fanno giusto tre anni che Steve Jobs li ha lasciati. Poiché, in questi giorni, c'è la gara per ricordare questo personaggio cui oramai è stato attribuito uno status divino -perché, a parte ideare costosi apparecchietti vari per rincoglionire ancor di più l'universo mondo (specialmente quello "in crisi" e che "non arriva alla fine del mese"), è bastato un discorsetto pieno di banalità e di cazzate galattiche per fargli oscurare millenni di filosofia da Eraclito a Wittgenstein-, mi pregio, una volta tanto, di dedicarmi all'arte del copia-incolla e di riprodurre integralmente un articolo apparso lo scorso 30 agosto su un blog per me un po' insolito, vale a dire Cavallette. "Cavallette" è il blog informativo di Autistici/Inventati, e in gran parte è di carattere tecnico; ciononostante, questo articolo, scritto una persona non solo "del ramo" ma dedita ad una Rete che è l'esatto contrario delle baggianate di Steve Jobs e dei "giobbisti" di tutto il mondo, è a mio parere parecchio interessante e fa tutta una serie di salutari piazze pulite. Buona lettura, avvertendo che lascio l'articolo così com'è senza effettuare alcun intervento correttivo (ortografia ecc.), le stronzate di Sua Santità Steve Jobs, del resto, erano scritte in un inglese ben più di merda. L'unico intervento che ho fatto, è la paragrafazione per alleggerire un po' la lettura di un articolo che è molto lungo. [RV]

Non e’ mai troppo tardi…

 

… per pisciare sulla tomba di steve jobs.

E’ tanto che non scrivo su questo blog, e’ che gli argomenti di cui scrivevo, sono stati ingurgitati in un tunnel del vento dove tutto viene accellerato.

Cosi’ funziona nei regimi democratici: si parla tantissimo di un argomento, apparentemente da ogni punto di vista, talmente tanto che ogni opinione finisce per valere poco o niente e quanto si afferma e’ il dato di fatto. Quello che si ha la forza di fare nonostante il chiacchericcio, cio’ che rimane. Nel bene e nel male: dove i due concetti sono chiaramente divergenti a seconda di chi li esprime, un po’ persi nel relativismo postmoderno.

Nel mio placido pellegrinare estivo di sistemista che lavora ad agosto, sono andato al cinema, che e’ meno faticoso del mondo di Internet perche’ per due o tre ore ti subisci un solo punto di vista: quello dell’autore del film. Non e’ un caso se prima dell’avvento della tv, il cinema fu eccezionale strumento di propaganda. Comunque per me, che soffro un po’ la confusa velocita’ della rete, il grande schermo rimane un’esperienza piu’ consona ai tempi estivi.

Il titolo del post mi e’ stato ispirato da due film. In verita’ credo sia l’humus culturale di questo periodo storico a indurmi spesso pensieri teppisti: in particolare in questo caso gli odiosi e banali aforismi di Steve Jobs che catturavano pero’ bene tutta la miseria del capitalismo cosi’ smart, cosi’ cool, cosi’ young. La santificazione dell’iniziativa privata, dell’intuizione finalizzata alla creazione di cose da vendere, la realizzazione di se’ attraverso il lavoro, la competizione, l’essere visionari di scenari miseri, l’abuso della frase “cambiare il mondo” come alibi alla propria sete di denaro o al proprio narcisistico ego strabordante, e bla bla bla.

Ma veniamo ai film.

Transcendence e’ una pellicola veramente brutta, da tanti punti di vista, ma a me risulta particolarmente insopportabile per la morale di fondo. C’e’ questo genio dell’intelligenza artificiale un po’ stralunato, secondo lo stereotipo dello scienziato strampalato, sposato con questa donna, piu’ passionaria, sentimentale e al contempo realista di lui, un po’ a confermare che dietro ogni grande uomo c’e’ una grande donna, a fare economia domestica.
Costui si reca ad una conferenza per raccattare fondi dove si improvvisa lo Steve Jobs della situazione. La location, le luci, i colori ricordano proprio i discorsi del raccogli mele di cui sopra. Al termine della conferenza gli sparano, ma purtroppo non muore subito, il che consente al film di andare avanti ancora per un po’.

