venerdì 27 gennaio 2012

La giornata della dimenticanza


Oggi, ventisette gennaio, mi sono dimenticato tutto.

Alle due e mezzo di stanotte mi sono dimenticato di dormire. Dieci giorni fa, a un funerale, mi sono beccato una delle mie famose crisi di cervicale; perdura, e mi impedisce di stare disteso troppo tempo. Allora mi alzo, del tutto immemore di come sarebbe stato piacevole, in condizioni normali, starsene a letto al caldo, col gatto addosso che ronfa beato. La dimenticanza del sonno esige i suoi riti, specialmente a certe ore strane; ma ho fatto già uno sforzo per ricordarmi di accendere il riscaldamento e lo scaldabagno. Mi sono dimenticato il caffè, e che avevo finito i sigari. Ne ho fatto a meno. Quasi alle cinque mi sono scordato di farmi la doccia. Forse, con una crisi di cervicale in corso (la quale non si fa proprio dimenticare), non sarebbe neanche bene farsela; ma stavo leggendo da qualche parte di come Wilckens ammazzò il macellaio Varela, il 25 gennaio 1923. Ho preso l'accendino e ho cominciato a dar fuoco all'aria, scordandomi di nuovo che di sigari proprio non ce n'era nemmeno uno. Mi sono scordato che sarei potuto andare a comprarli alla stazione di servizio aperta 24 ore su 24, ma forse mi ero scordato anche di un'ora ed erano diventate 23 su 24.

Mi sono scordato di mettermi il terzo maglione, quello col “69” che avevo una volta fatto indossare a un cantautore resuscitato; mi sono scordato che entro poche ore avrei ricominciato a lavorare, e me e sono tornato a letto nonostante la cervicale. Quando poi sono andato a lavorare, mi sono scordato di come si andava nelle stradine e nei giardini dietro via Forlanini. Mi sono scordato di prendere le chiavi della 35, e mi sono scordato di ogni colpa e di ogni obbligo. Mi sono scordato della memoria, dio assatanato. Già è stato tanto ricordarsi di prendere quelle maledette dieci pasticche al giorno, quattro alla mattina, due dopo pranzo e altre quattro la sera; la memoria, poi, potrò comunque esercitarla anche quest'anno per 365 giorni. Il 2012 è bisestile. Oggi che giorno era? Il ventinove febbraio della memoria. Non c'era da ricordare un bel cazzaccio di niente, sapete che vi dico. Ricordare “perché non accada mai più”, e accade ogni giorno, dovunque.

Non me ne scordavo, fino allo scorso anno. Perlomeno non dimenticavo mai di dire che le “giornate della memoria” andrebbero eliminate tutte, dato che servono soltanto a lavare meglio del Dash. Quest'anno mi sono scordato anche di questo, assieme a tutta una serie di cose. Mi sono dimenticato persino di girare la manopola del gas. Tutto sommato fa bene, fa molto bene una giornata di totale oblio quando la memoria viene trasformata nella festa comandata di una religione, e quando milioni di altri morti non vengono neppure scordati, bensí ridotti alla pura e semplice inesistenza. Certo, sono stato molto aiutato dalla cervicale per questa giornata della dimenticanza; ora, però, non vorrei che la prendesse a veglia. Dai prossimi anni, il ventisette di gennaio amerei scordarmi sia dei professionisti che dei dilettanti della memoria, e anche delle loro memorie, delle loro morali, delle loro indignazioni, dei loro appelli, dei loro distinguo e delle loro contrapposizioni; ma senza malanni fisici. In piena salute, anche se temo ragionevolmente che per il resto della mia vita sarà una chimera. Scordarmi per sempre, in questo giorno, della memoria che viene dimenticata da tutti per tutti i restanti giorni dell'anno. Scordarmi per sempre della dittatura di una memoria, che peraltro viene neutralizzata proprio fingendo ipocritamente di ricordarla. Mettetela nei supermercati, potrebbe farvi vendere di più.

A Natale siamo tutti più buoni e c'è il panettone. A San Valentino siamo tutti innamorati e ci sono i cuoricini di pelouche e di cioccolata. Nel mezzo ci sta bene un ventisette gennaio, basta trovare i gadgets giusti; che so io, un bel diario di Anna Frank di marzapane. Un deportato di pelouche che se lo sfreghi canta “Auschwitz” di Guccini. Un napolitanino alla nocciola con dentro il bigliettino contenente un monito (tradotto in quattro lingue, come quello dei baci Perugina). Un apparecchietto genera-post per blog. Mi hanno detto, fra l'altro, che Anna Frank oggi si è messa delle cuffie insonorizzanti assolutamente cosmiche; voleva, e come non capirla, scordarsi anche lei di ogni cosa. Voleva scordarsi di essere diventata un simbolo buono anche per le bombe a grappolo, per i muri, per i gianfranchi e per le fiamme calcolorenale. Si è messa le cuffie, si è vestita da zingara, è diventata lesbica e ha cominciato a giocherellare col suo triangolo, un triangolo di tutti i colori possibili, tipo quello della canzone tratta dalla poesia di Bertolt Niemöller (o Martin Brecht, non mi ricordo bene nemmeno questo, oggi).

Ora spero soltanto, però, di non scordarmi di andare alla stazione. Bisognerà che finisca questa giornata della dimenticanza, e che mi metta in un'ottica da ventotto gennaio. Il ventotto gennaio sarà la giornata dei ceci armeni, e confido che non mi metteranno in carcere se negherò che siano stati lessati a vapore nel 1915. Il ventinove gennaio sarà la giornata dei bagni turchi, e magari rischierò che mi ammazzino come un cane, o come un giornalista armeno che avrà pure avuto qualche antenato cece lessato nel 1915. Oh quante memorie, madama Doré, quante belle memorie e quante giornate. Il 30 gennaio? Il trenta gennaio farebbero quarant'anni da una certa domenica, quella quando inventarono il bloody mary. Ecco, sì: sarà la giornata della vodka e del succo di pomodoro. Come quelli nella foto; mica potevo metterci, perdìo, una foto della cervicale. O quella di un CIE, affinché tali cose eccetera, la barbarie, la bar bar bar, la barbarie del bar.

Caselli.


Già.
Nessuno ci può giudicare, nemmeno tu.
E' da un bel po' che
abbiamo visto la differenza, sí.
La differenza che passa tra i servi
e quello che abbiamo scelto.
A pensarci bene
non potevi, a un certo punto,
che diventare un "eroe".
Questo paese ha un costante
bisogno di
eroi
che non abbassano la guardia
anzi, che innalzano la guardia
a sistema condiviso di repressione.
Avvertimenti.
Tutti i gradini dell'ipocrisia
scesi uno ad uno.
Provvedimenti specifici.
Non reprimiamo il dissenso!
Ripristinare la legalità.
Giro-girotondo.
Resistere resistere.
Maphia !
Ho fatto un sogno.
Ho sognato altri eroi eroici,
di quelli morti saltati in aria.
Li ho sognati come
sarebbero stati oggi,
dopo le antimafie:
tutti come te.
Tonnellate di mitologie e di citazioni,
di strade, monumenti e tribunali,
tonnellate di procure
pronte a spedire avvertimenti,
a agitare spettri,
a incarcerare,
a spezzare,
a firmare,
non passerete.
Gli stessi.

Nessuno ci può giudicare, nemmeno tu,
la verità ti fa male, lo sai.
Ti verrano stampate sulle chiappe
le scarpe dei suicidi
passate sul fango delle tue galere.
Tu e le tue sinistre sinistre,
voi e i vostri eroismi,
le massime, le conferenze, le saggezze,
lastricate di repressione e quarantuno bis.
Per ora sentite sul collo,
la mattina,
mentre vi pettinate con cura
e vi annodate la cravatta,
per ora sentite sul collo e sul viso
lo schifo che fate.
Lo schifo vostro e del vostro potere.
Lo schifo della servitù
e del fosso che avete sempre scavato.
Per ora.

giovedì 26 gennaio 2012

Valle Susa, Pistoia.


Per aggiornamenti sugli arresti odierni nel movimento NO TAV si veda Baruda.

Come ampiamente previsto, la repressione si è scatenata sul movimento NO TAV. Del tutto logico, visto che si tratta dell'unico autentico movimento di rivolta sociale presente in Italia, legato sia a un territorio e alla sua popolazione, sia ad istanze anticapitaliste, antirepressive e antagoniste. Riprendo dal blog di Baruda: "Arresti in tutta Italia: una maxioperazione di quelle da copione, con pettorina lucidata e incursioni notturne in decine di appartamenti in tutto lo stivale. Repressione pesante contro un movimento che più volte ha dimostrato di non aver certo paura delle conseguenze: un movimento orgoglioso e forte che mai s’è lasciato intimidire dalle accuse e dalle condanne di uno stato che reagisce alle proteste di un’intera popolazione, con retate e arresti!"

Scene ampiamente già viste. Scene di repressione. Tra le tante cose con cui si potrebbe iniziare un discorso a caldo, dato che i cosiddetti "ragionatori a freddo" si possono allo stato attuale delle cose accomodare a fare in culo senza passare dal via, scelgo una curiosa coincidenza. Tra gli arresti (il cui numero esatto ancora non si conosce) effettuati in tutta Italia, ne sono stati operati alcuni anche a Pistoia. Già, Pistoia. La città dalla quale può partire tranquillamente il camerata Casseri Gianluca made in Casapound per andare a fare pulizie nei giardinetti prima, e nei mercatini di Firenze poi. La città del questore Manzo, amichetto indefesso della suddetta Casapound Onlus e fedele repressore di chiunque vi si opponga. A Pistoia mica si va, all'alba, a bussare alle porte dei ribelli non conformi: no, altro non sarebbe che una rimpatriata tra amiconi ad un'ora un po' insolita. All'alba si va a bussare ai NO TAV, pardon, ai black bloc. La (dis)informazione mainstronz sta ovviamente già facendo il consueto uso massiccio dell'espressione: la direttiva è quella. Ah, se qualcuno a partire da questo momento (ore 11.07 del 26 gennaio 2012) volesse tenere un conteggio di quante volte comparirà il termine legalità, è pregato di comunicarmene il risultato alla stessa ora di domani.

