mercoledì 22 maggio 2019

Tre donne, una bambina, un somaro e uno sbarco



A volte si ritirano fuori vecchie foto, senza un perché e senza un percome. Si ritirano fuori e basta.

A rigore, questa è la fotografia di una fotografia. Non ho né uno scanner, né altri marchingegni del genere. Ho sempre la mia (oramai antidiluviana, credo) fotocamerina digitale, che mi basta e mi avanza; quindi, per riprodurre la foto che si vede qua, l'ho fotografata.

La foto, quella originale, è dell'estate del 1948; una volta, spesso, con la matita si usava scrivere la data o l'anno di una fotografia.

Vi si vedono tre donne, una bambina e un somaro mentre salgono su per un ripido sentiero da una spiaggia deserta. Si immagina facilmente il sole a picco.

Siamo all'Isola d'Elba, su una delle sue pietraie della parte occidentale. D'estate, il sole non è uno scherzetto in quei posti là. Ci sono delle località che hanno nomi evocativi da quelle parti: quando uno si ritrova a Seccheto, al Forno, a Sassomorto o a Bollecaldaie penso che non vengano in mente verdi prati, ombrose frasche o chiare, fresche e dolci acque.

Le tre donne, la bambina e il somaro stanno invece risalendo da un posto, quello con la spiaggia, che si chiama Fonza. Non so da che cosa venga questo nome; ma, come quasi tutti quelli di quella zona dell'Elba, ha il suo gemello, o comunque un nome assonanzato, in Corsica. La Corsica, la sorella più grande, è lì davanti. 

La donna all'estrema destra della foto è mia nonna Maria, nata a Portoferraio lo stesso giorno in cui, a cento metri di distanza, moriva l'anarchico Pietro Gori. I famosi capricci del destino, come si dice. E' morta la vigilia di Natale del 2000. Nella foto aveva trentasette anni; era vedova da due anni dopo che s'era sposata. Mio nonno, suo marito, si chiamava Francesco, come poi mio fratello. Lavorava alle acciaierie di Portoferraio, morì sul lavoro nel 1935 preso in pieno da un carrello di una tonnellata di peso, mentre era su una passerella.

La donna al centro è mia zia Clara, nata il 14 agosto 1927 a Marina di Campo, grande raccoglitrice di caffettiere, di ricette e di strofe popolari che trascriveva in dei quaderni. Nel 1972, quindi non più da ragazza, si comprò un motorino "Ciao" per andare a lavorare; da allora fu soprannominata "Ago", come Giacomo Agostini, il famoso motociclista. La chiamavano anche "la Fiorina" per la sua abilità nel coltivare fiori e piante; seminava, tra le altre cose, un basilico in delle vecchie tinozze di latta riempite di terra, che faceva delle foglie di una grandezza mai vista. E' morta il 13 luglio del 2014, con la testa che oramai batteva la campagna. Nella foto ha ventuno anni.

La ragazza è mia madre. Si chiama Luciana. E' nata il 16 ottobre del 1933 e è ancora viva, anche se non sta punto bene. Nella foto ha quindici anni, ha il cappello più grande e, anche se sta un po' piegata, si vede chiaramente che è altissima. Così si capisce "da chi ho preso", e anche quel che mi dicevano sempre da piccolo: "Verrà più alto di zio Fausto". Questo zio Fausto, che ho fatto appena in tempo a conoscere, era alto un metro e ottantadue e doveva essere il gigante di famiglia; l'ho passato di una decina di centimetri e rotti, in effetti.

La bambina non so chi sia, e mia madre non se lo ricorda.

Il somaro si chiamava Gustavo. Le tre donne e il somaro hanno il capo coperto, come si conviene. Il somaro era pienamente uno di famiglia, e giustamente gli hanno coperto il capo con una specie di cappello da gondoliere. Sicuramente anche un po' per scherzo, per fargli la fotografia. Qualcuno la deve aver fatta, quella fotografia, e chissà chi sarà stato. Non erano tempi di "selfie". Un po' per scherzo, ma un po' anche per non fargli scottare il capo, povera bestia. 