L’autore dell’attentato fa parte di un gruppo clandestino di scienziati pentiti, che colpisce le avanguardie tecnologiche per salvare l’umanita’ dall’infausto destino che la scienza gli prepara. Sotto accusa sono in particolare intelligenza artificiale e nanotecnologie. Sebbene lo sparatore non abbia fatto centro preciso, comunque il proiettile era arricchito al plutonio e quindi Johnny Depp si avvia ad un’agonia di un paio di mesi. Nei quali pero’ la moglie trasferisce la coscienza del moribondo in un computer quantistico, aiutata da un amico e collega, innamoratissimo di lei (e secondo me anche un po’ di lui), che sostanzialmente si infila una scopa in culo, le ramazza la stanza e aiuta il marito a tornare da lei sotto forma di intelligenza artificiale. Ma nel frattempo i terroristi assaltano il laboratorio, cosi’ per salvare la creatura la mettono on line. Quindi essa si propaga e impregna Internet. Anzi si fa pure un sacco di soldi sui mercati finanziari, perche’ comunque, come diceva Steve, “non lo facciamo per i soldi”, pero’ senza qualche milionata di dollari, la vita non e’ la stessa cosa.
Riavuto il compagno, la protagonista femminile caccia l’amico, che si unira’ ai ribelli, e si ritira in un paesello in mezzo al deserto a costruire un laboratorio sotterraneo, dal design molto Apple, alimentato a pannelli solari. In esso l’intelligenza cresce e grazie alle gnomotecnologie diventa in grado di creare e manipolare la materia, raddrizzare gli storpi, donare la vista ai ciechi e fare miracoli.

Accorre cosi’ al paesello tanta povera gente per essere guarita e salvata. Esso li prende, li potenzia e li mette in rete con se’ stesso e tra di loro, creando una sorte di comunione universale, gestita dall’intelligenza artificiale, che comunque e’ un monarca buono e generoso.

A questo punto il governo si preoccupa e si allea al gruppo di guerriglieri clandestini per stroncare la fottuta macchina, che sta un po’ pisciando fuori dal vaso. Anzi, hanno un’idea geniale: introdurre un virus, che spenga Internet e ogni struttura di comunicazione, per fiaccarlo. E il veicolo del contagio sara’ proprio la moglie, passata dall’altra parte della barricata, un po’ perplessa dagli sviluppi inquietanti dell’intelligenza artificiale.

L’assalto dura una ventina di minuti e la macchina ormai in una fase illuminata decide di non combattere, ma di “trascendere gli assalitori” e finisce per spengersi. Non prima di aver creato una copia in carne e ossa di Johnny che mostra alla compagna ferita a morte come abbia fatto tutto per lei, per il suo sogno di disinquinare le acque, ripopolare i boschi, far cantare gli uccellini, cambiare il mondo e farne un paradiso. Ma per colpa del governo realista e dei terroristi luddisti amici suoi, paurosi di cio’ che non capiscono, tutto e’ finito.

Dunque salvarla collegandola a se’, quindi uploadare il virus e spengere tutto oppure lasciarla morire e vivere solo ? Sceglie la versione Romeo e Giulietta quantistici, ma con lieto fine: la loro coscienza sopravvivra’ non ho capito bene come nei fiori del giardino di casa loro, dove vivranno assieme per sempre in armonia col creato. Mentre tutto il resto del mondo e’ rimasto senza elettricita’ e vive abbarbonato e depresso. Ben gli sta.

Si tratta alla fine di una fiaba tecno/capitalista, le personalita’ geniali cambiano il mondo con le proprie idee, ma la societa’ non le capisce. La morale e’ dunque il contrario: capiamole, per dio e lasciamo agire questi sciamani, godiamo dei loro doni, poiche’ essi sono illuminati. I loro percorsi sono spesso oscuri, ma non dobbiamo temerli, solo fidarci. La scena del film con i poveracci in fila per avere il proprio impianto neurale ed essere collegati in rete, rimanda direttamente alle code all’uscita di ogni cazzata che produce la Apple. Non c’e’ scelta: o questo o la barbarie, oppure sei tu che non capisci il futuro.

L’altro film, che invece mi e’ abbastanza piaciuto, completa la visione di Transcendence, cioe’ spiega il vero volto degli aforismi di Steve Jobs.

