lunedì 31 maggio 2010

Basta


Guai, naturalmente, e guai seri, a chi osa dire che Israele è uno stato nazista.

Da una parte arriva la grancassa mondiale di quell'anacronistico e criminale nazionalismo di stampo ottocentesco che va sotto il nome di Sionismo. Una grancassa che non ammette voci dissenzienti, neanche le più flebili. Altrimenti ti becchi automaticamente di antisemita. Altrimenti ti accusano di sputare sull'Olocausto. Altrimenti tutto quanto: semplicemente è vietato.

Normalmente, in un'orchestra, non è la grancassa che comanda. In questo caso invece sì. Comanda la grancassa. Gli atti di quello stato criminale sono giustificati e giustificabili per decreto. Se lo può permettere. Si sente inattaccabile. Ha la bomba atomica. Ha tutto quello che vuole. E sa anche benissimo che tutta la solidarietà internazionale che passa ad incassare ad ogni sua malefatta è del tutto falsa. Non corrisponde più minimamente ai sentimenti ed alle opinioni che di Israele ha la comunità internazionale, noi i governi, non i potenti, non le lobbies con tutta la loro forza economica e mediatica. Lo sanno benissimo di essere detestati dalla maggior parte dei sei miliardi di esseri umani che vivono su questo pianeta.

Il loro Olocausto se lo sono bruciato da soli. Hanno creduto di poter vivere eternamente su di esso. Hanno condizionato tutta la vita del mondo a partire dal 1948. Hanno avuto le organizzazioni internazionali, ONU in primis, sempre dalla loro. Adesso è il momento di avere il coraggio di dire Basta. Di fermarli in modo deciso.

Si comincia a dire Basta dicendo che massacrare una spedizione umanitaria in acque internazionali non è ammissibile. Si dice Basta cominciando a ignorare, ad ogni livello, la consueta grancassa propagandistica fatta di bugie e di ipocrisia assassina. Si comincia a dire Basta prendendo a uova marce sul muso tutti coloro che, immancabilmente, si metteranno come bravi lacchè al servizio dello stato Sionista. Si dice Basta imponendo loro di smetterla, con le buone o con le cattive, con atti di pirateria come quello che ha colpito la Freedom Flotilla. Si dice Basta facendo loro capire che la misura è davvero colma, che hanno passato ogni limite. Che il mondo ne ha abbastanza di loro, dei loro genocidi, della loro "democrazia", dei loro servi.

Anche perché, così facendo, e agendo da boriosi e ricchi stupidi, si sono fregati il loro Olocausto. Con quale coraggio li si può sentire cianciare di nazismo, quando si comportano da nazisti in piena regola. Quando, ancor più stupidamente, attaccano uccidendo una spedizione organizzata da uno dei pochi paesi di religione islamica, membro della Nato e in procinto di entrare nella UE, con cui si intrattenevano normali relazioni a livello ufficiale. In un recente passato talmente buone, da far parlare la rivista "Limes" di asse Israele-Turchia. Provate a immaginare oggi l'opinione pubblica turca quali "buoni rapporti" intenda coltivare con Israele; e la Turchia non è uno staterello qualsiasi. Non è nemmeno la Palestina da schiacciare, non è Gaza da assediare, bloccare, annientare. Non è il Libano da tenere costantemente sotto tiro. La Turchia è uno stato strategico. Vediamo un po' se minaccerà di uscire dalla NATO, cosa diranno e faranno gli americani del "Premio Nobel per la Pace" Obama. Vediamo un po' se la Turchia l'asse lo farà con qualchedun altro. Vediamo un po' se ora Netanyahu e grancassisti internazionali ci diranno che la Turchia è come l'Iran.

Basta con le menzogne da dare in pasto ai media, come quella delle "armi trovate a bordo" e dei "soldati colpiti". Non vogliono capire che nessuno più crede a queste cose. Che sono buone soltanto per fare cianciare dei governi asserviti, compreso il nostro, peraltro ben coscienti che si tratta di ignobili idiozie.

Basta con gli "antisemitismi" distribuiti a piene mani, e a piene "condanne", nei confronti di chiunque si opponga. Basta con le Nirenstein, con i Pacifici, con i Pannella, con tutta questa merda che non soltanto sostiene uno stato criminale, ma vorrebbe imporre financo per legge che ogni voce di protesta tacesse. I criminali sono loro.

Basta con i "distinguo", con i cosiddetti "pacifisti israeliani", con gli "intellettuali" tipo David Grossman, con le cantantucole tipo Noa tutte "pace e fratellanza" finché non c'è da massacrare bambini e gente inerme. Basta con tutta questa storia, e va detto finalmente in modo chiaro, e senza timore.

Israele non deve più esistere.

Non ci devono essere, in Palestina, "due stati". Ce ne deve essere uno solo che si chiama Palestina, che è il suo vero nome. Solo una Palestina dove vivano tutti quanti in pace, senza prevaricazione, senza razzismo, ha diritto all'esistenza.

La Freedom Flotilla stava portando aiuti ad una popolazione stremata, in via di disfacimento, di annientamento, di eliminazione. Gaza è questo.

Il blocco israeliano non ha niente di diverso da ciò che i nazisti facevano a Varsavia e a Praga. Gaza è un ghetto di milioni di persone, in attesa di liquidazione.

E, allora, l'equazione con i nazisti è del tutto esatta.
Non ci sono più da fare distinzioni.
Non c'è più da avere alcuna remora.

