mercoledì 17 aprile 2019

Un'enorme marmellata bianca



Si chiamava Alessandro Di Meo. Era un grandissimo poeta, di Benevento. Aveva fatto l'occupazione delle terre, era venuto a Milano. L'ho conosciuto in Mondadori, insieme facevamo le correzioni e le revisioni. A un certo punto, lui non aveva una casa. Io avevo una casa popolare che mi faceva cagare, cioè non mi piaceva proprio per niente. A me piaceva stare in Brera, giocare a carte, eccetera, gli ho detto, senti queste sono le chiavi, pigliati la casa. Lui aveva scritto un libro. Aveva scritto un libro e lo aveva portato a Feltrinelli, e Feltrinelli gli aveva detto: sì, prima o poi te lo pubblico. E lui su questa speranza aveva messo su tutta la vita. Tutta. E un giorno arriva lì al bar Giamaica, a Milano, che era il bar degli artisti, eh, e dice: Feltrinelli mi ha detto che non lo può pubblicare, i fascisti non vogliono. E abbiamo capito che non stava bene, cominciava a non stare bene. E allora lo abbiamo portato al Paolo Pini, è uscito dopo ventinove giorni perché sennò diventava cronico, e io volevo capire cosa cavolo era successo. Abbiamo dovuto riportarlo dentro. E siamo ritornati dopo altri ventinove giorni. Dopo lui s'è spiegato, e purtroppo la sua spiegazione è stata fatale, perché Alessandro Di Meo poi, grandissimo poeta sconosciuto, grande lottatore per la terra, di Benevento, è morto. Ma più o meno si era spiegato così. Vi dico la verità, io non ho mai saputo chi fosse l'uomo bianco. Ogni tanto me lo chiedevo e mi dicevo: ma fai un po' te, che ne so, sarà...che cazzo ne so, Wallace, il governatore dell'Alabama, un bel bianco. Il papa, un bel bianco anche lui, ogni tanto... Oggi ho capito che cos'è il bianco. Oggi ho capito: non è Berlusconi, no. Troppo facile. Troppo comodo. È l'insieme delle informazioni, delle televisioni, di tutto quello che ci puppiamo sette, otto ore al giorno compresi i nostri figli, che fa dei nostri cervelli un'enorme marmellata bianca.” 

Ivan Della Mea, Genova, 29 agosto 2004.


martedì 16 aprile 2019

A proposito dell'incendio di una cartolina, di Serge Quadruppani


Traduco in italiano (con il suo permesso) il seguente articolo di Serge Quadruppani apparso sul suo blog Les contrées magnifiques oggi 16 aprile 2019.

È noto che la guglia che è bruciata e il gargoyle che è caduto sono invenzioni di Viollet-le-Duc, e che, in generale, la Cattedrale icona della Parigi turistica deve a questo architetto, amico di Prosper Mérimée, la parte essenziale dell'aspetto che ha avuto fino ad oggi. Questo Medioevo che ha emozionato così tanti contemporanei è quindi una ricostituzione dipesa dalla storiografia e dall'estetica della seconda metà del XIX secolo. Entrambe hanno poi subito seri attacchi critici, ma si è verificato un altro fenomeno: la patrimonializzazione degli edifici antichi, che ha definitivamente fissato nella forma conosciuta Notre-Dame e tutti gli altri monumenti reinterpretati da quel gran mitomane di Viollet-le-Duc (dal Mont Saint Michel ai bastioni di Carcassonne). Fino al XIX secolo non dava affatto fastidio distruggere e ricostruire. La Roma medievale e barocca, quella sia delle catapecchie che dei palazzi, è stata costruita con le pietre e con i pezzi di sculture della Roma antica. La possibilità di reperirli negli edifici odierni è, del resto, una delle meravigliose attrattive della Roma moderna. Tornando a Notre-Dame, non più tardi del 1972 veniva smontata la guglia precedente, che serviva da campanile, e che Viollet-le-Duc aveva rimpiazzato con un semplice ornamento sistemato altrove. Il cambio d'atteggiamento nei confronti dei monumenti è largamente dovuto al fiorire del romanticismo, che è stato una reazione alla modernità industriale. Mi è caro il gusto che tale movimento estetico internazionale aveva per la nostalgia: in quanto sentimento che la vera bellezza e la vera vita sono altrove, la nostalgia è un sentimento prezioso che nutre sia la poesia che la passione rivoluzionaria. Poiché la civiltà industriale è in grado di ricuperare ogni cosa, è paradossale che, in fin dei conti, il romanticismo abbia contribuito a trasformare il fascino del passato -con tutta la rimessa in causa del presente che comporta- nell'eterno presente della merce.

