venerdì 25 dicembre 2015

Nedeleg e Pontoi



Di prim'acchito mi era venuto da pensare se Pontoglio (Brescia) fosse mai comparso nel famoso giochino Una gita a... della Settimana Enigmistica, a pagina 21. 51 orizzontale, la meta della nostra gita. Cinque o sei foto, di cui tre fisse: il panorama, la parrocchiale e il municipio. Chissà.

Pochi giorni fa sono venuto a sapere, invece, che Pontoglio (Brescia), nella parlata locale si dice Pontoi. Allora un giochino me lo sono fatto da solo, in uno dei miei interminabili viaggi in autobus:

Se Pontoglio è Pontoi, allora:

- Bergoglio si dice Bergoi
- Beppe Fenoglio si dice Beppe Fenoi
- amore vieni qua che ti spoglio si dice amore vieni qua che ti spoi
- data la profonda tradizione cristiana, separare (o sceverare) il grano dal loglio si dice il grano dal loi
- naturalmente, a Pontoglio l'erba voi non cresce nemmeno nel giardino del re (o del sindaco)
- è con profondo cordoi che si annuncia la scomparsa dei cittadini illustri
- sempre nella profonda tradizione cristiana, il papa viene eletto al soi pontificio. Anzi, meglio: al soi pontoglificio (o pontoificio).

Dal cartello fatto installare dall'amministrazione comunale di Pontoglio/Pontoi (Brescia) si evince anche che la cultura Occidentale è preceduta dalla preposizione "a". E allora mi sono fatto un altro giochino sull'autobus.

Quando un'espressione è preceduta, in questi casi, da "a", ciò indica usualmente il raggiungimento di qualcosa, tipo:

- Pontoglio, paese a emissioni gas di scarico ridotte del 54%
- Pontoglio, paese a elevata automazione
- Pontoglio, paese a misura dei bambini
- Pontoglio, paese a smaltimento massimo dei rifiuti organici

Quindi, la preposizione "a", usata in questo modo, indica il raggiungimento di uno scopo. Nel caso di Pontoglio / Pontoi (Brescia), la cultura Occidentale. Resta quindi da indagare quale sia stata la cultura di Pontoglio / Pontoi (Brescia) prima del raggiungimento di quest'ambito traguardo. Che sia stato un paese a cultura Villanoviana? O un paese a cultura della Bandkeramik? Un paese a cultura Celtica (per questo ho intitolato questo post in lingua bretone)? Un paese a cultura Bresciana? Un paese a cultura Milanista e/o Interista? Un paese a cultura Inesistente? Nell'attesa dei risultati delle indagini storiche e degli scavi archeologici, gioisco anche io per l'avvenuto raggiungimento, da parte di Pontoglio / Pontoi (Brescia) della cultura Occidentale a elevata automazione.

Infine, mi è venuto da pensare, oramai quasi giunto al capolinea, quali siano la cultura e le tradizioni locali che si dovrebbero rispettare a Pontoglio / Pontoi (Brescia).

Apprendo quindi (da Wikipedia) che un eventuale portatore di altre culture che volesse stabilirsi a Pontoglio / Pontoi (Brescia) si troverebbe di fronte alla tradizione di festeggiare la santa patrona, Santa Maria Assunta (a tempo indeterminato) non nel suo giorno canonico, il 15 agosto, bensì il 17 gennaio, festa di Sant'Antonio Abate. Cioè, anche mettendocela tutta: si dovrebbe rinunciare a una bella festa per Ferragosto e andare a rifinire in una giornataccia di pieno inverno. Poi dice che si diventa mussurmàni.

Rispettando le tradizioni storiche, il solito eventuale neo-pontogliese dovrebbe onorare e ricordare la famosa battaglia della Malamorte, svoltasi in località Cicalino il 6 e il 7 luglio 1191. No, dico: la battaglia della Malamorte. Da mettersi le mani sui coglioni (anzi, pardon, coini) e scappare via all'istante.

Poi sembra pure che, durante la II guerra mondiale, dodici partigiani locali perirono affrontando una colonna fascista in ritirata, guidata nientepopodimeno che da Roberto Farinacci, il "ras" di Cremona. Quindi, per rispettare le tradizioni locali bisognerebbe pure affrontare i fascisti a mano armata. Ecco, qui direi che un eventuale neo-pontogliese dovrebbe rispettare alla lettera le tradizioni locali, così come richiesto dal cartello. Sennò sarebbe invitato ad andarsene.

Tra le persone legate a Pontoglio / Pontoi, in tutto cinque, quattro sono ecclesiastici (preti o frati). Di uno, padre Giuseppe Beccarelli (1666-1716) si legge che fu perseguitato dalla chiesa cattolica. Nelle tradizioni pontogliesi rientra dunque anche la persecuzione da parte della profonda tradizione cristiana. Un altro pontogliese illustre, don Giuseppe Calabria, andò a fare il missionario a Rottweil. A Rottweil?? In una cittadina del Baden-Württemberg? Quella dei famosi cani? Va bene. Si rispetti la profonda tradizione cristiana e si vada a evangelizzare, che so io, un quartiere di Stoccarda. O la città di Friburgo in Brisgovia. Il quinto pontogliese illustre è un pittore.

Poi è arrivato l'autobus, e ho smesso coi giochini. Siate indulgenti: per andare a trovare mia madre devo prima aspettare il 9 che salta le corse, poi prendere la tranvia, scendere alla stazione e prendere il 17. Ci vuole un'ora abbondante se va bene. Quando sono sulla tranvia, mi metto a sedere, caccio fuori la Settimana Enigmistica e mi metto a fare le parole crociate. Se un giorno, a pagina 21, troverò Una gita a Pontoglio, mi sentirò pervaso dalla profonda tradizione cristiana  e dalla cultura Occidentale.

Buon compleanno di Horus a tutt*.


lunedì 21 dicembre 2015

Carmen de anarchistā Pinelli



Illō vesperī aer calebat
Mediolanī, heu, valdē calebat!
“Custos, aperī parum fenestram”,
Improvisō concidit Pinelli.

“Dixi tibi et iterum dico,
Procurator, me esse innocentem;
Anarchia non indicat pyras!
Aequitatem, immō, in libertatē.”

“Nolī persĕqui tua mendacia,
Tuus sodālis Valpreda confessus;
Petitiōnis auctor vidētur,
Scīmus eius te esse socium.”

“Sed non fēcit!” clamat Pinelli,
“Consodālis talia non facit!
Apud dominos quaerĭte auctōrem
Huius sceleris, non apud nos.

Aliae pyrae collocabuntur
Ad contentionem classium tenendam;
Domini sciunt et grapheocratae
nos vobiscum non collucuturos.”

“De hōc satis, suspecte Pinelli!”
- Calabresi clamabat inquiētus -
,,Custos, aperī parum fenestram,
Praecipitium hinc non superēris.”

Aer mensē Decembrī calebat
Mediolanī, heu, valde calebat!
Aperīre fenestram sufficit
Et expĕllere inde anarchistam.

Interērant post aliquos dies
Tuis exsequis tria milia sodālium,
E nos nēmo obliviscī potest
Quod iuxta feretrum iuravit.

Collum tibi fregērunt iam mortuō,
Concidisti iam prius interfēctus
Calabresi ad scriptorium redīt
Sed ab animō suō quiēs abiit.

Te ut taceres interfecērunt
Quāre fraudem benē perspexisti,
Dormis nunc et tacēs in perpetuum,
Sed tuam mortem citō ulciscēmur.

Progressūs et reconciliatiōnis
Fautores, vos spernimus omnes,
Prō Valpredā, Pinelli omnibusque
Hoc tantum nunc est faciendum.

Operarii atque laboratōres
Damnatiōnem obsignant vestram,
Et pavescunt nunc principes omnes,
Iurisdictio iudicium patiētur.

Calabresi cum Guidā fascistā,
Mementōte quot diutinos annos,
Serius ocius aliquid eveniēt
Quod de Pinelli commonebit.

Illō vesperī aer calebat
Mediolanī, heu, valdē calebat!
“Custos, aperī parum fenestram”,
Improvisō concidit Pinelli.
 