Nella Storia, sono soltanto i fatti e gli eventi che permettono di formulare un giudizio. Attualmente, lo stato Sionista autodenominatosi "Israele" tiene in ostaggio non soltanto la Palestina, ma il mondo intero. Tenendo al contempo in ostaggio anche se stesso. E portandoci tutti quanti all'inevitabile catastrofe.



venerdì 28 maggio 2010

La manona


Ecco che è passato un altro ventisette di maggio. Coi suoi soliti preavvisi. Un manifestino attaccato al CPA. Un post su un altro blog che lo ricordava, assieme alla poesia di una bambina. Mi dicevo di non parlarne più, mi dicevo.

Anche perché, come sempre, mi sarei ritrovato a dire cose già dette e stradette. A ricordarmi, come faccio da diciassette anni a questa parte, che quella bambina della poesia l'ho vista coi miei occhi tirare fuori dalle macerie, a un metro e mezzo di distanza. A ridire di come, da allora, non ho più sopportato nemmeno la vista di un ovetto Kinder. A raccontare di nuovo di un piede in pigiama a righe, e di un fagottino che mi passava davanti in braccio a un pompiere. Tutto di quella notte maledetta, fin dall'esplosione, fino nei più minuti particolari. L'insegna dissolta dell'Antico Fattore, che aveva lasciato solo la traccia annerita della scritta "Trattoria". La Mercedes scura targata FI H9 e qualcosa sepolta nel suo garage. I vetri. La mattina.

E avrei dovuto, un'altra volta, tirare in ballo quello che, proprio in quei momenti, stava succedendo altrove. Non avevo però la minima intenzione di farlo. Piano piano quella cosa si è come dilavata nel tempo, e ne sono rimaste quantità omeopatiche. Rimangono solo quelle immagini. Dovrei, quindi, tornare a dire quella cosa dell'inferno, quella che non mi fa paura perché l'ho già visto, a Firenze, nella mia città, la notte del 27 maggio 1993. Con addosso una divisa bianca sporca, un ridicolo casco rosso in testa, le spalle curve, le mani coi guanti di lattice.

Raccontare di nuovo tutto questo; ma l'ho già fatto tante, troppe volte. Anche se non è mai stato per dire "io c'ero". Non avrei voluto affatto esserci. Potessi, cancellerei quel giorno. Potessi, cancellerei ogni cosa. Avrei voluto continuare a dormire nella camera del magazziniere pazzo. Quel che stava accadendo altrove, sarebbe accaduto lo stesso; non c'era nessun bisogno che si accoppiasse a una strage. Vorrei che quelle persone, quella famiglia e quello studente, fossero ancora vive e avessero condotto una vita normale. Nadia sarebbe, ora, una giovane donna. La sua sorellina sarebbe una ragazza. Lo studente si sarebbe laureato, e ora sarebbe tutto quel che il destino avesse voluto; un professionista affermato, un precario, un soddisfatto, un deluso, un famoso, un nessuno, un suicida. Qualsiasi cosa. Il destino, però, è stato interrotto. Per quanto mi sia posto domande sul perché di quella interruzione, non ho mai trovato risposte plausibili.

Poi, un mese dopo, ci fu la mia, di esplosione. Ho raccontato troppe volte anche quella. Volevo disfarmene in qualche modo, e la sua fine è stata quella di essere stata, almeno da alcuni, dileggiata. Ma va bene così, non ci sono problemi. Tutto, prima o poi, salta in aria. In quei giorni andò persino la Fiorentina in serie B; avrei dovuto, chissà, parlare anche di quello. E di una bicicletta verde, di uno studio pieno di scartoffie che mi disgustavano, di notti strane, di persone andate, d'incroci di vento. Eppure ogni tanto, da quei giorni mi proviene qualche molecola; passa e va.

Firenze, poi. È stata più brava di me a dimenticarla, quella notte. Ancora qualche articolo non letto sui giornali, ancora qualche testimonianza, e poi tutto sfumerà via. La torre l'hanno rifatta più bella e più antica di prima. Hanno rifatto alla perfezione la casa di fronte, e chissà chi abiterà nella stanza dov'è morto lo studente. Chissà cosa farà. Hanno messo una lapide con la poesia di Nadia, e un'informazione scritta in non so quante lingue. L'altra mattina, presto, passando per caso in macchina dal lungarno, mi è venuto di scendere un attimo; c'era un turista che stava traducendo dall'inglese, a dei suoi compagni, l'iscrizione in una qualche lingua slava, ceco o slovacco credo. Hanno piantato un ulivo dove ci fu il cratere del Fiorino, ché per far esplodere la loro bomba scelsero proprio un furgone che portava il nome dell'antica moneta di questa città. Tutto è ridiventato turismo e curiosità. Gli Uffizi sono a un passo. Nessuno, su quella notte, ha scritto nemmeno una canzone; ce ne sono a decine su Piazza Fontana, c'è Ringhera di Della Mea su piazza della Loggia, c'è Agosto di Lolli per l'Italicus. Per via dei Georgofili neanche una. Non è stata una strage abbastanza di stato, forse. È stata la mafia. Naturalmente, mafia e stato sono due cose molto differenti. Ci sono stati solo i Delsangre che, sulla copertina del loro secondo album, hanno messo un'immagine di via dei Georgofili. Ma, tanto, chi cazzo li conosce i Delsangre. Fanno canzoni sugli indiani in Maremma, sui partigiani romagnoli, sui banditi siciliani e uno di loro fa il tifo per la Lazio.

