giovedì 14 gennaio 2021

Tornando a casa (Il lungo sonno, 2a puntata)



Riassunto della puntata precedente. Il Blogger, dopo una lunga dormita durata quasi un anno e mezzo, si risveglia su un treno in corsa accorgendosi di alcune strane cose che accadono attorno a lui. Da alcuni indizi capisce che dev'essere scoppiata la guerra. Scende a una stazione secondaria della sua città natale con l'intenzione di prendersi un caffè seduto a un tavolino. NB. In questa seconda puntata entra in scena un personaggio fondamentale: Rosalinda, la Vocetta Interiore del Blogger che interloquisce con lui dandogli sovente suggerimenti improntati al buon senso.

Però, che strana guerra dev'essere scoppiata durante la mia dormita; sono d'accordo che ho il sonno assai pesante; però, diàmine, un colpo d'artiglieria mi avrebbe ben dovuto svegliare. Una granata, una sventagliata di mitraglia, le grida di un assalto alla baionetta, un bombardamento...ma icché, niente di niente. Forse dev'essere davvero un conflitto esclusivamente batteriologico, condotto con invisibili armi biologiche; scendo dal treno, tutti -uomini, donne, bambini- portano le mascherine come sugli autobus cinesi e nei mercatini di Singapore, e si evitano accuratamente. Berrettone di lana in testa, zaino in spalla (peso spiombato, come sempre) e un bisunto carrellino da spesa a fare da improbabile trolley, mi avvio comunque all'agognato bar e al bramato caffeino, ché i malanni cardiaci che ho avuto non mi hanno lasciato affatto -come sembra a volte succeda- il disgusto per i semi tostati dell'alberello delle Rubiacee. Il bar lo vedo aperto, appena fuori dalla scalinata che mena alla piazzetta appena fuori dalla stazione di Rifredi, che non ha manco un nome, o perlomeno non me lo ricordo. 

E' aperto sì, il bar; ma proseguono le cose bizzarre. Vedo persone entrare una alla volta e uscire tutte con un bicchierino di carta in mano, allontanandosi e quasi nascondendosi prima di abbassarsi la mascherina per bere. Qualcuno ha in mano una palettina e la bustina dello zucchero, e posa tutto sul primo appoggio che gli capita (uno scalino, un bidone della spazzatura); di tavolini, neanche l'ombra. Entro. Il bancone del bar e la cassa sono protetti da una lastra di plexiglass; timidamente chiedo un caffè, e ancor prima di aver terminato la richiesta il barista mi investe con un profluvio di raccomandazioni: miraccomandolobevafuoriaccinquantametriminimosennòmichiudonoibbàrre. Come un bischero, prendo il mio bicchierino bollente che fra poco mi spello le mani, la bustina non importa ché tanto ci ho dietro la mia polverina di stevia da diabetico, però piglio la palettina ed esco a passo quasi podistico dirigendomi verso un angolo bujo. Non propriamente, insomma, quel che avevo sperato dopo il risveglio dalla mia lunga dormita; ma, mi dico, c'è la guerra. E, durante una guerra, ringraziamo che il caffè c'è ancora; ricordo i' mi' pòero babbo quando mi raccontava dei succedanei che si bevevano a' su' tempi, ancora prima della guerra mondiale, il meglio dei quali sapeva di cartone ondulato, però con un gradevole retrogusto di catrame.

Quello che sto bevendo, indubbiamente, è caffè. Non sarà magari quello, famosissimo, cacato dagli animaletti indonesiani e che costa uno sproposito; ma è caffè. Sorbendolo in quella strana maniera, faccio in tempo a gettare una distratta occhiata alla porta a vetri del bar; mi accorgo che è completamente ricoperta di avvisi, disegnini, divieti, indicazioni scritte anche in un inglese agghiacciante; saranno -mi dico- le comunicazioni diramente alla popolazione dai comandi militari. Riesco anche a scorgere una parola ripetuta più volte, anche se da lontano leggo malissimo dato che non sono propriamente una lince, e che la mia bestemmia preferita è "Dio 'ttrìa"; parola che rafforza la mia convinzione di essermi risvegliato nell'infuriare di una stramaledetta guerra batteriologica. La parola è "Covi"; Covi di qui, Covi di là, Covi sotto e Covi sopra. I' Covi, nella mia città natale, è una notissima ditta di autospurghi e vuotatura di bottini, letamaj, merdaj, sterquilinij e quant'altro. Un'azienda che, evidentemente, in queste tragiche e particolari circostanze deve avere assunto un'importanza strategica di primo piano.

