lunedì 31 gennaio 2011

Di Gennaio


C'è chi ci mette il "calendario Google", chi altri "gadgets" un po' tutti uguali. Io, che amo lo scorrere delle stagioni e dei mesi, per quest'anno 2011 lo seguirò coi sonetti di Folgòre da San Gimignano, con le risposte parodistiche di Cenne da la Chitarra e riassumendo il tutto con un loro remoto emulo, che scrisse una "Canzone dei dodici mesi" ispirandosi proprio a loro. Al termine di ogni mese comparirà un post del genere.

DI GENNAIO
Folgòre da San Gimignano

I' doto voi, nel mese de gennaio
corte con fochi di salette accese,
camer' e letta d'ogni bello arnese,
lenzuol' de seta e copertoi di vaio,

tregèa, confetti e mescere a razzaio,
vestiti di doagio e di rascese:
e 'n questo modo star a le defese,
nova scirocco, garbino e rovaio.

Uscir di for alcuna volta il giorno,
gittando de la neve bella e bianca
a le donzelle che staran da torno;

e quando fosse la compagna stanca,
a questa corte faciase retorno:
e si riposi la brigata franca.

DI GENNAIO
Cenne da la Chitarra

Io vi doto, del mese di gennaio
corti con fumo al modo montanese,
letta qual'ha nel mare genovese,
acqua e vento che non cali maio,

povertà di fanciulle a colmo staio,
da ber aceto forte galavrese
e star come ribaldo in arnese
con panni rotti, senza alcun denaro.

Ancor vi do così fatto soggiorno:
con una vecchia nera, vizza e ranca,
catun gittando de la neve a torno,

appresso voi sedere in una banca,
e respirando quel so viso adorno
così reposi la brigata manca.

Viene gennaio silenzioso e lieve,
un fiume addormentato
tra le cui rive giace come neve
il mio corpo malato, il mio corpo malato.
Sono distese lungo la pianura
bianche file di campi,
son come amanti dopo l'avventura
neri alberi stanchi, neri alberi stanchi.


Un frammento


Mi piacerebbe usare i nomi, perché li conosco. Non è neppure perché non siano noti: c'era di mezzo un libro, e un libro pieno di storie dure. E dolorose. E vere. Raccontate a un giovane giornalista a cui era sorto l'imperativo di riannodare dei fili; cosa che ha fatto. Non si trattava di fili semplicemente rotti, bensì di fili spezzati. Non si erano rotti da soli. Non li scriverò, qui, quei nomi, forse per prudenza, forse per pudore. E forse, anche, per altri motivi che mi terrò per me; non ultimo perché mi trovavo di fronte a un'appartenenza che ho ritenuto opportuno non invadere, sia pur minimamente. In questo, realmente, mi sono sentito cambiato, diverso. Né migliore e né peggiore; solo un'altra cosa rispetto a ciò che sono stato.

Una sala gremita, in cui sono stato tante altre volte. Un luogo che mi è assolutamente consueto. Ciò che non percepivo consueto era il silenzio, mentre chi era sul palco stava parlando. In altre occasioni, anche importanti, si avvertiva sempre un brusio; non sabato sera. La presentazione di un libro, di cui già conoscevo l'esistenza e che avevo cercato: impossibile. Esaurito. Un libro che, in un frangente del genere, può ricevere soltanto pubblicità sotterranea. Gente che ne parla, in rete o in giro. Un frammento pubblicato su un sito. Un paio di recensioni. È la storia, anzi sono le storie, di un gruppo di ventenni o poco più. Storie di ribellione, rivolta e lotta armata; è l'unica citazione diretta che mi concedo, questo sottotitolo. Duecentocinque pagine dense di tutto.

Il martedì sera, in quel luogo, si svolge l'assemblea. Non l'autore, ma uno dei protagonisti di quelle storie, ha sentito il dovere, in modo sommesso, di parteciparvi per chiedere che la presentazione di quel libro si svolgesse lì. Ero presente. Il silenzio è cominciato là, perché tutti sapevamo chi ci stava chiedendo quella cosa. Alla richiesta precisa sono seguiti momenti, lunghissimi, in cui nessuno se l'è sentita di dire nulla; e, almeno lo sospetto, non perché qualcuno volesse opporsi. Perché ci sembrava una cosa che andava ben oltre quel luogo. Nessuno di noi sa che cos'è stata, e che cos'è, la lotta armata; neanche quei pochi presenti che, per età, erano presenti e coscienti politicamente in quegli anni. Chi stava parlando, si era fatto invece ventuno anni di carcere per banda armata, scontati interamente. Aveva visto morire di mala morte dieci compagne e compagni. In un gruppo che, come del resto specificato fin da subito nel libro, si rifaceva ai Dannati della Terra. Da qui il silenzio. Poi è successa una cosa strana. Alle assemblee del martedì sera, io prendo la parola più che raramente; si era presentato il problema dei pochissimi giorni che sarebbero intercorsi, per fare un minimo di pubblicità, di diffusione dell'iniziativa. Ho preso la parola per dire che quel libro girava oramai da più di un mese, forse un mese e mezzo. Che la pubblicità e la diffusione se l'era già fatta da sola, o per tramite di chi ne aveva parlato in rete. Cercandolo in una libreria cittadina, la commessa mi aveva risposto che le quattro copie pervenute erano volate via in un pomeriggio. Su quei Dannati della Terra, in questa città e altrove, sembrava essere caduto l'oblio; non era, evidentemente, affatto così. Ci devono essere ombre che camminano, ma sono ombre vive. Ne avevamo una lì, seduta sulle pancacce della mensa, con un berretto di lana in testa e una sigaretta in bocca. Il mio intervento è durato pochissimo, perché poco c'era da dire. Se ha avuto un merito, è stato forse solo quello di sbloccare gli altri. Logico che, sabato, il libro sarebbe stato presentato lì; quella persona ce lo aveva chiesto espressamente, anche se quasi con timidezza, con dolcezza addirittura. Parlando a bassa voce.

Sabato sera, alle sei. Finalmente il libro lo posso prendere, perché ne sono state portate una cinquantina di copie. C'è l'autore, giovane, gentilissimo. Ci sono due fratelli; uno di loro era la persona presente martedì all'assemblea. C'è un altro signore che appartiene a un archivio storico, cui sarà probabilmente demandata un'introduzione; e c'è un anziano avvocato. I ventenni di tanti anni fa, che avevano lottato, che si erano messi in gioco, che erano stati distrutti dallo stato con la morte e con la galera; il difensore; lo storico; il giornalista appena nato a quei tempi, eppure al tempo stesso il riannodatore. Questo il palco. Tra il pubblico, visi che mi erano consueti, altri soltanto conosciuti, altri ancora visti per la prima volta. Dovessi definire l'atmosfera che si respirava in quella sala, era rarefatta. E qui non farò un rendiconto di quel che è stato detto durante quella presentazione. Il rendiconto è il libro stesso. Chi lo vuole trovare, basta che si serva di quell'unica citazione diretta che ho fatto poc'anzi.

Ho visto lacrime sul viso di una delle persone che parlavano; ne ho sentito la voce rotta. Stavano parlando della loro vita, della loro gioventù morta. Ho sentito usare il termine "famiglia" in un modo raro, e ho sentito dei nomi. Il 29 ottobre 1974 avevo undici anni e stavo dentro una cantina condominiale: da un mese era la mia stanza. Fui chiamato per il pranzo col segnale consueto: mia madre mi spegneva la luce da casa con un interruttore, e poi la riaccendeva subito. Arrivò mio padre terreo in volto; tornando a casa era passato da una piazza bloccata. "C'è stata una rapina, ci sono stati tre morti", disse solo questo; aveva sbagliato. I morti erano stati due. Non ci capii niente. Rapina, morti, spari: erano soltanto dei film per me. Gli assalti alla banca dei western; e non posso dire altro. Eppure, mentre stavano parlando quelle persone per le quali quei due morti erano dei compagni, degli amici, dei fratelli, sono tornato indietro. Si è spenta e riaccesa la luce della cantina. Ho chiuso gli occhi; e è squillato il telefonino. Era mia madre. Una goffa fuga per rispondere, travolgendo quasi della gente. Poi sono tornato dentro.

