giovedì 31 marzo 2011

Di marzo


Di Marzo
Folgòre da San Gimignano

Di marzo sì vi do una pischiera
d'anguille, trote, lamprede e salmoni,
di dèntici, dalfini e storioni,
d'ogn'altro pesce in tutta la rivera;

con pescatori e navicelle a schiera
e barche, saettìe e galeoni,
le qual ve portino a tutte stagioni
a qual porto vi piace la primera:

che sia fornito de molti palazzi,
d'ogn'altra cosa che ve sie mestero,
e gente v'abbia de tutti sollazzi.

Chiesia non v'abbia mai né monastero;
lassate predicar i preti pazzi,
ch'hanno troppe bugie e poco vero.

Di Marzo
Cenne da la Chitarra

Di marzo vi riposo in tal manera:
in Puglia piana, tra molti lagoni,
e ’n essi gran mignatte e ranaglioni;
poi da mangiar abbiate sorbe e péra,

olio di noci vecchio, mane e sera,
per far caldegli, arance e gran cidroni;
barchette assai con remi e con timoni,
ma non possiate uscir de tal rivera;

Case de paglia con diversi razzi;
da bere vin gergon, che sia ben nero;
letta di schianze e di gionchi piumazzi.

Tra voi signor[e] sia un priete fero,
che da nessun peccato vi dislazzi;
per ciascun loco v’abbia un munistero.

Cantando marzo porta le sue piogge,
la nebbia squarcia il velo
porta la neve sciolta nelle rogge
il riso del disgelo, il riso del disgelo.
Riempi il bicchiere, e con l'inverno butta
la penitenza vana
l'ala del tempo batte troppo in fretta,
la guardi e è già lontana,
la guardi e è già lontana.

O giorni, o mesi che andate sempre via...

martedì 29 marzo 2011

Incertezze & Conclusioni, Inc.


1. Premessa.

Come ci si forma un'opinione su un dato avvenimento, e in particolare quando l'avvenimento è in corso? È una domanda che mi sono fatto spesso, in questi ultime settimane assai ondivaghe. In un certo qual modo, provo una forte ammirazione per coloro che, sin dall'inizio, manifestano chiare prese di posizione, in un senso o nell'altro; e non soltanto ammirazione prona, ma anche, e soprattutto, interesse. Si tratta di fonti di interpretazione della realtà, e come tali devono essere tenute nel debito conto; così come, nel medesimo conto e debito, devono essere tenute le incertezze altrui e proprie. Fanno anch'esse parte della realtà, e ne sono anzi una componente essenziale. Ad una condizione, vale a dire quella di non scadere mai nel tifo; cosa, che, purtroppo, è assai tipica delle nostre parti. Definire ad esempio "stronzate" le opinioni, le spiegazioni, le conclusioni degli altri; oppure avvalersi di linguaggi muscolari, di tarzanate, di certezze non utilizzate per aggiungere peso sulla bilancia, ma semplicemente come mitragliatrici. In questo senso, allora, ritengo più opportuno dar conto delle proprie incertezze, non ricercando né accordi e né disaccordi e non infilandosi nelle varie squadre troppo presto.

2. A proposito del "Dialogo" di qualche giorno fa,
di Valerio Evangelisti e di alcune sue confutazioni.

Un incerto come me parte sempre in tromba, quando si presentano degli eventi. Sembra essere un elementare bisogno di mostrare fin dall'inizio che si è capito tutto e di porsi in modo chiaro; ad un certo punto, però, è gioco forza che si scontri con il dubbio. Il dubbio proviene ovviamente da letture contrapposte, e può essere soltanto così a meno di non prendere armi e bagagli e andare a cercar di capire in loco; il che può essere abbastanza pericoloso, come dimostra il caso di Enzo Baldoni. Bisognerebbe sí fare come lui, e andare a ficcare il naso, a parlare con tutti quanti, a presentare le cose coi propri occhi, senza mediazioni; ma non ce ne abbiamo né la capacità, né i mezzi, né la voglia. Ci abbiamo chi la famigliuola, chi l'Isola d'Elba, chi i romanzi noir o gialli, chi le rivoluzioni di settant'anni fa; e allora si disquisisce, cosa che senz'altro ha il vantaggio di non comportare il pericolo di essere decapitati.


In questi giorni credo di aver battuto il record mondiale di articoli iniziati su questo blog, e poi interrotti e buttati nel cesso telematico. Ponderose considerazioni che, regolarmente, abortivano. Ero partito con l'aggressione imperialista, con la "finta rivoluzione", con i servizi segreti, con Gino Strada, col no alla guerra, con le dieci domande, con il "chi sono questi insorti?"; poi mi sono imbattuto in voci diverse. Le voci hanno il vizio di essere tali, e quindi di parlare; e, allora, l'unica cosa che ho veramente capito è quella di avere sbagliato del tutto l'impostazione iniziale, per di più davanti ad avvenimenti che sono decisamente sfuggenti. Mi sono rivolto allora ad un terreno che mi è più congeniale, quello della parodia letteraria; ne è venuta fuori l'unica cosa possibile, ovvero l'espressione di quel che provo veramente. Non essendo particolarmente dotato nel campo dell'analisi geopolitica, ho scelto di riportare fedelmente i miei dubbi e le mie incertezze servendomi di un artificio nemmeno poi così originale (le parodie delle Operette Morali leopardiane sono numerose; ne ho trovata persino una a proposito dell'Inter, di Mourinho e di Balotelli).

Sicuramente, in tutto questo entrano quelle che sono le mie convinzioni sociopolitiche; convinzioni che, senz'altro, sono sempre state sottoposte a incoerenze, a balzelloni, a viavai tra il mainstream e l'outstream (non so se tale termine esiste, ma mi suona bene); non sono e non potrò mai essere un granitico, è fuori dalla mia natura. Ogni qual volta ho inteso esserlo, ho mentito agli altri e a me stesso. Ciononostante, quando ci sono delle persone che si ribellano io non posso né ignorarle, e né liquidarle. Le conclusioni, ad esempio, di Valerio Evangelisti possono essere benissimo errate, ma a mio parere si basano su un fatto su un fatto assai semplice: in Libia non si sono ribellati due gatti, ma migliaia di persone. Non trovo giusto, anzi mi ripugna nel profondo, negare loro il diritto a parlare, ad esprimersi, a fornire motivazioni; così come non trovo giusto ridurre il tutto a degli anti- che non sono meno "teologici" di ciò che si confuta.

Se, ad esempio, gli insorti libici sono comandati militarmente da tale Khalifa Hiftar, che era stato al servizio di Gheddafi, che aveva diretto le campagne militari libiche nel Ciad e che poi si era trasferito negli Stati Uniti, non è una cosa che mi significa molto; mi interessano, invece, coloro che scendono a combattere. E mi interessano non per la ricerca di un "rivoluzionarismo" a tutti i costi, ma perché esprimono un bisogno di cambiamento talmente forte da far considerare loro l'idea di morire (a meno che non si ritenga che muoiano per finta). In questo, ritengo giuste le considerazioni di chi ha fatto notare che non siamo né io, né nessuno, a decidere se a un sommovimento, a una rivolta, a una ribellione o qualsiasi altra cosa del genere debbano o non debbano essere date patenti e imprimatur. Potrebbe anche essere che gli shebab libici siano convinti di prendere in giro (e di sconfiggere) Barack Obama, Sárközy Miklós, David Cameron, i potentati economici, i servizi segreti, James Bond, la Spectre, Rockerduck e tutti coloro che hanno preparato sicuramente l'esplosione della Libia nel 2011 fin dal 1951 o giù di lì; potrebbe anche essere che abbiano un barlume di utopia, oppure -più probabilmente- che siano stufi di Gheddafi.

Sembra però che ciò non possa esistere, che sia vietato essere stufi del Colonnello; del resto, i libici sono tutti ricchi, vivono bene, non hanno motivi di cui lamentarsi, nulla. Quindi, forzatamente, se si incazzano ci dev'essere dietro tutta una serie di longæ manus, di manovratori, di sobillatori. A questo punto verrebbe da pensare, che so io, che Ronald Reagan abbia preso, verso il 1982, dei bambini tunisini, e che li abbia tirati su da poliziotti con un ordine ben preciso: "Ragazzi, nel gennaio 2011 dovrete vessare un venditore ambulante, così si dà fuoco, scoppia la rivoluzione e noi ci prendiamo il...ah, mi dicono che in Tunisia il petrolio non c'è, geez! Very cool! E vabbè, ce lo pigliamo da un'altra parte!" In Libia non esistono classi (che sono, come è noto, tutta un'invenzione dell'интеллигенция di sinistra), in Libia c'è il Grande Capo Anticolonialista col Libretto Verde pubblicato da Libero; e se proprio si vuole trovare qualcosa di comico in gran parte della sinistra (italiana), è proprio la riconversione repentina dal Gheddafi da sputi perché Berlusconi gli baciava la mano al Gheddafi eroe perché ora si oppone al complotto imperialista occidentale. Sono bastati un paio di aerei francesi perché il tiranno che bombardava le manifestazioni diventasse l'apostolo dell'antimperialismo, e perché gli insorti diventassero delle marionette nelle mani delle "Potenze".