Ho vissuto quarant'anni a Parigi, e in quarant'anni non sarò entrato che una volte o due nella cattedrale, per accompagnare qualche parente in visita turistica. È fuori di dubbio che mi sarò perso qualche bel momento emozionante, ma per questo sarebbe occorso farcela a destreggiarmi tra gli orari di punta, dato che la contemplazione solitaria e mistica alla Claudel dietro il suo pilastro era oramai un sacro graal difficilmente raggiungibile. Però mi piaceva prenderla alle spalle, Notre-Dame, col suo bel giardino e la sua gonnella di pizzo, per uno di quei tragitti (nella fattispecie isola di San Luigi-Lungosenna-rue de Savoie, per far visita alla mia casa editrice di sempre) che mi hanno fatto sentire a casa mia a Parigi. E amavo la sagoma di nave incagliata che dava all'isola che porta il suo nome. In breve: il pensiero che Notre-Dame sia bruciata non mi lascia indifferente. Ma questo non impedisce di riflettere su quel che sia l'autenticità (le grotte di Lascaux 2 e 3 sono meno belle della grotta di Lascaux chiusa al pubblico? La Cappella Sistina restaurata è più autentica di quella che il tempo e la sporcizia stavano cancellando?) e di criticare ciò che dà forma e formato allo sguardo moderno, e la nostra pretesa di bloccare lo scorrere del tempo. Non impedisce neppure di ridacchiare tristemente dinanzi al malsano riutilizzo dell'avvenimento da parte degli oligarchi e del loro mandatario dell'Eliseo.

Sono rimasto inorridito dalla distruzione di una parte della Palmira che avevo tanto amato, non tanto per attaccamento alle vecchie pietre e alla loro sagoma nel cielo del deserto, quanto per l'odio verso un passato che non sia il proprio, e che Daesh sbatteva in faccia al mondo. Sono altrettanto disgustato dalla dittatura del dolore mediatizzato e utilizzato a fini politici. E percepisco anche il trionfo di un presente che aborro, sotto forma di appropriazione di un passato trasformato in scenario di selfies.

Ora che si sta finendo di costruire la Sagrada Familia, un monumento che ci guadagnava parecchio nel non essere finito, le questioni commerciali in gioco sono troppo forti perché si possa pensare, anche solo per un momento, che sarebbe stato assai più bello, dal punto di vista estetico e emozionale, lasciare Notre-Dame in rovina. Sicuramente la si ricostruirà com'era e dov'era, contribuendo così a darle un po' di più, sotto ogni aspetto critico, l'irrealtà di un'icona e la realtà di una cartolina.

Fumus identitatis




Alle ore 18.50 circa di ieri, 15 aprile 2019, è andata a fuoco la Cattedrale della Madonna di Parigi.

Circa venti minuti dopo, già un denso fumo di identità avvolgeva la cattedrale, più denso addirittura di quello fisico che si sprigionava dal tetto in legno e dalla guglia che bruciavano.

In pratica, non stava bruciando un'importantissima e antica chiesa cattolica, ma tutta una serie di identità concentriche, che partivano da quella parigina per arrivare in un istante prima a quella francese, e poi a quella europea e infine a quella mondiale, tout court.

Mentre ardeva tutto questo simbolo, avvolto dal fumo del legno, delle impalcature di restauro e delle identità, già serpeggiava in parecchi una certa qual delusione. Fin dal primo momento, infatti, si tendeva ad escludere un'origine dolosa ripiegando su un corto circuito, o comunque su qualcosa partita dal cantiere di restauro. Nessun attentato, nessuno stato islamico, nessun terrorista di qualsiasi genere che dà fuoco all'identità europea, ma un banale e normalissimo incidente. Vittorio Feltri era già pronto.

Una mezz'ora dopo, si ricordava come la cattedrale della Madonna di Parigi avesse già subito distruzioni nel corso della sua lunga storia. Particolarmente gettonata, perlomeno nei commenti televisivi e giornalistici dall'Italia, la devastazione che avrebbe subito nel 1871 da parte dai Comunardi, autentici mostri assetati di sangue che la avrebbero data alle fiamme e distrutta. Per la cronaca, i Comunardi si limitarono ad incendiare alcune panche e alcune sedie, senza fare praticamente nessun danno. Nel frattempo, i pii e devoti Versagliesi di Thiers erano impegnati a distruggere coscienziosamente tutto il resto di Parigi, facendo circa ventimila morti (e demolendo poi l'antica città per fare spazio, a scopi militari, ai boulevards). 