The wolfie of wall street, e’ un film didascalico in parte, pieno di citazioni cinematografiche, ma capace di ricreare quell’atmosfera orgiastica che caratterizza i mercati finanziari. Il personaggio meno credibile di tutti e’ l’agente dell’FBI, ma d’altra parte non si puo’ mettere il pubblico americano di fronte al fatto che il loro sistema fa tutto schifo e non si salva niente, serve credere che ci siano degli eroi piccoli piccoli: persone che nonostante tutto non si fanno corrompere, e lavorano per tenere in piedi la baracca.

Comunque il ruolo della giustizia non e’ particolarmente esaltato, rimane sullo sfondo la posizione alla fine realistica che chi ha i soldi se la cava sempre, sacrificando magari affetti, amici, e costruendo una bella vita di merda, ma in ogni caso sopravvivendo a se’ stesso.

Scorsese e Di Caprio alla fine sono due ricconi americani intelligenti, se volessimo chiudere il cerchio dovremmo mettere sul piatto anche l’ultimo film di Cronenberg sulle miserie di Hollywood, e avremmo il quadro completo di un sogno americano da buttare finalmente nel cesso.

In questo film si comprende bene il senso della frase di Jobs “Don’t waste time living someone else’s life. Stay hungry. Stay Foolish” : una parata con tanto di banda e di majorette, seguita da circensi e spogliarelliste, attraversa l’ufficio dell’agenzia di broker messa in piedi dal protagonista. Sembra veramente di toccare con mano il non sense e l’esaltazione fatua nella quale prendono forma le visioni di persone come Jobs. Sottolineato ancor meglio nella scena del lancio del nano e dal brainstorming che lo precede: quattro manager discutono delle problematiche relative all’ingaggio di un nano con casco da lanciare verso un bersaglio a punti, come una freccetta umana per uno dei loro party motivazionali in ufficio.

Il capitale in qualche modo ha introiettato la critica al lavoro, come attivita’ necessariamente logorante e alienante e ha elaborato una propria soluzione per i pochi privilegiati che si dimostrino meritevoli: se sei abbastanza lupo affamato e disposto a mettere la tua realizzazione di fronte a tutti gli altri, puoi aspirare ad elevarti a posizioni lavorative in cui il tempo libero quasi si confonde col tempo del lavoro, in cui c’e’ spazio per ogni tipo di attivita’ ludica, comprese cocaina e scopate, ma puoi anche scegliere di essere piu’ zen di cosi’, o che ti accontenti del tavolo da ping pong in ufficio. E’ un tempo del lavoro in cui tutto sembra accellerato, ma gestibile e la vita si pregna di utili stampelle esistenziali basate sulla facile disponibilita’ di denaro. E’ il modello di un capitalismo orgiastico, complementare a quello costruito sulla fatica e il sacrificio.

Sembra di leggere il libercolo “L’abolizione del lavoro“, ma declinato nel senso del capitale. E’ vero che lavorare fa schifo, e la routine soffoca la tua immaginazione, ma non deve essere per forza cosi': c’e’ la Silicon Valley, c’e’ Wall Street, luna park dove potrai essere adolescente tutta la vita, e inseguire i tuoi sogni, nessuno ti strappera’ la tua creativita’, anzi potrai metterla a frutto. Fanculo a quei perdenti senza qualita’ che finiscono a lavorare nei fast food, tu vali molto di piu’, basta crederci.

Si tratta alla fine di trasformare un noioso lavoro da scrivania o tecnico/informatico in qualcosa che divenga a parole il surrogato di una rivoluzione, che non ribalta niente, ma anzi rafforza la realta’ cosi’ com’e': “because the ones how are crazy enough to think that they can change the world, are the ones who do”.

Fare qualcosa che e’ la semplice realizzazione del sistema capitalista, ma farlo come se fosse qualcosa di pazzerello, di anticonformista, di rivoluzionario, in cui il soggetto e l’oggetto sei sempre e soltanto tu.

Cio’ che conta e’ la tua realizzazione personale, il tuo percorso di vita che deve renderti felice, sei tu che cambi il mondo, sei tu che credi in qualcosa, non importa poi neppure cosa, la dimensione etica/morale e’ completamente estranea a questo tipo di ragionamento. Non c’e’ dimensione collettiva, se non per misurare il tuo successo: la tua visione si realizza, se hai la capacita’ di convincere anche gli altri a credervi e siamo tutti assieme in questa euforica bolla di sapone fin tanto che non saremo costretti a competere per realizzare le nostre aspirazioni, a scegliere tra la nostra sopravvivenza e quella dei compagni di bolla. E sceglieremo la nostra.