Poi, va da sé, si presentano altri dubbi; ad esempio, la questione della Siria; nuove incertezze, nuove questioni aperte, nuovi tentennamenti. Il fatto è che abbiamo deciso noi in quali paesi arabi si sta bene e in quali no. Ad esempio, in Siria i cristiani godono di libertà di culto e di protezione da parte del regime, e quindi troviamo bizzarro che i siriani si rivoltino contro una dinastia socialista familiare al potere da millant'anni, la stessa che nel 1982 stroncò nel sangue la rivolta dei Fratelli Musulmani e rase al suolo la città di Hama (25.000 morti). E il petrolio siriano? Un po ce n'è, ma copre a malapena il fabbisogno interno; però in Siria si produce il famoso tabacco Latakia, e la lobby dei fumatori di pipa inglesi è potentissima (il Latakia puro è infumabile, ma entra in molte tra le English Mixtures più apprezzate).


Il tabacco siriano Latakia. È talmente oleoso, che forse
potrebbe essere utilizzato come petrolio; da qui
il complotto americanista-occidentalista volto a rovesciare Assad
e a impadronirsi delle ricche piantagioni. Tra parentesi:
una volta ho provato a fumarlo puro, e oltre a beccarmi
un inizio di tubercolosi, ho constatato che sa davvero di gasolio.

3. Piccola conclusione inconclusa.

Sicuramente, prima o poi, tutti i nostri dubbi e le nostre incertezze verranno fugate. Trionferà la rivolta di classe libica, mettendo al potere Valerio Evangelisti; oppure verrà accertato che tutto è stato preparato a tavolino presso la trattoria San Calogero di Vigàta (anche ai potenti della Terra piace il commissario Montalbano). Ora come ora, però, il sottoscritto -e, ripeto, il sottoscritto- può avere al massimo delle tendenze. Le quali, comunque sia, non contano e non conteranno mai un cazzo di niente. Continuiamo a trastullarci sui blogghi mentre la gente e gli animali crepano; come se non ci bastasse, continuiamo ad avere la pretesa di saper meglio di loro perché crepano. Allora che aspettiamo a formare delle كتائب الدولية (secondo il traduttore di Google, dovrebbe essere Brigate Internazionali in arabo), da una parte e dall'altra? Forza, blogghisti! Da una parte con gl'insorti, dall'altra con Gheddafi, e partiamo tutti a combattere in Libia; tanto, come ben si sa, Internet ce l'hanno anche là. Una spippolatina fra una battaglia e l'altra ce la potremo ben concedere; e vuoi mettere scrivere un post con un Kalashnikov in mano, mentre spari al blogghista della controparte (e mentre ti spara lui, ça va de soi)!

Nell'attesa frenetica della partenza, forse dovremmo avere il coraggio e l'onestà di dire che tutte le nostre Libie sono immaginarie. Non solo quella di Valerio Evangelisti, ma anche la mia e tutte le altre. Non parliamo quasi mai di come sono le cose, ma di come vorremmo che fossero. Ed è una cosa che, a mio parere, dev'essere sempre tenuta presente, ben presente, straordinariamente presente. Detto tutto questo, e non per cortesia ma perché è una cosa che merita d'essere fatta, invito anch'io a leggere La Libia immaginaria di Valerio Evangelisti dal blog Kelebekler di Miguel Guillermo Martínez Ball. Probabilmente sono anche d'accordo con molte delle sue argomentazioni, così come lo sono con molte di Valerio Evangelisti; il mio problema, come sempre, è casomai essere d'accordo con il signor Mai Self; e ne avrò da scrivere, di operette morali!

Canzoncina per bambini



Era un partito molto carino,
c'era Veltroni, c'era Fassino
e non faceva l'opposizione,
'e preferiva stà co' i' padrone.
C'erano uomini e c'eran donne
e a tutti gni garbava Marchionne,
e gli era nato dal gran piccì
ma ora gli è peggio della diccì.
Ma era un partito bello davvero,
chiacchiere tante, e lotta zero
Ma era un partito bello davvero.
chiacchiere tante, e lotta zero.

lunedì 28 marzo 2011

A voi gli allontanati

A noi che siamo vivi, o che sopravviviamo
senza mai avere udito la morte fredda all'alba.
A noi che siamo soli col sangue nelle vene
e sangue nel ricordo, e sbarre nella mente.

A voi stesi per terra in turpe fila indiana
nel corridoio scarno d'un giorno che è finito.
A te che te ne andasti staccando un sole finto,
carambolando vinto nei pozzi più profondi.

A voi e alla vostra vita di ombre ritagliate
su muri che riflettono le grida come specchi.
A noi cui fa vergogna pensare nella pioggia,
a noi che ci vestiamo di merda e di paura.

A voi e alla vostra morte per mano crepitante,
a te ed alla tua mano che spenta si contorse.
A voi gli allontanati da ogni percezione
senza mai aver venduto un grammo d'esistenza.

Lorenzo Betassa, 28 marzo 1980
Riccardo Dura, 28 marzo 1980
Anna Maria Ludman, 28 marzo 1980
Piero Panciarelli, 28 marzo 1980
Edoardo Massari, detto Baleno, 28 marzo 1998.


domenica 27 marzo 2011

Dialogo tra un venditore di gazzette e un passeggiere a proposito della guerra di Cirenaica


Venditore: Gazzetta del Progresso! Gazzetta del Progresso!

Passeggiere: Buon giorno, brav'uomo; mi fareste vedere una delle gazzette che vendete?

Venditore: Ma ben certamente, Signore! Eccovene volontieri una d'esse.

Passeggiere: Davvero interessante e ben fatta; vi sono tutte le più fresche notizie dal mondo?

Venditore: Tutte quante, Signore; guardate qua nella prima pagina le ultime nuove dalla guerra di Cirenaica!

Passeggiere: Vedo, vedo bene. Ma a voi che cosa ve ne sembra di questa guerra?

Venditore: Signore, io sono soltanto un pover'uomo che fa un umile lavoro per mandare avanti la famiglia...

Passeggiere: Lo credo senz'altro! Ma questo non dovrebbe esimervi dall'avere un'opinione su gli accadimenti del mondo; tanto più che il vostro mestiere è quello di vendere gazzette che aggiornano il popolo su ciò che avviene anche in paesi lontani...

Venditore: È ben vero, questo; ma, se devo dirvi la verità, Signore, non ci capisco gran ché...

Passeggiere: Eppure la gazzetta che vendete sembra essere ben informata e dona notizie precise; leggete qua: Gl'insorti prendono la città d'Agedabia. Nuove atrocità del tiranno Caddaffi. L'intervenzione della Francia, dell'Inghilterra e del Granducato del Lussemburgo.

Venditore: Certamente, Signore; sono notizie dei più accreditati corrispondenti. Ma, vedete là quell'altro venditore? Lui vende un' altra gazzetta che egualmente dona notizie precise, eppure...

Passeggiere: Eppure?

Venditore: Eppure le son presentate in modo del tutto diverso!

Passeggiere: In modo del tutto diverso? Spiegatevi meglio.

Venditore: Vedete, Signore; ad esempio, la Gazzetta del Progresso, della quale io fo vendita, afferma che il tiranno Caddaffi della Cirenaica dev'essere deposto con la forza, che compie stragi, massagri ed altre nequizie, e che l'intervenzione armata straniera è necessaria; mentre la Gazzetta della Libertà, venduta dal mio compare, afferma che il tiranno Caddaffi mantiene la stabilità, che gl'insorti sono ammanovrati proprio dagl'inghilesi e da' francesi, che sono de' barbuti che invocano i falsi dèi Magometto e Allà, che l'intervenzione straniera mira a impadronirsi del petrolio (ci cui la Cirenaica è assai ricca!)...

Passeggiere: Ma questa è la normale difformità d'opinioni tra le varie gazzette che son vendute, non vi sembra?

Venditore: Sí, mio signore! Però di gazzette le ce ne son parecchie; e non ce n'è nemmeno una che sia d'accordo con l'altra! Le notizie son mescolate; chi sostiene gl'insorti e chi il tiranno; chi non li sostiene nessun de' due; chi dice che la Francia e l'Inghilterra fan bene, chi dice che fan male; chi ce l'ha con l'Italia, chi dice che è una rivoluzïone del popolo, chi dice che è qui e che è là...eppoi, come s' 'e non bastasse, non ci son mica soltanto le gazzette scritte; ci sono anche quelle dell'Internetta, i diarij de' blogghieri, il Libro delle Facce, il Canarino Titti...


Passeggiere. Vedo che siete perfettamente all'avanguardia su tutte le fonti d'informazione più moderne; quindi, per forza, un'opinione dovrete averla. Avete cinque minuti affinché ne possiamo discutere, oppure dovete continuare il vostro lavoro?

Venditore. Aspettate un istante; Gandolfo! Gandolfo, vieni qui a vendermi le gazzette per alcun breve tempo! Sapete, signore, Gandolfo è il mio figliuolo secondo genito, un volonteroso garzone di sedici anni che già aiuta suo padre!

Passeggiere. Invero un bravo giovine!

Venditore. Ecco qua, signore; adesso possiamo metterci a discutere a nostro agio, poiché vedo che v'interessa assai.

Passeggiere. M'interessa conoscere il parere, sperando che la definizïone non v'offenda, di un umile e operoso rappresentante del popolo lavoratore come voi.

Venditore. Non solo non m'offende, ma ne vo dimolto fiero!

Passeggiere. Ebben sia! Vi spiace, brav'uomo, se sarò io a porvi alcune questioni, per poi commentarle in modo acconcio?

Venditore. Son qui per servirvi, Signore.

Passeggiere. Incominciamo allora con la questione più semplice. Voi siete favorevole a codesta guerra contro il tiranno Caddaffi?