Nessuna lo monta, nonostante l'erta sotto il sole. Nemmeno la bambina, che peraltro è l'unica a capo scoperto (o almeno così sembra dalla foto). Questo non è uno scherzo: è un atto di rispetto per un animale che faticava. Come un somaro, appunto. 

Sembra una specie di occasione di festa, o di svago. Le tre donne e la bambina sono vestite abbastanza bene, con proprietà. Mia madre, un'adolescente, si tiene un po' la sottana del vestito che sembra svolazzare al vento. Doveva essere un vento secco e bollente; non lo scirocco. Lo scirocco non fa respirare, porta nuvole grasse e puzzolenti di formaggio e ti fa passare la voglia di fare qualunque cosa.

Tre donne, una bambina e un somaro, un giorno d'estate di settantuno anni fa.

A Fonza, in realtà, ci stavano di casa. Quattro anni prima, una mattina di giugno dove lo scirocco, e di quello peso, invece c'era, si erano viste un intero sbarco alleato in casa; tra tutti i posti per lo sbarco, le forze francesi comandate dal generale vandeano De Lattre De Tassigny avevano scelto il posto dove abitava la mia famiglia: l' Opération Brassard.



Il filmato per le United News mostra tutto lo sbarco a Fonza del 17 giugno 1944. Vi si vede la stessa spiaggia e la stessa erta percorsa quattro anni dopo da quelle tre donne, dalla bambina e dal somaro. A 13'27" del filmato si cominciano a vedere spesso la casa e il magazzino della mia famiglia, che furono ovviamente requisiti. Vi si vedono le forze francesi, composte prevalentemente da tirailleurs marocchini e senegalesi; così, se vi capiterà di fare un giro al cimitero vecchio di Marina di Campo, quello di San Mamiliano, capirete perché c'è un monumento ai caduti con una scritta in arabo che dev'essere un versetto del Corano. Mia nonna, quella all'estrema destra della foto con le due ragazze, la bambina e il somaro, tirò una secchiata piena d'acqua in testa a un soldato senegalese che, diciamo, le aveva messo un po' gli occhi addosso. Se la vide brutta. Comunque, anche a Marina di Campo e dintorni nacquero due o tre bambini con la pelle scura, come nella canzone napoletana Tammurriata Nera.

A 14'09" del filmato si vede il magazzino di casa mentre vi viene issata la bandiera francese. Mia madre, che per tutta l'occupazione, alta e bionda com'era, era stata letteralmente sfamata da un soldato tedesco che la aveva presa a benvolere, si ricorda che mio zio Ulisse (all'epoca ventottenne) aveva aiutato i soldati a tirare su la bandiera; ma nel filmato non si vede.

Sono solito dire che non tutti possono dire di avere avuto un intero sbarco alleato in famiglia; anzi, proprio in casa. La casa, il magazzino e il terreno di Fonza sono stati venduti nel 1961 a degli industriali di Biella, che ci si fecero la villa al mare. Io ci sono stato pochissime volte, anche da ragazzo; c'era una stradaccia orrenda che spaccava qualsiasi macchina si azzardasse a percorrerla. La vedo sempre da Galenzana, quando ci vado; sta proprio là davanti, dall'altra parte del golfo. Con la vendita di Fonza fu costruita la casa al Formicaio.

Quattro anni dopo lo sbarco, in un dopoguerra, tre donne, una bambina e un somaro con il cappello da gondoliere salivano per quelle ripe, su verso il Monte Tambone, in una giornata d'estate piena. Mi mancavano ancora parecchi anni a nascere; sono del 1963. Nella fotografia, a parte mia madre e (forse e lo spero) la bambina, sono tutti morti.

A volte si ritirano fuori le vecchie foto. Non c'è un motivo, non c'è nessun anniversario, non c'è un'occasione speciale, non c'è nemmeno l'impeto dei ricordi. Non ci potrebbe del resto essere, dato che non c'ero. Solo una fotografia, né più e né meno.