Zitto, ad ascoltare. E a percepire una cosa che, malauguratamente, non mi è rimasta in passato troppo chiara. Non si può inventarsi un'appartenenza. Non la si può basare né sulle proprie idealità, né sui racconti altrui. L'appartenenza esiste solo in quanto presente e vissuta sulle proprie spalle, sulla propria pelle. Di fronte avevo persone che me la stavano raccontando, nel libro altre persone la esprimono. Mi sono ritrovato, quindi, in una specie di terra di nessuno. A combattere, come sempre, tra un ingenuo desiderio di situarmici in qualche modo, e la coscienza precisa che non solo questo è impossibile, ma che mi ha provocato degli sconquassi tremendi. Ma, stavolta, mi è subentrata una strana serenità. Quale che sia, ho una mia appartenenza. Se avrò modo, e se ci sarà la necessità di esercitarla, non mi tirerò indietro. Ascoltavo storie di persone che non si sono tirate indietro, che si sono assunte delle responsabilità; e la responsabilità non è in alcun modo retrodatabile. Non ho sentito più paure. Non ho sentito più rancori. E vorrei che il futuro fosse oggi.

Corre purtroppo l'obbligo di segnalare che la pubblicità ha funzionato benissimo anche nei pochi giorni tra il martedì e il sabato. Dico "purtroppo", riferendomi al solito volgare tentativo di certi squallidi personaggi che hanno presentato interrogazioni sulla presenza di terroristi, ed altre miserie consimilari. Non ne avrei fatto menzione, se non la avesse fatta anche una delle persone che parlava dal palco. Ricorrere in questo caso al vomito sarebbe un'offesa nei confronti del vomito.

Dentro quella sala, ad un certo punto ho pensato una bizzarra cosa. Ho pensato a che cosa quel che veniva detto, espresso, raccontato stava operando su ognuno dei presenti. Ricordi, rabbie, incubi, desideri mai sopiti, visi, relazioni, storie, galere, amore, durezze, tutto. Poi c'è stata una cena, e nessuno è andato via. Neppure una persona che non c'è più, e che di galera e di emarginazione ne aveva vista parecchia; ma non va mai via da quel posto. Le inesistenze sono l'unica cosa che non può esistere. Esiste lui. Esistono quei dieci ragazzi sparati via dalla vita, e esistono i loro compagni che un giovane di questi tempi ha riallacciato. Magari solo per un poco. Magari solo per lo spazio di duecentocinque pagine. Ma parlano, e parlando riallacciano non soltanto le loro esistenze e le loro storie. Riallacciano fili che, forse, neppure loro riuscirebbero ad immaginare; e ne costruiscono di nuovi, ed urgentissimi.

Ancora nella sala, e prima della cena, ho fatto un'altra cosa che non mi è affatto consueta.

Se c'è qualcosa che non sopporto, è andare a chiedere gli autografi e le dediche. Se mi spediscono un libro autografato, lo prendo volentieri; ma non vado mai a chiederlo. Stavolta, invece, mi sono sentito di farlo. Mi ha scritto: "Per non dimenticare un frammento importante". Non soltanto non me lo dimenticherò, ma me lo porterò dentro. Assieme ai frammenti del frammento. Assieme alle esistenze di quei frammenti, che erano e che sono vite, lotte e oltre. Assieme a tutti coloro che erano in quella sala sabato sera, nessuno escluso. E vorrei, in ultimo, esprimere anch'io un frammento.

Tra le persone presenti nel libro, con la sua storia, la sua vita e la sua morte, c'è una ragazza. Non era certo la prima volta che ne sentivo parlare. Sapevo chi era. Sapevo di chi era sorella. Sapevo com'era stata uccisa. E non sapevo niente, in realtà. Me l'hanno presentata, in quel libro, tre o quattro righe che non mi scorderò, ancor meno delle altre. Presentata, certo, alla mia immaginazione; altro, purtroppo, non si può fare. Anche se nel libro se ne parla, per forza di cose, molto. Fin dalle prime pagine, per bocca di un'altra persona; mi si perdoni la vaghezza estrema, ma sarà fugata a chiunque acquisti e legga il libro. Mi sto addentrando nel territorio del pudore, che in questo momento, ore 4.31 del 31 gennaio 2011, sto provando profondamente. Devo circumnavigare, e non mettere nemmeno una molecola fuori posto.

Questa persona, che vive lontana, aveva chiesto all'autore del libro se sapesse dov'era sepolta. Non era mai riuscito a saperlo; cosa, invece, che all'autore è riuscita. Riannodare i fili. Il senso di un lavoro. La cosa curiosa è che dov'era sepolta questa ragazza, lo sapevo anch'io. Per vie traverse, chiamiamole così. Per la memoria che ho di fronte a qualsiasi testo scritto da altri. Ad un certo punto, tempo fa e molto prima che questo libro fosse stato scritto e pubblicato, mi era presa la voglia di andarci anch'io, in quel posto, per portarle magari un fiore, o un pensiero. Non l'ho mai fatto, e ho fatto bene. Non lo farò mai. Non andrò a invadere terre che non mi spettano, e mi limiterò, qualche volta, a immaginare chi invece ci va avendola conosciuta, avendole voluto bene, avendo con lei condiviso tutto o qualcosa, avendola amata. E provando verso queste persone, chiunque esse siano, un rispetto al di sopra di ogni cosa. Al di sopra dell'amore e dell'odio, al di sopra della comunanza e dell'indifferenza. Il resto, sarà la mia vita. Quel che sarò capace ancora di farne. Quel che potrò dare. Quello a cui e di cui potrò rispondere.

venerdì 28 gennaio 2011

Vile attentato squadrista

Stavolta, credetemi, l'Asociale l'ha proprio combinata bella.

Recatosi stamattina a Massa per la manifestazione regionale della FIOM (di cui neppure la Qvestvra® potrà dire che non sia stata una manifestazione di Massa), una volta giunto al punto di conclusione, in piazza degli Aranci si è accorto, in modo passabilmente diabolico, che mentre la piazza scandiva slogan anche contro Bonanni, il palco era stato sistemato esattamente sotto la Camera "sindacale" della UIL.

Con azione abbastanza rapida, ha deciso quindi di compiere un vile attentato squadrista. Poiché nella piazza principale della città apuana non v'era però un ortolano, un supermarket o qualsiasi altro negozio dove acquistare delle uova di gallina, bensì una gelateria-pasticceria, ha pensato bene di ricorrere ad un uovo di diversa fattura sì, ma comunque dal valore altamente simbolico. Ecco dunque, in esclusiva, le foto del vile attentato, oppure -come senz'altro titolerebbe la Nazione- dell'assalto alla UIL (cliccare sulle immagini per ingrandire):



Nella foto sotto, un'istantanea dell'arma utilizzata per l'assalto a sorpresa (nel senso che la sorpresa che vi era contenuta dentro è stata depositata sul campanello dell'associazione di servi dei padroni sindacale:


Ciò è peraltro servito, oltre a ribadire alcuni concetti basilari, anche a regalare un paio di sorrisi ad un capannello d'operai che di sorrisi, in questo periodo, ne stanno emettendo discretamente pochi. Si vedano ad esempio le foto che seguono, scattate circa due ore prima del vile attentato nel punto di concentramento della manifestazione regionale, situato di fronte a una certa fabbrica:




La manifestazione, fino al momento dell'assalto alla UIL operato dal losco figuro di cui sopra, si era svolta senza incidenti. Di gente ce n'era parecchia, coi soliti sbalzi fra organizzazione (25.000) e Qvestvra® (6.000):


Nella foto: la manifestazione passa sul ponte sul
Fiume Frigido, corso d'acqua dal nome abbastanza problematico

Ma non ci si deve stupire per le cifre fornite dalla Qvestvra®, dato che essa era notevolmente occupata, e in Massa (in tutti i sensi) per proteggere adeguatamente la sede dei luridi fascistelli di Forza Nuova:


Nella foto: la sede massese di Forza Nuova protetta da uno
sbarramento di polizia. Cogliamo l'occasione per
ricordare una certa "performance" di FN della città apuana.