 
Per la versione latina è stata coscientemente adoperata la versione di Joe Fallisi, detta anche “Progressisti e recuperatori” dalla strofa che non viene quasi mai cantata, perché sgraditissima a parecchi (l'ho constatato anche pochi giorni fa a Carrara: non la conoscono più nemmeno gli anarchici). La traduzione è in pentametri latini, corrispondenti pressappoco a dei novenari italiani (ma con qualche imperfezione). L'indicazione delle lunghe e di qualche breve dovrebbe, almeno nelle intenzioni, facilitare la lettura e il canto. Noialtri il “giubileo” ce lo facciamo a modo nostro, anche piegando il latino ad usi un po' insoliti ma restituendogli la sua qualifica di lingua normale.

sabato 12 dicembre 2015

I Re Magi


Nella foto, da sinistra a destra:
 
Il sciur Mazzacurati, il sciur Salvini e il sciur Brambìla vestiti da imbecilli Re Magi
presso l'asilo ove, povera innocente, pare sia accudita la figlia di quello nel mezzo
(alla quale auguriamo vivamente di diventare, l'âge venu, una nota anarchica insurrezionalista).
I tre personaggi, compreso quello nel mezzo, si sono prestati a figurare in un "presepe", vero fondamento della civiltà chrystiana occydentale, ignorando forse che i "Re Magi" dovrebbero essere stati persiani zoroastriani. Ai tre signori, che per abbigliarsi da deficienti Re Magi debbono avere saccheggiato la tappezzeria di casa, non resta che augurare buonnatàle, visto che ci tengono tanto; alla figlia di quello nel mezzo, invece, diciamo con somma perfidia che GESU' BAMBINO NON ESISTE (*). Gghghghghgh!!!!!   

(*) E neppure Babbo Natale.

lunedì 7 dicembre 2015

domenica 29 novembre 2015

En ce moment, oui, je suis Paris!



 
à bas l'état policier !

domenica 22 novembre 2015

Serge Quadruppani: Scrivo il tuo nome, sicurezza

Serge Q. : Suggestion pour le drapeau de la future garde nationale / Suggerimento per la bandiera della futura guardia nazionale



Il 22 novembre 2015, vale a dire “oggi” nel normale computo del tempo, Serge Quadruppani (che ho avuto occasione di incrociare lo scorso giugno a Bologna, senza scambiarci nemmeno una parola ma canticchiandogli sulla sua faccia un po' sorpresa una canzone di Brassens) ha scritto questa cosa sul suo blog, Les Contrées Magnifiques. Come tutti, in questi giorni che definire “di merda” sarebbe un'indebita e del tutto ingiustificata offesa alla merda, ho cercato, per un naturale bisogno, delle “parole giuste”, con la piena coscienza di non poter riuscire a trovarle; così, quando oggi ho visto che cosa Serge Quadruppani aveva scritto facendo una parafrasi, o una specie di détournement della famosa poesia Liberté di Éluard (personaggio sul quale ho avuto e continuo ad avere peraltro parecchie riserve), ho pensato che quelle parole giuste le avesse trovate lui. Stop. Così mi sono messo immediatamente al lavoro, perché oltre che giuste le ho ritenute parole urgenti e necessarie. La traduzione italiana che ho fatto quasi in “tempo reale” avrà, naturalmente, tutti i difetti di qualcosa fatta sotto l'imperativo di far conoscere immediatamente quelle parole; essendo quello di Quadruppani un testo a sua volta legato all'immediatezza, agli eventi e alle repressioni in atto nel nome della “Sicurezza”, agli Stati di Emergenza, ai coprifuochi e a tutto ciò che il massacro di Parigi ha messo in atto non soltanto in Francia, ma in tutto il “mondo occidentale”, si tratta di un testo non semplice che ho cercato di corredare di Note le quali, peraltro, non spiegano tutto. Qualcosa sì, però. Un'altra cosa da fare sarebbe, forse, cercare di adattare in un futuro questo testo alla realtà italiana e/o di altri paesi, con le loro identità e le loro specificità. Senza però perdere di vista che Quadruppani si riferisce ad una realtà che è generale, a partire dalla “Francia” ma che coinvolge tutta la terra, tutto, tutti. 



SCRIVO IL TUO NOME, SICUREZZA

Sui killer narcisisti della modernità
sui machos insoddisfatti del gangsta rap convertiti in bigotti
sulle troie passate da Closer [1] al niqab
sulle loro necessità di esistere che si esprimono in massacri
sull'immenso buco spalancato puzzolente purulento del vuoto metafisico dell'Occidente
sul milione e trecentomila morti della “guerra al terrorismo”
sui torturatori facebook
sui segnalati vivi facebook
sui tricolori per endovenosa facebook
sull'indicibile immensità dei dolori rapita dai mercanti di paura e di tricolore
sulla forza di coloro che sono tanto sicuri che alle vittime assassinate sarebbe tanto piaciuto che per loro si cantasse la marsigliese
su quei morti che si vuol far marciare al suono della tromba patriottarda
sui neocon stronzi, sui falchi finti tonti, sui veri editocrati leopardati [2]
pronti a denunciare i collaborazionisti che non marciano al passo della loro musica militare
sul sangue impuro che irrorerà i nostri solchi [3]
sui corpi triturati di Beirut, Bagdad, Yola, Parigi, Kano, Bamako, Mogadiscio
sui quartieri sottoposti a coprifuoco come punizione collettiva
sugli Schedati S [4] di cui sicuramente faccio parte grazie al maggiore Didier D. [5]
sui campi di internamento che non si esclude di riservare loro
sulla milizia, pardon, sulla guardia nazionale che non si esclude di creare
sull'armamento delle polizie municipali
sui braccialetti elettronici
sulla sorveglianza generalizzata
sulla passione per la polizia
sul rimprovero di non reagire in quanto comunità che si rivolge ad una popolazione alla quale si rimprovera il suo comunitarismo
sull'86% dei francesi che approverebbero
sul 14% che ringrazio di disapprovare l'eventualità del mio internamento
sugli “un po' meno libertà” per un “un po' più di sicurezza”
sulla “sicurezza prima libertà”, uguale alla “libertà prima sicurezza”, falso rilasciato dalle autorità competenti
su chi è d'accordo di morire per tutto ciò che è fabbricato da una civiltà mortifera a colpi di motori a scoppio, degrado della natura (compresa quella umana), avvelenamento medicinale dei fiumi, ogmnanotecnologiepesticidifattoriproduttiviamiantonucleare, d'accordo di morire di ogni cosa tranne di terrorismo, che è peraltro del tutto organico a questa stessa civiltà
su chi è pronto a morire per difendere questa civiltà, e ci s'impegna, e ci si impegna ancora tre volte più di prima
sull'atto di resistenza inaudito consistente nel bersi una birra a un tavolino fuori da un bar
sulle manifestazioni vietate,sulla COP21 [6] sbarazzata dall'unica sua parte che sarebbe stata interessante, la contestazione senza quartiere verso di essa
sul curioso destino del termine “radicalizzazione”, che ci impedisce di affrontare le cose alla radice
sull'angoscia paralizzante, sulla diffidenza che cresce, sul sorriso che s'increspa
scrivo il tuo nome,
Sicurezza.



J'ÉCRIS TON NOM, SÉCURITÉ

Sur les tueurs narcissiques de la modernité
Sur les machos insatisfaits du gangsta rap convertis en bigots
Sur les pétasses passées de Closer au niqab
Sur leurs besoins d'exister qui s'expriment en carnage
Sur l'immense trou béant puant purulent du vide métaphysique de l'Occident
Sur les 1 300 000 morts de la "guerre au terrorisme"
Sur les tortionnaires facebook
Sur les signalés vivant facebook 
Sur les tricolores par injonction facebook
Sur l'immensité indicible des chagrins kidnappée par les marchands de peur et de tricolore
Sur la force de ceux qui sont si sûrs que les assassinés auraient aimé qu'on chante la marseillaise pour eux
Sur ces morts qu'on veut faire marcher au son du clairon patriotard
Sur les néo-cons, faux cons, vrais éditocrates en tenue léopard
prêts à dénoncer les collabos qui ne marchent pas au pas de leur musique militaire
Sur les sangs impurs qui abreuveront nos sillons
Sur les corps hachés menus à Beyrouth, Bagdad,Yola, Paris, Kano, Bamako, Mogadiscio
Sur les quartiers soumis à couvre-feu comme une punition collective
Sur les fichés S dont je fais sûrement partie grâce au major Didier D
Sur les camps d'internement qu'on n'exclut pas de leur réserver
Sur la milice, pardon la garde nationale qu'on n'exclut pas de créer
Sur l'armement des polices municipales,
les bracelets électroniques
la surveillance généralisée
l'amour de la police 
Sur le reproche de ne pas réagir en tant que communauté adressée à une population à laquelle on reproche son communautarisme
Sur les 86% de français qui approuveraient
Sur les 14% que je remercie de désapprouver l'éventualité de mon internement
Sur les "un peu moins de liberté" pour "un peu plus de sécurité"
Sur les "sécurité,première des libertés", aussi vrai-faux que "liberté première des sécurités"
Sur ceux qui sont d'accord pour mourir de tout ce qu'une civilisation mortifère fabrique à coup de moteurs à explosion, dégradation de la nature (y compris humaine), empoisonnement médicamenteux des rivières, ogmnanotechnologiespesticideintrantsamiantenucléaire, d'accord pour mourir de tout sauf du terrorisme pourtant consubstantiel à cette civilisation même
Sur ceux qui sont prêts à mourir pour défendre cette civilisation et s'engagent se rengagent trois fois plus qu'avant
Sur l'acte de résistance inouï consistant à boire une bière en terrasse
Sur les manifs interdites, la COP21 débarrassée de la seule partie qui aurait été intéressante, celle de sa contestation virulente
Sur le curieux destin du mot "radicalisation" qui nous interdit de prendre les choses à la racine
Sur l'anxiété qui paralyse, la méfiance qui monte, le sourire qui se crispe
J'écris ton nom,
Sécurité.