Sollevò anche me, quella bomba. Mi prese. Mi spinse via dalla mia città. Ho fatto fatica, un'estrema fatica, a ricuperarla; la stessa fatica di ricuperare me stesso. È una fatica che faccio ancora, e che farò sempre. Dovunque mi trovassi, mi seguivano ombre. Quella notte è stata un bivio, uno spartiacque; c'è il prima e c'è il dopo. Ecco, già. Ne sto ancora parlando. È l'alba, ché non son cose, queste, che si lasciano scrivere col sole che batte. Non mi è riuscito dormire. Sono diciassette anni che non mi riesce più dormire attorno a questa data. Ora, da Firenze, non intendo più muovermi; cursum perficio. Sono diventato uno specialista delle sue periferie, quelle in cui nessuna mafia o nessuno stato penserà mai di piazzare un'autobomba come simbolo. Vado in giro a fotografare le vecchie autovetture. C'è stato di tutto e il contrario di tutto; ci sono stati amici diventati nemici, amori diventati odi. Non lo sapevo ancora, quella notte, mentre vedevo portare via quei morti, mentre cercavo di soccorrere i feriti come meglio potevo. Mi stava prendendo la manona di quella bomba, e sbattendomi altrove per mezza vita, e facendomi rimbalzare per tutti gli altrove di questo mondo.

Nella foto: Dal settimanale "Epoca" dei primi di giugno del 1993. Nel riquadro in basso a sinistra si vede uno con le spalle curve, una divisa bianca sporca e un ridicolo casco rosso in testa.


giovedì 27 maggio 2010

Il ritorno delle mostresse


I bambini non si toccano. Non ci sarebbe da discutere oltre su questa affermazione, e infatti non intendo minimamente farlo. Specialmente in questo frangente, in cui la pubblica opinione ha il suo periodico momento di indignazione per gli "arresti domiciliari" (che, comunque, sono sempre galera) concessi alle Mostresse, vale a dire le due maestre del tristemente noto asilo nido "Cip e Ciop" di Pistoia. Beh, mi piacerebbe, certo, che codesta indignazione non fosse, come dire, a macchia di leopardo; mi piacerebbe che fosse riservata anche alle decine di suicidi in galera, ai pestaggi sistematici dei detenuti, a diecimila altre cose che avvengono nei cosiddetti "luoghi di detenzione".

Un'indignazione, quella per gli arresti domiciliari delle Mostresse, che ha persino eccitato la furia del popolo. Qualcuno, un paio di notti fa, ha gettato una bottiglia molotov contro il residence in cui le due donne sono coatte. E sfido chiunque a trovare un moto di disapprovazione per la cosa: quel gesto, anzi, è percepito come di giustizia. Hanno toccato dei bambini e, cosa che più conta, sono donne. Meritano, quindi, il rogo. E che importa se, magari, tale rogo avrebbe potuto essere esteso a tutto il resto del residence.

No, toccare i bambini non si può. E chi li tocca deve bruciare; a condizione che sia una donna. La pubblica opinione italiana è sensibile: delle donne, delle educatrici, delle madri non possono essere mostresse. Alla santa donna angelicata non è permesso. Mi ricordo di quando, anni e anni fa, l'indignazione era al massimo grado nelle scoprire che nelle Brigate Rosse o in Prima Linea c'erano delle donne: sia mai! Ah! Ma ci sono anche delle donne! Quelle le ammazzerei anche più dei maschi! No, non si toccano i bambini.

Il problema è che i bambini e le bambine vengono toccati e toccate ogni giorno, nei modi più schifosi e atroci, senza che per questo io veda in giro tanta indignazione, o perlomeno senza che la veda così palpabile come nei confronti delle due mostresse pistoiesi. Non l'ho vista, tale indignazione, per don Lelio Cantini, parroco fiorentino della Regina della Pace (da allora detta Regina della Pace dei Sensi), dopo che sono venuti alla luce anni e anni di violenze sessuali sulle bambine e sui bambini della sua parrocchia. Anni interi, dico. Nemmeno mezza giornata di galera per il santo parroco, noto per essere stato quello che, nella diocesi fiorentina, aveva convinto alla vocazione sacerdotale il maggior numero di giovinetti. Don Cantini sta finendo i suoi giorni con la gravissima pena della riduzione allo stato laicale: vuoi mettere quanto più dolore in tale pena di un ergastolo? In proporzione, se contro il residence delle mostresse la furia del popolo ha lanciato una molotov, contro la parrocchia della Regina della Pace -visti i fatti avvenuti- avrebbe dovuto essere lanciato un bombardamento aereo. Lo avete visto? Qualcuno ha visto lanciare un solo cerino acceso? E in Irlanda cosa sarebbe dovuto succedere, uno schieramento di carrarmati Leopard a radere al suolo le parrocchiette dei preti pedofili?

E i bambini che, ogni giorno, in tutto il mondo, vengono sfruttati sul lavoro, massacrati, brutalizzati, ridotti alla fame? C'è qualcuno che si indigna così tanto? E i giornali e giornaletti per i quali una ragazzina di 15 anni che muore bruciata nel rogo di uno scantinato dove lavora per dodici ore al giorno al nero diventa una donna? "Morte due donne di 43 e 15 anni". È successo in Italia, e anche piuttosto di recente, sapete. C'è qualcuno che va col lanciafiamme alla casa di quel datore di lavoro, di quel negriero, di quello sfruttatore di manodopera femminile e minorile? No? Ma non mi dite!

mercoledì 26 maggio 2010

Pulizie generali


La decisione l'ho presa al mattino, non prestissimo. Oggi mi è stato concesso un giorno libero dal lavoro, cosa di cui non godevo da un bel pezzo.