Da notare che dalla sede forzanovista, al momento della manifestazione, è stato srotolato uno striscione (lo si intravede nella foto) che recitava testualmente: "Contro il capitalismo, solidarietà con gli operai italiani". È stato riarrotolato rapidamente dopo qualche sommovimento; specialmente considerando che questi merdosi presentano le liste assieme al Papi.

Ci sono stati però anche momenti di relax, sempre prima del vile attentato squadrista. Ad esempio scoprendo che, a Massa, esistono indicazioni stradali che puntano direttamente alla internacia lingvo del dottor Ludvik Lejzer Zamenhof:


Poco prima del suo proditorio attacco, lo stesso Asociale si è con piacere imbattuto in questi operai in parte arrivati dal "suo" scoglio, con sveglia alle 3 del mattino e traghetto della Toremar alle 5,05:


Una volta compiuto il vile squadrato attentista attentato squadrista, l'Asociale (fatta sparire prima l'arma, che era pure dimolto buona) si è premurato di rifugiarsi nel covo di un noto cantautore della zona, dove ha avuto pure modo di ascoltare una sua inedita e animalesca composizione:


Il rifugio del vile attentatore: a sinistra i monti...


...e a destra il mare.


mercoledì 26 gennaio 2011

Trafugatori


L'attività, o arte, del trafugatore di salme è decisamente antica; e sarebbe finalmente giunto il momento di riconoscerle tutta l'importanza che ha avuto nella storia dell'umanità, e in particolare della scienza. Le salme che sono servite agli studi anatomici fondanti venivano in gran parte trafugate, soprattutto perché la Chiesa lo proibiva severamente; senza che qualcuno fosse andato nei cimiteri o nei fondi d'ospedale a fornire al Settala o allo stesso Leonardo da Vinci il materiale su cui lavorare, a quest'ora ci si sarebbe dovuti accontentare delle cristiane preghiere e delle suppliche alla Madonna, e la scienza medica e chirurgica non avrebbe mai fatto un passo avanti. Ogni volta che un chirurgo ci mette addosso le mani per aggiustarci i guasti, c'è dietro una storia di cadaveri prima trafugati (o comunque messi a disposizione con non pochi problemi) e poi adeguatamente e sapientemente sezionati, disegnati e riprodotti dai ceroplasti. Il trafugamento delle salme ha ispirato inoltre grande letteratura: si pensi solo a The Body Snatchers di Robert Louis Stevenson, e ad altra ottima letteratura dell'orrore. Insomma, come dire, andiamoci cauti con le condanne a priori, e soprattutto con le facili indignazioni.

Anche perché, con tutta probabilità, tutti sarebbero pronti a riconoscere la validità di quanto ho scritto prima. In molti ambulatori di condotta, tuttora, campeggia la riproduzione di un famoso quadro dove si vede il celebre medico Giovanni Battista Morgagni, il fondatore dell'anatomia patologica, che seziona con aria grave (chiaro che nessuno si aspetterebbe che lo facesse ridacchiando) una salma nel teatro anatomico dell'università di Bologna. Come in ogni caso del genere, e trafugata o meno che fosse, la salma in questione sarà stata quella di un condannato a morte, o di un poveraccio morto senza un cane di nessuno, o di una prostituta; così andava quasi sempre, senza che la cosa provocasse poi gran disturbi. Sicuramente sarebbe andata diversamente se l'anatomista avesse spezzettato il cadavere di un principe, o di un arcivescovo, o comunque di un personaggio in vista sepolto cristianamente e con tutti gli onori; il trafugatore di un cadavere del genere, anche ingaggiato per gli scopi più nobili, avrebbe rischiato seriamente la forca e, quindi, di finire a sua volta affettato sotto gli occhi degli studenti. Come si può osservare, quindi, non è vero che la morte sia quel gran prodigio di democrazia e di uguaglianza di cui si parla in giro. Ci sono, e ci sono sempre state, differenze di classe e di altro genere anche nella tomba. Altro che livella.

In questi giorni, mi sta giungendo voce che è stata trafugata la salma (con relativa bara) di un noto presentatore televisivo scomparso qualche tempo fa. Credo ragionevolmente che si tratti di un rapimento a scopo di riscatto, e che, quindi, gli intenti scientifici e artistici siano del tutto assenti dalla cosa. Anche se non si può mai dire; e sono certo che gli eventuali studenti di medicina, i quali si ritrovassero il loro docente di anatomia patologica a sezionare detto cadavere, accoglierebbero abbastanza favorevolmente la cosa. Ma anche accogliendo la mia ipotesi primitiva, sostengo che quello di una salma sia un rapimento tranquillo, pulito, e soprattutto senza implicazioni violente. Nessuno si sognerebbe mai di telefonare alla famiglia proponendo il classico ultimatum: o ci fate ritrovare a mezzanotte una valigia contenente tre milioni di euro, oppure facciamo fuori l'ostaggio. L'ostaggio, in questo caso, è stato già fatto fuori da Madre Natura, e quindi, al massimo, in caso di mancato pagamento lo si può gettare in un lago o in mare (opportunamente zavorrato), cremarlo o smaltirlo in altro modo senza che il diretto interessato ne abbia a soffrire alcunché. Per onorarlo, se proprio lo si vuole, basta la memoria e qualche lapide munita magari di fotografia. Non capisco sinceramente tutto questo bailamme perché qualcuno si è appropriato di un mucchietto di ossa per chiedere magari un onestissimo riscatto; suggerisco anzi questa attività, al posto dei sequestri di viventi (i quali, oltretutto, necessitano di una logistica non indifferente).

In Italia esistono parecchie salme che attendono di essere opportunamente trafugate; prima fra tutte quella del personaggio menzionato nella foto sotto il titolo, cui è stato riservato addirittura un sacrario. Ci sono centinaia di salme eccellenti il cui trafugamento potrebbe fruttare notevoli guadagni, e addirittura un indotto. Salme di frati miracolanti, di showmen paracadutati, di politici obesi, di scrittori famosi; e, per tutto questo, bastano un furgone e un po' di terra. Dallo stesso cimitero in cui si trovava il presentatore, non molto tempo fa fu prelevato anche un notissimo finanziere; non mi risulta che abbia protestato e che si sia lamentato, sebbene durante la sua vita abbia osservato sempre un rigoroso silenzio. Senza contare che parecchi di costoro, le cui prezïose salme riposano generalmente in luoghi ameni, ci hanno costantemente trafugato denaro, ideali, speranze e in qualche caso la vita stessa. Con la speranza, magari, che certe signore le quali affermano che il trafugamento del presentatore sarebbe stato fatto per fare dispetto a qualcuno, si decidano finalmente a tacere. E sospetto che il di lei consorte, anch'egli un noto uomo di spettacolo di grande impegno morale e civile, nonché trapassato alcun tempo fa, nel sentire affermazioni del genere avrebbe voglia, se potesse, di trafugarsi da solo. E di comporre, perché no, un album discografico intitolato: La mia esumazione ha perso.