ALCUNE BREVI NOTE

[1] Closer è un film del 2004 Mike Nichols, con Jude Law, Natalie Portman, Julia Roberts e Clive Owen, tratto dall'omonima opera teatrale diPatrick Marber. Riporto la breve trama da Wikipedia: “Dan, un giornalista di necrologi aspirante scrittore, si fidanza con Alice, stripper americana in cerca di fortuna a Londra. Poi però conosce la fotografa Anna, si innamora di lei ed è disposto a tutto pur di averla. Chattando sotto falsa identità con un dermatologo e fingendosi proprio Anna, Dan spinge il dottor Larry tra le braccia dell'ignara donna. I due si sposano, ma lo scrittore non si dà per vinto: provoca la separazione tra Larry ed Anna, ma poi finisce per farsi mettere nell'angolo dal dermatologo che si concede anche una notte al sex-club con Alice. Ma chi è veramente Alice? Alla fine Alice (Jane) lascia Dan perché lui la costringe a confessare il "tradimento" con Larry, che torna con Anna.”

[2] Se cosa sia un “editocrate” dovrebbe essere chiaro, suggerisco di tenere presente il probabile gioco di parole tra “tenue léopard” (costume o abito leopardato) e i carri armati Leopard. “En tenue léopard” potrebbe voler dire “in tenuta da carro armato”. Ma è, chiaramente, una mia interpretazione personale. Ma c'è tutta una serie, qui, di giochi di parole che sono soliti essere definiti “intraducibili”: dai “neo-cons”, vale a dire i “neocon”, i neoconservatori che in francese può essere inteso anche come “neostronzi” ai “faux cons”, “finti tonti” ma omofono di “faucons” (falchi). Ho cercato di rendere come meglio mi è riuscito.

[3] Si tratta di uno dei più famosi versi della “Marsigliese” (qu'un sang impur abreuve nos sillons). 

[4] Gli “Schedati S” sono i titolari delle “Schede S” (Fiches S), vale a dire i dossier aperti generalmente dalla Direzione Nazionale del Ministero degli Interni francese su personaggi sospettati di attività nocive per la Sicurezza dello Stato. Per qualche informazione più ampia si veda qui; è in francese, ma in tempi in cui tutti, persino sui campi di pallone di serie B, cantano la “Marsigliese”, non sarà un problema. Os arm' situaièn, formè vo' bataiòn!

[5] Si tratta dello scrittore Didier Daeninckx (che leggo si definisce “comunista libertario”), che ha avuto una polemica con Quadruppani a proposito della libertà di espressione dei Negazionisti (in particolare di Robert Faurisson). Si veda a proposito, per farsi almeno un'idea della cosa, l'articolo Serge Quadruppani su fr.wikipedia.

[6] La “COP21” è la “Conferenza Internazionale sul Clima” (o “Sustainable Innovation Forum 2015”) che si terrà a Parigi, con debiti lutti e imponenti misure di sicurezza, il 7 e 8 dicembre 2015, con interventi di numerosi potenti della terra. Quale sia il vero “clima” in cui si svolgerà tale summit è facile immaginarlo. Essendo in vigore lo Stato di Emergenza, ogni tipo di manifestazione sarà ovviamente vietata (circostanza alla quale Quadruppani fa esplicito riferimento).


martedì 17 novembre 2015

...d'un vieux bouge a fait un palace.


In un angolo marcio
della Parigi povera,
su una piazza
c'è un vecchio bistrot
tenuto da un bestione
di merda.

Se hai il palato fino,
se ti ci vuole vino
di prima classe,
vai a bere a Passy,
il nettare di qui
non lo reggi.

Ma se hai la gola
foderata d'una armatura
d'acciaio,
gusta questa delizia,
questo vinaccio
minaccioso.

Ci troverai, là,
il fior fiore della
marmarglia,
tutti gli sfigati,
tutti i disgraziati
del posto

che vengono in fila
come aringhe
a vedere in faccia
la bella del bistrot,
la moglie di quel bestione
di merda.

Che io beva a fondo
l'acqua di tutte le fontanelle
Wallace,
se da oggi in poi
sedotto non sarai
dalla grazia

di quella fatina
che ha trasformato un buco
in un palazzo,
con le sue bellezze
tutte belle a posto
da cima a fondo.

Quei tesori squisiti,
chi li abbraccia, chi
li stringe?
E' davvero troppo
tutto questo per quel bestione
di merda.

E' ingiusto, è pazzesco,
però che ci vole-
te fare?
L'amore sta invecchiando,
non ci vede più
molto bene.

Se le fai la corte
bada che quel che dici
non la irritino,
sii educato, ragazzo mio,
mani a posto o
succede un casino.

Ché con la sua mano da schiaffi
punisce a ciaffate
gli audaci,
certo ancora non è nato
chi gliele farà
sotto il naso.

Non è ancora nato
il tipo fortunato
che sgelerà 'sto ghiacciolo,
che metterà di nascosto
le corna a quel bestione
di merda.

In un angolo marcio
della Parigi povera.
su una piazza,
una specie di fata
ha trasformato un buco
in un palazzo.

Georges Brassens, 1960.

domenica 15 novembre 2015

Guerra santissima


Man mano che passano le ore, appare sempre più chiaro quanto la guerra sia santa. Santissima, direi. Ma certamente non solo per i "jihadisti", o comunque li si voglia chiamare; la guerra e santa, santissima per tutti coloro che non aspettavano altro. Ce ne abbiamo anche noialtri, di jihadisti di tre cotte; anzi, per la maggior parte non vengono affatto dalle "banlieues" (quella parola che tutti amano tanto, ma che nessuno sa scrivere, specialmente fra il giornalistume). Gli jihadisti di casa nostra sono generalmente incravattati e occupano posti di "alta responsabilità", in alcuni casi addirittura altissima. Citazione d'obbligo per il jihadista François Hollande, presidente della Repubblica Francese, che oggi vuole prorogare lo stato di emergenza a tre mesi (per legge, non potrebbe oltrepassare i dodici giorni). Ah, che sogno! Mentre incassa la "solidarietà" mondiale persino sui campi di pallone della serie B italiana, mentre tutto il mondo è un profluvio di tricolori francesi senza nemmeno una bandierina libanese che ricordi quei cinquanta morti di Beirut del giorno prima (quelli non hanno "storie" e nemmeno scarpe, orologi o pupazzetti abbandonati sui marciapiedi), per non parlare dei ragazzi di Suruç e di Ankara per i quali nessun pianista itinerante si è scomodato a suonare non dico "Imagine" ma nemmeno una canzoncina qualsiasi, trova subito un codazzo di potenti, alti funzionari, magistrati e quant'altro felici come pasque. Gli jihadisti allàglièggrande eseguono, e loro passano all'incasso praticamente certi che le opinioni pubbliche saranno non solo passive, ma addirittura attivissime nel sostenerli. Un esempio perfetto, in queste ore, ce lo abbiamo anche a casa nostra. E' il signore qua sotto, con tanto di poltrona, cravattona e orologione.


Si chiama Franco Roberti e, nonostante il suo nome non sia magari noto a tuttissimi (principalmente perché non fa il calciatore e non ha partecipato a X Factor) occupa una carica non da poco: fa il Procuratore nazionale antiterrorismo. Come tale, non ha perso tempo; oggi, in un'intervista a Lucia Annunziata, ha dichiarato papale (e, in prossimità del "giubileo", l'aggettivo papale ci sta particolarmente bene): "Bisogna essere disposti a cedere una parte delle nostre libertà". Subito dopo, citando gli esempi degli Stati Uniti e della Gran Bretagna (quando si parla di "libertà", bisogna immediatamente citare almeno un paio di fari della democrazia), ha parlato esplicitamente della libertà di comunicazione; emmenomale che, undici mesi fa, tutti quanti "eravamo Charlie" e guai a toccare la libertà di espressione, valore occidentale fondamentale, messa a repentaglio dai terroristi. Undici mesi dopo, si invocano i bavagli di guerra con ottime probabilità che passino, dappertutto. 