Non prestissimo, ma neppure tardissimo; alle nove e un quarto, dei solerti lavoratori hanno iniziato a potare gli alberi e a tagliare l'erba in quella specie di giardino pensile che ho sopra casa, ed è cominciato un concertino di motoseghe che avrebbe svegliato chiunque. Pazienza; avevo dormito a sufficienza, e mi si prospettava una bella giornata tutta per me, oltretutto climaticamente stupenda.

Però ci devo avere qualcosa di non troppo a posto, dentro. Crogiolandomi nel letto ancora per un po', con un'avvincente lettura (la Grammatica Cinese di Luciano Dalsecco, edizioni Pàtron), mi sono accorto che la mia casa -chiamiamola così per puro comodo- era in condizioni pietose. Polvere dappertutto, il bagno sporco, la doccia incrostata (anche per la mia pessima abitudine di pisciarci dentro), il lavandino che stava per vincere l'Oscar del calcare. E poi, nel resto del "cubo" (o parallelepipedo ipogeo, come lo chiamo spesso), il pavimento ridotto a un concio, ragnatele dappertutto, strati di polvere sugli scaffali dei libri. E pensare che potevo starmene a riposare. E pensare che ora, rimpannucciato un po' di quattrini, avrei potuto passare la giornata a esplorare l'Isolotto, ché l'esplorazione capillare del proprio quartiere non finisce mai. Nulla di tutto questo. Mi sono alzato deciso a farla finita, ma non nel tragico senso che di solito ha quest'espressione. La tragedia, casomai, doveva cominciare per i ragni.

Mi sono all'improvviso trasformato in una macchina da guerra. Vestito da lavoro, con la divisa estiva che mi ha provocato simpaticissimi paragoni con un evidenziatore giallo (qualcuno ha preso a chiamarmi, quando mi vede vestito così, Stabilo Boss). Sono uscito, ho preso la macchina e ne sono tornato con due borsate di prodotti per la casa: i panni swiffer, una granata nuova di pacca, un ettolitro di Viakal, persino l'Acqua di San Giovanni per i pavimenti. Quando posso, compro prodotti toscani. L'Acqua di San Giovanni la fanno a Massa. Come detersivo liquido per i capi delicati, dato che sono notoriamente delicatissimo, uso l'impareggiabile Gran Bucato di Toscana prodotto dalla Solvz di Livorno. Un detersivo con un nome del genere lo comprerei anche se non avessi la lavatrice. E che ci volete fare: son fatto così. Però provate a darmi del nazionalista o del leghista per questo, e il Gran Bucato di Toscana ve lo fo bere.

Ho cominciato dal bagno. I ripiani di vetro del mobiletto "a vista" dove tengo i prodotti per la persona erano ricoperti da due strati di polvere, specialmente quello più in alto dove tengo la roba per la barba. Il problema è che la barba non me la faccio più dal 31 ottobre 2008. Poi sono passato alla doccia, e c'è voluto stomaco, così come per il water. I guanti di gomma non li posso sopportare (e oltretutto mi stanno tutti stretti, visto il paio di manine che mi ritrovo), ma d'altronde le mani nella merda sono abbastanza abituato a infilarle. L'ho tirata fuori dal culo di mia nonna che moriva, e moriva malissimo. Una volta, scendendo da Fiesole, mi è stato vomitato sul viso, e ho dovuto tenermelo fino all'arrivo, con tanto di pezzo di aglio nei capelli. Ma, comunque, quel che ho tirato fuori da sotto il tappo della doccia regge il confronto.

Nel frattempo andava a tutto fuoco la lavatrice. Oggi devo aver lavato veramente tutto il lavabile, compresi i cenci di terra. Il Viakal è stato protagonista assoluto; una volta versato nel water (dopo un'abbondante passata di Netty Water, verdognolo al profumo di montagna -ma non ho desiderato sapere se il gusto ci guadagna), e riportato il vaso a condizioni igienicamente accettabili, mi è scappato naturalmente da cacare. Disperazione. Una gentile e comprensiva vicina mi ha ospitato una tantum per questa impròvvida bisogna.

Dopo un'ora e mezzo di sudata mi ci sarebbe voluta, e urgentemente, una doccia. Guai! Ella risplendeva del tutto nettata dal lordume, e non se ne parlava nemmeno. Andare a chiedere alla vicina anche una doccia sarebbe stato troppo, anche perché mi attendeva tutto il resto della casa. Ci avete mai provato a pulire da soli un appartamento anche piccolo, anche un monolocale? Dico pulire, non fare finta. Dico arroversciarlo da cima a fondo. No? Ecco, allora pensate un po' alle casalinghe, alle massaie che lo hanno fatto tutti i giorni per una vita. Quelle che poi, magari, andavano a iscriversi al glorioso PCI, faro de' lavoratori, e sulla tesserina si ritrovavano scritto, alla voce "professione": atta a casa.

Beh, ora l'appartamento è tutto un effluvio di fiori, quelli dell'Acqua di San Giovanni. Le ragnatele sono state sistemate a granatate, assieme ai relativi ragni. Non sono ragni svizzeri, questi. Quando stavo in Svizzera, pure in un monolocale, c'era tutta una famigliuola di aracnidi che scorrazzava per la casa (detta, appunto, la famiglia Ragna): ma non producevano ragnatele. Erano ragni rispettosi e grati per l'ospitalità, ragni assai civili che non mi sono mai sognato di stiacciàlli. Questi qui, invece, sono ragnacci isolottini che m'hanno impestato ogni cosa; e sono finiti sotto i miei piedini accenerentolati. Tanto, comunque, vincono loro. È partita, a un certo punto, anche la scopa elettrica. Alla fine, ridotto a un ecce Venturi, mi sono messo a contemplare l'opera mia. Mancava, è vero, l'usuale odore di casa. L'odore di casa mia è un misto di fumo, tabacco, sigaro (ora che mi hanno pure regalato una scatola di autentici Montecristo cubani...), e via discorrendo. Però, ora che sto scrivendo alle due di notte, pian piano si va ristabilendo l'odore naturale.