lunedì 24 gennaio 2011

Sanctvs Faciei Liber


Come chi segue questo blog avrà sicuramente notato, ho smesso da un po' di occuparmi di Facebook, e con somma convinzione; quel che ho avuto da dire l'ho detto e ribadito, e basta così. Però, oggi, sui giornali è comparsa una notizia che impone qualche pacata considerazione al riguardo per le notevoli implicazioni che essa presenta; insomma, per farla breve, pare che Sva Santità papa Benedetto XVI abbia dato la sua personale benedizione a Facebook, e ai social networks in generale. E vualà. Così sono serviti tutti coloro, tra i quali il sottoscritto, che consideravano papa Nazzingher retrogrado, oscurantista, reazionario e quant'altro; per la miseria, qui invece ci abbiamo un papa moderno e favorevole alle nuove tecnologie! Del resto, uno suo Benedetto predecessore (il numero 15, insomma) fu, se non erro, il primo papa che trasmise un discorso alla radio appena inventata da Guglielmo Marconi; colpiti e affondati. Noi poveri, sparuti e miserandi antifacebookisti abbiamo, oggi, ricevuto un colpo davvero mortale. Non ci riprenderemo mai più.

D'ora in poi, tutti i milioni di persone che passano il loro tempo (e, in definitiva, una cospicua parte della loro vita) sui social networks potranno così contare anche sull'imprimatur papale; noi, al massimo, possiamo contare su quello di George Clooney. No, non è la stessa cosa, perdìo. Non è la stessa cosa. Al massimo ci potremmo sentir dire, noialtri, no Facebook, no party; d'ora in poi, invece, sentiremo risuonare possenti e ieratiche frasi del tipo: tu es Petrus, et super hanc petram aedificabis Rete Sociale nostrum. Il Papa lo ha detto del resto assai chiaramente: i social networks offrono "nuove opportunità di condivisione, dialogo, scambio, solidarietà e creazione di relazioni positive". All'anima: come testimonial è di quelli da troncare il fiato. Provateci voi a metter su, che so io, una ditta di carciofini sott'olio e dopo sei mesi ti arriva il Papa che ti fa una pubblicità del genere: "I carciofini sott'olio della ditta Francalanci Pierino offrono nuove opportunità di creare relazioni positive".

Però, d'ora in poi, chi si trastulla su Facebook dovrà senz'altro tenere presenti le indicazioni papali; poteva il sommo pontefice non darle? Ascoltate, dunque, la voce della Sua saggezza e del Suo magistero, peccatori! Ad esempio, Sua Santità afferma che "occorre evitarne i pericoli, come il rifugiarsi in un mondo parallelo, o l'eccessiva esposizione al mondo virtuale". Parole senz'altro sante, anche se mi vengono in mente alcune piccole osservazioni. Rifugiarsi in un mondo parallelo è senz'altro disdicevole, tipo in quello dove ci sono tizi che camminano sulle acque, madonne che piangono, pani e pesci moltiplicati (con le nuove tecnologie, però, quanto meno mi aspetterei una semplice evoluzione come l'elevazione a potenza), apparizioni a orario fisso davanti a Paolo Brosio, immacolate concezioni e via discorrendo; applicando quindi semplicemente le parole del Papa, vorrei anch'io mettere in guardia tutti quanti da tali pericoli, esponendosi ad un mondo virtuale che non ha nulla da invidiare a Facebook, e che anzi per parecchi versi è assai più virtuale di quest'ultimo.

Del resto, le affermazioni papali sono state esplicate durante una non meglio precisata (e quarantacinquesima) Giornata mondiale delle comunicazioni sociali; davvero ignoravo che esistesse, anche se oramai c'è una giornata mondiale ogni giorno (il 14 marzo sarà ad esempio la Giornata mondiale dei mangiatori di salame e Nutella, mentre il 28 settembre sarà la Giornata mondiale dei raddrizzatori di banane col cvlo, cosa che m'interessa da vicino -si veda il mio profilo). Il tema di tale Giornata Mondiale era nientepopodimeno che: Verità, annuncio e autenticità di vita nell'era digitale. Va da sé. I cattolici hanno la Verità. Annunciano sempre. E hanno la vita autentica. C'è persino uno stile cristiano di stare sul web. Ho provato a immaginarmelo.

Suor Maria Teodolinda indica nel suo profilo FB "fidanzata ufficialmente con nostro Signore Gesù Cristo", mentre don Mariano (tra i cui "amici" compaiono singolarmente decine di fanciulli in età puberale) precisa: "transustanziazione complicata". Ammonisce il Papa (tirando magari fuori anche il cartellino giallo): "Il contatto virtuale non può e non deve sostituire il contatto umano diretto con le persone"; come dargli torto?


Nella foto: Don Lelio Cantini, mirabile esempio di contatto umano diretto

Insomma, cari i miei facebookisti: d'ora in avanti dovrete stare attenti ed attenervi anche a queste direttive. Siete centinaia di milioni, il quarto Stato del mondo; una potenza planetaria. Non potete permettervi di ignorare siffatto appello del Sommo Pontefice e dovrete essere fvlgida testimonianza di equilibrio e temperanza. Smettetevi di farvi le seghe andando a rovistare nei profili di Samantha Superbella o di Rocco il Palo Umano. Basta con gruppi e gruppetti dedicati a soubrettine discinte o ai machos del Grande Fratello; vostro unico fratello, e assai più grande, sia Nostro Signore. Vorrete ancora dichiarare nei vostri profili appartenenze a ideologie sataniche, contrarie all'etica e relativiste? Vorrete dichiararvi ancora -orrore!- propugnatori dell'inesistenza d'Iddìo e mettere i bannerini dell'UAAR? Penitenziagite! D'ora in poi siete sul Sanctvs Faciei Liber, e non la scamperete tanto facilmente; del resto, siete stati voi a volervici mettere, e spesso proprio nel nome delle nuove tecnologie. O beccàtevele, Razzingher compreso. Noialtri (pochi) resistenti, sparsi e sconfitti, ne faremo a meno; non saremo illuminati e prima o poi ci trasformeranno a tutti quanti in un 404 Not Found. Però sbrigatevi a farvi le ultime smanettate; il tempo è inesorabile!

PS. Poiché tra gli appelli del Papa leggo anche quello a non "creare falsi profili", devo dedurne che la mia celeberrima paginona finta lo annovera fra i miei "amici"?.... ' Azz...!! Però la cosa mi conforta un po': da oggi ho la certezza che i creatori della pagina bruceranno tra le fiamme dell'inferno!


domenica 23 gennaio 2011

Va benissimo così!


Nei momenti estremi, sono profondamente convinto che ognuno abbia il diritto di scegliere liberamente il modo in cui porre fine ai propri giorni. Non dio, decido io!, cantava il grande Piero Ciampi; e questo vale per tutti. Anche per Silvio B., che ieri ha dichiarato sinceramente il bizzarro ma efficace modo in cui intende (finalmente) suicidarsi:


Si ammiri, comunque la si pensi sul personaggio, la virile & italica dignità da vero e proprio frangar, non flectar: pronto sì a passare sotto il rullo compressore, ma nel pieno della sua carica vorsùta da i'pòpolo. Ed è una cosa di cui gli va dato atto. Nato come 'mprenditòre edile, nell'attimo supremo e decisivo decide di tornare alle origini e di fàssi stiaccià' da un Bitelli di diciotto tonnellate davanti al residence dell'Olgettina. Come non provare rispetto? Certo, ci sarebbero stati sistemi più rapidi e comodi, magari avrebbe potuto aspettare di rimanerci secco mentre si zifonava la nipote sedicenne di Gheddafi; ma vuoi mettere!