Oggi sono in vena di grandeur, perdìo. Prima di continuare con il post, vorrei quindi rivolgere un appello alle autorità competenti, spero supportato in tutti i modi possibili (quindi, nonostante la mia avversione personale per questi mezzi, se volete tuittàtelo, facebuccàtelo, diffondetelo come vi pare anche coi pizzini e i piccioni viaggiatori) affinché il signor Franco Roberti venga immediatamente rimosso dalla sua carica e obbligato a dimettersi per il palese attentato alle libertà democratiche che ha compiuto. Mentre si ciancia, come sempre, di "democrazia" e di "libertà" da opporre all'oscurantismo fanatico e assassino, nei fatti si preme e si lavora affinché la libertà e la democrazia vengano limitate, represse, cancellate. Mentre si fa finta di "non avere paura", e lo si dichiara ad ogni pie' sospinto, si instilla sempre più la paura e il terrore; ed instillare il terrore si chiama, per l'appunto, terrorismo. Dichiarazioni come quelle di Franco Roberti sono, secondo tutti i crismi della Ragione e della Democrazia, terroristiche; per questo, anche e soprattutto per la carica che occupa, il signor Franco Roberti è indegno di occuparla.

Ma scherzo, naturalmente. Ma figuriamoci. Siamo oramai nella guerra santissima e, avendo tutti quanti una paura fottuta mentre, peraltro, ci illudiamo di non averla (specialmente da queste parti, che ancora non sono state toccate direttamente "alla parigina"), saremmo dispostissimi a rinunciare a ogni cosa, altro che alla sola "libertà di comunicazione". Già, tanto, non si "comunica" generalmente assolutamente nulla, a parte spedire tweet imbecilli e riempire paginate di idiozie, "amo", "teso", pallonismi e razzismi da tre soldi. Per questo, quando parlo di perfetta interazione tra jihadismi e guerre santissime, so di parlare di una cosa talmente palese da non aver neppure bisogno di una minima argomentazione. Sembra una partita di tennis dove i due contendenti, divisi da una rete di carta, si sono messi d'accordo perché entrambi vogliono esattamente la stessa cosa. Io ti faccio la volée di un bell'attentato clamoroso in mezzo alla Ville Lumière, io incasso e ringrazio con i tanto agognati stati di emergenza, coprifuochi, repressioni, limitazioni della libertà e controlli. Tutte cose che servono ad una cosa sola: tenere le società, oltre che in un perenne stato di paura, sotto un giogo sempre più stretto che, senza impedire minimamente atti come quello di Parigi (o com'è che, nonostante le "operazioni" tanto strombazzate, questi continuano a colpire come e quando vogliono...?), determina di fatto la fine definitiva della "democrazia".  Anche di quella "occidentale" classica. Una serie di staterelli di polizia riuniti in un'entità "sovranazionale" capace esclusivamente di politiche economiche scellerate e al servizio totale del capitale internazionale, "libertà" oramai ridotta al lumicino e ogni possibile sostegno dato a formazioni espressamente fasciste, razziste, naziste. Io sono curioso di vedere come "saremo tutti francesi" quando al posto di Hollande ci sarà Marine Le Pen oppure, di nuovo, Nicholas Sarkozy.

Parlano di "essere disposti a cedere una parte delle nostre libertà", quando le abbiamo cedute oramai praticamente tutte. Per questo è bastata una parolina magica: "legalità". I padroni hanno ordinato e loro hanno eseguito; ora i padroni, nella irreversibile crisi del capitalismo a tutti i livelli, hanno bisogno dell'appiglio naturale: la guerra. Per la guerra ci vuole un "nemico", che si sono fabbricati benissimo a base di "stato islamico" (prima foraggiato, finanziato, armato; e sentire adesso parlare uno come Erdogan o persino gli Arabi Inauditi di "lotta alle fonti finanziarie dell'ISIS" non so se fa più pena, schifo o malinconia, tanto per parafrasare una vecchia canzone). Il "nemico" deve essere quanto più possibile ripugnante, crudele, schifoso, sanguinario. Deve assassinare non solo le persone (specificando che mezzo milione di siriani o curdi non valgono certamente quanto 129 francesi o occidentali in genere, qualcuno pure di religione islamica), ma anche l'arte e la cultura; e in questo mi sembra che si sia dato molto più risalto alla distruzione di Palmira che alle centinaia di migliaia di morti e di profughi (però noialtri siamo molto sensibili a queste cose, guai a toccare l'arte anche se, in genere, prima che fosse distrutta dall'ISIS Palmira nessuno sapeva nemmeno dov'era e se si diceva "Palmira" a qualcuno, credeva fosse la bisnonna della sua vicina di casa). Deve assolvere, il nemico, non solo a queste funzioni, ma anche a quella -egualmente fondamentale- di convogliare la responsabilità e l'odio sulle masse di immigrati che sono previamente state cacciate via dai loro paesi oggetto di "riassetti" e mire varie. Alle "libertà" abbiamo dovuto dire addio oramai sai da quanto; si finisce sotto processo e/o in galera per un post su un blog, per una scritta su un muro, per la dichiarazione di uno scrittore, per un assembramento, per un compressore, per aver tirato due uova alla macchina del jihadista Salvini, per qualsiasi cosa che non rientri nel vaglio sempre più stretto della loro "legalità". E ci si finisce anche e soprattutto perché, tutte queste "libertà", le abbiamo cedute senza colpo ferire. Senza più lottare per esse. Senza più, probabilmente, che ce ne importi più granché. Le abbiamo sostituite con gli smartphone e coi "flash mob", e ora stai a vedere che dovremo cedere pure quelli. Dopo esserci autoschedati tutti per arricchire inverosimilmente il signor Zuckerberg, ci si accorge che tutto questo viene agevolmente sfruttato dagli "jihadisti". Dopo esserci resi, e volontariamente come tante pecorine obnubilate, tracciabili, schedabili, controllabili in ogni momento della nostra vita. 

Bene, su. Tanto ora c'è la guerra. Visto che va di moda il francese, à la guerre comme à la guerre. Cediamo tranquilli e beati una "parte della nostra libertà", che poi sarebbero i nostri tanto decantati "valori", quelli che ci distinguono dai fanatici invasati che invocano "dio". Poi, però, affolliamo le città, le piazze, gli stadi e quant'altro dietro a un signore tanto buono e bravo che parla di pace e ci dice che "compiere atti inumani in nome di dio è una bestemmia", quando l'istituzione di cui è a capo lo ha fatto per millenni. I nostri unici "valori" sono, attualmente, quelli di chinare sempre il capo e di cacarci addosso. Non solo davanti agli "jihadisti", ma anche e soprattutto davanti al potere. Il quale potrà fare tranquillamente, come sempre, la sua guerra e il suo denaro. E, contrariamente a quanto si dice, non siamo affatto "agli inizi". Le cose sono già iniziate da tempo, ma dovevamo accalcarci alle sei di mattina davanti all' "Apple Store" per comprare l'ultimo modello dell'iPod, dell' iPad, dell'iPhone, dell'iWar.

sabato 14 novembre 2015

Non-elogio della Follia


Basilea (Svizzera). La tomba di Erasmo Da Rotterdam, vittima olandese degli attentati di Parigi del 14 novembre 2015.

Dall' "Elogio" di Erasmo fino alle cretinate di Stiv Giobbs, a vari livelli e capacità, mi sembra che madama Follia abbia ricevuto un po' troppe lodi. Non è mai una buona cosa, la follia, e non la si può travestire di belle parole e di distinguo più o meno sottili e/o filosofici. Così ci ritroviamo, ancora una volta, in tempi dove la Follia regna padrona. Invasati che sparano in mezzo alla gente imbottiti di armi e di esplosivo, inneggiando al solito "grande dio" di turno; altri invasati che sui morti in mezzo alle strade inneggiano a guerre su guerre e vi costruiscono sopra luride carriere; chiusure sempre più spaventose che preparano alla perfezione l'esplosione prossima ventura; e, in mezzo a tutto questo, il collante. Si chiama denaro, profitto, capitale, controllo. Ora, le cose sono talmente chiare che non ci dovrebbe stare a ragionar tanto sopra, né a freddo e né a caldo dopo l'ennesimo massacro di gente qualsiasi in una qualsiasi città; anche perché di massacri ne avvengono ogni giorno, senza teatri o stadi. Ne avvengono ogni giorno senza che ce ne importi assolutamente nulla. Ce ne importa soltanto quando siamo toccati direttamente e avvertiamo che potrebbe toccare ad ognuno di noi, in qualsiasi posto e senza alcuna distinzione. Allora si percepisce bene che cosa sia quella Follia che ci piace tanto coccolare; solo che la percepiamo attribuendola soltanto ad alcuni. Invece la Follia si genera e si espande; si autoriproduce come un cancro, ed è sempre di più generalizzata. Non c'è nessuna differenza sostanziale tra il "kamikaze" che entra nella redazione di una rivista o in un teatro e compie un massacro, e l'umarell che sull'autobus invita l'autista a schiacciare la mamma rom con il bambino in braccio; nessuna differenza sostanziale tra il decapitatore e Matteo Salvini; nessuna differenza avvertibile tra il democratico presidente bombardatore e i capi delle orde naziste "religiose". Formano un ingranaggio perfetto. Tutte cose che si dovrebbero avvertire bene, perché non sono difficili da avvertire a due condizioni: la prima è farla finita coi bla bla, e la seconda è di smetterla di essere folli.