Venditore. Signor mio, io sono un padre di famiglia e non posso esser favorevole a una guerra. La Cirenaica non è poi poi così distante, non pensate? Adesso, coi palloni aerostatici e con le veloci navi a vapore la si può raggiungere in un battibaleno! Però il tiranno Caddaffi, se mi permettete la colorita espressione che s'usa nelle bocche del popolo, è davvero una bica di sterco, e capisco che gran parte de' Cirenaici abbia inteso ribellarsi!

Passeggiere. Eppure, il tiranno Caddaffi sembrava essere grand'amico del nostro primo ministro, barone Del Berlusco, non vi ricordate?

Venditore. Ah, poffarre se me rammento! Una cosa ignominïosa! Però, adesso, il barone sembra aver mutato sentimenti...

Passeggiere. Il Barone è avvezzo a tali mutamenti, non pensate? Vi rammentate quando il tiranno venne in visita alla capitale, e pretese cinquecento vergini tutte per lui...?

Venditore. Signor mio, non me lo dite! Sapete che persino a mia figlia Lisadora, una fanciulla d'anni quindici, fu fatta tale proposta?

Passeggiere. Naturalmente voi vi opponeste.

Venditore. In sul principio, sí; ma che volete farci; ho una famiglia numerosa, e le profferte di quel vile tiranno erano ben vergognose, ma anche vantaggiose...ma se fossi in Cirenaica glielo farei vedere io, a quel mambrucco...!

Passeggiere. Capisco; suvvia, parliamo d'altro. Sarete sicuramente a conoscenza che il tiranno Caddaffi, nonostante tutto, ha tenuto la Cirenaica scevra da' Maomettani Infuriati; non vi pare che abbia fatto bene?

Venditore. In effetti sí; e anch'io ho una gran paura di que' fanatici! E se ci cogito, mi si rimescola il sangue! Ma voi pensate che, se il tiranno Caddaffi sarà arrovesciato, che prenderanno il potere?

Passeggiere. Tutto è possibile; ma del resto se ne sa abbastanza poco. Ma non trovate singolare che le potenze internazïonali, che hanno sempre detto di voler combattere i Maomettani Infuriati scatenando guerre su guerre come quella nel paese de' Pastoni e de' Levrieri, abbiano prima invaso la Mesopotamia e appeso a una corda il tiranno Saddammo Ussino, che li teneva a bada, e ora facciano altrettanto con Caddaffi?...


Venditore. Davvero è una cosa parecchio singolare! Ma tutti dicono che sia per il petrolio...in Mesopotamia ce n'è a barili, e anche in Cirenaica...

Passeggiere. È possibile, sí, che sia per questo; o anche per questo; ciò non toglie che le tirannidi debbano essere abbattute, non pensate? Avete visto quel ch'è avvenuto in Barberia quando, nel mese di gennajo, la plebe s'è sbarazzata del tiranno Benallì (ch'era amico del conte Benito Crasso, e che l'ospitò in esiglio!); e pure in Egitto, dove il tiranno Mubaracco ha fatto la medesima fine...

Venditore. E bene fecero!

Passeggiere. Senz'altro; ma allora, vi domando, perché or sussistono tante incertezze a proposito del tiranno Caddaffi? O non è forse anche questa una rivoluzione di popolo?

Venditore. Ma in Barberia e in Egitto il popolo pativa la fame; non posseggono il petrolio. In Cirenaica, invece, sembra che ci facciano il bagno, in quella brodaglia puzzolente...! E poi non si sa nemmeno chi siano davvero, codesti insorti.

Passeggiere. A mio parere, quando così tante persone si ribellano un motivo ci dovrà pur essere; poi, non è detto che i proventi del commercio di quella brodaglia puzzolente, come voi la chiamate, siano condivisi da tutti. Conoscete Camomilla al Lino?

Venditore. No; che cosa gli è?

Passeggiere. E gli è un sito dell'Internetta ove si disquisisce, tra l'altre cose, di accadimenti internazïonali; or non è guari, su Camomilla al Lino è stato pubblicato un articolo (pare tradotto dal francese) dove si dice che sarebbe la rivolta degli scebabbi...

Venditore. Signor mio, mi duole ma non conoscevo tale sito; io leggo Chelebecco, Blacco Bloggo, Io detesto la Sampdoriana, Minimi Comun Denominatori...a volte anche l'Asociale, ma ultimamente non mi par proprio capirci nulla...

Passeggiere. Tutti siti parecchio interessanti! Però Camomilla al Lino è l'unico che parla degli scebabbi. Costoro sarebbero i giovini proletari delle città cirenaiche, di Tripoli, di Bengasi, d'Agedabia; e parlano eccome! Solo che nessuno, secondo Camomilla, intende ascoltarli. Preferiscono tutti quanti concentrarsi sull'imperialismo...

Venditore. Signor mio, pensate forse che l'intervenzione armata francese e inghilese non sia imperialista...?

Passeggiere. Senz'altro lo è; imperialista, ma confusionaria assai, questa volta. Però, se mi lasciate continuare, vi dirò che Camomilla al Lino afferma che tutti i discorsi sulle lotte tribali, sui Maomettani infuriati, sulle sommosse ammanovrate da' servizi d'intelligenza e sui conflitti di potere siano, come ben poetava Catullo a proposito degli Annali di Volusio, cacata carta. Indi di poi segue un colloquio (quello tradotto dal francese, appunto), dove la vien data voce proprio a un insorto cirenaico.

Venditore. Mi sembra qualcosa di ben fatto; e che mai dice, codesto insorto?

Passeggiere. Che la rivolta non è per forza quello che noialtri si crede; che la tirannide di Caddaffi s'è resa intollerabile; che c'è gran solidarietà tra la popolazione delle zone ribellatesi e i combattenti armati; poi parla dei modi in cui gl'insorti si sono procurati le armi. Afferma anche che gl'insorti son felici di ricevere l'appoggio degli aerostati francesi e inghilesi, ch'essi e tutti quanti si possono ben prendere tutto il petrolio che desiderano, ma che poi sarà fatta la vera rivoluzione; e, infine, che gl'insorti son tutti rispettosi d'Iddio e della Santa Religione, che Allà è grande e che è l'unico dio. Mi perdonerete se il mio compendio è assai succinto; vi consiglio di attaccarvi all'Internetta e d'andare a leggere Camomilla al Lino.

Venditore. Lo farò senz'altro; a dire il vero, non è la prima volta in questi giorni che m'avviene di leggere di codeste opinioni favorevoli alla rivolta...

Passeggiere. In verità, l'articolo di Camomilla non mi pare né favorevole e né contrario; è, semplicemente, dar la parola a un insorto. Quel che si chiede da ogni parte, senza che però, forse, lo si voglia per davvero. Fanno più comodo, come dire, i soliti brodi; vale a dire, i ragionamenti usuali...

Venditore. Può esser vero; però, tenendo pur conto che il vostro è stato un compendio, ci son delle cose che non mi tornano punto.

Passeggiere. Son qui per ascoltarle.

Venditore. Mi sta bene che de' giovini intendano ribellarsi a un tiranno; volesse il cielo che avvenisse anche qui da noi (sottovoce). Sarebbe quindi, se mi permettete, una rivoluzïone di classe...

Passeggiere. Esattamente. Avete letto le recenti opere di quel filosofo ebreo tedesco...?

Venditore. De' riassunti delle opere di Carlo Mars girano clandestinamente; ma non mi fate dire altro, potrebb'essere periglioso.

Passeggiere. Vi capisco; in ogni modo, sí, una rivoluzïone di classe.

Venditore. Però non mi tornano affatto i riferimenti alla religione.

Passeggiere. La religione è una cosa importante per que' popoli.

Venditore. Ma, a vostro parere, non si commette un errore nel considerare la religione come rivoluzionaria? Com'è possibile che pensatori di vaglia, che hanno generalmente in dispregio la religione, quando s'è di fronte a insorti che gridano Dio è grande (pur per abbattere un tiranno!) cambino repentinamente d'opinione? E se, per abbattere un tiranno nella nostra Italia, si formassero insurrezioni al grido di viva la Madonna? Carlo Mars a braccetto coi Sanfedisti?

Passeggiere. Comprendo la vostra contrarietà; però, a mio parere, non è questa una cosa gran ché importante. Importa che una classe si sia ribellata a un tiranno, là dove la tirannide si manifesta; altrimenti desideriamo sempre che le rivoluzioni le sian fatte come vogliamo noi. Che ci piacciano e che abbiano il nostro beneplacito. Invece le rivoluzioni le son figlie de' fatti che accadono; e se poi c'è di mezzo Iddio, o la Madonna, pazienza. Visto che li avete menzionati, anche i Sanfedisti erano sottoproletari che lottavano contro un'oppressione. Illuminata, ma pur sempre oppressione. Poi, certo, servirono per restaurare i privilegi dell'aristocrazia... anche per questo motivo, credo, Carlo Mars non amava molto il Lumpen Proletariat, come si dice in alemanno.

Venditore. Mi perdoni, signor mio; ma allora voi giustificate anche la rivolta della Vandea!

Passeggiere. Non la giustifico, ma la comprendo. A' contadini vandeani fu imposta la coscrizione obbligatoria, che significava morte da ogni parte. Morte sui campi di battaglia, e morte sui campi di grano e di patate, che non avevan più braccia per lavorarli. Avete detto d'essere contro la guerra, in principio, no? Sapete che uno de' più bei canti contro la guerra, Partirò, partirò, fu composto da un codino reazionario antinapoleonico delle montagne pistoiesi, Anton Francesco Menchi, e che si rivolgeva proprio contro la coscrizione...?

Venditore. Gli è proprio una gran confusione! Mi sovvengo che pochi giorni fa, sul Blacco Bloggo, ho letto delle cose assai simili a quelle che mi dite; e che il medesimo bloggo ha, poi, presentato persino un anarchista cirenaico!