. Ehi....scusa, ma te la posso dire una cosa...?

- Che c'è, Rosalinda...?

- Ma niente...volevo solo dirti che, forse, faresti meglio a controllare sullo smartòfono quel che succede...magari riesci a capire meglio...

- Rosalinduccia mia tesoro...ma io a volte mi domando se ci sei o se ci fai....sei la mia Vocetta Interiore da una caterva d'anni ormai e lo sai che io lo smartòfono non ce l'ho, non l'ho mai avuto e manco lo voglio...

- E sarebbe bene che te ne prendessi uno, fava di lesso che non sei altro! Ma non vedi che ormai ce lo hanno anche i neonati e i cagnolini da passeggio...?

Tiro fuori, con malcelato orgoglio, il mio telefonino stile Realismo Socialista, made in Cecoslovacchia anno 1953, e lo fo vedere alla Rosalinda, che allarga le braccine e scompare con un sibilo. Inoltre, dopo un anno e mezzo di dormita sarà anche un po' scarico, e non ho più pagato quei diciotto rubli della ricarica alla Kim-Il Sung Communications. Poco importa, e è ora di cercar di tornare a quel che resta di casa mia, sempre che non ci trovi una voragine al suo posto dopo un raid aereo o, come più probabile, una foresta di erbacce. Mi avvio quindi verso Piazza Dalmazia per andare a prendere il tram.

Certo, però, che è davvero una drôle de guerre, questa. Mascherine, avvisi degli autospurghi Covi e caffè semiclandestino a parte, sembra tutto normale. Certo, c'è poca gente in giro; ma, perdiana, siamo di gennaio, fa un freddo che si pela e capisco che s'abbia poca voglia di uscire. Però passano gli autobus, in fondo a via Carlo Giuliani -no, Reginaldo, mi sbaglio sempre da quando i' Mào gli voleva cambiare il nome ma non il cognome, a quella strada- c'è sempre un po' d'ingorgo, in piazza Dalmazia c'è persino un po' di traffico e, per fortuna, non si vedono in giro fascisti discesi armati dalla montagna Pistoiese. Ché, insomma, durante una guerra bisogna pur tenerne conto, di una cosa del genere. Mah. La fermata del tram c'è ancora. Naturalmente non ci ho il biglietto, e vorrà dire che viaggerò sperando di non beccare il controllore; e se poi lo becco, pazienza.

Salgo sul tram, e ricominciano le cose un po' fuori dall'ordinario. Sulla porta automatica c'è scritto che, al massimo, possono salire 136 persone. Io mi ricordo che, prima della dormita, c'eran certe domeniche mattina che, prima di riuscire a infilarsi a Batoni su un tram stracolmo di giapponesi, cinesi, americani, sloveni, birmani, sammarinesi, kazakhi, livornesi e venusiani, bisognava aspettare un'ora buona dato che sul convoglio urbano erano stipate almeno 1136 persone ai limiti dell'asfissia; ora mi risveglio, sul tram di persone non ce ne sono nemmeno venti, ci si può mettere a sedere un seggiolino sì e uno no con degli avvisi perentori assai (tipo: "Morino, se ti metti a sedé' qui ti si porta al Poligono e ti si fucila senza processo, e poi ti si multa anche la mamma pe' avé' cahato una testa a pinolo come te") e sul tram ci son dappertutto boccettine di una roba appiccicosa trasparente con un odorino a metà tra lo spirito e lo sciampo andato a male. Tutti salgono e scendono, e ci si sdrùsciano le mane con vigore, facendo giravolte con le dita degne del mago Silvan.

- Ohei....dàttela anche te...

- Rieccola....o Rosalinda, icché mi devo dà....?!?

- Quella roba lì...

- Sì, ma io unno so miha icché gliè qui' troiaio...

- Ma tu dàttelo lo stesso sulle mane...magari è l'antidoto...

Ecco, a volte la mia Vocetta Interiore sa come toccare certe corde col suo inveterato buon senso. Non ci avevo pensato: l'antidoto. C'è la guerra batteriologica, e qualcuno avrà sicuramente trovato l'antidoto alle misteriose sostanze concepite per isterminarci a tutti...anche se, immagino, saranno sorti come funghi anche i movimenti No-Antidòt perché dentro le boccette sparse ovunque c'è una cacchina inventata da George Soros con l'aiuto dei pedofili, contenente microchips, scie chimiche, pericolosissimi acari mutati provenienti dalla Cina, caccole di Giorgia Meloni interconnesse via Instagram con le ragadi anali di Elon Musk...di tutto, insomma, per dominare finalmente il mondo. Però mi dico che, stavolta, forse la Rosalinda ha ragione e mi spalmo voluttuosamente le mani con quel gel nominalmente prodotto dalla ditta Eleuterio Pinzauti di S. Giuseppe in Collotorto, alcool 72%, boia dé o stavvedère che ci si piglia anche una bella ciucca.