Il premier sembra davvero determinato in questa sua difficile e coraggiosa scelta. Anche oggi dichiara infatti a Repubblica:


Da notare l'ennesima e quanto mai imbecille chiosa del famoso bravo parlatore: è chiaro che, spianandosi, Silvio B. desideri l'impunità. Si è mai visto chiedere conto dei propri misfatti a uno che si è appena fatto passare sopra un Caterpillar?....




giovedì 20 gennaio 2011

Bügd Najramdakh Mongol Ard Uls


1. La Mongolia è un enorme paese del quale non si sa, generalmente, quasi niente. Le sue vicende storiche, sociali e politiche non interessano; ha una popolazione estremamente scarsa, scattered, sparsa in un territorio sconfinato. Passano alcune cose, perlopiù lontane nel tempo e avvolte oramai dal mito: Timur Leng, più noto come Tamerlano, e Gengis Khan. I nomadi e i cavalli, e quello che viene impropriamente chiamato il deserto del Gobi; in realtà, gobi è un nome comune che indica una regione con vegetazione desertica e dove le marmotte non possono nutrirsi, ma i cammelli sì. Il Gobi viene indicato come un "deserto freddo", ma nella quindicina di giorni di cui consta l'estate ci fa un caldo terrificante quanto il freddo che ci fa d'inverno; freddo che, nel resto del paese, raggiunge livelli che non è un'iperbole definire allucinanti. Ci sono pochissime città degne di questo nome, e nella capitale vive il 38% della popolazione dell'intero paese. Si chiama Ulaanbaatar, o Ulan Bator, e ha più di un milione di abitanti; è considerata la capitale nazionale con il clima più freddo del mondo. Ha avuto parecchi nomi nella sua storia; si chiama così soltanto dal 1921, quando, con l'aiuto della Russia Sovietica, i mongoli riuscirono a liberarsi da un regime dittatoriale forse unico nella storia. Una tirannide personale dell'avventuriero russo-prussiano Von Ungern Sternberg, che era riuscito a cacciare i cinesi e a stabilire un'autentica proprietà privata di un milione e mezzo di chilometri quadrati, esercitandola con folle, gratuita e metodica crudeltà (tanto da guadagnarsi il soprannome di "Barone Pazzo"). La Mongolia fu il secondo paese comunista della storia, dopo l'Unione Sovietica; si legò talmente a quest'ultima, che la sua complicata lingua, da sempre scritta con un curioso alfabeto verticale derivato da quello tibetano, passò ad essere scritta con quello cirillico; una cosa che, certamente, i santissimi Cirillo e Metodio, greci di Salonicco, non avrebbero neppure lontanamente immaginato. Si trattò quindi di esprimere il concetto di "Repubblica Popolare Socialista di Mongolia" nella lingua nazionale, che fino a quel momento possedeva di tutto per indicare ogni più minuto concetto del buddhismo, ma non una cosa del genere; si ricorse all'espressione che forma il titolo di questo post. Significa, alla lettera, "Paese del Popolo Mongolo per la Felicità di Tutti", o qualcosa del genere.

2. In Mongolia non ci sono mai stato, e non penso che ci metterò mai piede. Queste cose le so dalle introduzioni a due grammatiche mongole, che ho entrambe da più di vent'anni. La seconda è un serissimo corso con esercizi pubblicato nel 1974 nella DDR; nella sua introduzione si racconta come, nel 1921, al momento dell'istituzione del Paese del Popolo Mongolo per la Felicità di Tutti, se un tizio qualsiasi si ammalava poteva contare su 160.000 lama che avrebbero per lui evocato gli spiriti benigni. Quando sui cieli della capitale, che allora si chiamava Urga, comparvero i primi aeroplani sovietici, la popolazione credette che si trattasse della reincarnazione del mitico uccello Garuda (che compare tuttora sulla bandiera della Mongolia). Il primo ospedale fu impiantato da delle infermiere russe, con la relativa scuola; poichè, in russo, "infermiera" si dice sëstra (ovvero "sorella"), gli abitanti della città ne storpiarono il nome in šaštir credendo immediatamente che si trattasse di un monastero femminile dove si studiavano dei nuovi testi sacri, i šaštiryn nomuud (nomuud vuol dire "libri"). La prima grammatica, invece, è pubblicata negli Stati Uniti d'America, a cura della Indiana University di Bloomington, nel 1961. Vi si specifica chiaramente che, pur essendo molti dei testi di lettura intesi ad onore e gloria del Comunismo, questo non presuppone un'adesione ideologica. Le introduzioni alle grammatiche e ai corsi di lingue "strane" sono spesso uno dei mille specchi della Guerra Fredda. È un libro cui sono legato molto, a causa di un particolare episodio della mia vita in cui, costretto ad un'attesa, me lo ero chissà perché portato dietro. Un tempo, forse, lo avrei raccontato; ora sono notevolmente più parco nel mettere in piazza i fatti miei. Ma ogni volta che lo riprendo in mano, per un motivo o per un altro, la mente va ad un certo giorno di circa ventisette anni fa; basta così.

3. Ad un certo punto, anche in Mongolia il Comunismo è caduto. È finito nell'Unione Sovietica, e la Mongolia le è, come sempre, andata dietro. Sono tornati i lama, il sacro uccello Garuda (quello degli aeroplani) è stato non solo rispolverato ma è finito addirittura in effigie sulla nuova bandiera decomunistizzata, sono comparsi i telefonini e le automobili giapponesi e, almeno per un certo periodo, il paese è stato retto da un presidente ultraliberista (ovviamente con passati comunisti di regime) che ha ridotto la capitale a una fogna di gelo e povertà. Fogna in tutti i sensi, perché centinaia di persone (tra le quali moltissimi bambini e adolescenti) si sono ritrovate a vivere, appunto, nelle fogne. Che sono minimamente riscaldate. In gennaio e febbraio, a Ulaanbaatar si può tranquillamente arrivare a quaranta sotto zero. Ulaanbaatar non ha cambiato stavolta nome; significa "eroe rosso" e fu così chiamata in onore del generale Sukhbataar, o Sukhebator, il "Lenin mongolo". La parola baatar, "eroe", nel vecchio alfabeto verticale (pieno di lettere che non si leggevano), si scriveva nella forma antica baγatur; chi conosce il russo o altre lingue slave vi avrà riconosciuto bohater', bohatyr o roba del genere. Una parola al diretto seguito di Tamerlano, insomma. Ultimamente, con sarcasmo, la città letteralmente ammorbata dagli scarichi delle Toyota e delle Ssangyong viene chiamata Utaanbaatar, cioè "eroe dello smog". Ci sono i nuovi ricchi e i nuovi poveri; e i nuovi poveri, come tutti, a un certo punto se ne vanno. Riprendono a fare i nomadi a cavallo coi loro greggi e i bod: un bod è un'unità di misura del bestiame equivalente a un cavallo, uno yak, sette pecore, quattordici capre e mezzo cammello. Oppure se ne vanno altrove, ma senza più nessun Gengis Khan. Naturalmente la Repubblica di Mongolia non è più per la Felicità di Tutti; si chiama, ora, semplicemente Mongol Uls, "paese dei Mongoli". E', ad esempio, la scritta che campeggiava sugli stemmi militari dei 130 soldati che sono stati mandati a esportare la democrazia in Iraq, a suo tempo. Pure i Mongoli. E' stato rispolverato anche l'alfabeto verticale, pur essendo scomodo e farraginoso; fortunatamente, in un paese che in vent'anni aveva debellato l'analfabetismo, tutti si sono accorti che sarebbe stata un'innomimabile idiozia imporlo di nuovo. Il mongolo continua a scriversi in cirillico. Molti penseranno che sia una lingua che ha a che fare col cinese, ma non c'entra assolutamente niente. È piena di declinazioni e il verbo è formato quasi interamente da infiniti e gerundi (o "converbi").