Passeggiere. L'essere cirenaico non impedisce certo d'essere anarchista! Vedete bene che ci son più cose in terra di quante da capire, come diceva quel barbaro non privo d'ingegno... Vi dirò; ho letto anch'io quell'articolo, dove l'anarchista conclude dicendo di lasciar fare ai cirenaici la propria rivoluzione (o rivolta, sommossa, com'unque la si voglia chiamare); non mi sembra un'affermazione sbagliata.


Venditore. No di certo! Però altre cose le non mi tornano lo stesso. Per esempio, la storia degli aiuti armati delle potenze. Sono o non sono imperialismo, insomma? Si propongono paragoni invero un po' azzardati; se fossero intervenute in Ispagna, le potenze...

Passeggiere. Non intervennero, in Ispagna, lasciando campo libero a' neri di Adolfo Schicklgrüber, di Benito Petacci e di Francesco Franco e Bacamondi.

Venditore. Ma allora, da una parte abbasso l'imperialismo, e dall'altra parte evviva? Signor mio, pensavo che la conversazione con voi m'avrebbe risolto molti dubbi, e per questo l'ho accettata di buon grado mettendo quel mio bravo figliuolo a lavorare al posto mio; ma, invero, sento che sono aumentati!

Passeggiere. Non son pur troppo questioni agevoli. Da qualunque parte la si consideri, ci son ragioni plausibili ed altre che non lo sono, o non sembrano esserlo. Chi desidera che le cose non mutino, ha forse un compito più facile; ma chi desidera che invece mutino, deve gettarsi nelle considerazioni più svariate.

Venditore. Ma com'è possibile, poi, assumere una posizione ben chiara?

Passeggiere. Tutto dev'essere messo sulla bilancia e soppesato.

Venditore. E dove tende la vostra bilancia, se posso domandarvelo?

Passeggiere. Tende com'unque al mutamento; se avete davvero letto qualcosa di Carlo Mars, al superamento dell'esistente; le pastoje dello status quo mi sembrano la vera base dell'oppressione e dell'ingiustizia; quando una classe si ribella, dev'essere appoggiata senza tener conto di quello che ci han fatto creder d'essere il nostro comodo. Paura della guerra, paure d'ogni tipo, e con la paura ci schiacciano e ci tengono avvinti alle catene.

Venditore. Eppure, signore, non è possibile non provar paura.

Passeggiere. Vedete; ci abitueremo forse, un giorno, a non averla più; oltretutto, una delle cose che maggiormente sono ingenerate dalla paura, è proprio la confusione. Anche in me ci son cose non troppo chiare; avete presente quel che accadde nella Persia gloriosa, quando trent'anni e più fa accadde la rivoluzione che arrovesciò lo Scià millenario? Fu una rivoluzione popolare e di classe, dove i seguaci de' Maomettani Infuriati combatterono accanto a' Popolari della Stella Rossa. I quali, a rivoluzion vinta, furono sterminati, fucilati, appesi per il collo. Non andava per questo fatta, la rivoluzione?

Venditore. Ma ora, spesso e volontieri, i medesimi che affermano che le rivoluzioni debbono esser fatte comunque, si scagliano contro il regime de' Maomettani Infuriati, dicono che è una tirannia, una teocrazia maledetta e sostengono de' borghesi cittadini mentre il popolo, i proletari e i sottoproletari stanno sempre con Ammadio Negiaddo e venerano l'argiatollà Comeino.

Passeggiere. Le rivoluzioni non piacciono quasi mai, dopo.

Venditore. E allora che cosa bisogna fare?

Passeggiere. Se a' persiani, un giorno, Ammadio Negiaddo e l'argiatollà Comeino non piaceranno più, faranno un'altra rivoluzione. Intanto vediamo un po' che cosa ne sarà in Cirenaica, e non abbiamone timore. Per quanto mi risulta, è Caddaffi che fa gli accordi con il barone Del Berlusco sulla pelle de' poveri che si gettano in mare su gusci di noce malandati. È Caddaffi che arriva a Roma e pretende le vergini, tra le quali vostra figlia Lisadora. È Caddaffi che ha le partecipazioni nella Fabbrica Torinese di Carrozze & Affini, e che impone persino che il figlio giuochi al pallone nella squadra di Perugia. È Caddaffi che fa il socialista praticando però in Cirenaica politiche neoliberiste niente affatto difformi da quelle che vanno per la maggiore. Secondo voi, da che parte si deve stare?

Venditore. Da quella degl'insorti; però tutti i dubbi, debbo dirvelo, non mi sono stati fugati; ne ho molti altri, e m'aggraderebbe di esporveli; però s'è fatto tardi, e non posso costringere quel mio bravo figliuolo a vendere al posto mio la Gazzetta del Progresso fino a stasera. Eppoi, signor mio, avete pensato a quante bombe son cadute dagli aerostati e a quanti martiri saranno stati fabbricati da una parte e dall'altra in questa mezz'ora in cui abbiam discusso?

Passeggiere. Ci ho pensato, e non posso darvi torto. E ho pensato anche che c'è chi sostiene Caddaffi, e che andrebbe ascoltato anche lui. Non lo pensate, signore?

Venditore. Lo penso; potrò rincontrarvi per parlarne?

Passeggiere. Non appena tornerò dal mio viaggio. Costa quanto, la Gazzetta del Progresso?

Venditore.
Costa un soldo. Gandolfo, vieni qui dal babbo!

Passeggiere. Eccovi il soldo per la gazzetta, e un altro per quel vostro figlio che vi sarà di consolazione e sostegno nella vecchiaja.

Venditore. Ed eccovi la vostra copia. Vi auguro buon viaggio, signore! Gazzetta del Progresso! Gazzetta del Progresso!

venerdì 25 marzo 2011

Stecco Blocco (2)


Dopo Chiessi e la Punta Nera, e fino a Marciana, comincia un tratto dell'Anello più distensivo, quello delle cose ridanciane. Fino a Chiessi c'è una tensione che ho provato parecchie volte a definire, senza riuscirvi; ha a che fare, probabilmente, con tutta quella famosa serie di mestessi che si rincorrono, si incrociano, si dànno la voce e, non di rado, si mandano affanculo. Da Marina di Campo alla Punta Nera è il loro regno incontrastato; e ogni volta che ci passo se ne sovrappone un altro, che esce e vi si installa. Anche martedì scorso, sicuramente, è successo così; ora se ne sta con le gambe a penzoloni, col suo pile verde liso, a disquisire con la spada della luna e a fumare Diana Argentee una dietro l'altra.

Danda est omnibus aliqua remissio; alla Punta Nera c'è da stare particolarmente attenti, con quella curva mezza parabolica, pericolosissima e ingannevole. Par terminare, e invece si ripiega ancora oltre uno sperone di roccia; dopo, si comincia a scherzare. La povera Emma Shapplin, ad esempio; nell'italiano petrarchesco dei suoi testi, ogni tanto fa sghignazzare. In Cuor senza sangue, per esempio, ad un certo punto canta: in odio tan me stresso. Sarebbe, in realtà, in odio ho tan me stesso, ma quella "r" inserita squisitamente a cazzo di cane fa immaginare scenari di sfibrante rancore, di spossante astio, di haine che devasta il sistema nervoso; e giù risate. Fino a Marciana è così, e a Marciana devo sempre decidere che cosa fare. Tagliare per il Monte Perone? Stavolta non se ne parla, con quel tamburlano che sto guidando sarebbe un mezzo suicidio fare in discesa i tornanti che planano su Sant'Ilario. E allora, giù per Marciana Marina. Marciana Marina è uno dei paesi che meno ho frequentato, di tutta l'Isola; e non ne so il perché. Proprio non lo so. Ci arrivo che son già poco oltre le cinque, a quel paese dove esiste l'unica via dedicata a un traduttore di professione che mi sia nota, via Ervino Pocar; e uno che si chiamava "Ervino" altro non poteva che tradurre dal tedesco!


A Marciana Marina ci vo sempre poco; ma quando ci vo, bisogna che vada immediatamente al più bel porticciolo del mondo. Sí che lo so, sono parziale; ma sostengo che ognuno deve avercene almeno due o tre, di posti più belli del mondo. Che lo siano incontrovertibilmente, che non ci siano cazzi al riguardo, e possibilmente che siano del tutto ignorati dal mainstream, che non vadano a finire sui consigli di viaggio di Repubblica, e che non godano della pubblicità dello scrittore di vaglio. È il caso del Cotone. Il Cotone è il nucleo più antico di Marciana Marina, a destra della baia. A Genova fanno tanto puzzo con quel Boccadasse là, che persino Andrea Camilleri ci ha infilato la residenza della Livia (e questo, a dire il vero, non so se in fondo sia una gran bella réclame); il Cotone vale cinquanta Boccadassi. Su questa affermazione prego chiunque di non trapanarmi i cabasisi, ché ho un'età in cui essere contraddetto comincia a farmi rimescolare il pancreas.




Al Cotone, martedì pomeriggio tra le cinque e un quarto alle sei, mi è sembrato di staccare definitivamente la spina. Sono sceso giù alle barche, vestito a bischero, un metro e novanta di nonsoccosa, quarantott'anni che non so nemmeno io come mi ci sono ritrovato, lo zaino, e nessuno. Un piccolo cantiere con un'impalcatura, dove un paio di operai si sono messi prima a parlare in spagnolo correttissimo, e poi di colpo sono passati al marcianese marino; mi aggiravo. Mi sono seduto su una barca e mi sono puntato la Kodak in faccia come una rivoltella; la foto che da oggi si vede nel profilo è una di quelle. Prima, un gesto che in casa mia era quasi proibito, fanatici com'erano tutti dei capellini corti corti e in ordine; son diventato capellone a quarantacinqu'anni sonati, dal 31 ottobre 2008 quando ho smesso di tagliarmeli (e di farmi la barba). Sciogliermi i capelli e farmeli agitare dal vento, come i panni che si vedono in una delle fotografie sopra. Cogliermi, da solo, in quel momento; così ero alle 17.45 del 22 marzo 2011.