Perche’ cosi’ gira un mondo basato sulla competizione di donne e uomini affamati: e non c’e’ niente di bello in questo.

Quando Hobbes parlava di paura e di homo homini lupus, non descriveva lo stato di natura dell’umanita’, ma declinava la condizione della societa’ intorno a lui, e per giustificarla si e’ inventato questa scappatoia dello stato di natura, e bla bla bla. Maledetto Hobbes, devo segnarmi di andare a urinare anche sulla sua di lapide, nella parocchia di Ault Hucknall.

Le frasi di Jobs sono una sorta di bignami di pensiero neoliberale, minchiate new age, banalita’ da venditore di folletto, dette da un uomo che dall’alto delle sue montagne di dollari, costruite sul lavoro degli altri, poteva permettersi di filosofeggiare sulla morte e sulla vita, infarcendo il tutto con frasi sul modello di “va dove ti porta il cuore”, “fai quello che ti piace” e bla bla bla, come se tutto questo avesse veramente un senso. Come se cambiare il mondo volesse dire dare alle persone una cosa per telefonare, ascoltare musica e collegarsi ad Internet o bearsi di aver convinto cosi’ tanta gente che quell’oggetto rappresenti uno stile e una filosofia di vita e sia un loro desiderio/bisogno cosi’ irrinunciabile.

Triste no ? Il modello di vita intendo, non i singoli personaggi. Steve Jobs per fortuna ci ha lasciati e ora possiamo pisciargli sulla tomba, ma le maledette idee di cui era entusiasta testimonial, sono sempre qui a logarci l’esistenza.

Leggevo l’altro giorno su un numero di Internazionale che ora tra gli alti ranghi del management aziendale va di moda la responsabilizzazione. Manager, ingegneri e vertici della Porche per esempio organizzano conferenze con preti gesuiti che parlano loro degli errori della ricerca del profitto fine a se’ stesso, i costi umani della competizione, della coincidenza tra vita e lavoro, dell’importanza di non sacrificare la famiglia e gli affetti, ecc…

La purga dopo gli eccessi insomma, la terapia. L’austerity come stile di vita al tempo di Papa/a’ Francesco, nel protrarsi della crisi. Un ritorno alle origini, ora et labora.

Anche all’estero hanno scoperto i meeting di comunione e liberazione insomma. Il padre richiama all’ordine il figliolo scapestrato, e lo invita a responsabilizzarsi: diamoci un contegno, basta orge per un po’.

sabato 4 ottobre 2014

Cervello in fuga



Per carità, figuriamoci. Nessunissima intenzione di "commentare", e men che mai di "decostruire" le stronzate di Roberto Saviano, organo ufficiale del gruppo editoriale Repubblica-L'Espresso, che stavolta ce l'ha con chi ha manifestato a Napoli contro il summit della BCE. Il link lo metto, naturalmente, casomai a qualcuno pungesse vaghezza di controllare a quale livello sia la fuga di questo italico cervello frutto di una colossale operazione di marketing oramai esauritasi da tempo dato che, come si suol dire all'angolo tra Oxford e Cambridge, non se lo incula (e da tempo) più nessuno -a parte, naturalmente, se stesso; ma comincio a dubitare seriamente che persino Roberto Saviano non legga e ascolti più le esternazioni di Roberto Saviano.