Stiamo vededo infatti una volta di più (se mai ce ne fosse bisogno) in che cosa consista la legalità dei padroni e di tutti i loro tirapiedi. Una licenza poetica delle più ardite: questa parola tronca fa infatti costantemente rima con repressione e con fascismo. Dev'essere sicuramente qualche composizione futurista, di quelle che piacciono così tanto dalle parti di Questurapound. Ho come una vaga impressione che oggi, all'inferno, persino le legioni sataniche facciano fatica a trattenere il Casseri dallo spanciarsi dalle risate; e ne ha ben donde. A Pistoia si fa così, e non solo a Pistoia. Si colpisce laddove si individua il pericolo reale e non si toccano i gentili collaboratori, anche se magari vanno qua e là a eliminare qualche immigrato.

E', in definitiva, l'applicazione autentica del principio della libera circolazione. L'avete presente, no? Quella che mette d'accordo tutti, dal PD ai leghisti, da Marchionne al compagno Odifreddi, da Volkswagen Mercedes Bresso a Roberto Cota. Libera circolazione delle persone e delle merci (che sono, naturalmente, la stessa cosa). Risparmio. Modernità. Velocità. Infrastrutture necessarie. Potremmo aggiungere, come gadget imprescindibile, la libera circolazione dei fascisti, dai pistoleros di Pistoia ai diplomatici di Osaka. Tutto e tutti possono circolare liberamente, a condizione di non rompere i coglioni; e quando si oltrepassa il limite in cui si rompe i coglioni a tutto un sistema (vale a dire la legalità), si diventa immediatamente black bloc e ci pensano i questori di precetto e i GIP di ordinanza.

Suggeriamo anzi al regista Sollima, fra un romanzo criminale e le eroiche gesta del VII Celere (che meravigliosa storia di uomini!), di dedicarsi, per il prossimo filmino, a quei poveri "188 agenti" rimasti così gravemente feriti, così menomati, così impediti nelle loro funzioni psicofisiche, durate la "battaglia di Chiomonte" del 3 luglio 2011. Direi che, per Sollima, l'Oscar si sta avvicinando a gran passi. Concludo, e mi sia perdonato e capito, rifiutandomi stavolta di esprimere qualsiasi forma di solidarietà a parole nei confronti di chi è stato arrestato oggi (e/o di chi sarà arrestato nei prossimi giorni). La solidarietà a parole ha fatto il suo tempo. Ora è tempo di agire, e di agire e basta, per farla davvero vedere 'sta solidarietà del cazzo. Non sarà düra, sarà dürissima. Di quelle da farsi suonare il campanello all'alba.

Il pescatore



All'ombra dell'ultimo sole
stanno pestando il pescatore,
lo hanno ben manganellato
come fanno al disoccupato.

Vennero in tanti al parlamento,
vennero in preda allo scontento
tasse di già ce n'eran tante,
gli hanno aumentato il carburante.

E chiese al ricco la benzina,
sennò la barca non cammina.
Volò uno sputo e uno spintone,
quello rispose col bastone.

Ed era di gennaio un giorno,
e come sempre tutti attorno
i poliziotti al pescatore,
e lo pestaron con furore.

Non è la storia di un momento,
le botte contro il malcontento.
Oggi è toccato al pescatore
come ad ogni lavoratore.

Come ad ogni lavoratore,
esser represso nel dolore
dalla sbirraglia bene armata
dal capitale comandata.

Vennero in piazza i gendarmi
coi manganelli e con le armi,
cariche addosso al contadino,
tanto c'è chi ci fa il filmino.

Ma all'ombra dell'ultimo sole
han già pestato il pescatore,
lo hanno ben manganellato
come fanno al disoccupato.



mercoledì 25 gennaio 2012

Saverio Tommasi e la tribù legaiola


Il video di Saverio Tommasi è disponibile a questa pagina YouTube.

Alcune considerazioni personali.

Concordo sicuramente con chi nutre verso queste persone un interesse antropologico, o addirittura naturalistico.

Non concordo invece affatto con chi, nonostante tutto, ostenta ancora "simpatia" verso di esse, pur specificando invariabilmente che è ben lungi dall'essere d'accordo con ciò che propugnano.

Mostrare anche la minima indulgenza o "simpatia umana" verso questi esseri, o anche soltanto con alcuni di essi, è un tentativo di confondere le acque; e la confusione delle acque non è mai buona cosa.

Esaurito l'interesse antropologico (o naturalistico), resta il nòcciolo della questione: neutralizzare queste persone che, di fatto, agiscono pienamente come obbedientissimi servi del padronato. Il quale, sarà bene chiarirlo una volta per tutte, se ne serve come tali.

Non deve interessare se "coscientemente" o "incoscientemente", non deve interessare il "folklore", non deve interessare la loro "comicità" volontaria o involontaria che sia. Se un ipotetico Saverio Tommasi tedesco si fosse recato alle manifestazioni della NSDAP prima dell'avvento di Hitler al potere, vi avrebbe probabilmente notato cose molto simili, ivi compreso il "folklore", ivi compresa la "comicità involontaria".

Vi avrebbe visto facce comuni, "popolo", signore e signori della porta accanto. Vi avrebbe visto la famosa banalità del male. Vi avrebbe visto l'ignoranza spinta a livelli talmente estremi da non poter più costituire esclusivamente un'occasione e un pretesto di risate e di dileggio. E neppure esclusivamente di interesse antropologico.

Nei confronti della "Lega Nord", dei suoi caporioni e del suo "popolo" sarebbe ora di recuperare un autentico disprezzo fattivo. Non soltanto un disprezzo ideale e verbale senza compromessi e senza indulgenze, ma un disprezzo fatto anche di attacco frontale senza quartiere.

Hanno potuto contare molto sulla mancanza di quest'ultimo aspetto. Hanno potuto costituire un sistema di potere locale e centrale che è una mafia. Hanno potuto occupare le strutture portanti di intere zone del paese, dando a bere e facendo passare che esistesse una "questione settentrionale" che coincide non a caso con gli interessi economici del padronato.

I loro meccanismi sono stati analizzati sotto ogni aspetto, anche perché non sono certamente nuovi. Oramai sono chiarissimi. Ora è tempo che siano considerati per quelli che sono, vale a dire nemici di classe. E come tali trattati.

Senza distinzione alcuna. Senza gentilezze e carinerie. Senza sguardi comprensivi. Senza "dialoghi" e "ascolti delle ragioni". Senza andare a considerare l' "episodietto umano" di qualcuno di loro, ché non ce deve fregare assolutamente un cazzo. Senza sottovalutarli, perché sottovalutare è sempre comodissimo e fa risparmiare parecchia fatica.

Sono d'accordo con Saverio Tommasi e sulle conclusioni che esprime in automobile, al ritorno verso Firenze. Ma sono conclusioni cui non si può arrivare senza una dura lotta.

Per quanto rozza e stupida che sia, la piazza leghista è piazza al servizio totale del potere. Non a caso non si conosce un episodio in cui la polizia sia intervenuta ad una loro manifestazione. Fianco a fianco. Culo e camicia. Nessuna manganellata, nessuna carica, nessun arresto per il Green Bloc.

lunedì 23 gennaio 2012

Da nevoso a frimaio


Qualcuno avrà forse notato che, finalmente, l'Asocial Network ha adottato il calendario rivoluzionario francese. Se avessi potuto, avrei eliminato tout court le date dei post coi mesi tradizionali; ma la piattaforma Blogger non lo consente. Nella fervida attesa di una versione révolutionnaire, ho trovato questo calendario con aggiornamento automatico che mi permetto di raccomandar di scaricare e adottare a tutt* coloro che si sentono giacobini nel profondo, anche a costo di finire sulla ghigliottina; e per favore, che non mi si vengano -come di consueto- a caramellare i coglioni con le "contraddizioni tra giacobinismo e anarchia", ché rispondo prima con una consapevolissima pernacchia, e poi nominando il mese di Germinale.

Non ci sono soltanto ragioni ideali; gli è che il calendario rivoluzionario, coi nomi creati dal poeta Fabre d'Églantine, è in assoluto il più bel computo dei giorni e dei mesi che mente umana abbia concepito, coi suoi nomi poetici e sognanti, basati sull'alternarsi delle stagioni e dei prodotti della terra. Un calendario pienamente pagano, e autenticamente pagano: via i santi, via tutte le chiese, e largo alla natura. Un calendario civile, repubblicano, e un calendario anche di allegria e di gioia di vivere. Non poteva durare; gli dèi, in ogni luogo, si sono impossessati anche del tempo. Ci sono stati, come ad esempio nella Russia sovietica, altri tentativi di fondare un calendario rivoluzionario; ma nessuno può seppur minimamente aspirare alla bellezza di quello francese.

Anche per questo, ho sempre trovato autenticamente commovente l'omaggio che il famoso gruppo nantese dei Tri Yann gli ha fatto nel 1990, in coda all'album Le pélégrin: commovente e singolare, dato che si tratta di un concept album che parla dello squinternato pellegrinaggio dell'irlandese Ian a Santiago de Compostela, a cavallo nel tempo. La canzone De nivôse en frimaire è l'inno al calendario rivoluzionario, in forma di vera canzone popolare, ed anche una trovata assolutamente geniale: al pellegrino che si dirige verso il santuario supremo della cristianità europea viene rivolta una canzone finale interamente basata sul calendario rivoluzionario. Vorrà dire qualcosa? Lascio a tutti le proprie ipotesi, se ne avranno. Intanto ribadisco che il qui presente Asociale è nato il 2 Vendemmiaio dell'anno CLXXII, cosa ben diversa dal volgare "25 settembre 1963" con cui è registrato all'anagrafe. Data buona al massimo per il codice fiscale, per il "63P25". E' come il naming of cats di Eliot: alla piattitudine lasciamo pure la data tradizionale, mentre quella vera e profonda sia posta tra nevoso e frimaio. E se non mi è stato dato di nascervi, che almeno mi sia concesso di morire in Germinale! E ora ascoltatevi la canzone, perché è deliziosa.