Come se volessi farmi portare via. Ed è cominciato, dopo quella foto, uno dei quarti d'ora più strani che mi sia capitato di passare. Mi sono alzato dalla barca e sono andato alla panchina panoramica nella piazzetta immediatamente sopra al porticciolo; una signora anziana guardava dalla finestra, l'ho salutata cortesemente e mi sono messo a sedere, a gambe divaricate, svaccato, la sigaretta e il vento. Di fronte a me, una finestra.


Di fronte a me, un lampione.


Di fronte a me, una fontana.


Fotografavo dicendomi: ecco, ora potrei anche morire. Tranquillamente. Rannicchiarmi sulla panchina, con ancora la Kodak in mano dove qualcuno avrebbe trovato la mia faccia di cinque minuti prima assieme a una serie interminabile di vecchie autovetture. Avrebbero frugato nello zaino e trovato il portafoglio, i libri, la Settimana Enigmistica coi giochi risolti in modo maniacale, e l'astuccio con il canarino Titti. Si sarebbero chiesti che cosa ci facevano, nell'astuccio, tre pinoli, cinquanta centesimi e due cerotti assieme alle penne e alle matite; un'altra delle mie fissazioni che non racconterò. Pensarci, forse per la prima volta, senza alcun problema, e senza nessuna voglia di cacciar via a calci quel pensiero. Pensarci serenamente, senza nessuna angoscia. Intanto ero vivo, e con le mani mi toccavo le braccia e poi le ginocchia; si manifestavano pruriti in zone recondite, tra cui il buco del culo che mi grattavo spudoratamente senza preoccuparmi di un tizio che passava a piedi, spingendo una bicicletta. E così, mentre moricchiavo alla bell'e meglio in un tardo e radioso pomeriggio di primavera, mi è presa una fame da lupi. Ero morto già a sufficienza, e poi è squillato il telefonino con una signora che mi chiedeva di trasportare suo padre a Villa Fiorita per fare la visita per l'accompagnamento. E sono ridisceso verso la piazza; la prima cosa su cui mi son caduti gli occhi è stato il pannello dei gelati Sammontana, davanti a un bar. Quello all'inizio del primo post. Ve lo fo rivedere.


Mica succede tutti i giorni di passare dalla morte su una panchina direttamente all'infanzia e allo Stecco Blocco; mica succede tutti i giorni di mettersi a piangere davanti a un pannello con le immagini dei gelati e un cono con gli occhi che si lecca i baffi. Le figure di quando ero bambino. Il libriccino del gatto Miao da colorare. I racconti di Codaditopo e il viaggio del Pulcino Pip. Tutte cose tritate dal tempo, che rimangono però nitide nel ricordo. Le figure buffe sulle confezioni, gettate via in tutte le spazzature della propria vita. Le fotografie perdute. Per questo, ora, fotografo ogni cosa. La vita che torna in uno Stecco Blocco, col suo cono che schiocca la lingua. Il gatto Miao che ricompare e che mi dice: esisto ancora, sai. Che aspetti a entrare? E sono entrato, infatti, uscendone con tre gelati. Mi sono sbrodolato come un merdaio semovente, ed ero felice. Mi guardavano. Perché va sempre così: alla fine, una figurina e un gelato ricollegano. Riannodano tutti i fili. E una volta mangiati i tre gelati, roba che a voialtri mortali farebbe venire la cacaiola seduta stante, non me la sono sentita di buttare via le confezioni. Le ho piegate e me le sono tenute. Le ho messe nell'astuccio assieme ai tre pinoli, ai due cerotti e ai cinquanta centesimi; così, la prossima volta che mi potrebbe pigliare il pensiero di morire su una panchina davanti al mare, farei prima in tempo a sganasciarmi dalle risate immaginando la faccia di chi redigerebbe il verbale: ritrovato nello zaino un astuccio contenente matite, penne, un righello con la Carica dei 101, un appuntalapis, una gomma, un rotolino di nastro adesivo, due cerotti Hansaplast, tre pinoli, cinquanta centesimi in monete da dieci ed alcune vecchie carte di gelati: un pericoloso steck bloc!

giovedì 24 marzo 2011

Stecco Blocco (1)


Dove s'era rimasti? Ah sì, mi ricordo: la Guerra di Libia. Credetemi, avevo cominciato a scrivere le risposte alle dieci domande di qualche giorno fa con le migliori intenzioni; e non la ritengo una cosa inutile. Tutt'altro. Su tutto ciò che ci circonda è sempre bene avere delle posizioni, delle opinioni; e da un po' di tempo non mi va proprio più di lanciarmi in insulti verso chi la pensa in modo diverso dal mio. Mi esprimo e basta. Ma ci penserò domani, o doman l'altro; tanto, disgraziatamente, le bombe sembra che continuino a cadere, ed è quella l'unica certezza.

Ho la testa vuota. Sarà per la primavera, sarà per una certa qual implosione, sarà per tanti altri motivi che non occorre mettere in piazza. A un certo punto, qualche giorno fa, ho come staccato la spina; non mi va di vedere nessuno o quasi, appena c'è un filo di sole mi metto quasi a fotosintetizzare, do i croccantini al gatto e la voglia di lavorare, già poca di per sé, è ai minimi termini (e senza reload). Si aggiungano due cose: la prima è che, quest'anno, la primavera è cominciata facendo la primavera sul serio. La seconda è che, come all'inizio di ogni primavera, mia madre e mia zia sono trasmigrate all'Elba; e allora, sfruttando biecamente il padrone, ho prelevato un minibus, ci ho sistemato quel che mi resta della famiglia assieme a valigie, borse, sacchetti in Mater Bi e vasi di piante, e rotta verso l'Isola. Un giorno e mezzo. Nessuna feria, vestito in divisa, lo zaino-svizzero-sempre-quello (e oramai ridotto a un concio), la Settimana Enigmistica, il Solea di Izzo, dei racconti di Wu Ming e la Kodak. Insomma, nessun grande viaggio. Sempre la solita strada. Ormai proprio non me ne frega più un accidente di niente di vedere il mondo, ne ho già visto quanto me ne è bastato; e qui comincia questa storiella che più ordinaria non si può. Di personaggi ce n'è uno solo: io stesso. In perfetta e totale solitudine, una volta depositate mamma e zia, i loro bagagli sotto un sole che cominciava già a picchiare, e dopo essermi impantanato col furgone nel parcheggio di una parente (mi ha tirato fuori un cugino, pensate un po', agganciandomi con un'ambulanza; fa il mio stesso lavoro).

È una storia che ha a che fare con il sole, il mare, una strada e un bambino. I sole, il mare e la strada ce li ha messi l'Elba, il bambino ce l'ho messo io ed ancora una volta era me stesso. Appena finito di mangiare, ho preso il furgone, e via per l'Anello Occidentale, quella strada che a volte chiamo La Signora degli Anelli. Quante volte l'avrò fatta, in vita mia, da Marina di Campo a Marciana Alta? Nell'ordine delle migliaia, credo; e ogni volta che rimetto piede all'Elba bisogna che me la rifaccia, con ogni tempo, d'inverno e d'estate, in tutte le stagioni. Non dico che potrei farla a occhi chiusi, perché è bene anzi tenerli dimolto aperti se non si vuole provare l'ebbrezza di salutare il mondo volando giù in mare da un dirupo di cento metri e passa; e, poi, gli occhi chiusi impedirebbero di vedere in là. La Pianosa. Montecristo. La Corsica. La foschia che ricopre tutto; il mare calmo come un olio o in burrasca; i calanchi brulli spazzati dal vento o calcinati dal sole (nomi tipici della zona: via del Forno, Bollecaldaie, Seccheto). Se voglio mettermi paura da solo, penso alla volta in cui, senza rendermene conto, percorrerò quella strada per l'ultima volta; e siccome ogni volta potrebbe essere l'ultima, guardo e guardo. Perso in qualche ridda di pensieri. Andando a trenta all'ora, ché tanto non c'è nessuno di questa stagione e a quest'ora; e dico che la primavera impazza*.


Ogni volta come se fosse l'ultima, ma anche come se fosse la prima. Sempre a domandarsi che cosa ci sarà passati gli Alzi, dietro la curva del Colle di Palombaia; ed è inutile dirsi che ci son sempre le solite cose, che il mare fra due secondi ti scoppierà negli occhi, che lo sai bene che cosa ci sia. È il mio rinnovo. È la mia dichiarazione d'amore a questo mondo di merda. È la mia personale forma di non fare della solitudine qualcosa di agro e di cattivo. Ed è tornare bambino nell'unico modo che riconosco, quello di non lasciarsi prendere dall'amarezza del tempo passato, da troppi ricordi e dalle persone che non ci sono più. Ci torno proprio come se lo fossi, con tutta una serie di desideri, coi miei tic spaventosi (li ho da quando avevo sei anni), e con l'entusiasmo di scoprire cose nuove dentro a quelle vecchie. Il minibus ha l'autoradio, ma guai ad accenderla: io canto. Da solo, e quel che mi va di cantare perché ancora non ha smesso di cantarmi dentro. Questa sotto, ad esempio, è la romanza che mi era venuta in testa verso Cavoli: un'altra mia fissazione. Ichanara. Se volete potete anche metterla come sottofondo; oppure, se non vi piace, considerate un energumeno vestito da 118 che, a bordo di un camion o quasi, percorre il suo limitato mondo, senza nessun jet lag, e come se ne fosse un'ordinata molecola ancorché vagante si mette a cantare celeste sole, spirto di cosa mentale e dolenti parole per il van destin. Magari, non essendo il sottoscritto propriamente somigliante alla bellissima Emma Shapplin, vi scapperà qualche risata e il riso fa buon sangue (cosa perfettamente in tema con la romanza, by the way).