C'è una famosa battuta di Woody Allen che dice: "A me Dio non mi fa paura, è il suo fan club che mi spaventa". A tale riguardo, io sono spaventato in eguale misura sia dai fanatici "islamici", sia dalle folle che inneggiano al papa in visita. E non me ne importa nulla se gli uni siano i "cattivi" e gli altri siano i "buoni"; le favolette mediorientali, nelle quali peraltro nessuno "crede" veramente a parte una sparuta minoranza, ci stanno ammazzando tutti quanti e in tutto il mondo. E mi spaventa l'asservimento totale ad esse, mi spaventa dio sempre dalla loro parte, mi spaventano i potenti come mi spaventa l'uomo della strada anche se potrebbe essere la prossima vittima. In tutto questo, cerco come posso di non lasciarmi sopraffare da queste paure, perché la paura e il terrore sono i figli primogeniti della Follia. Figli primogeniti viziatissimi, che stanno ottenendo tutto e, in primo luogo, la loro ipertrofia. Ma certo, "dietro" tutto questo le "religioni" sono in massima parte dei comodissimi pretesti a portata di mano; lungi da me non tenere conto dei problemi sociopolitici, degli sfruttamenti, delle ingiustizie, delle ipocrisie assassine, di tutto quanto. Ma non bisognerebbe che tutte queste cose ci facessero passare e tollerare un momento di più la peste religiosa, la Follia che essa genera, lo strumento di morte che essa è in mano ai Folli. Che predichino guerra o "pace", che facciano gli oscurantisti o i progressisti, che agiscano per il "bene" o per il "male". Altro che i 126 morti di Parigi: non sono bastati secoli e centinaia di milioni di morti per capire tutto questo. Sarebbe urgente capirlo perché tutto questo ci sta portando, e a passi rapidi, verso la fine.

Dice Hollande che "stanerà" gli autori di tutto questo. Non c'è nessun bisogno di stanare chicchessia. Tutto e tutti ci stanno davanti agli occhi, dal terrorista al presidente, dal politicante all'uomo della strada, dal "mite" Mattarella che grazia il giustiziere a chi si fa esplodere in mezzo a una manifestazione. Sarebbe giunto il momento di stanare le vere cause di tutto questo, le quali peraltro non sono per nulla difficili da trovare. L'interazione tra chi ha aperto le porte dell'Inferno e l'Inferno che si è ritrovato ad avere quelle porte aperte a suo agio, ognuno coi suoi codazzi di servi. Aprire le porte dell'Inferno grazie ai loro riassetti geopolitici, ai loro ordini nuovi o vecchi, alle loro esportazioni di democrazia, ai loro bestiali finanziamenti di bestie, alle loro strategie che, tra l'altro, si sono dimostrate sempre stupide e dilettantesche. Mi guardo bene dai “complotti” o roba del genere; non si parla di complotti, qui. Si parla di perfetta interazione, vale a dire di un sistema organico di cause e di effetti. Che oramai i “primi ministri”, tipo Matteo Renzi, si rechino in certi paesi a vendere armi direttamente, non è un complotto: è normalissima cronaca. Il giorno prima vendono le armi all'Arabia Inaudita, e il giorno dopo fanno finta di frignare sui morti del Bataclan. Domani saranno di nuovo allo stadio a fare il tifo per Paulo Sousa e il giorno dopo a invitare a meditare sulle “parole di pace” del papa. La Follia ha le sue precise e prevedibili scalette.

Duole, allora, dover dare ragione a un personaggio come Assad; però quello che ha dichiarato in queste ore è assolutamente giusto. “La politica francese ha contribuito alla diffusione del terrorismo”, in sintesi. “Quello che è accaduto a Parigi noi lo viviamo da cinque anni”. Già, la “politica francese”, vale a dire di quel paese attorno al quale ora tutti “si stringono”; ma i francesi lo avranno saputo che cosa li attendeva, fin da quando il signor Carlabrunì decise di andare a bombardare in Libia? La Francia si è distinta tra tutti per il suo allegro attivismo, anche con Hollande & company; pensavano, questi signori, che sarebbero state tutte rose e fiori, per di più in un paese dove tutto, compresi gli attentatori radicali, viene tranquillamente fabbricato in casa con politiche scellerate di odio, di banlieues, di razzismo, di muscoletti securitari che si afflosciano costantemente? A ogni attentatuni ecco che compare il presidente o il ministro ad elencare le “misure di sicurezza senza precedenti”; stavolta addirittura lo stato di emergenza con tanto, si pensi un po', di possibilità di dichiarare il coprifuoco. Misure che, come tutto ha dimostrato ampiamente, non serviranno assolutamente a nulla. Guerra chiama guerra. Guerra chiama soldi. Soldi chiamano guerra. Poiché non sono bastati i millenni per dimostrare e comprovare tutto questo, non c'è da farsi nessuna illusione. Questi sono folli, e folli siamo noialtri che li stiamo ancora ad ascoltare e a seguire. La sovversione della Follia passa solo per un semplice, brevissima parola: No.

Ma dato che, ora come ora, la parola “No” è scomparsa dal vocabolario collettivo e personale, ed i pochi che ancora si azzardano a pronunciarla e ad agire almeno un po' di conseguenza vanno contro la “legalità” e sono perseguiti persino se scrivono qualcosa su un muro, sarà bene rassegnarsi, tirare avanti alla bell'e meglio, tacere sempre di più per salvarsi il culo e sperare di non andare a vedere un concerto rock o a assistere a una partita di pallone senza uscirne a gambe all'aria, visto che in guerra può succedere a tutti. Le alternative sono parecchio gettonate: i fronti nazionali, le leghe, i veri finlandesi, i fili spinati elettrificati, i muri ungheresi, croati, sloveni, i nazisti religiosi polacchi spiritualizzati da Radio Maria (quella polacca ci ha una “y” in più, Radio Maryja, e sembra di ascoltare il bollettino dell'ISIS), gli sciacalli italiani che riempiono le piazze bolognesi, le marianne, le marsigliesi e i tricolori, i nazionalismi, le chiusure che vengono perfettamente scardinate armi in pugno, l'indifferenza assassina verso ciò che succede appena fuori il proprio orticello. Siamo tutti francesi, come no, ma guai a essere tutti libanesi; eppure, appena prima Parigi c'è stata Beirut. Ma cosa vuoi che sia un attentato a Beirut, quelli ci campano di attentati. Cosa vuoi che siano cinquanta libanesi saltati in aria, e cosa vuoi che siano cinquecentomila siriani o roba del genere. Il capitalismo frigna forte solo quando i morti sono in mezzo alla “Ville Lumière” e si preoccupa ora per i “Giubilei” romani, specie ora che c'è il papa tanto buono e bravo. E pure di sinistra, vah! L'altro giorno è passato pure vicino a casa mia e c'era il Lungarno dei Pioppi -no, dico, il Lungarno dei Pioppi, mica Rue Voltaire o place de la République!- trasformato in una no man's land. Misura di sicurezza principe: la rimozione dei cestini della spazzatura. Sennò l'ISIS ci mette dentro le bombe. ISIS. Sembra la sigla di “Isolotto Isolotto”. Chissà come si sono sentiti sicuri i cittadini, il “fan club” che sbavava al passaggio del bravo monarca assoluto di sinistra a base di dio, e dio, e dio, sempre dio.