Si l’hiver au château trouve nobiesse au chaud,
Le bourgeois dans close litière,
Il jette en chemin au failli pélégrin,
Misère, gelure et malandrins.

Si Nivôse en froidure présage fruits bien mûrs,
Neuve paille aux toits des chaumières,
Pluviôse au balcon, Germinal aux tisons,
Si maigres flocons, maigres chapons.

Printemps en courroux finira doux, tout doux ;
Le coucou chassera loups et renards.

Si Germinal est frais, si Floréal est chaud,
Il y aura du foin pour tes chevaux,
Floréal pluvieux, Prairial trop venteux,
Feront le paysan disetteux.

Soleil en été gorge caves et greniers,
Messidor vaut pour maîtres et pour valets.

Fructidor en pluie fera verger rempli
Si soleil vient à point dorer le fruit.
Vendanges dans joie feront l’hiver moins froid,
Vendémiaire est dit-on sorcier du vin.

Si Brumaire est de glace, la vermine trépasse
Et l’automne se meurt en Frimaire,
Reviennent au chemin du failli pélégrin
Misère, gelure et malandrins.

Se l'inverno al castello trova la nobiltà al caldo
E il borghese in un comodo letto,
Getta sul cammino del povero pellegrino
Miseria, gelate e briganti.

Se un Nevoso freddo è presagio di frutti ben maturi
E di paglia nuova sul tetto delle capanne,
Se a Piovoso sei al balcone, a Germinale sarai col tizzone,
Se nevica poco ci sarà magro cappone.

Una primavera corrucciata finirà assai dolcemente;
Il cuculo scaccerà via i lupi e le volpi.

Se Germinale è fresco, se Fiorile è caldo
Ci sarà fieno per i tuoi cavalli,
Ma un Fiorile piovoso e un Pratile troppo ventoso
Getteranno il contadino nella carestia.

Il sole estivo ricolma cantine e granai,
Messidoro è per i padroni e per i servi.

Se piove a Fruttidoro si riempirà il verziere,
Se il sole viene al giusto punto a dorare i frutti.
Un'allegra vendemmia renderà meno freddo l'inverno,
Vendemmiaio, si dice, è il mago del vino.

Se Brumaio è gelato gli insetti nocivi muoiono
E l'autunno muore in Frimaio,
E tornano sul cammino del povero pellegrino
Miseria, gelate e briganti.

domenica 22 gennaio 2012

Medalland


Mi piacerebbe far gestire la cosa ai Monty Python. Dunque, secondo i dati attuali, l'Isola del Giglio ha 1465 abitanti; quindi, se si vuole attribuire una medaglia al valore alla popolazione dell'isola (poteva il Tirreno perdere un'occasione del genere?), si hanno due strade: o si forgiano 1465 medaglie e le si distribuiscono ai gigliesi, uno per uno, oppure si medaglia l'isola tout court. Un bel medaglione da Guinness dei Primati, da applicare magari sul punto più alto dell'isola (m 405 sul livello della Costa Concordia) in modo che tutti lo vedano e possano far l'inchino quando passano. E mica si penserà di cavarsela appuntando una medaglietta del cazzo ("cazzo" si può finalmente dire liberamente, da quando lo ha urlato il De Falco) al gonfalone; eh no. E' ora di finirla con queste tirchierie al valore, perdiana.

Sono peraltro ragionevolmente certo che, ai gigliesi, della medaglia non importa un fico secco. Importerebbe molto di più, e a piena ragione, che si sbrigassero a levare di mezzo quel popo' di tròschi di nave dalle loro acque, prima che le trasformi in un bel brodino di idrocarburi alifatici. Lo so che non è semplice, e che il relitto non è propriamente quello di un motoscafo; però i gigliesi non campano di medaglie, campano di turisti che per due mesi e mezzo all'anno vanno a fare il bagnetto in quelle acque limpide. Quindi, per l'amor del cielo, si faccia alla svelta a tirare su quello stracatacazzo di beauty farm galleggiante, e a restituire ai loro cari quei poveracci per cui è diventato una tomba; poi si conceda ai gigliesi, o all'isola del Giglio in toto, la graditissima medaglia di non far avvicinare mai più uno di quei tamburlani a meno di dieci miglia. Quella sola, e sul serio.

Mi chiedo poi: e che cosa mai avrebbero dovuto fare i gigliesi, visto che un transatlantico di assurdomila tonnellate era naufragato a cinque metri dal porto con a bordo tre isole del Giglio intere? Barricarsi nelle case chiudendo le porte a tripla mandata? Slegare tutti i pitbull e i mastini napoletani disponibili per ricacciare i naufraghi sulle scialuppe? Esporre agli ingressi degli alberghi cartelli con su scritto "Non si accettano naufraghi senza prenotazione"? E la famosa chiesa? O non è la casa del Signore sempre aperta? Che doveva fare il parroco, sprangarla perché al Signore non garba l'umido? I gigliesi hanno semplicemente esercitato un elementare atto di umanità e di soccorso collettivo in una situazione di emergenza, né più e né meno come fecero, ad esempio, quei fiorentini di Santa Croce quando, il 4 novembre 1966, si videro piombare in casa i carcerati delle Murate che rischiavano di annegare nella galera alluvionata. La quale fu aperta dal direttore e dalle guardie. Alcuni decisero poi di tornare in carcere, mentre alcuni evasero; un giovane detenuto si buttò in via dell'Agnolo allagata da tre metri d'acqua, e annegò. Ma a chi accolse in casa quei galeotti non fu torto un capello, né rubato nulla. E non ebbero nessuna medaglia al valore, anche se forse è più facile pigliarsi in casa o in chiesa quattromila naufraghi di una crociera Costa piuttosto che un centinaio di carcerati per reati vari.

Tutto questo non vuole affatto sminuire ciò che hanno fatto i gigliesi. Tutto il contrario. Ma, invece della medaglietta, bisognerebbe che esigessero che simili tragedie travestite da farse non si abbiano a ripetere, né al Giglio e né da altre parti. Titanic una sega. Il Titanic andò a sbattere contro un iceberg in mezzo all'oceano, non in uno scoglio per fare l'inchino o chissà che accidenti d'altro. Si era nel 1912 e Marconi stava ancora tentando di convincere il mondo che la radio serviva a qualcosa. Cent'anni dopo, una nave come il Costa Concordia è dotata di apparecchiature che, se ce le avesse avute l'Apollo 11, sarebbe andata su Giove, non sulla Luna. Ciononostante, la vita di quattromiladuecentotrentanove persone è stata messa in serio pericolo per qualcosa di cui non si vede il motivo. Sarà bene ricordarsene, invece di fare metafore e di proporre medaglie al valore. Invece di filosofare e di ipotizzare navi "anarchiche", ovviamente sempre come metafora della società futura. Ho una certa qual consuetudine coi testi anarchici, e non mi risulta che Malatesta, Kropotkin, Bakunin, Réclus, Alfonso Failla, Johann Most o Alfredo Bonanno abbiano mai ipotizzato navi senza un comandante. Cafiero e Bresci ammazzarono presidenti e re, non comandanti di navi. Se lo stesso Bresci non ci avesse avuto un bravo comandante che lo riportava in Italia da Paterson a bordo del Gascogne, Umberto I sarebbe andato a dormire tutto contento la sera del 29 luglio 1900.

Sono, e lo so bene, una persona poco originale. Vado avanti con delle idee e dei pensieri fissi. Sono anche abbastanza poco elastico. Infine, sono certamente un piccolo borghese con tutti i relativi e disprezzati rimasugli di buonsenso spicciolo. Il fatto è che, in questi giorni, ne ho sentite di tutte, e mi sono veramente rotto i coglioni. Questa della medaglia al valore ai gigliesi ha fatto traboccare il vaso, perdipiù nel paese degli eroi dove ogni città e ogni borgo sono medagliati per la "Resistenza", ma dove si permette ai fascisti di fare quello che vogliono. Poi ci ho un'altra idea fissa, che non riesce proprio a abbandonarmi.

Si basa, certo, su un'ipotesi. Del tutto irreale alla luce dei fatti, ma i fatti a volte spengono la luce. Poniamo che, davanti all'isola del Giglio, non fosse transitata la navona da crociera, bensì un cargo scalcagnato con a bordo un migliaio di immigranti clandestini pigiati come sardine. Poniamo che, invece di "Costa Concordia", sulle fiancate ci fosse stato scritto "Frizullo". Poniamo anche che il comandante della Frizullo, o Firozillo, seppur passibile di novecento anni di galera, sia stato abbastanza in gamba da non andare a inchinarsi contro uno scoglio, ma abbia cominciato a affondare in modo naturale, per cedimento della nave, splòp. Poniamo infine che, nonostante tutto, abbia chiamato a Livorno l'eroico De Falco un minuto dopo. Tutto ciò non si può porre, perché notoriamente, e fortunatamente per lei, l'isola del Giglio non è mai stata (e probabilmente non sarà mai) sulle rotte battute da navi del genere; non è nel canale di Sicilia e non si chiama Lampedusa. Al Giglio non ci sono "centri di accoglienza", CIE, sbarchi quotidiani, rivolte e quant'altro; quindi, tutto questo mio "porre" è frittura d'aria. Ma lo pongo lo stesso, perché è domenica mattina, ho la cervicale da tre giorni, il gatto dorme e oggi la Fiorentina le busca pure a Cagliari. Bene, chissà come la avrebbero presa, i gigliesi, in un'eventualità del genere. Avrebbero aperto le loro case a naufraghi puzzolenti e magari non ottimamente intenzionati, facendo a gara di solidarietà? Il parroco la avrebbe aperta, la chiesa? E gli albergatori si sarebbero precipitati a mettere le camere a disposizione di quei disperati? E la Bossi-Fini? E le espulsioni immediate? E il ministro che urla "Tornate in mare, cazzo!"? E quanti morti? Dove quelle rotte esistono per davvero, ce ne sono a centinaia ogni anno. Per i Lampedusani non mi risulta essere mai stata proposta nessuna medaglia al valore. Facile essere generosi e solidali quando i naufraghi son tutti bellini e rassicuranti, e quando il naufragio è stato un "una tantum" casuale e provocato da una serie immane di idiozie; mica ci sono organizzazioni intere che spediscono le carrette dei profughi, al Giglio.