Intanto, il tram fa il suo percorso di sempre. La mia città. Non vi dirò qual è, spinto anche da un improvviso impulso letterario ripensando a Sussi e Biribissi. Mezza vuota, come s'addice in tempo di guerra. Scorrono le fermate: Alamanni Stazione, Porta a Prato Leopolda, Cascine Carlo Monni, Sansovino, Batoni....si sente uno scoppio...ecco ci siamo, altro che batteri, qui ora bombardano...invece è un Gasolone che ha beccato in pieno una Kia Sorento e ora stavvedè' che se le danno...il 9 che mi parte sotto il naso....tutto normale, tutto quasi normale...aspetterò l'autobus dopo, o forse vo a piedi attraversando l'Isolotto Vecchio, canticchiandomi una canzone di tant'anni fa...2021...ho dormito tanto...




lunedì 11 gennaio 2021

Il lungo sonno


Ahhhhhhh....!!! Che dormita! Mi ci voleva proprio, una pennichella di quelle serie!

Solo che, perdiana, mi sono risvegliato in un posto un po' singolare. No...niente di esotico, non sono certo su una spiaggia delle Maldive o in una strada di Santo Domingo; sono su un treno. Dico, un posto un po' singolare per risvegliarsi da una dormita veramente galattica; ma non che un treno sia il primo posto dove ritrovarsi al risveglio da un lungo, lungo sonno. Ma è, almeno a una prima occhiata dopo la stiratona di prammatica, un normalissimo treno, mi sembra un "Intercity", coi vagoni e tutto il resto, che corre su delle rotaie, passa per certe stazioni e si ferma a certe altre. Il problema è che, a bordo di questo treno, le cose singolari non sono affatto terminate; lì per lì non ci avevo fatto caso, mezzo assonnato e con gli occhi ancora impastati; poi mi sono alzato per andare a sciacquarmi un po' la faccia in bagno, e ho constatato che la mia dormita deve essere stata davvero interminabile. Per un momento ho temuto di aver dormito i famosi vent'anni di Rip van Winkle, ma poi mi sono accorto che è soltanto il 2021. Undici gennaio duemilaventuno. Ho dormito per un anno e quattro mesi; il 9 settembre 2019 ho ricopiato una lettera di un condannato all'ergastolo, e poi mi sono addormentato. Certo, un anno e quattro mesi non saranno i venti del protagonista della novella di Washington Irving, ma è pur sempre un sonnellino rispettabile.

Ma dicevo delle cose singolari assai che ho notato a bordo del treno in cui mi sono risvegliato. I passeggeri, prima di tutto; pochi, e tutti con sulla faccia una mascherina chirurgica a coprire la bocca e il naso; e la cosa più singolare di tutte e che, prendendomi la voglia di grattarmi il naso, mi sono accorto che ce la avevo anche io, la mascherina. Qualcuno deve avermela messa mentre dormivo, di sicuro. E, grattandomi la pera, mi sono ovviamente chiesto che cosa stia succedendo. Mi sono detto che i casi sono due: o siamo stati invasi dai giapponesi, che hanno imposto a bordo dei mezzi pubblici l'uso della mascherina come sulla metropolitana di Tokyo, oppure deve essere in corso qualcosa di estremamente grave di cui non mi riesce comprendere bene l'entità. Mi guardo attorno, e vedo davanti a me una signora che legge un libro e che, ogni tanto, si disinfetta le mani con una boccetta di Amuchina. Passa il controllore, e ha pure lui la mascherina (ma col "logo" delle Ferrovie); passano gli agenti di polizia, e pure loro con la mascherina. Tutti mascherati, tutti travisati. Che sia stata finalmente abolita la Legge Reale?

Mi alzo per cercare di capirne qualcosa di più; come risveglio, insomma, lo si capirà, è abbastanza bizzarro, nonostante sia una radiosa giornata invernale e il convoglio passi per distese di campi lungo la pianura, dove sicuramente neri alberi stanchi son come amanti dopo l'avventura. Le stazioni mi sono familiari: "Fidenza", "Parma", "Reggio Emilia"...ma guardando dai finestrini, non si avverte il consueto viavai di gente. Vado in bagno un'altra volta, per una pisciatina e per sciacquarmi, stavolta, la faccia un po' meglio; su un sedile, abbandonata, la copia di un giornale, non so se la Gazzetta della Sera, il Quotidiano del Giorno o il Corriere delle Quattro e un Quarto; c'è un titolone che parla di Decreti, di Zone Rosse e di Coprifuoco. 