Cavoli; a Cavoli non ci scendo quasi mai. Eppure, ora, non c'è nessuno. Fetovaia e tutto quel che è, quella dove ci mandai a imbarcarsi Piero Ciampi dopo una strana storia; Pomonte e il suo bar dove mowimy po polsku (c'è scritto su un cartello all'entrata, e immagino le torme di polacchi che vi si recano!); Pomonte con le sue ponentate. Chi non ha mai visto una sventagliata di ponente a Pomonte, non se ne rende nemmeno conto; pigliarsi sul muso gli spruzzi d'acqua salata già sulla provinciale, che corre almeno centocinquanta metri sopra la spiaggia sassosa e la scogliera. L'unico posto dove mi sia capitato di cominciarvi un viaggio assieme al cadavere di un annegato, di doverlo arrèggere e persino di parlargli ("ma che cazzo te l'ha fatto fare di buttarti in mare alle otto la sera col ponente?"; ma tanto non mi capiva, era un cadavere francese).





Poi, Chiessi.

Chiessi, per me, è l'approdo. È il luogo dove vorrei finire i miei giorni. È quel che vorrei avere negli occhi prima di dover percorrere, senza ritorno, un'altra strada appartenente alla provincia di Nowhere (la cui sigla dev'essere NW, perché NO è già Novara). È dove ho portato tutti coloro che, anche solo per un po', sono stati importanti nella mia vita. È dove sono andato a mettermi a sedere per cercare di risolvere i rebus. A Chiessi, stavolta, c'er un cane che se ne andava per i fatti suoi per la provinciale, scondinzolando sulla striscia di mezzeria; c'era, aperto, il bar della birra Domina; c'era una stupenda Mercedes decappottabile, ma questa è materia d'altro blog; c'era la fontana delle due vecchie guardiane; c'era l'inverno spazzato via; e c'era, come ogni volta, la voglia di non ripartire. Di fermarsi. Di pigliare il telefono e di dire a poche persone, che si contano sulle dita delle mani: Oh, se mi volete son qui. Poi, invece, riparto ogni volta. Il momento, ancora, non è arrivato; ma arriverà. E, quando arriverà, so già con che cosa mi metterò in mare:


Finisce qui la prima parte. Più tardi, sempre che qualcuno ne abbia la curiosità, dirò che cosa c'entrano lo Stecco Blocco e l'immagine dei gelati Sammontana che sta sotto il titolo. Arrivederci, come la nave!

(Dimenticavo però l'asterisco: *Una scritta vista anni fa su un muro di Livorno.)

domenica 20 marzo 2011

Dieci domande, dieci


Le seguenti dieci domande sono state formulate da un gruppo di pacifisti e nonviolenti genovesi, e mi sono state fatte pervenire via e-mail. Pur non trovandomi spesso d'accordo né con il pacifismo "a priori" né con la nonviolenza, direi che sono domande assai opportune e che meritano una riflessione, e magari anche qualche risposta da parte di ognuno (io lo farò in un prossimo post apposito). In grassetto le parti che mi sembrano dover essere sottolineate; una volta tanto chiederei che tali dieci domande venissero un po' diffuse.

1) Perché solo ora la comunità internazionale si accorge che Gheddafi è a capo di un regime autoritario e liberticida? Chi sono gli insorti libici, e chi rappresentano?

2) Perché il governo italiano ha firmato un Trattato economico e militare con lo stato libico, e non lo ha disdetto con il necessario voto parlamentare? Perché l'Italia ha venduto le armi alla Libia?

3) Quali sono stati gli effetti dei più recenti interventi militari "umanitari"? (Kosovo, Iraq, Afghanistan….)

4) Perché il Consiglio di Sicurezza dell'ONU ha votato un documento generico che consente a chiunque di andare a bombardare la Libia con l'astensione di cinque paesi, fra cui la Germania e la Russia, anziché inviare forze di interposizione a difesa della popolazione civile, ed osservatori incaricati di verificare la tregua comunicata il 18 marzo?

5) Perché l’ONU schiera a difesa degli insorti paesi ex coloniali con grossi interessi economici in Libia; e perché coinvolge la NATO e non paesi veramente “terzi” ed estranei al conflitto?

6) Perché gli insorti libici provocano l’indignazione internazionale e l’intervento della NATO, mentre altri massacri (Palestina, Bahrein, Sudan) sono di serie B?

7) Perché l’Arabia Saudita si è schierata a fianco degli insorti libici ma reprime ogni tentativo di democratizzazione nel proprio paese; ed ha inviato soldati sauditi a reprimere le proteste in Bahrein (45 morti negli scorsi giorni)?

8) Perché l’Italia respinge i barconi con i profughi, se ha a cuore le sorti delle vittime della guerra?

9) Perché i sinceri difensori della nostra Costituzione non scendono in piazza a difendere l'art. 11 "L'Italia ripudia la guerra"?

10) Perché è stato proposto Barack Obama per il premio Nobel per la pace?


Campionario di vomitevoli facce di merda





Libia: la vergogna senza fine di noi Occidente in guerra

libia_guerra.jpgdi Giuseppe Genna

da Carmilla On Line

Con un tempismo che non lascia àdito a dubbi, ecco in cosa si è tradotto lo "scatto d'orgoglio" che, secondo il nostro Presidente della Cosiddetta Repubblica, avrebbe manifestato l'Italia, nella giornata di marketing per i 150 anni dall'erezione di questo Stato Pietoso: si è tradotto nella cifra genica di questo stesso Paese, cioè la crudeltà, il trasformismo, la furbizia idiota e malvagia, l'entusiastica salita sul carro dei vincitori delle prossime ore. E' come fosse "firmato Diaz" e invece è "firmato Giorgio Napolitano" questo intervento che lascia attoniti, a poche ore dalla rilettura del celebre quanto inutilissimo articolo costituzionale n°11: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.
Noi, gli assassini che hanno massacrato libici decenni prima di baciare loro anelli e osculi anali, agiamo da Iago perché siamo consapevoli che è il petrolio che conta, e che si prepara il nuovo ordine del Mediterraneo. A cui la Penisola, che ne sarebbe una portaerei in mezzo al, fa proprio questo: porta gli aerei.

Con inusitata fantasia, tutta di marca Ansa, i maggiori quotidiani italiani on line hanno titolato che è "Pioggia di bombe sulla Libia". Speravo di non leggere mai più, dopo i timori e tremori della mia pubertà condizionata dalla incertezza militare e geopolitica, il nome Cruise, se non negli annali di Scientology. Eppure eccoli di nuovo qui,i missili statunitensi, un centinaio, sempre di marca nordamericana, sempre la stessa solfa paratexana dell'esportazione della democrazia, quando l'evidenza denuncia la consistenza morale degli attori in gioco.
Anzitutto il Premio Nobel Per La Pace Barack Obama, questo eletto dagli svedesi, questa versione angosciante del Sir Bis di Mowgli, questo assassino che avrebbe pure origini africane, questo paladino della speranza che fa un discorso da illuminato al Cairo davanti a Mubarak pochi mesi prima di scaricarlo in quella che solamente gli ingenui entusiasti potevano salutare come "primavera". Telecomandati da americani e francesi, i vertici militari di Egitto e Tunisi si sono mossi secondo direttiva. E lo spontaneismo, al solito, è stato virato contro la sincera volontà di masse enormi di popolo. Era stato predetto, qui, su Carmilla, grazie all'occhio di lince del compianto Sbancor, che entro la decade si sarebbe passati a una risistemazione geopolitica del Nord Africa e del medio Oriente. Dai sultanati più a est, dove si stanno muovendo rivolte ambiguissime, potrebbe nascere lo Stato-AlQaeda, come annunciava esuberante di colori la cartina Usa citata dallo stesso Sbancor. Mai però si sarebbe immaginato che, ad avallare una simile perversione politica, sarebbe stato questo Presidente che in due anni e mezzo ha già pareggiato il conto con Bush in fatto di sceriffato internazionale. La Cina dovrà andarsi a cercare il petrolio altrove, per il momento: era ora di agire e l'Occidente morente l'ha fatto. E lo ha fatto con una miopia inverosimile, oltre che vergognosa per il sangue che sta spargendo in questi drammatici minuti. E' miope inseguire il petrolio nel momento in cui si sta per lanciare, come sostituto dello Shuttle, una nuova navetta che va a idrogeno.
La Francia è il secondo attore di questo affaire lurido e stagnante come i depositi di oro nero e cariato che stanno sotto le distese di sabbia libiche. E' incredibile che, anche grazie all'intervento del filosofo del nulla Bernard-Henri Lévy, si dia appoggio a una unica fazione di una guerra civile di un Paese straniero, lanciando i valori e i missili della Marsigliese. La verità vera e ovvissima è che la Francia, così come la Gran Bretagna e la Germania, ha semplicemente interrato la presenza in quelle che non sono affatto le sue ex colonie africane: sono ancora propriamente le sue colonie. E che bella occasione sfruttare gli Stati Uniti per ampliare l'estensione del proprio dominio! Andare a prendere la Libia, considerata, non si sa perché, "territorio di conquista italiano", quando da lustri è il contrario di ciò che accadde sotto Mussolini. Quanto contano le quote libiche in Fiat? E in Unicredit? E nella campagna elettorale dell'Ulteriore Nano a capo di una nazione europea? Questa "vittoria diplomatica" è, a nostro modesto parere, una delle macchie più ingiustificabili dai tempi dell'Algeria, per l'Eliseo.
Il terzo attore che brilla per indecenza, come già accennato, siamo noi: gli italiani, questa specie all'avanguardia di Fine Impero, gli spaghettari che condiscono col plasma altrui la loro pasta e le loro pastette. Non vorrei altro scrivere, poiché dispongo di un formidabile dialogo a distanza tra i paladini di quello che, nel 1994, fu battezzato come "il nuovo", grazie a Tangentopoli, cioè la finta rivoluzione con cui l'Italia iniziò a praticare il piano di rinascita di Gelli: e cioè Bossi e Di Pietro. Saranno sufficienti le dichiarazioni di questi due emeriti paladini della sincerità a risultare più efficaci di qualunque commento:
Ha dichiarato Umerto Bossi:

«Il mondo è pieno di famosi democratici, che sono abilissimi a fare i loro interessi, mentre noi siamo abilissimi a prenderla in quel posto: il maggior coraggio a volte è la cautela. Io penso che ci porteranno via il petrolio e il gas e con i bombardamenti che stanno facendo verranno qua milioni di immigrati, scappano tutti e vengono qua. La sinistra sará contenta di quel che succede in Nordafrica perchè per loro conta solo portar qui un sacco di immigrati e dargli il voto. È questo l'unico modo che hanno per vincere le elezioni».
Ha dichiarato Antonio Di Pietro:
«Bossi non ha fatto una dichiarazione ipocrita ("se bombardiamo la Libia ci porteranno via petrolio e gas e arriveranno immigrati a milioni"), ma nel merito fa un errore. Sul piano economico l'errore che fa Bossi è pensare che stando con Gheddafi un domani ci saranno ancora petrolio e gas. Ormai è partita la coalizione, bisogna giá pensare al dopo Gheddafi. Il "domani" e l'approvvigionamento delle materie prime dalla Libia sarà a disposizione di coloro che hanno aiutato la transizione, non di coloro che si sono messi contro. Fare parte della coalizione non crea problemi, semmai il contrario. Ma non deve essere questa - conclude - la ragione per la quale non andiamo in Libia, sarebbe ragione volgare».

Non si tratta qui assolutamente di difendere un furbone vestito come se stesse recitando il Nabucco al teatro di Forlimpopoli. Che Gheddafi sia un criminale è patente dallo scorso secolo. Craxi e Andreotti gli salvarono la vita telefonandogli nel deserto un quarto d'ora prima che gli aerei di Reagan bombardassero la sua tenda da harem. Ciò fu interpretato patriottisticamente, quando era una servile delazione di un atto di killeraggio spietato.
Tuttavia è incredibile che si adducano le ragioni che si sono addotte all'ONU per intervenire in Libia, con la risoluzione-lampo. L'impegno umanitario per garantire la salvezza dei civili andrebbe speso anzitutto in Darfur, e non con le armi.
La risoluzione dell'ONU è per ragione filologica ciò che attende questo vergognoso Occidente che muove guerra costantemente: il ri-scioglimento è la fine delle esistenze comode, dello stile di vita garantitoci a spese della vita altrui. La fine del crimine made in Usa & allies. Non ci si illuda che il crimine sia emendato dalla storia umana. Soltanto, non avrà più questo retrogusto da Stranamore.
Osserviamo con denunciante avvilimento uno dei penultimi sussulti di una civiltà al tramonto, che si crede Sansone e però prima fa morire tutti i filistei e poi continua a non crepare.
Ormai siamo tuttavie alle ultime. Che sia la rivoluzione dell'idrogeno, l'avvento di India e Brasile sul piano militare globale o una catastrofe ambientale poco importa. Ciò che accadrà farà sì che una situazione tragica qual è quella libica oggi si ripeta con altre modalità e altri attori.

sabato 19 marzo 2011

Esportazione


Ah, ecco. Diciannove marzo 2011, festa del papà. Volevo ben dire; praticamente siamo di nuovo in guerra, naturalmente per la democrazia. Si vede che avevo ragione a guardare con ragionevole sospetto, e fin dall'inizio, tutte 'ste gran rivolte arabe; magari con qualche distinguo. Più genuina quella tunisina, in un piccolo paese senza petrolio; quella egiziana con decise connotazioni di rivoluzione colorata e attualmente approdata a una dittatura militare in piena regola (paese strategico sì, il Masr, ma anch'esso senza petrolio in un periodo in cui il petrolio sta finendo). In Libia, invece, il petrolio c'è e fa gola. Tanta gola. Inutile fare tanti avvitamenti. Una Libia senza Gheddafi fa un comodo estremo; e si torna ai bombardamenti anglo-francesi, dopo il '56 del Canale di Suez. Stavolta gli USA non sembrano voler compromettersi troppo, sennò a Obama non dànno più il Nobel per la Pace (quello dato anche a Sadat e a Begin). E così rieccoci all'Esportazione, a cura di un altro figlio del '56, tale Sarkozy, profugo ungherese. Rieccoci agli "scudi umani", ai "bombardamenti mirati", alle "basi a disposizione", a tutto quanto. Con la differenza che stavolta, almeno per l'Italia, non siamo in un paese lontano; siamo alle porte di casa. Siamo alle porte di una casa nella quale Gheddafi, solo poco tempo fa, è entrato in pompa magna. E rieccoci coi soliti esperti, e coi soliti generali che disegnano alla radio e alla televisione i possibili scenari. Rieccoci con le "missioni di pace", visto che dell'Afghanistan non ne abbiamo ancora avuto abbastanza. Rieccoci con le democrazie in punta di cacciabombardiere, rieccoci con gli attacchi di terra, con la propaganda, con le manipolazioni, con tutto quanto. Rieccoci coi dittatori coi quali si fanno affaroni finché fa comodo, e contro i quali si scatena la guerra quando il comodo muta direzione. E non ho molto altro da dire, anche perché non sono un profondo analista, sono solo un disgraziato di essere umano cui girano i coglioni e che non può fare niente. E non farà niente, a parte scrivere un post insignificante su un blog ancor più insignificante. Uno schifo, e basta. Uno schifo immane. Vomito che sale, e che non sa neppure bene in quale direzione vomitarsi.

giovedì 17 marzo 2011

Lubriano (Viterbo), 16 marzo 1978.


Dobbiamo imitare i saggi della tribù,
gli anziani che impartiscono il segreto secolare;
e i saggi della folla non hanno alcun segreto
né da impartire né da occultare. Eppure:

ciascuno cerchi il suo modello
quelli che non ne hanno sono schiavi
come quelli che scelgono per un modello uno schiavo.

L'uomo libero insegna libertà,
il veritiero insegna verità,
il nobile insegna nobiltà.

La terra è piena di figli di nessuno;
eppure là, sulle vette dei secoli
si ergono come statue i grandi antenati
che a tanti morti diedero volto e voce.

Non troverete nel baratro un padre
ma in ciò che ancora non è stato travolto,
cospicua eredità rimasta senza eredi.

Juan Rodolfo Wilcock.

Juan Rodolfo Wilcock, mezzo argentino e mezzo inglese, poi sotterratosi a Roma con un repentino cambio di pelle e di lingua, e infine nella provincia dell'Italia centrale. Ha insegnato, a chi lo conosce, proprio questo: osservare il mondo da una posizione sotterranea, passarvi ai quattro lati con acutezza e ironia, e non scappare mai davanti ai significati più reconditi della parola -i quali fanno, sovente, più paura di un baratro buio e profondo. Volle concedersi un ultimo scherzo del destino; perlopiù ignorato in vita, morì la mattina del 16 marzo 1978 nella sua casa di Lubriano, in provincia di Viterbo, proprio mentre si compiva il rapimento di Aldo Moro e la strage della sua scorta. Non che se ne sarebbero accorti in molti anche senza questo episodio; ma, il giorno dopo, alla notizia furono riservate tre righe sul "Messaggero" di Roma, e poche di più in una pagina interna di un piccolo quotidiano locale viterbese. Era stato, fra le altre cose, un garbato ma terrificante cronista di costume nella Roma democristiana della dolce vita. Nel 1975 aveva richiesto la cittadinanza italiana, che gli fu concessa, in modo perfettamente wilcocchiano, un anno dopo che era morto. È sepolto al cimitero protestante di Roma, vicino alla Piramide Cestia.