4. Ieri mattina ho letto una notizia. Non le vado a cercare, le notizie; mi ci sono realmente cascati gli occhi sopra. Sopra il titolo c'era la parola "Livorno", e quando vedo qualcosa che viene da Livorno un'occhiata gliela do sempre. Una ragazza di diciotto anni precipitata in mare da un traghetto della Moby Lines, circa 27 miglia al largo di Livorno. Una ragazza di origini mongole. La Mongolia, avevo dimenticato di dirlo prima, è lontanissima da qualsiasi mare; anzi, è in assoluto il paese più lontano dal mare del mondo intero (e questo spiega il suo severissimo clima continentale). Se anche il giornale avesse semplicemente titolato: Ragazza mongola vede il mare, sarebbe stata una notizia degna di nota. Ci si sarebbe potuti immaginarla mentre osservava quella strana distesa liquida, senza fine, ondeggiante, scura nella notte. Non mi piace fare poesia da hard discount, quindi non vado oltre; era in compagnia, dice sempre il giornale, di un altro mongolo e di un cinese. Pare che si sia voluta suicidare: ad un certo punto è stata vista camminare sul bordo della nave, e poi lasciarsi andare di sotto facendo come un cenno di saluto con una mano. Una ragazza mongola nel mare che non esiste, che non è contemplato, che sta a diecimila miglia a sud, a nord, a ovest, a est. Ha salutato e si è gettata nell'inesistenza dell'inesistente. Qualche ora dopo, oltre la mezzanotte, è stata ripescata. Morta al largo di Livorno, nel deserto dell'Oceano. Allora mi sono alzato e sono andato a riprendere la grammatica mongola della Indiana University, che da anni è priva di una pagina bianca di risvolto dove avevo scritto, con una penna rossa, una cosa che ho preferito conservare altrove (in mezzo ad un altro libro, comunque). Diciotto anni e salutare, così, volando accontentandosi di un gabbiano come Garuda e di una notte di gennaio. Lascia che sia fiorito eccetera; poi, tanto, non è fiorito niente. Chissà che ci faceva, sul traghetto partito da Livorno; chissà se il Mediterraneo ha allargato le braccia dicendo: Ma devo proprio?... E chissà che tutto questo non abbia dei significati, perché le storie e le vicende di ognuno di noi vogliono sempre dire qualcosa. Ma non lo sappiamo. Ora è quasi mattina e non mi riesce di prendere sonno, nemmeno a provarci; però vado a letto lo stesso. La grammatica mongola la vado a rimettere a posto dove sta; prima, però, mi sporgerò dalla porta per vedere se da qualche parte nel buio c'è un po' di Felicità per Tutti. Bügd Najramdakh. Mi sa che non la troverò, ma del resto son solo tre minuti per una sigaretta.


mercoledì 19 gennaio 2011

Eppure



Vorrei dirtelo tutto d'un fiato
E gridartelo questo mio amore
Come grida un bambino ch'è nato
Come grida la gente che muore
Come grida chi s'è ribellato
Come grida chi chiede vendetta
Ed invece sto qui senza fiato
E ti dico una cosa già detta

Vorrei dirtelo questo mio amore
E parlartene a lungo ed a fondo
Come parla di un mondo migliore
Chi vuol render migliore 'sto mondo
Come parla chi vuol risvegliare
La coscienza di un popolo stanco
Ma sto zitto per non disturbare
Te che dormi tranquilla al mio fianco

Vorrei dirti che questo mio amore
È l'amore che riesce a sentire
Chi per la libertà lotta e muore
Verso la libertà di chi vive
Che chi vive vorrebbe provare
Per la vita che l'ha riscattato
Ma ti riesco soltanto ad amare
Come un cucciolo buffo e impacciato

Vorrei farti capire che t'amo
Perché tu riesci a darmi il coraggio
Di ascoltare l'antico richiamo
Verso un mondo più giusto e più saggio
Perché tu riesci a starmi qui a fianco
E ascoltare i miei sogni ribelli
Mentre sembra che ami soltanto
Il tuo viso e i tuoi lunghi capelli

Te beata che riesci ad amarmi
Alla buona così come viene
Quando ancora sorridi a guardarmi
E mi mormori che mi vuoi bene.

Fausto Amodei, 1959.

lunedì 17 gennaio 2011

Test di straniero per italiani


Oggi, a Firenze, si è svolta la prima prova del test di italiano per stranieri.

Il test, sembra, darà la possibilità ai candidati di ottenere un permesso di soggiorno più lungo. In una scuola media fiorentina si sono presentati in 19; in tutto, nei prossimi giorni, si dovranno sottoporre al test 170 candidati.

Fermo restando che, a mio parere, ad un test di italiano dovrebbero sottoporsi attualmente circa il 90% degli italiani, resta un attimo da vedere com'è articolato questo test per "stranieri".

C'è, ad esempio, il test di comprensione orale. Ai candidati è stato fatto ascoltare il seguente dialoghetto seguito da un questionario di comprensione:

- Scusi, signora, il treno regionale per Roma è già partito?
- No, vada allo sportello 5, vede non c'è fila.

Credo che un test di comprensione dovrebbe proporre situazioni reali, autentiche. Questa è del tutto irreale. Un dialoghetto quotidiano veramente reale, che proponesse ai candidati una situazione comune, sarebbe dovuto essere ad esempio:

- Scusi signora, il treno regionale per Roma è già partito?
- E a te cosa te ne frega, brutto muso nero di merda?
- Ma io volevo solo sapere...
- I treni regionali per Roma sono stati eliminati, hai capito? Rami secchi!
- E come faccio per andare a Roma?
- Prendi una Freccia Rossa a 44 euro oppure vacci a piedi, bingo bongo!
- Ma sul tabellone c'è scritto che c'è un regionale...
- Sì ma ha 480 minuti di ritardo. E ora ti vuoi levare dai coglioni che hai fatto 3 km di fila e tutti gli altri sportelli sono chiusi?....

Il candidato si sarebbe qui trovato davanti a un dialogo che, in forme forse diverse nel lessico ma non nella sostanza, sicuramente avrà avuto modo di sostenere già durante il suo soggiorno in Italia.

I candidati, poi, sono stati sottopost al test di comprensione della lettura, seguito dal relativo questionario. Anche qui è stato proposto un test di spiccata attualità per gli immigrati, noti fannulloni che vengono in Italia a rubare il lavoro agl'italiani e, non paghi di questo, si dedicano al fitness. Lo trascrivo:

Tutti in palestra

Vieni a conoscere la palestra Gymnasium. La palestra è aperta anche d'estate. Se ti iscrivi ad un corso entro il mese di giugno, ti regaliamo la borsa, l'asciugamano e la maglietta della palestra. L'abbonamento costa 37 euro al mese. Puoi scegliere tra quattro tipi di corsi: corpo libero, aerobica, danza moderna, ginnastica dolce. Vicino alla palestra c'è un grande parcheggio. Dentro la palestra puoi trovare un bar e un ristorante. Per avere informazioni telefona tutti i giorni dalle 9.00 alle 21.00. Siamo chiusi la domenica.

Vediamo quindi, per un'elementare legge del contrappasso, come potrebbe essere un test di straniero per italiani (che farebbe loro un bene incommensurabile) che proponga situazioni davvero reali e utili ad una comprensione autenticamente fattiva. A tale riguardo si propongono due brevi testi della stessa lunghezza di quello proposto oggi agli immigrati.