Ma poiché io voglio pensare sempre per il meglio, e sono un ottimista incrollabile che sparava battute (seppur cretine) persino su un lettino di terapia intensiva ("Prelievo, signor Venturi!" "E che sono, un bancomat?"), sono certo che i gigliesi si sarebbero comportati anche in quel caso da esseri umani. Che non avrebbero fatto alcuna differenza, lassàndola altrui come diceva l'Angiolieri. Che avrebbero accolto i naufraghi della "Frizullo" (o Firozillo) allo stesso modo. Che avrebbero aperto case, chiese, alberghi, magazzini, stalle, cisterne, internet point, pizzicherie, torri medievali, fari e cabine della spiaggia. Che avrebbero dato una bella lezione a tutti quanti, altro che medaglia al valore. Che dal Giglio sarebbe cambiato davvero il vento, visto che le isole sono il regno dei venti che cambiano. Io me lo voglio propio stracredere. L'unica gigliese che ho conosciuto bene (perché abitava all'Elba) aveva un cognome strano, ma comunissimo su quell'isola: Rum. Il quale non c'entra niente con il liquore, ma deriva dalla denominazione turca dei greci ("romei", Ρωμαίοι): pensate a quali incroci e a quali naufragi quel cognome dev'essere arrivato su un'isoletta del Mar Tirreno; pensate ai gigliesi di qualche secolo fa, che non si devono essere fatti problemi a accogliere fra di loro "li turchi", quelli del "mamma li". E non c'era, allora, nessun Tirreno che proponeva appelli medaglianti, firmati anche da indefessi sgomberatori di immigrati come Matteo Renzi, da eroici fan dei "CIE umani" come Enrico Rossi e persino dal prode Marcello Lippi che s'è fatto sbattere fuori dai mondiali dalla Slovacchia.

sabato 21 gennaio 2012

Laura Senzabandiera e la minorità


A sedici anni non si può andare a spasso per gli oceani; bisogna andare a scuola. Bisogna andare a imparare come diventare schiavi del lavoro e del mercato, altrimenti sono guai seri. Ti arrestano, direttamente. Si coalizzano per rimetterti in riga, ragazzina: ma che ti sarà saltato in mente di farti il giro del mondo su una barchetta a vela, quando alla tua età hai tutta una serie di attività codificate dalla società, dallo stato e dai mercanti? Devi studiare sui libri che ti mettono in mano, se sei fortunata; altrimenti, sempre a sedici anni, puoi andare tranquillamente a fabbricare stracci al nero in qualche laboratorio i cui titolari, generalmente, non vengono arrestati affatto. A meno che il laboratorio non bruci, o non succeda qualche altra disgrazia; perché a sedici anni puoi anche morire. Capito, Laura? Non ti devi stupire che il tuo stato, i tuoi servizi sociali e quant'altro, ti stiano dando la caccia e perseguitando. Sei un'intollerabile anomalia. Andare per gli oceani ti è ufficialmente vietato. Non puoi decidere della tua vita, decidono gli altri. Istanze superiori. Per te si sono scomodati addirittura il governo olandese e la polizia marittima di Sua Maestà Britannica; è la minorità, cara mia. Te la stai imparando sulla tua pelle. Hai osato fare quel che ti è parso, prendere una barchetta e andartene; non si fa così. Non devi soltanto andare a scuola: devi fungere da target per i vestitini, i gadgets e Justin Bieber (a proposito, lui ci sarà andato a scuola?). Devi tranquillamente fungere da oggetto sessuale, e non soltanto di tuoi coetanei. Quanto alla scuola, devi beccarti la Gelmini se stai in Italia, oppure i libri che ti dicono che Pinochet ha guidato un simpatico governo militare se stai in Cile; nei Paesi Bassi non lo so, ma se tu mi dicessi, cara Laura, che preferisci le onde dell'oceano a Geert Wilders non me ne meraviglierei. Poi, a sedici anni, hai tutta una serie di cose che puoi fare: puoi essere stuprata dal branco, puoi incappare nel paparino separato quando gli piglia la voglia di trasformarti in angelo per fare un dispetto alla mamma (se non l'ha già ammazzata prima, chiaro), puoi tornare da scuola e farti crollare sopra una palazzina abusiva intera (e poi dicono che è pericoloso il canale di Drake!), puoi passare il tempo a sfogliare Top Girl, puoi scoprire i valori di Forza Nuova e di Casapound (dai, su, ci saranno pure una Nieuwe Kracht e una Poundhuis anche in Olanda...), puoi farti convincere che i rumeni hanno lo stupro nella cultura, puoi tirare un gazzettiero sospiro di sollievo che gli zingari non t'abbiano rapita quando portavi i pannolini, se ti piglia la voglia di scappare dopo un po' ci hai Chi l'ha visto alle calcagna, se ti angiolettìzzano ci hai invece La vita in diretta e Bruno Bzzzzzzzzzzz, e magari puoi anche essere tranquillamente manganellata da adulti e padridifamiglissimi poliziotti mentre stai manifestando proprio perché la famosa scuola dove ti vogliono mandare per forza anche a costo di arrestarti sta andando privatizzazionescamente a catafascio. Tu pensa se un tuo coetaneo greco ci avesse avuto pure lui la voglia di navigar per mare, e lo avessero arrestato per rimandarlo a scuola prima, e per farlo imbattere nella pallottola vagante dell'agente speciale Korkoneas poi. Vedi quante cose ti fanno fare, a sedici anni; senza contare, ovviamente, la tua prezïosa presenza sui Social Networks, dove puoi persino specificare se hai il fidanzato o una situazione complicata.

L'ho sempre detto che alla tua età non si ha scampo. Oltre a questo, sei pure una Laura; non so come mai, ma qualcosa mi dice che, se tu fossi stata un Cornelius o un Hendrik Willem, le cose sarebbero state almeno un po' diverse. Persino nella modernissima Olanda. A proposito, cara Laura: c'è un'altra cosa in cui mi sei garbata parecchio. Quando, dopo tutto quello che ti stavano combinando, hai preso e hai ammainato la bandiera olandese. Laura Senzabandiera, che hai il coraggio di dichiarare quanto segue: "Negli scorsi undici mesi ho dovuto affrontare temporali e mareggiate, pericolose barriere coralline e difficili approcci ai porti, mantenendo la barca in buone condizioni e me stessa pure. Credo che sia stata una buona scuola e che io abbia dimostrato di essere stata promossa. Ma in più ho dovuto viaggiare con la costante preoccupazione degli umilianti fastidi che le autorità olandesi davano a mio padre e con il timore che, al mio ritorno, mi avrebbero separato da lui per consegnarmi a degli assistenti sociali, come se fossi orfana e incapace di badare a me stessa. Ho perfino paura che all'arrivo ci siano dei poliziotti ad attendermi con le manette. Ebbene, non ci sto. Avevo deciso di non terminare il mio giro del mondo in Olanda proprio per protesta contro il comportamento del mio paese. Per la stessa ragione ho ammainato la bandiera olandese dalla mia barca. E per lo stesso motivo ora sto pensando di andare a vivere da un'altra parte".

Insomma, sí. Puoi fare tutto, a condizione che sia quello che vogliono le autorità. A condizione che non sia andare per gli oceani innalzando la bandiera dei sogni e della libertà. Ragazzina, devi stare alle regole e nei posti che ti sono stati assegnati. Lo stato coi suoi giudici e con i suoi educatori lo ha deciso, e non puoi certo immaginare di ribellarti. Presa, impacchettata e rispedita a scuola. Sicuramente non te ne farai niente, ma almeno sappi che qualcuno, da qualche parte del mondo, si alza invece in piedi davanti a te, ti abbraccia e ti dice di ripigliare la tua barca e di andartene sul grande mare. Quel mare dove a te vogliono impedire di andare, e dove invece fanno andare gli Schettini con stipendi da favola.

giovedì 19 gennaio 2012

Speculazziò, speculazziò. Firenze: sgomberata via dei Conciatori.


Con preghiera di diffusione.

Oggi 19 gennaio 2012, alle ore 6 del mattino e dopo che mezzo quartiere di Santa Croce era stato chiuso al traffico e transennato dal Comune con la dicitura "Chiuso per manifestazione" (sic!), un battaglione intero fra polizia, carabinieri e vigili urbani ha provveduto a sgomberare con la forza l'immobile di via dei Conciatori.

Tale storico immobile, sede di antichissime concerie e di proprietà pubblica, ospitava da 31 anni tutta una serie di realtà sociali e associative fiorentine, dai Cobas al Circolo Anarchico Fiorentino, ed anche la prima associazione dei migranti senegalesi che si era costituita a Firenze. In tutti questi anni, letteralmente centinaia di iniziative per la popolazione vi sono state realizzate, in un quartiere che è stato progressivamente svuotato del suo tessuto sociale e dal quale la popolazione residente è stata espulsa a colpi di affitti e sfratti (attività nella quale Firenze detiene il record in Italia) per essere sostituita con prestigiosi appartamenti dati in affitto a stranieri "buoni", quelli danarosi, che fanno guadagnare fior di soldoni alle cricche politiche e speculative fiorentine.

In via dei Conciatori la storia si è ripetuta.

L'immobile è stato infatti messo all'asta, senza nessuna consultazione con le realtà sociali e politiche che vi operavano, e svenduto ad una società immobiliare, la "Toscotre", che si è costituita "ad hoc" soltanto tre giorni prima dello svolgimento dell'asta. La "Toscotre" si è aggiudicata l'immobile (1700 m2) ad un prezzo stracciato: 1150 euro al m2. Praticamente un prezzo da casa popolare, per impiantarvi tutta una serie di facilities e appartamenti che verranno ovviamente rivenduti ad un prezzo almeno cinque volte maggiore.