Contemplavo pervaso dalla pace, quando appena fuori si è scatenato l'inferno. Una masnada di vicini di casa che si dirigevano alla riunione di condominio. Hanno pensato bene di ricavare la stanza per le riunioni dalla vecchia centrale termica, che è proprio l'uscio accanto a me. Me n'ero scordato. Non ci sono andato. Odio le riunioni condominiali. Oltre a odiarle, non ci capisco niente nelle tabelle millesimali e comunque sono un condòmino per modo di dire. Nel cortile riconosco soltanto i concortilani (anzi, le concortilane visto che sono tutte donne). Ho fatto bene, visto che dopo un quarto d'ora i condòmini DOC hanno cominciato a scannarsi verbalmente, con il ragionevole timore che cominciassero a farlo anche fisicamente.

Sogno però di presentarmi prima o poi a una di quelle riunioni, e di fare richieste tipo l'urgente installazione di un obelisco a Ho Chi Minh o di un monumento marmoreo a Virginia Woolf nel parcheggio, oppure la trasformazione del locale caldaia in fumeria d'oppio. Mi sono rimesso a contemplare, e domani si ricomincia. Due giri di chiave, e si sa quando si esce ma non quando si rientra.


lunedì 24 maggio 2010

La fiera dei morti


I poeti cantano
malinconicamente
questa fiera;
tutti alla stessa maniera,
questa giornata grigia o nera.
(Ma si può benissimo cantare
anche in un’altra maniera).
Dice che sempre piove
un’acquerugiola trita,
che tutto fiorisce nel fango
in una primavera di pillacchere.
Le solite antiche fole
della solita antica gente!
Oggi invece non piove,
splende un magnifico sole;
il tempo ci porta le sue cose nuove.
Avete dei pensieri neri?
Veniteli a svagare
dentro i cimiteri.

Potete entrare, avanti,
fatevi tutti avanti,
sono spalancate le porte,
anche per chi non c’à persone morte!
Tutti possono andare,
girare a proprio piacimento;
anche un poeta ci si può benissimo intruffolare
per suo divertimento.
Le solite baracche dei saltimbanchi
fuori dei cancelli;
quella classe sociale che à per mira
di far conoscere agli uomini,
meglio assai degli astronomi,
che il mondo gira.
Scimmie vestite da ballerina,
oppure alla militare;
una se ne va di braccetto
con un sergentino,
un’altra cerca di trascinare
un caporale dietro in una stanza;
una vestita da serva
è tutta affaccendata per spazzare,
un capitano dà uno schiaffo
a un’ordinanza pietrificata.
Donne che gridano a squarciagola
di alcuni miracoli scientifici,
l’ultima portata della scienza
alla portata di qualunque sapienza,
strane fisiche psicologiche deformità!
E i buoni festaioli
se ne stanno davanti in perplessità.
Trombe tamburi piatti,
tutti gridan come matti:
è la fiera dei morti!
I dolci fatti lì, immancabili dolci,
che tutti stanno ad aspettare,
le calde arroste
che non riparano a castrare.

Nelle osterie si suonano chitarre,
si cantano canzonette paesane,
gli ultimi stornelli popolari,
o romanze napolitane.

Dai beccai pendono sanguinanti,
fenomenali, i primi ottimi porci,
quelli d’ognissanti,
che àn già sentito il primo freddo dei morti.
E sui banchi, ammassata,
oppure tortuosamente attaccata,
chilometri di salsiccia,
che sembra l’ammasso degli intestini malati
di tutti i morti.
I salumai ànno appesi
i salamini nuovi, cotechini,
zamponi, mortadelle;
e viene fino sulla strada
un odore stuzzicante
di lepre e di pappardelle.
Tutti si riversano a mangiare
a crepapelle.

I carabinieri a cavallo
coi loro pennacchioni rossi,
si fanno posto trionfanti
nella calca stordita dei festanti.

Ai cimiteri ci si può andare
coi fiori, e senza i fiori,
ma anche il più insopportabile,
lontanissimo parente,
si può aspettare quel giorno un fiore
dalla sua antica gente.

I morti non sono uguali,
come credono tutti,
e sopratutto, non sono muti,
quelli almeno dei cimiteri
sono indecentemente ciarlieri.
Sulla pelle della loro faccia marmifica,
meglio assai che sui vivi,
si qualifica la fisionomia
caratteristica.
«Qui riposa
«l’uomo dalle rare virtù:
«Telemaco Pessuto
«d’anni cinquantatre,
«padre e marito esemplare.»
Se t’avessimo incontrato vivo,
che l’avrebbe saputo?
Tutti gironzan leggendo
più o meno speditamente,
alcuni sillabando.
Ma non sapete che quelle parole
che voi leggete con indifferenza,
sono la faccia dei morti?
Tutte quelle espressioni di dolcezze,
sono l’espressione delle loro fattezze?