Tutti sotto un ponte

Vieni a vedere come si sta sotto il ponte da Verrazzano. Il sottoponte è aperto in ogni stagione, 24 ore su 24. Non c'è bisogno di iscrizione, e ti regaliamo gli scatoloni di cartone, due forchette di plastica usate e un maglione bisunto della Caritas. Il posto è gratuito a condizione che ce ne sia. Puoi scegliere tra quattro tipi di sistemazione: al coperto sotto l'arcata, con le gambe di fuori, con le braccia di fuori o completamente allo scoperto. Sgombero periodico assicurato. Vicino al ponte puoi trovare un bar e un ristorante, ma se ti azzardi a metterci il naso ti sparano. Per avere informazioni presentati di persona.

Tutti in fila per il permesso di soggiorno

Vieni anche tu davanti alla Qvestvra® per cercare di avere il permesso di soggiorno. Prova anche tu l'ebbrezza della clandestinità. Mettiti in fila il 4 febbraio alle 2 di notte, con una temperatura di 5 gradi sotto lo zero, e ti regaliamo un pezzo di marciapiede dove stare a sedere, un pacchetto di fiammiferi e una copia di Capital o di Vanity Fair per ingannare il tempo. Ovviamente non è detto che il permesso te lo diamo; anzi, è più probabile che ti prendiamo e ti mettiamo in un CIE. Vicino alla Qvestvra puoi trovare tanti bei poliziotti che non aspettano altro. Per avere informazione, forse è meglio che non ti presenti.

venerdì 14 gennaio 2011

Profezie


Cliccare sulla foto per ingrandirla.

Ne vale la pena, credetemi.

giovedì 13 gennaio 2011

Mirafiori


"Non esiste soltanto il potere, la classe dominante, con il suo comportamento che può essere determinato storicamente. Esiste anche il consenso di persone che hanno responsabilità intellettuali o politiche, e che tendono a lasciar andare: in definitiva, si tratta di un atteggiamento di complicità. Ho cercato di esprimerlo in una canzone chiamata Gli eunuchi. Questo è un paese di eunuchi (...) Finiranno per divorarsi fra di loro, come dice Brecht." - José "Zeca" Afonso, 1970.

Gli eunuchi si divorano tra loro,
Non cambiano divisa, son venali
E quando gli altri sono fatti a pezzi
Difendono i tiranni dai paesi,
Difendono i tiranni dai paesi.

In tutto sono più o meno dei boia,
I caporioni nel serraglio degli arem,
E quando gli altri sono fatti a pezzi
Non ammazzano i tiranni, chiedon di più,
Non ammazzano i tiranni, chiedon di più.

Sopportano serafici ogni dolore
Con l'olimpica visione dei samurai,
C'era un servo di troppo nella satrapia
Ma fu buttato nella tana degli sciacalli,
Ma fu buttato nella tana degli sciacalli.

Prosternandosi alla luce del giorno
Sbavano addosso ai maggiorenti,
E quando gli altri sono fatti a fette
Non ammazzano i tiranni, chiedon di più,
Non ammazzano i tiranni, chiedon di più.

martedì 11 gennaio 2011

Just a little question


"Ma se a Marco Biagi hanno sparato,
a Marchionne cosa gli si dovrebbe fare...?"


(Telefonata a Radio Popolare, 11 gennaio 2011.
Immediatamente interrotta, sembra.)

giovedì 6 gennaio 2011

Pubblicità Progresso


Giovane,
Precari*,

Disoccupat*
Cassintegrat* !

Marchionnizzat*!

Senti che il futuro non ti riserva niente?
Ti senti esclus* dal sistema?

Desideri finalmente un avvenire carico di notorietà?

Vuoi conoscere i personaggi pubblici più noti?

Aspiri ad essere bipartisan?

Vuoi comparire sulla colonnina di destra di
Repubblica
(magari accanto a Amy Winehouse)?

Senti dentro di te ardere il fuoco del giustizialismo?



Diventa allora anche tu

PARENTE DI UNA VITTIMA
DEL TERRORISMO ROSSO !*

Potrai finalmente:

a) Contribuire alla vendetta infinita
b) Far parte dell'esclusivo club dei Parenti di Serie A**
c) Manifestare tra saluti romani e croci celtiche
d) Invocare quotidianamente ergastoli sui mass media
e) Essere intervistato giornalmente alla tivvù
f) Impedire a questo paese di chiudere i conti con la sua Storia
g) Essere invitato alla prossima edizione di "Vieni via con me"

e tante altre interessantissime cose
che daranno finalmente un senso alla tua vita!
***



*Per iscriverti non hai limiti di tempo.
Abbìnati anche tu a una vittima dei maledetti rossi
e riceverai subito, gratuitamente, un'intervista al TG1 di Minzolini!

**Sono categoricamente esclusi dall'offerta:

1) Parenti delle vittime di stragi di stato,
di Giusva Fioravanti e di Francesca Mambro,
della banda di poliziotti neofascisti della Uno Bianca;

2) Parenti delle decine di cittadin*
uccis* dalle "Forze dell' Ordine" dal 1946 a oggi
(circa 700)

3) Parenti delle vittime di Ustica,
del Moby Prince e di Viareggio;

4) Parenti di tutti i morti in galera;

5) Parenti di ogni tipo di morto sul lavoro;

6) Parenti delle centinaia di vittime
del dissesto idrogeologico

7) Parenti delle vittime della Casa dello Studente dell'Aquila

8) Vari ed eventuali.



*** Tra i/le prim* iscritt* verranno sorteggiate
delle simpaticissime borse OXUS
di proprietà del camerata e cittadino giapponese
波元路伊 !

martedì 4 gennaio 2011

Il terrorista Battisti


a P. Padoout, funzionario.

Seguir con ansia un presidente brasiliano e poi
ritrovarsi a sbavare
manifestare in quattro gatti e trykolori
un sottile dispiacere
e intervistare cento volte lo stronco per scoprire
che è stato il padre a sparare
domandarsi dove sia delinquenza e schifezza
in fondo al cuore
perché i fascisti fan rumore
e unanimismi e Repubblica edizione notte
per vedere
se poi è tanto difficile mentire
e scrivere articoli e firmare
La Russa e
la Santanchè
e maledire persino Pelé
Capire tu non puoi
tu chiamale se vuoi
estradizioni
te le fotti le tue
estradizioni


Uscir dal parlamento una mattina
e non capire un casso
faccia da orango lesso
Parlar di denunciare il trattato militare
per ore ed ore
dal piddì fino all'itaglia der valore
e ricoprirsi d'un regime di merda
fin dentro le ossa
mentre all'Aquila c'è un'altra scossa
E prendere a galere un uomo solo
perché non sa il giapponese
sapendo che non gestisce le tue imprese
e scrivere menzogne da leccare
Gasparri e
la Santanchè
e maledire pure Nené
Capire tu non puoi
tu chiamale se vuoi
estradizioni
te le fotti le tue
estradizioni.




Mirror

sabato 1 gennaio 2011

Brasile e altri Brasili


Centro Popolare Autogestito Firenze Sud, 31 dicembre 2010.

Galere e fughe....