Se questa, allora, non è Follia, ditemi voialtri che cos'è perché io mi arrendo. Posso anche dichiararmi non folle, ma non serve a nulla: circondato dalla Follia, andrà a finire che anch'io lo diventerò, folle. Finché ce la faccio a resistere (scrivere “resistere” ora come ora, però, sembra una barzelletta), però, applicherò alcune regole dettate da quel minimo buon senso che mi è rimasto. Ad esempio, no, io non sono francese. Non siamo tutti francesi e non dovremmo esserlo. Non mi confondo con quei milioni e milioni di francesi che manderanno presto al potere una fascista e una razzista matricolata, aiutata dai suoi fratellini “islamisti radicali”. Non mi confondo con il francese Hollande che ci ha sempre i suoi cari aeroplanini carichi di grandeur, e poi si ritrova a sentirsi le bombe sotto le terga mentre assiste all'amichevole tra Francia e Germania allo stadio. Non ho da sentirmi francese, o italiano, o burundese, o della Georgia Australe; mi sento del mondo, e basta. Anche qui da un buco, da un ex garage dell'Isolotto (Firenze). Non ho da manifestare nessuna solidarietà a dei Folli e alle loro lacrime di coccodrillo. Non ho da sentirmi più “sicuro” se Alfano o chiunque altro mi manda trecentoottanta poliziotti in più, che magari arresteranno me o dei miei amici perché ho cercato di impedire che una mànica di servi fascisti portassero i loro slogan e la loro guerra, la loro razione di guerra, in un quartiere. Non ho da affiggere o sventolare tricolori o altre bandiere. Non ho da delegare la mia nascita, la mia vita e la mia morte a nessun personaggino soprannaturale e alle sue favolette (che a volte sono pure divertenti, ma altre volte sono terribilmente stupide e anche crudeli). Non ho nessuna verità e nessun dogma. Naturalmente, tutto questo non mi salverà, se putacaso se. A Parigi o all'Isolotto. Nessuno mi può dire se il mio vicino di casa non stia preparandosi per venirmi a comunicare che Allah è il più grande (akbar, porca puttana, è un superlativo!), però non dicendomelo con Facebook o Twitter ma con un fucile d'assalto. E poi lo capirei anche, visto che Facebook e Twitter non ce li ho.

Tutto questo non voglio minimamente chiamarlo né “anarchia”, né in nessun altro modo. Lo chiamo semplicemente Ragione. Ve la ricordate, la Ragione? Quella cosa di Voltaire, rue Voltaire, la grande cultura occidentale, la filosofia, il pensiero... beh, dov'è finita adesso? Nei tempi dove, in contrapposizione al “fanatismo”, si elevano i peana ai valori del “nostro mondo”, questi presupposti valori se ne sono andati via. Via dalle piazze e via dai cervelli. Sostituiti da X Factor e dagli smartphone. Buoni soltanto per dare a bere che esistano ancora, mentre sono stati distrutti. Mentre siamo stati peggio che lobotomizzati. E allora non resterebbe altro che da rinchiudersi da qualche parte; ma non si sa nemmeno dove. Aspettando la guerra, anche se ci siamo già dentro. Ci penserà, forse, lei. Ci penserà la Follia alla quale stasera rivolgo questo Non-Elogio; poi, dààài, domani finalmente mi faccio il facebook e mi metto, come tutti, a spippolare sul telefonino. Ciao amo, hai visto a Pariggi? Sì amo, ce penserei io, ce pensa la Meloni, stasera se va a vède er concerto degli Igols of Det Mètal....so' forti ahò, 'nnamo ar Bataclànne!

P.S. In margine, vorrei invitare tutti, sempre che lo vogliano, a leggere questo articolo di Sandro Moiso pubblicato su Carmilla Online: Prima che tutto accada.

martedì 13 ottobre 2015

Região Lombardia




I VAMPIRI

Nel cielo grigio, sotto l'astro muto
sbattendo le ali nella notte silente
vengono a branchi con pie' di velluto
a succhiar il sangue fresco del gregge.
Si mangian tutto, si mangian tutto,
si mangian tutto e non lasciano nulla.
Si mangian tutto, si mangian tutto,
si mangian tutto e non lasciano nulla.

Da ogni parte arrivano i vampiri,
si posan sui tetti e sui marciapiedi...
Portan nel ventre bottini antichi,
niente li inchioda alle vite spezzate.
Si mangian tutto, si mangian tutto,
si mangian tutto e non lasciano nulla.
Si mangian tutto, si mangian tutto,
si mangian tutto e non lasciano nulla.

C'è chi s'inganna al loro aspetto serio
e, quando arrivano, apre loro la porta:
Si mangian tutto, si mangian tutto,
si mangian tutto e non lasciano nulla.
Si mangian tutto, si mangian tutto,
si mangian tutto e non lasciano nulla.

Per terra impauriti cadono i vinti,
si senton grida nella notte soffocata.
Giaccion nei fossi le vittime di un'idea
e non s'esaurisce il sangue del gregge.
Si mangian tutto, si mangian tutto,
si mangian tutto e non lasciano nulla.
Si mangian tutto, si mangian tutto,
si mangian tutto e non lasciano nulla.

Sono padroni dell'universo intero,
signori a forza, dominatori senza legge,
empion granai e bevon vino nuovo,
danzano in tondo nella pineta del re.
Si mangian tutto, si mangian tutto,
si mangian tutto e non lasciano nulla.
Si mangian tutto, si mangian tutto,
si mangian tutto e non lasciano nulla.

C'è chi s'inganna al loro aspetto serio
e, quando arrivano, apre loro la porta:
Si mangian tutto, si mangian tutto,
si mangian tutto e non lasciano nulla.
Si mangian tutto, si mangian tutto,
si mangian tutto e non lasciano nulla.
 
Qualcuno dice che io non sono granché "moderno"; e invece hai visto, metto pure le canzoni hard rock del 2014...giusto, a parte il non trascurabile fatto che la versione originale della canzone in portoghese qua sopra è del 1958, e fu scritta e composta da un signore dal nome chilometrico ma che, di solito, viene chiamato nella sua versione abbreviata: José Afonso. Una canzone che parla di vampiri, e che in questa versione straròcche è interpretata dalla band UHF (Ultra High Frequency). 

giovedì 24 settembre 2015

Emergenze estive


Parto da due dati di fatto. Il primo è che oggi, ventiquattro settembre, è ufficialmente il primo giorno di autunno conclamato. Faccio, ohimé, parte di quella generazione cui dicevano che l'autunno comincia il 21 settembre e che si torna a squola il primo di ottobre; a un certo punto, però, hanno cominciato a minare questa certezze, facendo tornare i ragazzi fra i banchi a metà settembre e dicendo che l'autunno comincia il ventitré. Mi sono sentito perso. I giorni tra il 21 e il 23 settembre sono diventati per me una specie di terra di nessuno, giorni senza una stagione precisa, limbo ove non si sa ancora se rimpiangere l'estate o prepararsi ad attendere, a lungo, quella dopo. Il secondo è che l'estate appena trascorsa (senza il primo dato di fatto testé espresso, non sarebbe possibile dire "appena trascorsa", ndr) ha visto, come del resto ogni estate, la sua brava emergenza

Per emergenza estiva s'intende generalmente un evento, di solito assolutamente idiota (e le sue eventuali conseguenze tragiche non ne inficiano assolutamente l'idiozia; anzi, in determinate circostanze la accrescono), che per un giorno o due catalizza l'attenzione del pubblico (grazie alla blobbosa massa mediatica attuale) trasformando una štrunzata, appunto, in emergenza. Peculiarità di molte di tali emergenze estive è, in parecchi casi, la presenza di animali; venuta l'estate, il mediaticume sente il possente bisogno di individuare, per qualche ora, l'animale-nemico. Può essere benissimo qualcosa che ha a che fare con atavismi risalenti al pleistocene o roba del genere; e così, un'estate abbiamo l'emergenza meduse, quella dopo l'emergenza pitbull e quella dopo ancora l'emergenza vipere. Quest'estate è toccato, va detto, ad una delle emergenze estive più tipiche e gettonate: l'emergenza cinghiali.

Punto di partenza di ogni emergenza estiva è un episodio, che deve essere necessariamente tragico sennò non può catturare l'attenzione. L'emergenza pitbull ha di solito come protagonisti dei bambini, perché il pitbull, come i comunisti, mangia i bambini (la sua presenza su parecchi treni, come sono solito dire, sarebbe quindi altamente necessaria). L'emergenza meduse scatena tutte le considerazioni sui cambiamenti climatici, e poi le meduse sono vìssssscide, bruciano, e sono mangiate dai cinesi. L'emergenza vipere è antica, molto mediterranea e fabbricante consolidata di leggende metropolitane (nel '73, all'Elba, ricordo benissimo di quanto si parlò di un incauto "turista tedesco" che sarebbe stato mortalmente morsicato da una vipera mentre pisciava sul bordo della strada a Fetovaia, e morsicato proprio ). L'emergenza cinghiali ha invece la caratteristica di non essere esclusivamente estiva. I cinghiali agiscono a tempo pieno, in ogni stagione: orde selvagge escondo dal profondo della foresta per invadere orti, vigne, giardini e frutteti per devastarli. Può succedere che, ogni tanto, un bel sus scrofa (Linnaeus, 1758) ne approfitti per far fuori qualche succulento essere umano, in proporzione comunque non minimamente paragonabile agli esseri umani che, generalmente armati fino ai denti, ammazzano migliaia e migliaia di succulenti cinghiali.