Stamani è stato proceduto allo sgombero forzato, con un dispiegamento di "forze dell'ordine" assolutamente esagerato. Praticamente mezzo quartiere è stato chiuso e presidiato da uomini armati fino ai denti. Le persone che si trovavano nell'immobile sono state allontanate a manganellate, anche se alcuni (facenti parte perlopiù del Circolo Anarchico Fiorentino, che fino all'ultimo ha proseguito la sua attività) hanno tentato un'estrema forma di resistenza salendo sul tetto, sul quale sono rimasti alcune ore. Nel frattempo, tutte le masserizie sono state rimosse e caricate su dei camion, mentre squadre di operai comunali provvedevano a murare porte e finestre. Il Comune di Firenze si fa quindi perfetto esecutore armato di interessi speculativi privati.



Come si vede dalle foto, l'intera via dei Conciatori è stata chiusa al traffico e occupata militarmente per operare lo sgombero; alle sue estremità, convocato letteralmente col tam tam della foresta, si è formato un presidio di militanti antagonisti fiorentini che, al termine, ha dato vita a un corteo fino al mercato e alla piazza di Sant'Ambrogio.

La giunta fascista e affaristica di Matteo Renzi, passata la sbornia mediatica, mostra ancora una volta il suo vero volto di braccio armato dei più loschi interessi affaristico-speculativi presenti in città. Con il pretesto del "bello", del "decoro" e della "lotta al degrado", Renzi sta distruggendo quel che resta della Firenze sociale e consegnando la città nelle mani della speculazione più smaccata e selvaggia. Privatizzazione dei trasporti pubblici, le bollette per l'acqua più care d'Italia nonostante il referendum del 12 e 13 giugno, sgomberi quotidiani, eliminazione del mercato di San Lorenzo: la faccia lurida di questo fascistello e dei suoi tirapiedi (come l'assessore al mercimonio, Fantoni, che sta espellendo tutto l'associativismo fiorentino per monetizzare gli immobili pubblici da svendere a speculatori di ogni tipo) è oramai pienamente smascherata.

L'esperienza di via dei Conciatori non finisce però qui, con l'espulsione e la consegna dell'immobile nelle mani sporche di chi sta trasformando sempre di più Firenze in una Disneyland a carissimo prezzo per le tasche di pochi, a spese sia delle realtà sociali e realmente antagoniste, sia della popolazione. Da sottolineare particolarmente il fatto che via dei Conciatori, come già detto prima, era sede anche di un'associazione di migranti senegalesi: la "solidarietà" falsamente sbandierata da Renzi dopo i fatti del 13 dicembre trova qui la sua perfetta e logica applicazione. I senegalesi vengono sgomberati e i loro assassini rimangono indisturbati, persino con l'annuale spettacolino della "manifestazione sulle foibe".

Non finisce qui, e nei prossimi mesi le realtà antagoniste e resistenti fiorentine saranno chiamate ad un'attività ancora maggiore e a una lotta ancora più dura e pericolosa per sconfiggere ogni tentativo di trasformare definitivamente Firenze (e non soltanto il suo centro storico) in un contenitore bello lustro, in un grazioso e pittoresco barattolo che sotto la patina del "bello" nasconde qualcosa di molto simile allo Zyklon B.

martedì 17 gennaio 2012

Storia di Clara, che trovò il manzo e fu licenziata


Clara Peller era nata il 4 agosto 1902 a Chicago, da una famiglia di ebrei russi. Si sposò a vent'anni con un gioielliere, dal quale divorziò dopo otto anni e due figli. Per trentacinque anni lavorò come manicure in un salone di bellezza, non aspettandosi certamente quel che le sarebbe accaduto a ottant'anni suonati. Era il 1982; già in pensione da anni, ma ancora attiva, Clara fu assunta come manicure temporanea presso un grosso coiffeur di Chicago, che aveva cominciato a farsi pubblicità televisiva. L'anziana signora era un elemento: alta un metro e quarantadue, mezza sorda e con una voce enfisematosa per i due pacchetti di sigarette al giorno che si fumava imperterrita, pare che guidasse la macchina come una pazza scatenata e che avesse la caratteristica di non mandarle mai a dire a nessuno. Rimanendone impressionato e "fiutando" il personaggio, il responsabile dell'agenzia pubblicitaria che curava lo spot per il parrucchiere le propose di firmare un contratto come attrice; cominciò così la seconda vita di Clara Peller. Per un paio d'anni le fecero girare varie cosette, con le quali ebbe comunque a guadagnare qualcosa di più che con le tronchesine e le limette da manicure; finché, nel 1984, l'agenzia non la scritturò per uno spot per una catena di fast food.

Il fast food in questione, Wendy's, intendeva naturalmente far risaltare che i suoi panini ci avevano gli hamburger più grossi (e, si presume, anche più buoni) di quegli altri; lo spot per cui Clara era stata scritturata vedeva come protagoniste tre vecchiette, vestite esattamente come Nonna Papera, che si recavano nell'immaginario fast food concorrente "Big Bun"(qualcosa come "paninone", o "paninazzo") dove viene servito loro un panino assolutamente enorme. Quando però una di loro lo apre, si accorge che dentro c'è un hamburger minuscolo. Qui entra in scena Clara, che con la sua voce da camionista comincia a berciare, con tono oltraggiato: Where's the beef? Dov'è il manzo? La frase, ripetuta di continuo, in alcuni spot provoca una ventata che spazza via i registratori di cassa del fast food; in altri, invece, arriva per telefono al direttore generale, mentre sta rilassandosi sul suo yacht "S.S. Big Bun", facendolo rotolare dalla sedia a sdraio come investito da un uragano.



E un uragano, appunto, diventò lo spot. Tanto da far ricordare come storica la data in cui andò in onda per la prima volta, il 10 gennaio 1984. Un'autentico boom, che trasformò di punto in bianco un'ottuagenaria in uno dei personaggi più famosi d'America, e una semplice frasetta pronunciata con una vociaccia roca e irascibile in un fenomeno culturale. Nel 1985, il volume d'affari di Wendy's era salito del 31%, con un fatturato annuo di 945 milioni di dollari. Il vicepresidente di Wendy's, Denny Lynch, dichiarò che in cinque settimane di campagna pubblicitaria, l'azienda aveva realizzato più che nei precedenti suoi 14 anni di esistenza. Durante la campagna presidenziale del 1984 (stravinta poi da Ronald Reagan), avvenne poi un curioso episodio. In un dibattito televisivo per la nomination dello sfidante democratico, uno dei favoriti, il senatore Gary Hart, stava esprimendo un punto del suo programma che prevedeva la restaurazione dell'imprenditorialità e la creazione di posti di lavoro. Dopo che ebbe terminato, fu data la parola a Walter Mondale, ex vicepresidente sotto la presidenza Carter e principale candidato alla nomination. Costui stroncò il rivale utilizzando proprio la frase dello spot di Clara Peller: Where's the beef? Intendeva dire che il programma di Hart era come un panino enorme con un hamburger invisibile dentro; Hart fu sommerso dalle risate del pubblico. La frase, insomma, era passata rapidamente nel linguaggio comune (e vi è tuttora, a quasi trent'anni di distanza): significa, in pratica, "tanto fumo e poco arrosto". Mondale vinse la nomination e fu travolto da Reagan; Gary Hart corse ancora per la presidenza nel 1988, ma fu tolto di mezzo dal solito scandalo sessuale (una relazione extraconiugale con una modella di 29 anni, Donna Rice). Vinse Bush senior.


Clara Peller, nel frattempo, era diventata famosissima. Ma non ricchissima, nonostante i guadagni spaventosi che aveva fatto fare a Wendy's. All'inizio della campagna pubblicitaria le era stato riconosciuto il salario contrattuale: 317 dollari e 40 cents per ogni giornata di riprese. In seguito, un responsabile dell'azienda disse che, per i primi due spot, a Clara erano stati corrisposti circa 30.000 dollari. Alla fine, lo stesso responsabile dichiarò che, in tutto, Clara Peller aveva ricevuto circa 500.000 dollari per tutti gli spot girati, ma fu smentito dalla stessa attrice che ammise comunque di aver "guadagnato una discreta sommetta per una vecchia di ottant'anni e rotti". La campagna ebbe comunque vita breve.

Nel 1985, Clara Peller, che da contratto era stata dichiarata libera di interpretare spot per altre aziende a condizione che non fossero in concorrenza diretta con Wendy's, fu scritturata da un colosso: la Campbell's Soup, multinazionale delle zuppe in scatola. Quella, insomma, oggetto di una celeberrima opera di pop-arte di Andy Warhol riprodotta in milioni di poster. La Campbell's aveva appena lanciato una linea di "sughi italiani" per pasta, chiamata Prego. La risposta a grazie, insomma; e, per lanciare una nuova linea di prodotti in quel momento, assicurarsi Clara Peller, sebbene non ci avesse proprio nulla di "italiano", era come acquistare Maradona per una squadra di calcio. Curiosamente, se il finto fast food dello spot di Wendy's si chiamava Big Bun (laddove l'espressione to have a bun in the oven significa popolarmente "essere incinta"), prego (o preggo) è una comune abbreviazione per pregnant. Passando da un'incinta all'altra, Clara Peller aveva ritenuto che dei sughi al pomodoro non fossero in diretta concorrenza con gli hamburger di Wendy's; senonché, l'agenzia pubblicitaria che curava la campagna della Campbell's aveva avuto una bella trovata.

Poiché la linea di sughi prevedeva anche un ragù di carne per gli spaghetti bolognese (in inglese, alla non serve), i "creativi" avevano deciso di far pronunciare a Clara Peller, mentre assaggiava il sugo: I found it! I really found it! L'ho trovato! L'ho trovato davvero! Insomma, la risposta alla fatidica domanda Where's the beef. Clara cercava il manzo nello spot della Wendy's, e lo trovava in quello della Campbell's. Apriti cielo. La direzione di Wendy's insorse con toni degni di un anatema papale, sostenendo che lo spot della Campbell's presupponeva che "Clara ha trovato il manzo da qualche parte diversa dai ristoranti Wendy's", e che "Clara può trovare il manzo soltanto in un posto, cioè Wendy's". Clara, insomma, poteva trovare tranquillamente pomodori, basilico, vongole e ulive, ma non il manzo. Il manzo era solo da Wendy's. Avendo trovato il manzo altrove, Clara fu licenziata in tronco e la campagna pubblicitaria sospesa. Con lo stesso tono incazzato e la stessa voce roca, Clara Peller rispose: "Ho fatto guadagnar loro milioni, ma evidentemente non mi apprezzano".