La prima volta che Andrea Parodi ha suonato e cantato la canzone che segue davanti a me, circa un paio di anni fa se ben mi ricordo, ha detto che, “almeno in parte”, sarebbe “ispirata” al sottoscritto. Naturalmente mi fa piacere, anche se non so esattamente che parte io abbia in questo testo ancora “inedito” (nel senso non pubblicato in album; ma, come è noto, gli album di Andrea si fanno attendere svariati anni). Poco importa; essere anche parte ignota in una canzone come questa, che ha del meraviglioso, è per me una sorta di titolo, seppur pienamente immeritato. Chissà, forse la mia parte è quella del...porto di Livorno. Interpretare un porto intero, ed un porto sul quale certe notti “che tagliano più del vetro” le ho passate davvero, mi starebbe più che bene. C'è un altro porto, quello di Rio; sarà sicuramente quello de Janeiro, in Brasile. Per mio conto, di Rio ho soltanto Rio Marina, all'Elba.

Ma è una canzone di galera, questa. Una canzone di cella, anzi. Forse non si ha ben presente che quel che va sotto il nome di “galera” (“prigione”, “carcere”, “penitenziario”, “gattabuia”...) è in realtà un alveare chiuso; non per niente, di “celle” si parla proprio anche per gli alveari, per le arnie delle api. Un insieme di celle, di stanze chiuse ermeticamente nelle quali degli esseri umani vivono una vita sospesa da ogni cosa. Sopravvivono sognando, forse. Sognando la fuga. Per sognare la fuga ci vogliono dei ricordi precisi, oltre che le condizioni materiali per tentarla; ci vogliono immagini, rumori, odori.

Nelle celle delle galere, dicono, ci stanno gli “assassini”; e, in questa canzone, gli assassini sono in ogni riga. A partire dalla prima, dove l'assassino è l'ombra del vento, fino all'ultima dove l'assassina (a lama di coltello) è la notte. Il vento e la notte racchiudono gli assassini rinchiusi tra delle mura invalicabili, quasi fossero anche loro delle muraglie seppure impalpabili; chi è già fuggito, in un Brasile che è terra di fughe per eccellenza, e chi sogna di fuggire. Ci sono racconti di profumi, piano di azione, i pacchi e le lettere dall'esterno, e le speranze; c'è, soprattutto, una galleria. Il piano è messo in atto, il buco nella terra, l'avanzare lento. Qualcuno non ce la fa ed è ripreso “a metà galleria”; qualcun altro non può fare altro che uscire e tornare al porto di Livorno. Sembra quasi che il...seguito di questa canzone sia, poi, ”Dolce Luna” di Fabrizio de André, col suo porto paralizzato, con un altro omicidio, con la sua balena. E dal porto di Livorno, di navi per il Brasile ne partono, eccome se ne partono.

Un grande giorno per tutti, sì, quando si riesce a fuggire da una galera qualsiasi. Anche da quella del vento e della notte. Anche da quella che tutti noi ci costruiamo addosso giorno per giorno; finché, per dei casi fortuiti, a volte non ci ritroviamo in quelle edilizie, più o meno bene costruite, con le sbarre, il mangiare di casanza e l'imperativo di scavare una galleria pur non sapendo se a metà ci sarà a riprenderti l'autorità. Andrea Parodi, tutte queste cose ce le ha raccontate bene, in questa canzone di poveri, sgangherati Corti Maltesi alla deriva. Dei Corti Maltesi ai quali, a suo modo, ha scritto una ballata d'un mare amaro, onda dei fuggiaschi, abisso di noi stessi.


Il Brasile nel "Covo".


L'ombra del vento è un assassino
che ha ceduto al suo dolore,
Si è sdraiata dove passa il treno
a pochi passi dal tuo cuore.

Luigi parla poco, e quando parla
non ti dice cosa fare
Ti è rimasta soltanto quella pipa
e una casa da pagare.

Miralo bene,
colpisci da lontano
Respira, trattieni il fiato,
tieni ferma la tua mano.

A Livorno mi venne incontro un uomo
vestito da serpente,
Occhi rossi, grossi anelli, poca barba
e nemmeno un dente

Mi offrì da bere e un lavoro
sulla nave "Grazia di Dio",
Dopo tre mesi arrivammo in Brasile,
sul porto di Rio.

E i bambini ci venivano incontro
come si va incontro alla vita
E le madri sulle porte, le caviglie
gonfie e i rosari fra le dita.

Dopo tre anni mi consegnarono una lettera
che arrivava da Verona,
Dovevo costituirmi
per omicidio di persona.

È febbraio ed è l'ultima volta
che vedo questo mare,
Non è mai il momento giusto
per fermarsi a ricordare.

Non conosco mio padre
e non l'ho mai cercato,
Ma conservo ancora lo sguardo
e la voce che mi ha dato.

Non importa più chi sono,
se sia marzo oppure aprile
I compagni di cella
mi chiamano Brasile.

Gli racconto del profumo
del cacao e del caffè
e di questa strana nostalgia
che non sanno cos'è

Il tetto del cielo
infinito di questo viaggio,
la tristezza finirà domattina
dentro un altro tatuaggio.

Ettore ha ammazzato sua sorella
o l'ha aiutata a dormire,
Sono mesi che studia un piano
infallibile per farci uscire.

Proprio oggi ho ricevuto un'altra lettera
e la mia vecchia pipa,
Non mi sento di aprirla, fumavo sì,
ma in un'altra vita.

E domani riusciremo a fuggire
e sarà un grande giorno,
E chissà se mi aspetta un'altra nave
al porto di Livorno.

I miei compagni li hanno presi
a metà galleria,
E ora mi restano la mia ombra e una faina
a farmi compagnia.

Guarda avanti, non puoi
più tornare indietro,
Striscia nudo in mezzo al fieno, ché questa notte
taglia più del vetro.


BRASIL
de Andrea Parodi
Tradução de Riccardo Venturi.

A sombra do vento é um assassino
que cedeu a seu sofrimento,
Ela se deitou onde passa o trem,
a poucos passos do teu coração.

Luis fala pouco, e quando fala
não te diz o que fazer,
Ficou-te só aquele cachimbo
e uma casa ainda a pagar.

Aponta bem para ele,
Acerta de longe,
Respira, sustem o sopro,
aguenta a mão.


Em Livorno foi-me ao encontro um homem
vestido de serpente,
Olhos vermelhos, grossos anéis, a barba rala
e nem sequer um dente

Deu-me para beber e um trabalho
no barco “Graça de Deus”,
Três meses depois chegámos ao Brasil
no porto do Rio.

As crianças iam-nos ao encontro
como se vai ao encontro da vida,
E as mães, nas portas, com os tornozelos
inchados e os terços entre os dedos.


Três anos depois me entragaram uma carta
chegando de Verona,
Eu tinha que me entregar
por homicídio de pessoa.

É fevereiro e é a última vez
que eu vejo este mar,
Não é nunca o momento justo
de parar para lembrar.

Não conheço meu pai
e nunca o busquei,
Mas ainda tenho o olhar
e a voz que ele me deu.


Já não importa quem sou,
se é março ou abril,
Meus camaradas de cela
chamam-me Brasil.

Eu lhes conto do perfume
do cacau e do café
e desta saudade estranha
que não sabem o que é.

O telhado do céu
infinito daquesta viagem,
a tristeza vai acabar amanhã
em outra tatuagem.


Héctor matou sua irmã
ou ajudou-a a dormir,
Desde meses vai preparando um plano
infalível prá nos fazer sair.

Hoje mesmo recebei outra carta
e o meu velho cachimbo,
Mas não tenho coragem de a abrir,
eu fumava, sim, mas em outra vida.

E amanhã vamos conseguir sair,
e vai ser um grande dia,
E quem sabe se me esperar outro barco
no porto de Livorno.

Meus camaradas, os tomaram
a meio do túnel que cavaram,
E agora me ficam minha sombra e uma fuinha
que me fazem companhia.

Olha para a frente,
já não podes voltar para trás,
Rasteja no feno, esta noite
corta mais que o vidro.



Olhos de céu e sombra para a liberdade.