Oh! Curiosa combinazione!
«Celestina Verità
«d’anni novantasette
e accanto:
«Peppino
«d’anni tre
«dei coniugi Del Re.»
Strana combinazione!
Quale fu, di voi due, la vostra mèta?
Dovevate ognuno campare cent’anni,
oppure, Peppino Del Re,
Celestina Verità,
faceste involontariamente
della vostra vita
una così parziale società?
Fu Peppino che ti giunse, o Celestina,
e ti trasse inaspettatamente
tre anni dalla vita?
O tu, Peppino, nascendo,
trovasti i tuoi anni
quasi tutti consumati
dalla Celestina?
Uno di voi fu il parassita
dell’altro.

Che poco posto occupano i morti,
meno assai del naturale.
E qualcuno di voi fu padrone
da solo d’un podere,
che sempre gli sembrò tanto piccino!
Quelle alte pareti
con tutte quelle teste fitte fitte,
nell’immobilità,
sembrano quelle di un loggione
per una straordinaria rappresentazione.
E tutti gironzano indifferenti,
sgusciando calde arroste,
succiando confetti, o i duri di menta,
leggiucchiando senza fede
le ciarle di quei poveretti.
Gli uomini accorti,
che passeggiano sempre fra i vivi,
non vedono il momento
di passeggiare fra i morti.
I vivi àn delle facce,
che per quanto espressive, sono mute,
e una faccia per bene
la possono avere anche i mascalzoni,
invece le facce dei morti
sono piene d’ottime informazioni.
Se incontrate per via un giovine pensoso,
come potete sapere se sia virtuoso?

In cima al camposanto,
sopra un grande palcone
improvvisato per l’occasione,
si mettono i teschî all’incanto.
Lo circondano pigiate
centinaia di persone,
fissano l’atletico allottatore
che grida fiocamente a squarciagola.
Intorno è pieno di carabinieri,
- Quattro!
- Cinque!
- Otto!
- Dieci!
- Quindici soldi!
I primi vanno a ruba!
- Si delibera signori!
I più frettolosi pagano i teschî
anche più d’una lira.
Molti aspettano che la gara cessi
e il prezzo ribassi.
- Quattro!
- Sei!
- Otto!
Una giovine sposa
si stringe al braccio del suo sposo
tutta piagnucolosa:
- Comprami quel teschio.
- Stai zitta! – Le dice il giovinotto
- Comprami quel teschio,
- Stai zitta grulla,
verso sera gli daran via per nulla.
- Dieci!
- Undici!
- Dodici!
- Si delibera signori!
- Comprami quel teschio.
- Stai zitta t’ò detto,
non vedi ch’è un teschiaccio vecchio?
- Comprami quel teschio.
- Se non stai zitta ti porto via;
- Potrebbe essere il teschio della mamma mia.
- Ma che mamma mia!
- Cosa c’è stato laggiù, lontano?
- Corrono i carabinieri!
- Dove corre tutta quella gente?
- Ànno arrestato quel nano
che vendeva i teschi di seconda mano.
E per le vie polverose,
per le serpeggianti vie campagnole,
in un bel tramonto pieno di vapori
di fiamme e di viole,
la gente se ne torna
dai camposanti allegramente.
E ogni buon diavolaccio
se ne viene col suo teschio sotto il braccio.

Aldo Giurlani, detto Aldo Palazzeschi.



domenica 23 maggio 2010

"Misericordie" e CIE


Le "Misericordie" le conosco oltremodo bene. Non soltanto perché in una di esse, attualmente, ci lavoro; ma prima di lavorarci, ne sono stato volontario. Fin dal primo giorno della sua esistenza (il 7 novembre 1986, per la cronaca). Per sei anni, dal 1988 al 1994, ho fatto l'interprete e il traduttore per la "Confederazione Nazionale delle Misericordie d'Italia" (che ha sede a Firenze). E chi mi conosce fa un'estrema fatica ad immaginarmi dentro un'associazione del genere, sia come volontario che come dipendente. Di solito rispondo cercando prima di far presente che non esiste "la" Misercordia, ma tutta una serie di Misericordie, dalle più grandi alle più piccole; e che ognuna ha una storia a sé, e delle caratteristiche proprie. Quella di cui faccio parte oramai da quasi 25 anni è una piccola Misericordia tutta a sé stante. Non assimilabile in alcun modo alle altre. Nata da una scissione di un'altra grossa (anzi enorme) Misericordia, e che per anni ha da questa dovuto subire una vera e propria guerra tesa a ciò cui tende ogni guerra: l'eliminazione. All'interno di questa piccola Misericordia dove sono vigono atteggiamenti che non esito neanche un momento a definire libertari. È senz'altro tutto un coacervo di contraddizioni (e forse è anche per questo che mi ci sono sempre trovato bene dentro), e le conosco e percepisco tutte quante. Fin nelle cose più minute, nelle vicende quotidiane, nelle storie di tutte le persone, uomini e donne, che l'hanno frequentata e vi hanno prestato servizio. Tutt'altro che idilli, o rose e fiori. Ci chiamano con soprannomi indicativi: i "Campesinos", i "Baraccati", i "Terremotati" (per un certo periodo non avevamo neppure una sede in muratura e abbiamo dovuto arrangiarci in dei container, in delle baracche di legno, addirittura in una roulotte i primissimi tempi). Sempre orgogliosamente poveri, e differenti. Anche adesso, capita che nel conto corrente dell'Associazione ci siano poche migliaia di euro; ma è capitato non raramente di andare in rosso. Non gestiamo niente. Nessun cimitero (una vera e propria miniera di soldi per molte associazioni del genere), nessun ambulatorio, nessun centro specialistico, niente. E nessun CIE, dato che sarà bene che non ci vengano neppure a interpellare per una cosa del genere. Al nostro interno, unica Misericordia in tutta l'area fiorentina, non chiediamo neanche il "certificato di battesimo" (cosa richiesta da tutte le altre Misericordie) e neppure il certificato penale. Abbiamo avuto, e abbiamo, volontari arabi, somali, jugoslavi, albanesi, ebrei. Tra i medici, quando ancora non esisteva il 118, prestavano servizio assieme un somalo musulmano osservante e un palestinese ateo che si sbafava sleppe di pane e prosciutto e bicchierate di vino rosso, dichiarando (spesso in faccia al collega) che non sarebbe entrato in una moschea neanche per cacare. Indi per cui, quando alcuni mesi fa -durante una buffa bagarre telematica con un tizio- mi son sentito dire che faccio parte di un'associazione rigidamente confessionale mi sono prese delle convulsioni di risate. Io, che presto servizio con la spilla con il wild cat degli International Workers of the World a coprire il crocione delle Misericordie; e mai che nessuno, anche a livello dirigenziale, abbia mai avuto alcunché da ridire.