Grazie a questa geniale alzatina d'ingegno, la Wendy's riuscì a suicidarsi all'istante, preparandosi un bell'hamburger di lemmings. Crollo immediato delle vendite, e una crisi terrificante dalla quale l'azienda si riprese parzialmente solo dopo anni. Chiusura di decine di ristoranti e perdita di centinaia di posti di lavoro salvabilissimi lasciando a Clara cercare il manzo da Wendy's e trovarlo nei sughi Prego. Soprattutto, la Wendy's fu colpita da un'autentica ondata di collera da parte dei consumatori americani, che si ritrovavano privati degli esilaranti spot dove Clara Peller, oramai, chiedeva sempre più incazzata dove fosse il manzo a re e presidenti (non a Gesù o a Dio in persona, perché in America non si può; laggiù, una campagna come quella del caffè Lavazza, ambientata in paradiso, sarebbe impensabile).

Clara Peller, però, cercò di sfruttare quanto più poteva la sua fama acquisita in tarda età. Concesse interviste ben pagate per le quali "guadagnava più che in un anno da manicure". Appariva in show televisivi dichiarando di non sapere quant'anni avesse di preciso e brutalizzando una volta un impiegato della sicurezza sociale, al quale presentò in due minuti tre date di nascita diverse. Il 14 aprile 1984, durante lo show Saturday Night Live, fu intervistata da un ex candidato alla presidenza degli Stati Uniti, George McGovern; interpretò persino un film, Moving Violations, dove guidava la macchina "alla sua maniera" e pronunciava la frase Where's the bags ispirata evidentemente a quella "storica" dello spot. Morì poco dopo, l'11 agosto 1987, una settimana dopo aver compiuto 85 anni. Chissà cos'avrà trovato dall'altra parte, ma non è fuori luogo che sia arrivata sigaretta in bocca e vestita da Nonna Papera, e che, con la sua vociaccia stizzita, abbia davvero domandato dove fosse il manzo anche al Padreterno.

lunedì 16 gennaio 2012

Il galeone


Mi sembra di cogliere in giro, almeno da parte di alcuni, delle forti tentazioni.

Chiamerò la prima tentazione della metafora. La grande nave che affonda, la zattera della Medusa, i ricchi puniti con la catastrofe, la nave-Italia ed altre cose del genere.

La seconda, anche più forte, è quella del paragone. Stabilire un confronto con le carrette del mare, quelle che affondano stracariche di immigrati clandestini nella generale indifferenza. Nessuno si ricorda nemmeno più della Kater i Radës. Centinaia e centinaia di morti del tutto ignorati, che scappano a bordo di imbarcazioni generalmente prive di beauty farm, di piscine e di ristoranti.

Per riassumere: per un transatlantico di superlusso si fa tanta camorra, scomodando persino il Titanic (inevitabile, a 100 anni esatti dalla tragedia) e non tenendo presente che in quel naufragio ci furono 1500 morti in mezzo all'Oceano Atlantico, non a due metri dall'isola del Giglio. Per le centinaia di morti che si hanno ogni anno nel canale di Sicilia e dovunque nel Mediterraneo non si scomoda proprio nulla. Anzi. Se ne fa, casomai, un problema di ordine pubblico. Nessun collegamento continuo, nessuna rassegna dei siti esteri, nessuna diretta Twitter, nessuna polemica sulle cause, niente. Io dico però che bisognerebbe resistere a queste tentazioni, che pure vengono quasi naturali, e cercare invece di andare un po' oltre.

Sulla Costa Concordia non c'erano dei miliardari da “punire” in modo divino, e non c'erano nemmeno i poveri emigranti della terza classe. C'erano 4234 persone che avevano invariabilmente pagato un migliaio di euro per andare a divertirsi e a illudersi per una settimana di essere esclusivi. A bordo di quella nave, come di tutte le altre consimilari, c'erano centinaia di famiglie di quelle in crisi, provenienti da mezzo mondo. Di quelle che faticano per arrivare in fondo al mese, ma che non “vogliono rinunciare”. Mille euro? E che saranno. Avessi voluto, e se di fare una crociera me ne importasse qualcosa, me la sarei potuta permettere persino io. Così come a bordo della Herald of Free Enterprise c'erano i lettori di un tabloid inglese che avevano vinto un viaggio promozionale in Olanda. Anche quella nave si adagiò su un basso fondale: 193 morti. 6 marzo 1987. Si capovolse su un fianco l'Araldo della Libera Impresa, portandosi dietro centonovantatré poveracci che leggevano una spazzatura di destra basata sui capriccini dei regnanti, sulle corna dei calciatori, sul forcaiolismo allo stato puro e sul razzismo più becero. Qualcuno ha mai sfogliato il Sun?

A bordo della Costa Concordia si trovavano, quindi, persone normalissime. La tentazione della metafora confonde la nave coi suoi passeggeri. Navi come la Costa Concordia non sono il “tempio del lusso”, non sono il megayacht di Khashoggi o di Onassis. Sono, casomai, il tempio dell'illusione temporanea. Per la miseria di mille euro offrono a coloro che lo desiderano (o a coloro cui viene fatto desiderare) l'immagine che si ha generalmente del “lusso”: proprio per questo sono gigantesche e esagerate. A modo loro, però, sono al tempo stesso estremamente proletarie. Sono popolate da persone anonime, che ricevono un nome soltanto in caso di catastrofe. Sono l’ologramma del lusso e della ricchezza venduto ad un prezzo abbordabile. Assieme a loro, l'equipaggio. Lavoratori.

Non c'è proprio nessuna metafora da mettere in atto. Quella dell'Italia che affonda assieme al “suo Titanic” è, fra tutte, la più ridicola. Non c’è nessun Titanic, a parte le dimensioni della nave. Così come non c’è proprio nessun paragone da fare, almeno nei termini in cui dev’essere saltato in testa a parecchi. Nelle condizioni attuali, non c’è da domandarsi perché il barcone degli immigrati clandestini periti in mare non riceva le stesse “attenzioni” e la stessa considerazione di una nave da crociera; ci sarebbe, invece, da ripercorrere una strada a ritroso. Tornare indietro nel tempo fino al punto in cui delle persone sono state spogliate, anche nella terminologia, delle caratteristiche umane. Fino al punto in cui queste persone sono state trasformate in “immigrati” e “clandestini”, in capi senza nome. Bestiame. “Annegano 200 clandestini” come “annegano 200 bovi”. Fino al punto in cui a queste persone, prive di documenti, non è stato più riconosciuto nemmeno il diritto di avere un nome da ricordare. Fino al punto in cui è stato deciso di considerarle una massa di invasori da eliminare, respingere e rinchiudere in strutture di concentramento. Fino al punto in cui, nel sentire comune, sono cominciate ad affiorare frasi del tipo “ributtiamoli a mare”. Il naufragio, atto antichissimo di esercizio della solidarietà indistinta, diviene un sistema di eliminazione. Il suo prodursi in determinate occasioni è visto con sollievo e favore, perché toglie di mezzo bestie pericolose e feroci, potenziali criminali, ladri di lavoro e quant’altro. È in quel punto nel tempo e nella storia che si ferma ogni tipo di paragone possibile.

E allora è necessario prendere atto di alcune cose. Ad esempio, che tra i passeggeri naufragati sul Costa Concordia ve ne siano molti che, almeno una volta nella loro vita, hanno pensato o espresso tali cose a proposito dei clandestini naufragati e sbarcati, magari su un’isoletta del Mediterraneo del tutto simile a quella alle cui coste la gigantesca nave da crociera si sta pericolosamente avvicinando in una notte di gennaio. Così come, su qualche carretta terrificante e stracolma di disperati in fuga da povertà, fame e guerre, molti staranno pensando quanto piacerebbe loro che, una buona volta, affondasse una bella nave di ricchi portandoseli via tutti. Invece toccherà alle loro imbarcazioni. Toccherà a loro, che per pagarsi quel viaggio hanno peraltro speso ben più del biglietto per la crociera con le piscine, i ristoranti e i beauty farm. Tutto quello che avevano, spesso.

A bordo delle carrette, schiavi. Caporalati, mercatini, rosarni, piazze dalmazie, CIE, bossifini, degradisicurezze, rabbiorgogli, lampeduse, borsoni e preghiere; e vaglielo tu, caro, a spiegare che dio non esiste. Io non credo in dio, ma a volte lo ritengo un lusso che mi è stato riservato. Ben più lussuoso dei marmi e delle luminarie della Costa Concordia. Intanto, in acque profonde, incrocia la Costa Discordia, e costa parecchio. A tutti quanti.

A bordo della gran nave da crociera, schiavi. Ragionieri, viaggidinozze, camerieri, famiglie di Andorra, pensionati, ballerine, geometri, macchinisti, qualche anarchico in incognito ma dotato di euro mille; e vaglielo tu, caro, a spiegare che sono schiavi lo stesso, anche se giocano a far da padroni. Vaglielo a dire che quella nave l’hanno costruita gli operai della Fincantieri, ah sí, ma dai! Quelli che bloccano le stazioni?

A proposito di anarchici, una volta ce n’era uno che aveva passato la vita in galera. Si chiamava Belgrado Pedrini, e mentre era in cella scrisse una canzone in uno strano linguaggio che sembrava venire di peso da un lontano passato. Era, invece, il 1967. Dal 1967 chi conosce quella canzone si chiede cosa siano le torme di schiavi adusti. La canzone si chiama Il galeone. Parla di una nave di schiavi che remano e che periscono tra i flutti. Bisognerebbe tornare indietro nel tempo, già. Fino a quel punto in cui abbiamo perso la coscienza che, su quel Galeone, ci siamo tutti quanti, e schiavi. Sia che il galeone sia un’orrenda bara galleggiante che, in un certo momento, smette di galleggiare trascinando a fondo tutto un carico di senzanome privi di documenti; sia che esso sia una nave sfavillante che, in un certo momento, smette di sfavillare e piomba nel buio trascinando a fondo tutto un carico di senzanome muniti di documenti. Ed anche la ciurma, che sia o meno anemica. Dal comandante fino all’ultimo degli inservienti.