E, così, quest'estate si è avuto il caso del pensionato (credo in Sicilia, se mi ricordo bene) che è stato assalsicciato da un cinghiale in quanto era tornato in un proprio recinto, o roba del genere, per salvare i propri cani. Questo, naturalmente, crea il pathos che ci vuole: un conto è il cinghiale che fa fuori, in un caso su cinquantamila, il cacciatore (da tenere presente che i cacciatori si ammazzano in proporzione assai maggiore tra di loro, specie se hanno legami di parentela e con particolare predilezione per i cognati toscani); un altro è il povero pensionato che si immola per salvare i cani, fedeli amici dell'uomo ancorché dotati di mezzi naturali atti a lottare contro il suin bestione). Lungi da me, naturalmente, ironizzare sulla morte di quel pover'uomo, che avrebbe comunque fatto meglio a starsene dov'era; che Iddio gli apra le porte del Paradiso. Però, questo episodio era troppo ghiotto per non scatenare l'emergenza estiva di turno.

Per un paio di giorni, il pensionato siciliano ammazzato dal cinghiale a fait la une, come dicono in Gallia. ISIS? Migranti? La crisi greca? Il calciomercato? Tutto oscurato dal cinghiale assassino e, più in generale, dall'emergenza cinghiali. Riunioni urgenti di coltivatori e allevatori. Dichiarazioni e interpellanze parlamentari. Programmi di sterminio. Pericolo per economie intere. Interviste disperate in mezzo a campi e vigne. Rovine paventate o già avvenute. Ora, come tutti sanno, la popolazione dei cinghiali nelle aree forestali italiane è stata, in passato, fatta aumentare a dismisura proprio per compiacere i cacciatori, i quali non si accontentano peraltro dei cinghiali italiani. Famose, ad esempio, le battute organizzate in Ungheria con tanto di agenzie, vero e proprio tiro al bersaglio trasformato in business. I cinghiali, però, sono prolifici assai; e così, grazie al passatempo di una massa di imbecilli, è chiaro che le foreste si sono riempite di quei grossi animali che fanno sgruf sgruf e che, come ogni essere vivente, cercano da mangiare uscendo la notte. Più sono, e meno c'è da mangiare dato che non possono contare altro che su se stessi per procurarselo. E allora entrano nelle vigne, nei campi, nei giardini, nei recinti, ovunque ci sia da procurarsi cibo. E' assolutamente normale. C'è chi vuol fare pum pum su di loro per divertirsi coi fucilini, e queste sono le conseguenze.

Peraltro, non voglio fare il "duro e puro" che non sono. Mi è capitato eccome di mangiarmi qualche salsiccia di cinghiale, e anche di farmi, perché no, una cinghialata fra sugo e spezzatino di quelle sontuose. Diciamo una volta ogni due o tre anni. Se non la fo, però, non è certo un problema. Ne potrei fare a meno per tutta la vita senza che questo mi cambi nulla. Il fatto è che, contraddittoriamente assai, il cinghiale (o cignale, come si dice meglio dalle mie parti persino con antiche e autorevolissime attestazioni letterarie) è un animale che mi sta oltremodo simpatico. Come potrebbe essere altrimenti? Il suo nome deriva, con diversi accidenti della fonetica storica, dal latino singularis (come si vede meglio dal francese sanglier, sicuramente incrociato in qualche modo con sang nella più tipica delle etimologie popolari), nel senso di "solitario". Il cinghiale ama stare da solo, e il suo nome potrebbe benissimo tradursi come "Asociale"; quale animale potrebbe meglio definirmi? Insomma, quelle volte che ho addentato un pezzo di cinghiale, mi sono sentito una specie di cannibale, senza tenere conto dell'aspetto cignalesco che non di rado mi contraddistingue e persino del fatto che ho sempre saputo imitare benissimo il suo verso, tanto da aver spaventato a morte, una volta, la povera zia Clara mettendomi a grufolarle accucciato sotto la finestra di camera.

Tornando alla nostra emergenza estiva, ad un certo punto si è avuta la classica apoteosi. Non mi ricordo dove, ma forse nella stessa zona siciliana del tragico fatto di cui sopra, un sindaco ha proposto un'immediata e urgentissima riunione, a livello addirittura regionale, di tutti i suoi pari colleghi per affrontare una buona volta l'emergenza cinghiali. Parole chiave: "Insostenibile", "mettere in ginocchio", "abbattimenti consistenti", "economia minacciata". Nonostante l'immediato sostegno espresso da politici locali e nazionali all'iniziativa, ignoro se essa si sia effettivamente tenuta anche perché l'emergenza cinghiali è scomparsa entro le 48 ore mentre i suini continuavano tranquillamente a addentare giardini e frutteti, a trombare appunto come cignali e a sfornare graziosissimi e simpatici cinghialotti a strisce (mi è capitato, all'Elba, pure di accarezzarne un paio; non sono soffici). E mi sono messo, in quei giorni, a fare un sogno ad occhi aperti.

Ho sognato un'urgentissima riunione dell'ACI (Associazione Cinghiali Italiani) per affrontare una buona volta, e seriamente, l'emergenza sindaci.

"Il proliferare indiscriminato dei sindaci è una delle autentiche emergenze che affliggono questo paese", ha dichiarato il portavoce dell'Associazione. "Fra ordinanze anti-immigrati, iniziative culturali di dubbia rilevanza, regolamenti comunali fantasiosi, scioglimenti per infiltrazioni mafiose varie, incapacità palese di gestire gli autentici problemi che affliggono i Comuni, multifici a base di semafori truccati, gestione criminale dei territori, consorterie, collusioni, piani regolatori da far venire la pelle d'oca a un cignale (ops), colate di cemento, ecomostri, terre de' fuochi, pagine Facebook e tweet demenziali e quant'altro, i sindaci italiani rappresentano un pericolo incalcolabile per questo paese. I "danni incalcolabili all'economia" li produrremmo noialtri cinghiali per due o tre viti e un paio di mele o di pere? L'Associazione Italiana Cinghiali si fa quindi pressante interprete della necessità urgente di regolare la popolazione italiana dei sindaci, mediante abbattimenti consistenti equamente suddivisi per specie (Syndicus Piddinus, Syndicus Forzaitaliotha, Syndicus Pentastellatus, Syndicus Listacivicus, Linnaeus 2015), con particolare attenzione rivolta alla perniciosa specie Syndicus Legajolus Padanus nonostante il loro leader, sia detto con la massima sincerità, sia in realtà un cignale che ha tradito la sua specie. Facciamo appello alle forze autenticamente democratiche affinché l'emergenza sindaci sia presa nella massima considerazione, in quanto costoro fanno assai più danni alla civiltà, alla natura e al territorio di noialtri poveri suini selvatici. Suggeriamo anche di considerare il beneficio economico che l'abbattimento dei sindaci recherebbe all'economia nazionale: i prodotti derivati dei sindaci sono ottimi sotto ogni punto di vista (avete mai provato un sindaco valdostano in umido? Una salsiccia di sindaco indipendente molisano? Delle ottime pappardelle al sugo di sindaco del Valdarno?), e potrebbero rappresentare un'eccellenza da proporre alla prossima Expò".

Mi son dovuto tirare un pizzicottone per svegliarmi da questo sogno. Già mi vedevo Nardella assalsicciato sott'olio. Il sindaco di Venezia trasformato in ragù mentre cianciava del gay pride. Pisapia a bollire nel vino rosso forte. E un pezzo di un qualsiasi sindaco leghista cucinato a puntino alla trasmissione "Wildboar Masterchef" di Cygnal Channel International. Slurp! Sgrùf!

lunedì 21 settembre 2015

Vous êtes quoi?



Lo scorso 7 gennaio, poco meno di dieci mesi fa, andava parecchio di moda être Charlie. Talmente di moda, che si sono visti essere Charlie dei personaggi, come dire, beh, non so, lasciamo perdere. Ad esempio, était Charlie Bibi Nethanyahu. E, va da sé, 'e gli era Ciàrli anche Matteino nostro. Il padrone di casa, François Hollande, era naturalmente Sciarlìssimo; ma è inutile fare la lista della spesa. In quei giorni, pur con tutti i distinguo possibili e immaginabili, s'era tutti quanti Charlie. Ci siamo sentiti investiti da uno tsunami di libertà di espressione, dal potente della Terra fino all'ultimo dei quajàn. Per giorni e giorni, facciamo un tre o quattro; ma poiché la libertà di espressione, sacro valore democratico e occydenthäle, vale soltanto a certe e ben delimitate condizioni, oggi bisognerà ritirarla fuori per un caso assai meno mediatico e di importanza periferica.