Delle ultime pontificazioni del CIF (Cervello In Fuga) Saviano, è però necessario mettere in risalto un paio di "chicche". Riassumendo assai brevemente: Saviano accusa la "sinistra radicale" napoletana di essere "vecchia", perché non si è uniformata al verbo delle "nuove rivoluzioni" (anzi, le everyday rebellions). Ci informa ovviamente del suo illuminato percorso di maturazione: "Quei volti li conosco perché da ragazzino ascoltavo le loro parole, perché credevo mi aiutassero a capire, credevo che anche grazie a loro la mia coscienza civile e politica sarebbe maturata. Presto ho capito che non è la protesta cieca a mostrare una strada, che lì si disimpara solo." E si è visto, infatti, di quanto sia diventato più maturo, quanta strada abbia fatto la sua "coscienza civile e politica" e, più che altro, che cosa abbia imparato benissimo a fare: mettersi a disposizione totale, anema e core, del principale gruppo editoriale reazionario italiano, per il quale svolge il ben remunerato mestiere di apostolo della "legalità". Oramai,  leggendolo, sembra che faccia il ministro; le stesse parole di Angelino Alfano. "Per carità, manifestare è legittimo, però..."; e giù quintali di delegittimazione (senza naturalmente fare mezza parola degli ennesimi episodi di repressione poliziesca che si sono verificati; ma per uno che, nei suoi libriccini, spende paginate per ringraziare fino le più dimenticate "forze dell'ordine", non c'è da stupirsi).

Dove vuole arrivare, Saviano? Ma è chiaro, alla delegittimazione totale espressa con meccanismi più che consueti. Prima di tutto i "ragazzini" (perché Saviano è sì giovane, ma oramai è diventato maturo e ha capito tutto, a differenza di noialtri poveri pischelli). Per mettere a posto i ragazzini, Saviano si serve delle parole di un collaboratore di giustizia, Maurizio Prestieri: «A Napoli i ragazzini di estrema sinistra compravano fumo, coca, eroina, acidi e noi con quei soldi pagavamo le campagne elettorali della destra». L'equazione, tutt'altro che sottile, è questa: il ragazzino di estrema sinistra è soltanto un drogato. Più che di delegittimazione, in questo caso parlerei di cara, vecchia criminalizzazione tanto cara ai sinceri democratici sui cui media Saviano è di casa; non si perita, come del resto non si è mai peritato, ad utilizzare i mezzi più rozzi.

Se ne vuole un altro esempio? Eccolo, fresco fresco di giornata. "E poi il cortocircuito di molti di questi capipopolo, mantenuti dalle famiglie e combattenti in strada. Li guardavo e mi dicevo: non diventerò mai come loro. Dietro le categorie di “venduto”, “commerciale” o “borghese” c’era semplicemente il livore verso chi riusciva a vivere del proprio lavoro." Quando ho letto queste righe, devo dire che la mia prima reazione è stata quella di emettere delle sonore risate liberatorie. Un fenomeno, questo Saviano. Il grande scrittore, giornalista, tuttista, perseguitato dalla Camorra e sotto scorta continua (verrebbe da parafrasare un noto inno: "Scorta, scorta di lunga durata / Scorta di polizia armata / Scorta continua sarà!") tira fuori la solita storiella dei "figli di papà", "mantenuti dalle famiglie" e pieni di livore e di invidia nei confronti dei bravi e onesti lavoratori. Ho fatto mente locale, e mi sono ricordato che una delle ultime volte che avevo sentito parole praticamente identiche, era stato da parte di un fascista fiorentino, in una delle sue tante "interrogazioni" in consiglio comunale; quasi senza cambiare una parola. E, in effetti, quella dell'antagonista "figlio di papà", sfaccendato senza né arte e né parte che gioca alla rivoluzione coi soldi della famiglia che lo mantiene, è sempre stato un cavallo di battaglia delle destre a varia gradazione di fascismo. Ci credo bene che non sia diventato come loro: si vede che, anche da ragazzino, Roberto Saviano era già Roberto Saviano. Uno che, fra le altre cose, ha tutta l'aria di essersi spaccato la schiena di fatica nella sua vita, figlio di un medico, buon liceo e laurea in filosofia.

A ripensarci bene, però, non c'è affatto da meravigliarsene date le decine di circostanze in cui Roberto Saviano si è palesato come perfetto rappresentante e voce di punta di quella destra forcaiola, giustizialista e reazionaria che trova espressione naturale nel Partito Democratico e/o in tutte quelle meravigliose "sinistre progressiste" (tipo SEL eccetera) che gli orbitano attorno ansiose di esserne inglobate e partecipare ai fulgidi avveniri della Patria spazzando via il "vecchio" (come, ad esempio, chi ancora cerca di opporsi senza il benché minimo desiderio di uniformarsi). Se si dice che Roberto Saviano è un fascista, può sembrare una definizione di comodo e dettata da ostilità preconcetta; ma è una definizione che, invece, rispecchia la realtà dei fatti tenendo conto che il "Fascismo del XXI Secolo" non è quello di quei poveri cialtroni di Forza Nuova o di Casapound, bensì quello dei "Democratici"  che hanno instaurato un regime autoritario di cui pure Saviano farà parte finché servirà; e dovrà fare maggiore attenzione a quando i suoi servigi saranno diventati inutili di quanta ne debba fare ai killer dei Casalesi.