Ecco, ora la terribile verità mi appare chiara; mentre dormivo, è scoppiata la guerra. Alla fine, dài pìcchia e mena, ce l'abbiamo fatta a arrivarci, perdiana. Le mascherine? Del tutto ovvio: figuriamoci se, nel 2021, non c'è il pericolo di una guerra batteriologica. Il coprifuoco, persino; bella roba! Quindi, fra un po', seguendo la logica, ci sarà anche l'oscuramento. E ci credo, allora, che mi sono fatto una dormita cosmica. E dove staranno bombardando? Le nostre truppe al fronte come si comportano? L'abbiamo finalmente presa quella maledetta Gorizia?

Certo che, durante questo mio sonno, mi devo essere perso un bel po' di cose, e tutte estremamente interessanti; mentre dormivo, in effetti, avvertivo un brusio continuo, un ronzio planetario; era il flusso della Comunicazione. Tutti che mi comunicavano addosso, e io dormivo. Nel mio sonno profondo, mi sembrava di sentire un armonioso canto di uccellini, e invece era Whatsapp. Quante analisi, quanti approfondimenti, quante immagini, quante battute, quante notizie, quanti filosofi, quanta libera espressione mi devo essere perso! Sentivo tutto quel "zzzzzzzzzz", e quasi quasi mi conciliava il sonno; e, nel frattempo, il mondo entrava a capofitto dentro la catastrofe.

Però, poi, mi sono accorto, guardando meglio la prima pagina del quotidiano abbandonato, che non tutto deve essere cambiato. Sotto il titolone del coprifuoco, vedo una grossa foto di Matteo Renzi, e noto che non è cambiato per niente: la solita faccia a bìschero. Distrattamente, vedo che stavolta, in piena guerra batteriologica, ce l'ha con tale "Conte"; mi chiedo che cosa mai gli abbia fatto l'allenatore dell'Inter, forse che la Fiorentina stia lottando con l'Ambrosiana per lo scudetto, e abbia subito un grave torto arbitrale? Oppure Renzi, per un motivo che mi resta francamente incomprensibile, ce l'ha col cantautore astigiano, quello che faceva l'avvocato e gli piacevano le Topolino amaranto...? Mah. Vallo a capire, quel personaggio. Nella foto, tra l'altro, sembra averci i capelli ancor più unti del solito.

Il treno corre; il risveglio si completa. Do un'occhiata al mio vecchio portafoglio, mezzo disfatto, e -con mia estrema sorpresa- ci trovo dentro un regolare biglietto ferroviario e ben quaranta euro in contanti. Sul biglietto c'è scritto che devo scendere a Firenze Rifredi, e quindi significa che sto tornando a casa. Qualcuno, sì, deve avermi infilato su questo treno, e lo capisco; anche mentre dormo, sono una presenza piuttosto ingombrante. Oppure che abbia dormito sui treni per un anno e mezzo? Certo, vacca boia, mi chiedo che ne sia stato di casa mia, poerammé. Sempre che nel frattempo non la abbiano pignorata e assegnata alla Pia Confraternita di S. Filomena de' Sottaceti, o non l'abbia occupata il Centro Pranoterapeutico Ayurvedico, cosa ci troverò dentro? Il Museo Nazionale delle Ragnatele? Una colonia di gufi? Una famiglia di kossovari? E chi lo sa; nel qual caso, caro lettore, cara lettrice -sempre che qualcuno di voi esista ancora,- sappi che fra qualche ora mi vedrò costretto a bussarti alla porta e a chiederti ospitalità per stanotte. Mi contenterò di un morbido letto a baldacchino e di una frugale cenetta a base di Blinis Strogonoff e caviale Malossol, innaffiata con un modesto Chateauneuf-du-Pape del 1952. Non ti chiedo molto, in fondo, e soltanto per una notte.

Ad ogni modo, appena sceso alla stazione di Rifredi, una cosa me la concederò senz'altro, perdìo. Quale risveglio può esistere senza un buon caffè? Mi siedero al tavolino del primo bar, stravaccando i miei piedacci e restando seduto almeno una mezz'oretta servito e riverito; con quei quarant'euro che ho in tasca potrei concedermi persino la cena in pur modesta trattoria familiare. E poi? Boh. Poi torno a casa. E domani, magari, mi riaddormento; la vida è suegno.