Qualche minuto dopo, sempre in mezzo a un densissimo fumo identitario che si spandeva oramai su tutta quest'Europa assediata dai corti circuiti, e mentre persino il presidente Macròn si sentiva bruciare assieme alla cattedrale, crollava la Flèche, la guglia, manufatto di 745 tonnellate assolutamente finto. Era stato realizzato nel 1860 dal famoso architetto Viollet Le-Duc, specializzato nel rifare ogni cosa più antica di prima. Era lo stesso, per fare un esempio, che aveva preso una cittadina di origine medievale completamente in rovina e semidisabitata nel sud della Francia, Carcassonne, e la aveva ricostruita come a quell'epoca si immaginava il Medioevo. Da allora, Il ne faut pas mourir sans avoir vu Carcassonne (la versione francese del “Vedi Napoli e poi mori”).

In mezzo a tutti questi fumi e crolli di guglie, poco dopo si cominciava a ricordare ogni 12 secondi che la cattedrale della Madonna di Parigi è il monumento più visitato del mondo. D'accordo il simbolo dell'Europa cristiana e l'identità, ma un'occhiata all'industria turistica deve comunque essere data. Cominciavano le previsioni sulla ricostruzione; un giornalista italiano residente a Parigi continuava a ripetere che sua figlia, una bambina di 9 anni, forse sarebbe potuta entrare di nuovo nella chiesa quando avrebbe avuto quarant'anni.

Poteva forse il fumo non avvolgere anche i gilets jaunes? Già un'ora dopo, mentre tutto continuava a bruciare, mentre l'Identità Europea era ferita a morte e mentre il presidente Macròn rimandava un'importante discours à la nation, si cominciava a ricordare che l'incendio della cattedrale interveniva proprio in un periodo in cui Parigi già vedeva distruzioni, devastazioni e ferite settimanali, a cura dei maledetti casseurs (e, come si può vedere nella foto, tra la folla che assisteva impietrita all'incendio c'era almeno un gilet giallo). I paragoni si facevano arditi: la devastazione della cattedrale da parte delle fiamme veniva paragonata senza mezzi termini a quella delle vetrine e dei negozi di lusso, in una “Parigi ferita nella sua bellezza”. Se ne potrebbe dedurre agevolmente che la cattedrale della Madonna di Parigi è assimilata pienamente a una vetrina o a un negozio di lusso sottoposto alla furia iconoclasta. Ritengo che tale assimilazione abbia fondamento; la funzione economica dei monumenti artistici non è, in effetti, affatto dissimile da quella del negozio di Prada o della gastronomia di lusso.

Parigi, 15 aprile 2019. Da un ponte, un Gilet Giallo contempla un vero e proprio incendio della Madonna, facendo finta di niente.

Ne fa fede il fatto che le prime enormi donazioni per la ricostruzione della cattedrale vengano annunciate due o tre ore dopo la prima scintilla, e proprio da parte di magnati del lusso. Il gruppo LVMH, di proprietà della famiglia Arnault (che controlla, tra gli altri, Fendi e Bvlgari), annuncia una donazione di 200 milioni di euro, seguita dall'altro magnate Pinault (si vede che tutti questi magnati francesi hanno cognomi in -ault), proprietario della Kering che controlla Gucci e Balenciaga, dona “solo” 100 milioni di euro (pidocchi!). Da segnalare che i fondi per il restauro della cattedrale, dopo che sembrava letteralmente cadere a pezzi, con le relative impalcature dalle quali pare essere partito l'incendio, ammontavano a dei miserrimi 6 milioni di euro. Una volta ricostruita, la cattedrale della Madonna di Parigi potrà quindi, e a buon diritto, essere trasformata in negozione di lusso; ci vedrei benissimo, verso il 2030 o giù di lì, una magnifica sfilata di moda identitaria e simbolica.

Occorre comunque segnalare l'ennesima figura di guano del presidente degli Stati Uniti d'America, Donald Trump, uno che -non nutro alcun dubbio al riguardo- fino a due minuti prima credeva fermamente che Notre Dame stesse sì a Paris, ma in Texas. Nel suo tweet, Trump invitava ad “agire immediatamente” facendo intervenire i Canadair sull'Île de la Cité. Must act quickly! Gli rispondevano alcuni pompieri, compreso il comandante dei Vigili del Fuoco di Roma, che i Canadair sono fatti per intervenire sui boschi in fiamme, non in mezzo a una città e su un edificio. Tanto sarebbe valso bombardare la cattedrale e abbatterla, perché l'effetto di tonnellate e tonnellate d'acqua sarebbe stato esattamente lo stesso (oltre a provocare un'inondazione sull'isola intera).

Passa la notte, e ci si accorge con sollievo che la struttura muraria della cattedrale sarebbe salva. Insomma, non è crollata ogni cosa come, ad un certo punto, si paventava. Possono quindi essere portate in salvo le mirabili opere d'arte presenti all'interno della cattedrale e, più che altro, le reliquie della tradizione cattolica, altro possente simbolo identitario.