Nonostante tutto questo, a volte viene comunque da pensare se Saviano ci faccia o ci sia; la fuga del suo cervello dev'essere oramai imprendibile. Ad esempio, quando nella sua articolessa, elencando le evreryday rebellions così tanto "belle" e "nuove", le "rivoluzioni in corso", indica, nell'ordine: Spagna, Egitto, Siria, Iran e Turchia. Mi devo essere perso qualcosa. In Spagna c'è la rivoluzione in corso? O che Saviano sarà rimasto ancora a quelle teste di minchia di Indignados con le acampadas spazzate via in mezz'ora dalla Polizia, oppure agli Occhiupài dai quali andò pure lui a New York (senza essere cacato manco di striscio), prima che anch'essi fossero sgomberati in diciotto minuti netti dalla piazzetta festosa e colorata che avevano occhiupàto? In Egitto, la "rivoluzione" è consistita nel mettere sul trono l'ennesimo generale, a furor di popolo dopo l'esperimento del "Fratello Musulmano". La Siria sarà meglio lasciarla stare; a meno che Saviano, in cuor suo, non ambisca a entrare nell'ISIS (dove, al massimo, però gli farebbero decapitare un pompelmo). Sulla "rivoluzione" in Iran, Saviano ovviamente si uniforma alla vulgata di Repubblica, abilissima scovatrice di povere donne condannate ai più atroci supplizi (Sakineh docet), adùltere lapidate, eccetera; mentre in Turchia il centro commerciale a Gezi Park lo hanno già costruito, hanno rivotato in massa per l'Erdiocàn, partecipano alla grosse Koalition contro i tagliagole e si fanno beffe delle "rivoluzioni pacifiche" di ogni giorno, tanto amate da Saviano, le quali sono talmente pacifiche da non servire, come è ovvio, a un cazzo. Everyday bullshit.

Mi fermo qui; a Saviano, alle sue bugie e ai suoi scopi ci ha già pensato fin troppo bene Paolo Persichetti in una nutrita serie di articoli su Insorgenze, che consiglierei a tutti di leggere. Roberto Saviano, lo scrittore arruolato, il Cervello in Fuga coi suoi amiconi embedded, i Fabio Fazio e i Roberto Benigni. Oggi gli hanno ordinato di lanciare i suoi strali contro la "vecchia sinistra", domani gli ordineranno qualche altra cosa. Visto che gli piacciono così tanto le "forze dell'ordine", sembra quasi di sentirlo dire: Comandi!

venerdì 3 ottobre 2014

Dormi (Un anno dopo)



Oggi, 3 ottobre 2014, fa giusto un anno dalla strage di Lampedusa, e da allora ce ne sono state altre, quasi a ritmo giornaliero. Un anno di buoni propositi, di visite del Papa, di “mare nostrum”, di “prese di posizione”, di “mai più”, di governi che cambiano, di “appelli all'Europa”, di Europe che si guardano bene dal raccogliere gli appelli, di motovedette, di Leghe più o meno del “nord”, e di esseri umani che muoiono in fondo al mare. Il 7 e 8 febbraio 2014, Andrea Buffa ha registrato questa canzone, in forma di ninna-nanna; ma è una ninna-nanna che ha la sua sveglia terrificante al suo interno, un lungo recitativo che racconta ciò che è l'Italia di oggi attraverso i “social networks”: i suoi Danieli, le sue Martine, il suo razzismo, la sua stupidità, la sua disumanità. Racconta anche le politiche di “Facebook” e racconta, pur senza dirle esplicitamente, tante altre cose. A un anno dalla strage di Lampedusa, dai suoi 366 morti accertati e dai 20 dispersi, a un anno dai vomiti di questo paese che nella sua storia ha perso migliaia e migliaia di emigrati in fondo al mare, inseriamo questa canzone che Andrea Buffa ha voluto regalare, tra le altre cose, al cofanetto di CD per il decennale di “Fino al Cuore della Rivolta”; ma la rivolta ed il cuore non sembrano più appartenere a questo paese. 