Tornare indietro fino al punto in cui abbiamo smesso di considerarci tutti quanti alla deriva sull’oceano. Alla deriva, ma pronti a cercare perlomeno di farvi fronte. Tutti uguali in preda ai flutti. Senza nessuna “illegalità”, senza nessun “clandestino” e anche senza nessun biglietto perché il mare è libero. Libero e pericoloso, come la libertà stessa. Per questo affondano regolarmente anche le navi dette “inaffondabili”. Ci saliamo sopra pensando di essere al sicuro, ma l’unica cosa sicura è quell’acqua nera e gelida che è pronta a richiudersi su di noi. E allora capiamo. Ma è troppo tardi. Non lo potremo dire. Nessuna metafora, nessun paragone: nell’oceano dell’odio, dell’ingiustizia e della disuguaglianza siamo già affondati tutti da un bel pezzo.


venerdì 13 gennaio 2012

Ma come osano sparare sulla Pubblica Assistenza?


Ma come osano.

Sistemare in piazza Dalmazia una lapide con su scritto che Mor Diop e Samb Modou sono stati uccisi da "mano razzista e fascista". Nel 2012. Ma dove siamo.

Sono stati uccisi da un tizio, un folle che, come è noto, che faceva parte di una ONLUS. Praticamente un'associazione umanitaria. Basata sul volontariato. Avrebbero dovuto scriverci, sulla lapide: Per Mor Diop e Samb Modou. Uccisi dalla Pubblica Assistenza "Ezra Pound". Ora, come no, si tratta senz'altro di un episodio da stigmatizzare, però in questo paese uno non può più essere nemmeno folle e far parte di un'associazione umanitaria. Ma li avete mai visti quelli sulle ambulanze a che velocità vanno, a volte? E quelli sarebbero normali? Altro che un paio di negri, quelli rischiano di ammazzare decine di italiani al giorno!

Uccisi, poi? Non va nemmeno quello. No che non va. Diciamo che si sono messi nel mezzo ad una tempesta esistenziale di quel membro della Pubblica Assistenza, che magari ci aveva pure la glicemia alta. Ne so qualcosa ultimamente. Quando mi faccio lo stick e il valore glicemico supera il dovuto, mi prende lo Sturm und Drang e invece della metformina mi fo la cinghiamattanza. Lui, del resto, che cosa ha fatto? Non aveva neppure la cinghia. Si è limitato alla mattanza. Che sarà mai.

Io non capisco come mai questi due si son voluti proprio trovare là, insomma. Stare proprio in piazza Dalmazia; o non potevano andarsene, che so io, al mercato di San Lorenzo? Ah no, scordavo, lì non ci possono stare perché il Comune ci ha piazzato i cartelli contro gli Abusivi. E loro erano abusivi. E quel che capisco ancora meno, e tutto quest'accanirsi contro quella benemerita organizzazione là, la Pubblica Assistenza Pound. Vogliono chiuderla, addirittura. Ma insomma, chi li va poi a pulire i giardinetti? E il pane, chi lo distribuisce a gratis? Chi lo commemora Rino Gaetano?

Un'autentica persecuzione contro la Pubblica Assistenza Pound, orchestrata dai soliti. Per fortuna non si lascerà intimidire. Un atto inconsulto sí, ma provateci voi a vedervi schizzare il diabete a 400; e il diabete, come si sa, è islamo-comunista con qualche venatura di invasione, di Eurabia, di scontro di civiltà e di radici cristiane. La Pubblica Assistenza ha fatto quadrato. Lascerà un po' calmare le acque, che del resto si sono già ampiamente placate. Ci mancherebbe. Qualche manifestazione, qualche articolo su dei blog, una lapide faziosa e capziosa. Quasi peggiore di quella alla stazione di Bologna, quella che dice vittime del terrorismo fascista. O se oramai lo sanno tutti che sono stati i palestinesi, ancora una volta loro. Lo dice anche Giovanardi. Quasi quasi lo farei presidente ad honorem della Pubblica Assistenza.

Succederà, fortunatamente, come a Milano. Avete presente un'altra lapide, quella dedicata all'anarchico Pinelli? C'era scritto "ucciso innocente nei locali della questura" o roba del genere. Il Comune l'ha opportunamente corretta, e ci ha scritto "innocente morto tragicamente". Quei due, poi, sí, saranno morti pure loro tragicamente, ma non erano nemmeno innocenti. Erano colpevoli di essere negri, di rubare il lavoro e le case agl'Italiani, di adorà' Maometto, di viulentà' le donne bianche e, in definitiva, di esistere. La Pubblica Assistenza Pound se n'è fatta carico. Umanitariamente. Una vera ONLUS. Organizzazione Nazionale Liberazione Umanitaria Spazzatura. Dai giardinetti di Pistoia e dai mercatini di Firenze.

Ci penseranno, a rimettere le cose al loro posto, il tempo, "Top Girl" e qualche altra seria rivista del genere. I valori che la Pubblica Assistenza Pound crea e diffonde sono universali e propongono risposte concrete alla Gioventù Nazionale. Tra un po' di tempo, il Comune di Firenze provvederà a correggere la lapide in piazza Dalmazia:


Il fascismo



Il fascismo non ci arriva dal futuro
anche se ci porta qualche novità.
Io lo so cosa nasconde tra i suoi denti,
mentre sorride e mi dà la mano.

Le sue radici s'abbarbicano al sistema
e si perdono nel profondo del passato.
Le sue maschere cambiano nel tempo,
ma certo non l'odio che riserva a me.

Il fascismo devi capirlo a fondo.
Non creperà da solo, devi spezzarlo.

Il fascismo non viene da un posto
dove si fa bagni di sole e vento,
io lo conosco il suo passo stanco
e lui sa la traboccante giovinezza nostra.

Ma come colera si diffonderà di nuovo
poggiando il passo sulla tua indifferenza,
e arriverà al tuo fianco un giorno
se smarrisci i tuoi occhiali di classe.

Ο φασισμός

Ο φασισμός δεν έρχεται από το μέλλον
καινούριο τάχα κάτι να μας φέρει.
Τι κρύβει μέσ' στα δόντια του το ξέρω,
καθώς μου δίνει γελαστός το χέρι.

Οι ρίζες του το σύστημα αγκαλιάζουν
και χάνονται βαθιά στα περασμένα.
Οι μάσκες του με τον καιρό αλλάζουν,
μα όχι και το μίσος του για μένα.

Το φασισμό βαθιά καταλαβέ τον.
Δεν θα πεθάνει μόνος, τσάκισέ τον.

Ο φασισμός δεν έρχεται από μέρος
που λούζεται στον ήλιο και στ' αγέρι,
το κουρασμένο βήμα του το ξέρω
και την περίσσεια νιότη μας την ξέρει.

Μα πάλι θέ ν' απλώσει σα χολέρα
πατώντας πάνω στην ανεμελιά σου,
και δίπλα σου θα φτάσει κάποια μέρα
αν χάσεις τα ταξικά γυαλιά σου.

Φώντας Λάδης / Fondas Ladis

Traduzione italiana di Gian Piero Testa


giovedì 12 gennaio 2012

Riassunto della guerra. Una matrioška di padronati.


Se lo sterminio quotidiano di donne e famiglie da parte di uomini è un Bollettino di guerra, ciò che è successo stamani a Trapani è una guerra nella guerra.

Una guerra, però, le cui vittime sono sempre le stesse. Donne di tutte le età, dalle anziane alle bambine. Il signor Pietro Fiorentino di Trapani, disoccupato e padre separato, stanotte ha compiuto un terribile riassunto di questa guerra: figlia di 8 anni, moglie di 39 e suocera di 77. Per aggiungere un'altra persona che, presumibilmente, non poteva nemmeno esercitare una pur minima difesa, ha ammazzato anche il cognato disabile. Poi, naturalmente, si è ammazzato pure lui, buttandosi dalla terrazza. Guerra sí, ma guerra di sterminio. La guerra esercitata dagli uomini nelle "famiglie" e al di fuori di esse non prevede combattimento, ma solo annientamento.

Di fronte ad episodi del genere, che sono quotidiani in questo paese e in tutti gli altri, esistono vari tipi di reazione, o "scuole di pensiero".

C'è chi raccomanda di non "reagire a caldo" e di lasciar sedimentare la cosa al fine di evitare "smentite" e "brutte figure".

C'è chi reagisce immediatamente, proponendo le sue considerazioni sull'accaduto e su tutte le questioni generali.

C'è chi non reagisce affatto, per differenti motivi. Ad esempio perché non se la sente o non ha nulla da dire al momento, oppure perché semplicemente la cosa non gli interessa.

C'è infine il "fine ragionatore", colui che "situa nel contesto", l'analista psico-sociologico, con i relativi inviti a "non generalizzare" eccetera.

Ciò che resta, sono quattro persone ammazzate come cani dal pater familias.

E anche gli elementi sono quasi sempre gli stessi.

1) Disoccupazione e crisi. Però le donne sono ammazzate anche da occupati, e a volte anche da occupati discretamente o molto bene. Sono ammazzate nei paesi in crisi come in quelli prosperi, in quelli alla fame come in quelli con la pancia piena. A mia conoscenza diretta, una strage familiare di queste dimensioni me la ricordo soltanto in un lindo paesino svizzero, quando abitavo da quelle parti.

2) Separazione, gelosia, stalking. Dalle testimonianze dei vicini emerge il consueto quadro: separazione in atto, litigi violenti, persecuzione continua da parte del pater familias (disoccupato e in crisi), stalking, denunce ignorate, assenza di una pur minima protezione. Uno dovrebbe ragionevolmente chiedersi: ma tutte 'ste gran forze dell'ordine, che stracataminchia ci stanno a fare? A arrestare i lanciatori di uova? A mettere sotto scorta Nello Rega? A manganellare gli operai (e i disoccupati) e gli studenti? A presidiare le sedi di Casapound?