Come forse qualcuno sarà venuto a sapere, Erri De Luca, discreto alpinista nato a Napoli e personaggio dalla vita alquanto avventurosa (durante la quale ha persino fatto, e continua a fare, lo scrittore), oggi si è visto e sentito richiedere, per la di lui persona, una pena detentiva di mesi otto per istigazione a delinquere. Avendo pubblicamente sostenuto la necessità di sabotare il TAV e di ricorrere alle cesoie per tagliare certe reti che delimitano una certa porzione del territorio italiano occupata da un cantiere militarizzato, l'alpinista Erri De Luca è incorso nel concetto di Libertà di Espressione che è più proprio dello stato italiano e dei suoi eroici rappresentanti, come è il caso del PM Antonio Rinaudo. Indi per cui, Erri De Luca è stato mandato a processo, ed è questo uno dei motivi per i quali sto particolarmente insistendo sulla sua attività alpinistica. Non è infatti possibile che un paese democratico come l'Italia, culla del diritto alla quale -invero- qualcuno dovrebbe decidersi a cambiare un po' i pannolini, mandi a processo uno scrittore per delle sue affermazioni. Gli scrittori a processo? Roba da regime totalitario, naturalmente. Da maccartismo, quantomeno. Gli scrittori a processo rimandano a Solgenitsyn o a Nâzim Hikmet, solo per fare due esempi senz'altro notissimi anche a un PM Rinaudo. Ma, per chiarire meglio in che cosa consista il concetto di Libertà di Espressione dell'attuale stato iTAViano, niente può essere meglio che lasciare la parola al PM Rinaudo stesso, il quale lo ha chiarito in maniera non fraintendibile:

"Nelle interviste rilasciate pubblicamente ha commesso incitazione a commettere il sabotaggio. È indiscutibile che si debba concludere arrivando alla penale responsabilità dell'imputato riconoscendo comunque le attenuanti generiche per il comportamento processuale e perché non si è mai tirato indietro rispetto alle domande dell'accusa e del giudice".

In queste quattro righe è contenuta la summa  di tutta la Libertà di Espressione come applicata in un moderno stato democratico. La Libertà deve essere delimitata dalla cosiddetta Legalità; quando si oltrepassa tale delimitazione, paventando e sostenendo atti che le vanno contro, si è automaticamente passibili di repressione. Questo, naturalmente, a condizione che tali atti siano contrari agli interessi economici dello stato stesso, dei potentati finanziari, delle varie istituzioni e delle mafie, come è assolutamente tipico il caso del TAV; in certi altri casi, il concetto non si applica affatto. Ad esempio: se il politicante di turno rilascia dichiarazioni sulla necessità di radere al suolo dei campi nomadi, di sterminare una congrua quantità di immigrati e di bruciare le baracche, tutto questo rientra nella sacra Libertà di Espressione. 

Continua il PM Rinaudo: "Se, come ha chiesto la difesa, avessimo trovato qualche riferimento diretto alle sue pubblicazioni per esempio nelle perquisizioni degli arrestati, saremmo qui a celebrare un processo per concorso nei reati commessi". Vale a dire: Se durante le perquisizioni degli arrestati viene trovato un riferimento diretto alle pubblicazioni di un qualsiasi scrittore, sappia egli che può finire a processo per concorso di reato per una citazione, la ripresa di una sua intervista, qualsiasi cosa egli abbia pubblicato o dichiarato in riferimento a qualcosa che vada contro gli interessi di uno stato, di una consorteria, di un potentato. E' bene sapere, per chiunque scriva con vari intendimenti, e qualunque sia il suo grado di notorietà, che questa è la Libertà di Espressione garantita da un moderno stato democratico.

Ovviamente, colpire Erri De Luca rappresenta, nell'ottica su esposta, una qualche forma di ammonimento, o di avvertimento preventivo, rivolto ad eventuali rappresentanti del mondo culturale (e alpinistico) ai quali punga vaghezza di incitare a sabotaggi, recisioni di recinzioni e, in generale, opposizioni fattive a colossali progetti di assoggettamento armato del territorio. Sembra di risentire vecchie eco, peraltro niente affatto flebili, dei cattivi maestri. Alla sbarra finisce l'ultimo dei valsusini come il militante del centro sociale, finisce (e pure in carcere) il sabotatore di compressori come Erri De Luca. Bene averlo estremamente presente prima di mettersi a scrivere o ad affermare qualsiasi cosa al riguardo, ed eventualmente adoperare ogni sorta di legittima prudenza. Solo che, quando nello scrivere e nel parlare, è necessario adoperare prudenza estrema per evitare di incorrere in guai seri, è bene anche avere estremamente presente di vivere sotto un regime, quali che siano le sue maschere. Sotto i regimi si è costretti a dissimulare. Si è obbligati a ricorrere alle metafore. A non poter più dire chiaramente le cose. E anche, naturalmente, a dover ingoiare il fatto che il regime, non di rado, cianci di Libertà di Espressione e inalberi i suoi cartellini "Je suis Charlie". Quando qualcuno alza un cartello con scritto "Je suis NO TAV", e lo alza indicando magari una forma di lotta concreta, Charlie va immediatamente in soffitta.

Magari, ad un PM Rinaudo che concede benevolmente a Erri De Luca le attenuanti generiche per il "comportamento processuale" e perché "non si è mai tirato indietro", sarà sfuggito che il De Luca medesimo, con la sua assunzione diretta di responsabilità, esattamente questo ha voluto: focalizzare l'attenzione, per quanto gli è stato possibile, sui meccanismi del regime e sull'azione dei suoi rappresentanti istituzionali (in questo caso giudiziari). Si tratta, peraltro, di un procedimento elementare: col proprio comportamento e con la conclamazione della precisa responsabilità diretta, il processo viene rovesciato. Viene messa a giudizio una componente della magistratura totalmente asservita ad interessi nei quali non è più possibile distinguere il pubblico dal privato. 

E' normale che Erri De Luca si sia dichiarato stupito che, nei suoi confronti, non sia stato richiesto il massimo della pena. L'ironia squisita di tale affermazione è mirabile, in quanto mette in luce anche un'altra componente di tutta la vicenda: l'imbarazzo estremo che deve avere pur colto un PM Rinaudo che, da un lato, si ritrova a dover mandare avanti un procedimento tanto iniquo quanto assurdo e, dall'altro, cerca di mitigare le richieste facendo i salti mortali per salvare capra e cavoli. E Erri De Luca, ne sono certo pur non conoscendolo di persona (né mai mi capiterà di farlo), se la ride sotto i baffi. Certo che avrebbe voluto il massimo della pena, ma vanno bene anche otto mesi per far sì che l'Italia abbia il privilegio di aver condannato alla galera un alpinista (e scrittore) di fama internazionale perché ha incitato a sabotare e a tagliare le reti di un cantiere.


In conclusione, però, ci sarebbe da fare una cosa, oltre ad esprimere una naturale solidarietà nei confronti di Erri De Luca. La solidarietà, beninteso, è cosa assai comoda e pure un pochettino vuota se non si è pronti ad assumersi altrettante responsabilità; nel mio minuscolo piccolo, so che cosa voglia dire essere mandati a processo per qualcosa che si è scritto e/o affermato. 

Cozzerebbe quindi contro quei princìpi di elementare prudenza dei quali parlavo prima, princìpi che stabiliscono la propria vita sotto una forma di tirannia e la precisa coscienza di essa, dichiararsi solidale con quanto affermato da Erri De Luca e per il quale è stato processato. Cozzerebbe sì, e che cozzi pure. Non potrebbe d'altronde esservi alcuna forma di solidarietà senza dichiararsi del tutto consapevolmente e senza remore solidale con quanto espresso da Erri De Luca; sappia dunque, chi intenda eventualmente riprendere queste parole, due cose. La prima è, naturalmente, che si espone a problemi di non lieve entità; il qui presente ha, a suo tempo, trovato un magistrato che si è sentito in dovere di rinviarlo a giudizio per avere espresso giudizi pesanti su un personaggio pubblico, e non potendo contare su una qualche forma di notorietà consolidata, bensì su un semplice blog qualsiasi. La seconda è che dire "Je suis" significa, o dovrebbe significare, un'adesione nel proprio essere. "Je suis" significa "io sono", ed il verbo "essere" non è un verbo di poco conto. O si è, o non si è. Vous êtes quoi? Che cosa siete? Charlie? Erri? Paolino Paperino? Qualunque cosa, o chiunque, scegliate di essere, presuppone che non lo siate, e che non lo siamo, per la durata di un momento o di una facile ondata emozionale. Presuppone una scelta di campo e presuppone anche dei fanatici armati o un pubblico ministero torinese. Altrimenti non si è proprio un bel niente.