Nello stesso anno 1978, poco dopo la sua morte, alla vecchia libreria Marzocco -dove passavo ore-, mi capitò per puro caso di sfogliare alcuni suoi volumetti (di poesie, di aforismi, di racconti) pubblicati dalla Adelphi; avevo quindici anni, e da allora non ho smesso di viaggiarci assieme, a Juan Rodolfo Wilcock. Di viaggiarci e di traslocarci; anche quando mi sono trasferito dove abito adesso, i tre libriccini di Wilcock che ho (gli altri non si trovano più e non bazzico eBay per scelta) vi sono arrivati subito, quando ancora c'erano soltanto il letto e un tavolino ("nella mia stanza non c'è nulla, tranne il fonografo e il letto"). Nella foto, Juan Rodolfo Wilcock sbadiglia coi suoi occhi chiarissimi, vivendo forse come parti imprescindibili di una vita l'ozio e persino la noia.

martedì 15 marzo 2011

Cacciatevelo nel culo


Percorro la città a due giorni dalla Festa dell'unità, in un pomeriggio da un lato livido e piovoso, e dall'altro tiepido. "Tricolori" ovunque. Finestre imbandierate come durante i mondiali di pallone; e mi sale tristezza, malessere, vomito. Ci sarà una buona quota di tricolorati per l'innato fascismo di questo paese; e ce ne sarà anche una buon'altra per la quale il "tricolore" è diventato una specie di simbolo di una "resistenza" buffa e idiota come ciò contro cui si vorrebbe "resistere"; tipo la Lega. E così si espone questo simbolo, senza nemmeno chiedersi un attimo che cosa ha significato davvero, in questi centocinquant'anni. Come allo stadio, perché lo stadio è la vera misura della coscienza italiana. E che cosa ci avrebbe dato, questa "Italia unita"? Vogliamo andare a vederlo un po'?

Appena nata, ci ha dato la distruzione del Meridione, scatenando una guerra sanguinosa e senza quartiere. Ci ha dato Pontelandolfo e Bronte. Ci ha dato la trasformazione del Sud in un deserto sociale e economico. Ci ha dato le fregole dell'irredentismo e del posto al sole, mentre la macchina dello stato già scatenava la repressione più feroce nei confronti delle lotte di classe; ci ha dato Passannante spezzato perché voleva marciare sulla testa di un re. Ci ha dato il maggio del 1898 a Milano e Bava Beccaris decorato: ci ha dato, negli stessi anni, la nascita di un capitalismo ottuso e assassino, e i voltagabbana che dal socialismo passavano con la massima disinvoltura dal pacifismo all'interventismo nel nome della patria. Ci ha dato un terremoto con centoventimila morti che non si riusciva nemmeno a sapere dove fosse battuto; eppure era all'interno della nazione. Ci ha dato una prima guerra in cui una generazione intera di contadini è stata mandata al macello, perché i padroni ne avevano estremo bisogno; e ancora una volta, ecco la patria e la bandiera. Quella cosa che quando vuole i tuoi soldi si chiama stato, e quando vuole la tua pelle si chiama patria.



E ci ha dato poi vent'anni di galera, tutti a base di tricolori, di sacri destini, di imperi, di treni in orario scordando che la gente non aveva nemmeno di che comprare il biglietto; ci ha dato ragazzini di sei anni vestiti da Balilla, sessismo e machismo eletti a fondamenti del regime, ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri. Ci ha venduto l'illusione di essere una "potenza" quando invece eravamo un paese di servi osannanti che inneggiavano a una farsa. Ci ha dato un ridicolo ometto col cranio pelato. Ci ha dato le aggressioni a popoli che non ci avevano fatto niente, e che sono stati sterminati con la tragica barzelletta della brava gente, delle strade e dei ponti. Ci ha dato i volontari che andavano a dare man forte a un generale traditore. Ci ha dato la razza italica e le sue leggi patibolari. Infine, un'altra guerra. E riecco i tricolori, tattarattà zum zum, e eroiche invasioni di paesi già invasi, e reni spezzate, e armate congelate a morte, e città distrutte, e centinaia di migliaia d'altri morti; e ci ha dato un eroico re che aveva tenuto bordone al regime per vent'anni per poi scappare a gambe levate nel momento in cui della famosa unità tanto strombazzata ci sarebbe stato un barlume di bisogno. Ci avrebbe dato la fine, se non fosse stato per delle persone che dissero no. Solo che queste persone non combattevano affatto per la patria, ma per una classe; avevano sì bandiere, ma molto diverse da quel tricolore che grondava la sua consueta mistura di sangue e merda. Qualcuno, poi, la bandiera non ce la aveva e non voleva avercela. E non voleva avere divisa, come in Spagna. Combattevano per l'umanità e per l'uguaglianza, non per una "nazione"; e furono sconfitti con la peggiore delle disfatte, quella d'essere trasformati in mito fondante d'una repubblica borghese clericale a base del solito tricolore, dei soliti questori, dei soliti preti, della solita maggioranza più o meno silenziosa.


E ci ha dato Scelba. Ci ha dato un concordato firmato da uno che tanto valeva non fosse neppure appeso per i piedi, visto che il suo apparato continuava a dettare legge anche nella cosiddetta democrazia. Ci ha dato amnistie ai fascisti, anche a cura del grande capo e faro del proletariato Palmiro Togliatti, e repressione senza quartiere nei confronti di chi credeva di avere lottato per cambiare ogni cosa. Ci ha dato un finto boom economico che in realtà ha finito di distruggere quel poco di buono che era rimasto; ci ha dato lo scempio del territorio, l'avvelenamento di fiumi e mari, il suicidio automobilistico, l'immigrazione interna verso la schiavitù delle fabbriche. Ci ha dato il rincoglionimento televisivo e un'informazione asservita ai potentati. Ci ha dato il panzone di Spadolini. Ci ha dato presidenti golpisti e ex repubblichini in panciolle a godersela. Ci ha dato il divieto di ricostituzione del partito fascista inserito in una "Costituzione" che ora si vorrebbe difendere quando invece andrebbe buttata nel cesso assieme a tutto il suo stato. Ci ha dato un'alluvione che costrinse un coraggioso giornalista a sporgersi dalla finestra con un microfono per far sentire cinque metri d'acqua sotto di lui, mentre la Repubblica era impegnatissima a celebrare la "vittoria" con tricoloroni, forze armate, ministri, tromboni e bavosi d'eguale risma.

Ci ha dato i suoi fulgidi statisti, mezze calzette, burattini al servizio di Santa Chiesa Romana Kattolika e Apostolika. Ci ha dato una finta democrazia, sempre che la democrazia borghese e "rappresentativa" sia vera (cioè no). Ci ha dato mafie e camorre di ogni tipo. Ci ha dato lo sterminio di una generazione intera che si era, in qualche modo, ribellata. Ci ha dato i suoi servitori, il commissario santificato, il generale sacrificato, l'eroina pubblica messa in circolo. Ci ha dato i suoi tricolorissimi servizi, il Gladio patriottico, bombe sui treni, nelle piazze e nelle stazioni; ci ha dato altri terremoti per costruire autostrade sulle macerie durate decenni e per farsi tanti, ma tanti bei soldoni. Ci ha dato l'istupidimento atavico, i circenses del pallone, i culi e le tette, e giù tricolori su tricolori lamentandosi però che non amavamo la bandiera. Ci ha dato una scuola ora da anni bella tricolorata, e abbattuta, e gelminata, e tutti in fila per tre ché i bravi studenti stanno a studiare e non fanno casino mentre tutti i fondi vanno alle scuoline cattoliche, svizzere, americane, leghiste, Steiner, esclusive. Ci ha dato, la nostra bella bandiera, lo sconcio del patrimonio artistico e paesaggistico, città caotiche e invivibili, e il considerare la parola cultura come una bestemmia.


Ci ha dato il precariato, l'abulia, la rassegnazione qualunquista, il mugugno inconcludente, l'abitudine a prevaricare, il razzismo sempre più terribile e diffuso. Ci ha dato un altro nanerottolo che è semplicemente l'espressione perfetta di un popolo che sa esistere solo nella nanezza. Ci ha dato le sane province delle stragi e degli stupri in famiglia, delle donne massacrate a centinaia ogni anno, dei branchi di periferia, dell'analfabetismo cellulare, delle veline, dei famosi, degli Amici, delle notizie strisciate ad usum del padrone. Ci ha dato "presidenti" ottuagenari che vorrebbero farci essere "fieri" di essere italiani. Ci ha dato la carogneria più assassina e gli spot elettorali su un altro terremoto. Ci vuole dare le centrali nucleari su un territorio tra i più sismici al mondo. Ci ha dato un blob abusivo di un milione di abitanti alle pendici di un vulcano attivo specializzato in nubi ardenti; e ci ha dato la caduta delle rovine di quella città che ne fu sepolta due millenni fa. Ci ha dato la voglia di scappare per sempre. Ci ha dato l'affidamento della "resistenza" a degli schifosi mandaingalera, i Borrelli, i D'Ambrosio, le Boccassini. Ci ha dato galere dove si muore e basta. E lustrini, paillettes, indignazioni per il terrorista scappato quando lo stato ci terrorizza ogni minuto, forte coi deboli e debole coi forti. Ci ha dato Genova. Ci ha dato Stefano Cucchi. Ci ha dato gli Ultras Italia, i loro saluti romani negli stadi, gli slogan fascisti, le croci celtiche sugli immancabili "tricolori". Ci ha dato degli intellettuali tronfi e autoreferenziali. Ci ha dato un nazionalismo sì da operetta, ma che al momento giusto è sempre pronto a manifestarsi nel modo più orrendo. Ci ha dato i barconi e la Katër i Radës.



Ci ha dato Lele Mora. Ci ha dato Giuliano Ferrara. Ci ha dato tutto questo, e migliaia e migliaia di altre cose del genere. E allora, quel "tricolore", cacciatevelo nel culo visto che tutte queste cose che ho detto le conoscete benissimo. O forse no? Ma non avete nessun motivo per essere "fieri". Perché non c'è proprio nulla da "festeggiare", il 17 marzo. Ci sarebbe soltanto da rifiutare che quello straccio, al pari di tutti gli altri stracci del genere, fosse esposto; e che la storia cambiasse. Senza stati, senza "unità", senza nazioni, senza niente. Nostra "patria" non è neppure il mondo intero, perché patria non deve esistere.