Dormi bimbo mio bello
lascia che l'onda ti possa cullare
lascia che il vento spinga il battello
che un poco prima tu possa arrivare

Che questo cielo pieno di stelle
ti abbracci forte, che questa luna
splenda soltanto sulla mia pelle
l'ombra di un pianto alla nostra fortuna

Il 3 ottobre 2013 si rovescia e affonda al largo di Lampedusa un barcone con a bordo più di cinquecento migranti. I morti accertati sono oltre trecentocinquanta, in prevalenza giovani e giovanissimi, bambini. Daniele, su Facebook, risponde al post di Martina che scrive: “Lutto nazionale”. “Ah ah ah ah ah ah, l'Italia mi fa proprio ridere. Ci vorrebbe un bel colpo di stato, cinquecento valorosi che sparano all'impazzata, nel giro di un'ora l'Italia cambia da così a così. L'Italia agli italiani!” Martina si sente in dovere di specificare: “Ok, ok. [Faccina che ride] Ok, però mi fanno ridere comunque. Perché non fare lutto nazionale per la strage del bus, farlo per dei clandestini...Poverini perché son morti, ok, ma tutti quelli che vivi si piantano qui, fanno dieci figli e vengono mantenuti dallo stato?” Post di qualche giorno dopo, di un altro: “Ok, adesso mi date del razzista ma dico solo che questi devono stare a casa loro. Vengono qui e minacciano la nostra sicurezza e non puoi più uscire di casa, il lavoro della nostra gente... Se entrano in casa tua e minacciano tua figlia? No, io non ce l'ho una figlia ma tu ce l'avrai una figlia.” La nostra gente è un tema che va per la maggiore; meglio loro che la nostra gente, difendere la nostra gente, la mia gente in contrapposizione oggi a chi arriva dal mare e ha la pelle scura. Ieri i terroni o gli ebrei, domani...vedremo. Nasce il gruppo aperto su Facebook “Centotrenta bocche negre in meno da sfamare”. Tra i primi commenti: “Sono morti 130 negri: non me ne frega un cazzo!” La pagina razzista “Fuori tutti gli immigrati dall'Italia”, almeno 5000 fan, che si propone “di combattere contro l'oppressione multietnica”, esplode di commenti all'indomani della strage, alcuni anche all'indirizzo del ministro Kyenge. Ad esempio: “Brutta testa di cazzo di una...casomai sono loro che devono omaggiare noi per avergli dato la possibilità di mettere le loro luride facce puzzanti di piscio sul suolo italiano...ma qui siamo deficienti? Dovrebbero andarsene tutti, se non ci fossero molte regole io stesso darei fuoco ai barconi...che skifo! [con la kappa]” L'amministrazione di Facebook mi risponde dopo un paio di giorni riguardo alla segnalazione che ho fatto del gruppo “Centotrenta bocche negre in meno da sfamare”: “Gentile utente, abbiamo verificato la tua segnalazione e il gruppo non è stato chiuso. Verifica meglio e segnalaci eventualmete post e immagini che siano in violazione delle regole di Facebook.” La mia segnalazione era partita dalla foto del cadavere di un giovane uomo di colore che galleggia a faccia in giù nel mare. Il commento alla foto era: “E adesso chi pulisce?”

Dormi, bimbo mio bello
insieme agli altri sul fondo del mare
veglia sui giorni di tuo fratello
che quella notte ti ha visto sparire.

E questo cielo vuoto di stelle
bruci per sempre nel mio dolore
per la tua assenza, della mia colpa
col mio permesso ti ho visto partire.

mercoledì 1 ottobre 2014

Anadrammi 6



MATTEO RENZI =

TENTI, MA ZERO.

Ci tenta, effettivamente, il cazzaro di Pontassieve;
se non ci riuscirà, si prevede per lui un avvenire come monaco buddista:


MATTEO RENZI =

ROTTAME ZEN.
  Da rottamatore a rottame. Potrà così, finalmente e nella massima calma spyritüale, adempiere all'augurio rivoltogli a gran voce da i' popolo: DATTI FOHO!!!