Ci sono, invece, delle "Misericordie" che ci tengono molto al business. Che si possono permettere decine di dipendenti, cimiteri, centri analisi, ambulatori. E che, al momento dell'installazione dei CIE, hanno senza alcun problema dichiarato la loro disponibilità alla cogestione di quei lager; perché di lager si tratta. Le cose vanno chiamate con il loro nome. Un paio di giorni fa alcuni militanti antagonisti, che svolgono un'intensa campagna contro i CIE (campagna che mi vede totalmente d'accordo) si sono introdotti nella sede di una di quelle grosse Misericordie cimiterate, di quelle col giornalino intitolato al santo patrono, di quelle coi conti in banca ben pasciuti, di quelle con decine e decine di mezzi. E hanno fatto presente alcune cose, scrivendole anche su alcuni automezzi. Apriti cielo. Tutti a gridare allo scandalo, a cominciare dal neogovernatore di sinistra della Regione Toscana; lo scandalo, insomma, è che alcuni combattano -anche con gesti clamorosi come questo- contro dei campi di concentramento espressione della più schifosa intolleranza e del più assurdo razzismo di oggi, e non che delle "Misericordie", delle associazioni di "carità" (così si definiscono!) collaborino fattivamente alla loro gestione e trasformandosi in kapò. Dice il presidente regionale delle Misericordie: "E' l'ennesimo episodio di un'intolleranza che sta dilagando nel nostro Paese e anche nella nostra regione, e che in nome di un'ideologia cieca e astratta colpisce in modo violento chi invece si impegna ogni giorno, concretamente, per aiutare chi ha bisogno. Con il brillante risultato di distruggere due mezzi che vengono utilizzati dai volontari delle Misericordie per il trasporto di anziani, malati gravi e disabili". Ideologia "cieca e astratta"? No, proprio no. E', anzi, un'ideologia che mette perfettamente a nudo l'ipocrisia totale di questi signorini che parlano di "intolleranza" e che poi agiscono fattivamente per dei lager, nascondendo tutto sotto la maschera della "carità" (come del resto fa, a livello planetario, la Croce Rossa). Gli automezzi ricomprateveli coi vostri bei soldoni, con i lasciti, coi numerosi introiti che avete. E, soprattutto, se cianciate tanto di "carità", fatela sul serio rifiutandovi di collaborare a un'iniziativa nazista.

Nella prima parte di questo post ho espresso tutto il bene, perché di bene si tratta, che voglio a quella piccola e strana "Misericordia" di cui faccio parte. Gliene voglio anche perché non c'è mai stata, a cose di questo genere. Dovesse un giorno starci, mi toglierei di torno in cinque minuti netti.

Eeeeeeeeh!


Proprio ieri l'arbitro di merda norvegese Tom Henning Øvrebø ha annunciato il suo ritiro. Dio cane!

Poi è successo che l'Inter ha vinto la Coppa de' Campioni battendo quei luridi merdosi del Bavaria di Monaco. Polpette di Pafaria!

Ho guardato la partita con somma indifferenza. In realtà, la speranza malcelata sarebbe stata che sprofondasse tutto il Santiago Bernabeu (stadio intitolato a un franchista di merda, ex presidente di una squadra schifosa come il Real Madrid per la quale faceva il tifo anche lo stesso Francisco Franco) inghiottendoli tutti. Così, sembra, non può essere. Quindi bisogna essere realisti e dar retta al tifo.

Il Bavaria di Monaco in finale non doveva nemmeno esserci. C'è stato soltanto perche il sacco di merda norvegese, obbedendo a precisi ordini, ha fatto fuori la Fiorentina. Mi dispiace per Red "Minimi Termini", ma stasera contro il Bavaria Monaco, per me, avrebbe potuto giocare non dico l'Inter, ma anche la rappresentativa del Partito Nazista in persona. Rotti in culo, sudiciumi, pezzi di merda. Vederglielo pigliare nel culo, a loro e a quel sudiciume di Robben, è stata una goduria immensa. E a Van Gaal che protesta contro gli arbitri, dopo che alla finalozza è approdato grazie al più schifoso furto degli ultimi anni.

Nessun nazionalismo. Solo Fiorentina. E non me ne frega un cazzo di tutto il resto. Nemmeno dell'Inter (e comunque, rispetto a quella stupida e vomitevole pippa sopravvalutata nerderlandica di Robben, Diego Milito sta su un altro pianeta; e Maradona non lo porta ai mondiali!).