Si salvano quindi la Sacra Corona di Spine, proprio lei, quella che i soldati romani misero sulla testa di Gesù Cristo in segno di scherno. Non è ovviamente mia intenzione aggiungere altro scherno a quello che dovette subire il Salvatore, ma ho il fondato sospetto che a quel povero cristo dovettero mettere sul capo non una corona, ma un rotolo di spine di una cinquantina di metri. Tra corone e singole spine, oltre a quella della cattedrale di Parigi, se ne trovano infatti ancora a Parigi (una porzione intera nella Sainte Chapelle), nella chiesa parrocchiale di Wevelgem (Belgio), nella cattedrale di San Vito a Praga (una sola spina), nel duomo di Treviri (la città natale di Carlo Marx), nel tempio della Santa Corona a Vicenza, nel duomo di Colonia, due spine nella chiesa di Santa Croce in Gerusalemme a Roma, un'altra piccola parte nella chiesa di Santa Prassede sempre a Roma, un ramo spinoso intero negli Spedali Riuniti di Santa Chiara a Pisa, un frammento nella chiesa di Santa Maria Incoronata a Napoli, ancora una spina nella chiesa di San Michele a Gand (Belgio), l'ennesima spina nella cattedrale d Maria Santissima Assunta a Avellino, due spine nella cattedrale di Ariano Irpino (Avellino), una spina nella parrocchia di San Giovanni Bianco, un'altra spina ancora nella chiesa di Santa Maria Maggiore a Vasto, una misera spina a testa nella cattedrale di Barcellona e in quella di Siviglia (mentre quella di Oviedo ne ha ben cinque!) e, infine, persino una spina al British Museum di Londra.

E' stato messo in salvo anche un chiodo della passione di Cristo, ma qui è meglio sorvolare. Se la corona di spine sembra un rotolo di cinquanta metri, coi chiodi della Passione sparsi per il mondo si potrebbe inchiodare, credo, una portaerei intera.

Alle ore 7.26 di stamani, come informa il Figaro, un deputato di estrema destra fiammingo ha comunque provato a mettere in relazione l'incendio della cattedrale della Madonna di Parigi con l'ISIS. I giornalisti (specie italiani) proseguono invece con gli arditi paragoni: da questo punto di vista, quasi inevitabile quello con l'11 settembre. “Parigi stamani sembra New York dopo l'attacco alle Torri Gemelle” (sentita coi miei orecchi, Rai News 24).

Il settimanale Charlie Hebdo, quello che tutti quanti jesuissavamo qualche tempo fa in nome della sacra libertà di espressione, non ha perso tempo pubblicando una vignetta in prima pagina che ha provocato già numerose e indignate polemiche (particolarmente in Italia, dove non si sono scordate le vignette irrispettose in occasione di terremoti, valanghe sui resort invernali, crolli di ponti ecc.).

(Macron): "Riforme. Comincio dalle impalcature!"

In Francia, almeno sei quotidiani su dieci escono stamani con il medesimo titolo basato su un gioco di parole: "Notre drame" ("il nostro dramma", aggiungendo una semplice "R" a "Notre Dame"). Tra di essi, Libération (come dubitarne?).

Lo storico dell'arte Philippe Daverio ha invece fatto presente che, certamente, alla conservazione ed al restauro dei monumenti artistici e architettonici potrebbe essere dedicata maggior cura, specialmente se così simbolici e altamente identitari come la cattedrale della Madonna di Parigi; maggior cura, e maggiori fondi -visto che, quando poi bruciano o vengono comunque danneggiati seriamente o distrutti, tutta Parigi, tutta la Francia, tutta Europa e tutto il Mondo piangono e si sentono privati di una parte di sé. Daverio ha fatto presente che, magari, con qualche cacciabombardiere in meno si sarebbe potuto ovviare.

Non vorrei, per concludere, far pensare che sono contento che la cattedrale di Parigi sia bruciata, magari a causa d'un cantiere, di una volgare impalcatura (su cui si leggono dei cartelli “Europe Échafaudages”, “Impalcature Europa”) come un capannone industriale qualsiasi, come un condominio riempito di immigrati, come una discarica di rifiuti. Disgraziatamente, la storia è piena di monumenti e altre bellissime cose andate in fiamme per i più svariati motivi. Sono bruciate città intere, e anche delle maggiori. Altre volte, invece, i monumenti e le città intere sono state rase al suolo da qualche guerra, che sembra essere, questa sì, la nostra vera identità. Coraggio, dunque; verrà rifatta anche Notre-Dame de Paris, verrà ricostruita una guglia più finta di quella precedente, Parigi riavrà il suo skyline e tutti vivremo più buoni e più felici, dando magari fuoco al campo Rom (e senza generose donazioni per ricostruirlo).

lunedì 15 aprile 2019