3) Ruolo maschile. L'uomo, e particolarmente quello che tiene famiglia, deve occuparsi del sostentamento della sua proprietà privata. Quando non può (o non vuole) farlo, scattano i meccanismi distruttivi: Roba mia, vientene con me! Impossibilità di accettare la "sconfitta", in quanto una società borghese e capitalista intera ha trasformato tutto in una competizione, in "vittorie" e "sconfitte", in "vincenti" e "perdenti". Da qui l'estrema diffusione del termine "fallito", usato a dritta e a manca come uno dei peggiori insulti che si possano rivolgere a una persona. Un termine prettamente economico-commerciale. In periodi in cui esisteva una coscienza di classe, con la relativa e giornaliera lotta, si riusciva a far fronte a situazioni anche ben peggiori di quella della famigliuola col papà disoccupato. Scattava la solidarietà proletaria, mi scusassero per questo linguaggio volutamente "vetero". Non che nel proletariato le donne vivessero una situazione tanto migliore, ma almeno gli uomini si sentivano meno "falliti" per non poter offrire alla proprietà familiare l'ultimo iPhone o il televisore al plasma umano. In definitiva, parecchi fallimenti non derivano dalla mancanza di che mangiare tutti i giorni, che ora come ora proprio nel proletariato e nel sottoproletariato si registra la maggiore incidenza di obesità, ma dalla mancanza dei gadgets e degli status.

Di tutto ciò, chi ne fa le maggiori spese sono le donne. Ed è inutile girarci tanto attorno. Inutile fare tanti distinguo. Spese quotidiane. Altro che "SNOQ". Movimenti come quello non diranno mai quante vite umane, e in massima parte di donne, sarebbero potute non essere state interrotte in assenza di quei ruoli, di quella proprietà privata, dell' "istituzione" familiare, degli "amori" finalizzati esclusivamente alla produzione. Senza un cambiamento radicale, la guerra andrà avanti, implacabile, ogni giorno. Senza una coscienza di lotta capillare, non ci sarà nulla da fare a parte contare i morti. Anzi, le morte.

Anche per questo, io mi rifiuto di offrire vuota "pietà" nei confronti delle vittime di questa guerra. Non me ne frega nulla di lacrime e commemorazioni, sia nei confronti degli immigrati ammazzati dal nazirazzista in un mercato, sia delle donne massacrate ogni giorno dal padre di famiglia, più o meno "separato". Non me ne frega nulla di "ricordare" vite che, come ogni vita, avranno avuto sogni, speranze, gioie, delusioni, passioni, storie. Non è questo a cui è necessario tendere, vale a dire al pietismo cattolico che tutto appaga col "perdono" e con qualche applauso a delle bare.

Se questa è una guerra, deve essere combattuta. Non subita e basta. Per combatterla bisogna dotarsi di armi. E saperle usare. Anche una coscienza ben precisa è un'arma, e delle più micidiali. Una di quelle che fanno maggiormente paura. Per questo, tentano incessantemente di delegittimare e eliminare chi ancora ce l'ha, o chi si sforza di assumerla. Altrimenti, su, frignate pure su quattro persone uccise senza pietà dall'ennesimo padrone schiacciato da padroni più grandi di lui. Perché questa libera società non è nient'altro che una matrioška di padronati.

martedì 10 gennaio 2012

Firenze: Ancora chiuso il Fondo Comunista



Comunicato del Collettivo del Fondo Comunista, che volentieri viene pubblicato.

CHIUSURA DEL FONDO COMUNISTA
PONTI D'ORO A CASAPOUND E CASAGGÌ
ECCO LA “SOLIDARIETA' ” DEL FASCISTA RENZI E DEI SUOI SERVI

Martedì 10 gennaio la sede del Fondo Comunista, alle Case Minime di Rovezzano, è stata di nuovo “visitata” dagli sgherri dell'assessore al patrimonio, Fantoni. Ancora una volta senza nessun preavviso la serratura è stata cambiata impedendo l'accesso al Fondo e, di fatto, chiudendo la sua attività ventennale

In una realtà come quella delle Case Minime, completamente abbandonata a se stessa, il Fondo Comunista e l'Associazione “Angela e Ciro” (che presso il Fondo ha sede) svolgono oramai da due decenni le uniche azioni di lotta e di solidarietà fattiva per la popolazione del quartiere. Ora, con il pretesto di “morosità” nell'affitto quando l'uso del Fondo era stato concesso gratuitamente, a suo tempo, dall'allora assessore Adalberto Tirelli (di cui l'attuale podestà Renzi era notoriamente un tirapiedi), la cricca fascista al potere a Firenze tenta di eliminare un'altra realtà sociale e antagonista scomoda.

Se diciamo “fascista” non è per usare parole ad effetto, ma per fotografare la realtà dei fatti. Dopo i fatti del 13 dicembre e la strage razzista di Piazza Dalmazia, la risposta del Comune di Firenze e delle altre “autorità” è stata, da una parte, una stretta repressiva ancora maggiore nei confronti delle realtà antagoniste e antifasciste fiorentine, e, dall'altra, i consueti ponti d'oro verso i fascisti, che possono continuare a scorrazzare liberi e ben protetti.

Solidarietà”? Sí, ma verso Casapound e Casaggì. Talmente tanta, che il 4 febbraio prossimo potranno organizzare la solita parata in pompa magna per le “foibe”, ancora una volta con la presenza della nazista Giorgia Meloni. L'assessore al patrimonio, Fantoni, è ancora una volta in prima fila lavorando incessantemente per la svendita ai privati del patrimonio comunale che dovrebbe invece salvaguardare. “Casualmente”, come anche nel caso dell'immobile di via dei Conciatori, tale svendita riguarda principalmente le sedi di realtà sociali e antagoniste, da coniugare ovviamente con gli sgomberi e le espulsioni già effettuate o programmate dal suo caporione Matteo Renzi.

Il Fondo Comunista, realtà che si batte da vent'anni per il miglioramento delle condizioni di vita in un quartiere povero e abitato in massa da immigrati, viene chiuso. Casapound, covo di assassini razzisti, viene non solo tenuto aperto, ma coccolato e foraggiato. A Casaggì, il sedicente “centro sociale di destra” che celebra i cecchini che sparavano sulla gente inerme, viene permesso di occupare mezza città per ricordare le “vittime del comunismo” poco più di due mesi dopo che uno di loro ha provocato sangue e morte per le strade di Firenze. Questa è la “solidarietà” di Renzi, Fantoni e dei loro compari, Per questo, e non per un vezzo o per fare un facile slogan, li chiamiamo fascisti. E' ora di chiamarli col loro nome.

Il Fondo Comunista resisterà e continuerà a agire come ha sempre fatto. Ma, per farlo, HA BISOGNO DELLA SOLIDARIETA' E DELL'AIUTO DI TUTTI COLORO CHE, A FIRENZE E ALTROVE, NON SONO DISPOSTI A CEDERE AI DIKTAT, ALLE SVENDITE E AGLI SGOMBERI FORZATI DEL PODESTA' MEDIATICO RENZI, DELL'ASSESSORE AL MERCIMONIO FANTONI E DEGLI ALTRI LORO COMPAGNI DI MERENDE.

Collettivo del Fondo Comunista – Via di Rocca Tedalda 277, Firenze.

lunedì 9 gennaio 2012

Carmen de Petri militia


Fra un paio di giorni, Fabrizio de André sarà rimorto. Poi, come tutti gli anni, rinasce poco dopo la metà di febbraio. Oggi m'è preso di ricordarlo in un modo un po' così, ma estremamente "mio": ho tradotto "La guerra di Piero" in latino. Addirittura con qualche rima (o assonanza) qua e là e cercando di tenere un po' il ritmo. Naturalmente ne è venuta fuori una cosa piuttosto buffa, e di quella buffezza che riescono ad avere soltanto le cose più improbabili. Del resto, è pure improbabile che Fabrizio de André sia morto; per me sta nascosto nel Borneo assieme a Elvis Presley. E che non vi vengano strane idee, perché Adolfo Hitler sta in Argentina.


CARMEN DE PETRI MILITIA
a Fabricio De André compositum a.D. MCMLXIV
in Latinum sermonem vertit Richardus Venturi
die IX Ianuario a.D. MMXII

Pro te sepulto atque dormiente
neque rosae in agro frumenti
neque tulipae e fossis umbrosis
vigilant, sed milia rubrorum florum.

“Utinam fluant secundum ripas
rivi mei argentei lucii esoces!
Sed ut ferantur corpora mortua
militum nolo secundo amne.”

Tempore brumae haec dixisti
agitatusque furiis abisti,
in faciem tuam omniumque aliorum
conscriptorum nivem inspuit ventus.

Petre, nunc recte tibi consistendum,
atque te mollire ventum sinendum.
Tecum fers vocem mortuorum proeliantum
cruce pro vita remuneratorum.

Sed non audisti. Tempus fugiebat
et pleno gradu menses effluebant,
externum limitem demum transisti
suave die in tempore verni.

Umeris animam sicut transferens
vidisti in valle aliquem distantem
ut te morosum, tetricum, tristem
sed differentem vestitum habentem.

Petre, nunc tibi hunc est percutendum
bis terque tibi hunc est verberandum
dum eum exanimem atque morientem
in suum sanguinem vides decidentem.

“Percute frons vel cor vel caput,
tantum moriendi ut ei sit tempus.
Sed mihi ut observem sufficiet tempus
vultum oculosque hominis morientis."

Dum tecum reputas animo tam benigno
se vertit iste terrore perculsus,
te aspicit, capit ignivoma tela
tibique officium et obsequium non reddit.

Gemitum nullum edens decidisti,
ad punctum temporis hoc percepisti
temporis satis tibi non futurum
ad peccatorum veniam petendam.

Gemitum nullum edens decidisti,
ad punctum temporis hoc percepisti
de te illo die esse acturum
teque numquam esse rediturum.

“Ninula mea, ut moriar mense Maio
maximo animo mihi confidendum.
Ninula pulchra, di sane me perdant
sed hoc malueram tempore brumae.”

Atque frumento aures praebente
telum manibus constringebas,
et ore verba tua retinebas
adstricta gelu quae sol non solvebat.

Pro te sepulto atque dormiente
neque rosae in agro frumenti
neque tulipae e fossis umbrosis
vigilant, sed milia rubrorum florum.