Goduria da poveri provinciali, da banlieue. Questo siamo a Firenze. Ma tant'è. Questo ci è dato. Stasera quello che volevo era solamente che quegli orrendi figli di puttana di bavaresi non alzassero la coppa dopo che con un arbitro prezzolato e con un tiraccio da lontano ci hanno fatto fuori, ammazzandoci come si ammazza uno schiavo che aveva provato a ribellarsi.

Nel culo, figli di puttana tedeschi. Lo avrai, camerata Van Gaaaaaaaaaal, il monumento che pretendi da noi fiorentini. Ipocrita schifoso, olandese di merda, che ti sommerga il crollo della diga dell'Ijsselmeer. Due militate nello sfintere, a te al tuo compare norvegese. Per non dire a Platinì. Ah, sfogo, vodka e tutto il resto. Si va a dormire e non cambia nulla. Lavoro, giramenti di coglioni e forza anche per il Cagliari. Noi poveri. Buonanotte.

lunedì 17 maggio 2010

Le figlie del Fiore


Qualcuno (non io) ha avuto l'idea di postare Fasciste, un post da me scritto qualche giorno fa su questo blog, anche su Indymedia Lombardia. La cosa ha provocato la reazione di due o tre anonimi tra i quali uno, sedicente "forzanovista", ha riportato nientepopodimeno che la replica del Dvcetto in persona agli articoli ed alle prese di posizione sull'episodio accaduto a Massa. Sicuramente vale la pena di leggerla, la replica di mr Easy London. Non fosse che sta parlando quel meraviglioso personaggino che è, potrebbe anche provocare un paio di minuti di risate o, quantomeno, di buon umore. Oppure, in alternativa -e come mi è accaduto proprio adesso che sto scrivendo-, un immediato effetto lassativo. Altro che Guttalax. Una pillola di Robertofiore® riuscirebbe a smuovere anche gli intestini più pigri.

La cosa più interessante, tristissima e esilarante al tempo stesso, sono le acrobazie che il Fiorin Fiorello fa per minimizzare l'episodio e, soprattutto, per non attribuirlo a militanti di FN: "Se qualcuno, certamente non fra i forzanovisti, ha effettivamente detto quel che si dice abbia detto, è lontano mille miglia da tutto quello che FN sostiene sull'aborto o dall' idea che questo Movimento ha della Donna." Mille miglia?



Guardiamole, allora, queste mille miglia, e l'idea che Forza Nuova ha della donna: "Le stesse donne che mi hanno contestato sanno benissimo che il mio intervento volgeva proprio all' esaltazione dell'orgoglio femminile e materno che deve a nostro avviso difendere quella fortunata condizione naturale che le porta ad essere portatrici di Vita e di Futuro."

Capito, ragazze? Da oggi potete dormire sonni tranquilli, c'è Fiorin Fiorello il Fascistello che pensa a difendervi. Siete tutte diventate Figlie del Fiore. Chissà, forse vi metterà sotto la protezione dei servizi segreti di Sua Maestà Britannica, che hanno protetto così bene lui quando era impegnato a fare il latitante dorato e in rapidissimo arricchimento. D'ora in poi, ragazze, il vostro orgoglio femminile e materno non corre più alcun rischio, dato che siete, per questa Forza così terribilmente Nuova, portatrici di Vita e di Futuro. Basta naturalmente che siate italiane, ariane, ubbidienti, sottomesse. Avete un compito da assolvere, con orgoglio materno: quello di essere le continuatrici della razza italica. È la vostra fortunata condizione naturale. Ci sarebbe a questo punto da chiedersi, e seriamente, in cosa divergano le posizioni del fascista Roberto Fiore da quelle della chiesa cattolica; a leggere tali affermazioni, si potrebbe quasi pensare o che stia parlando monsignor Fiore (suona anche bene!). Non c'è davvero male, per codesti fulgidi ribelli: dei ribelli che, sostanzialmente, dicono le stesse cose di Bagnasco.

Forse, però, sto dando un'importanza eccessiva a questi autentici zeri spaccati. Arrivati come sono, oramai, alla loro saturazione e costretti a ritagliarsi un po' di clamore con le solite fiaccolatine, qualche convegno benevolmente autorizzato dal sindaco "di sinistra" e sempre non conformemente protetti dagli amichetti questurini. Non bastasse questo, a rompere le uova nel paniere a FN ci ha pensato quella specie di rete di negozietti e smerci di gadgets chiamata "Casapound": sì, davvero appare oramai chiaro che la cosiddetta "destra radicale" altro non si è ridotta a essere che a una cosa adattissima a "Top Girl", e nulla più. Vuoto pneumatico, le solite due o tre stantie panzane riproposte fino alla nausea come "nuovo" e "futuro". La destra veramente radicale e pericolosa è stata oramai intercettata in massa dalla Lega Nord.

Restano però da dire due parole sul commento che tale "M.V.", l'estensore su Indymedia Lombardia della replica fiorinfiorelliana, ha voluto aggungere. Anche per "M.V." quella famosa frase è stata urlata da gente "estranea al movimento" (ma in quel teatro di Massa, insomma, chi c'era? Una costola scissionista chiamata "Forza Supernova"? Oppure, in un rigurgito di ripensamenti, ci sarà stata finalmente Forza Stravecchia?). Mi sa proprio, invece, che qualche forzanovista, in un impeto di sincerità, abbia gettato la mascherina mettendo in notevole imbarazzo persino il Grande Capo (se si è sentito in dovere di replicare). Ma, del resto, sono cose contrarie alla loro etica e alla loro morale. Riferendosi evidentemente al mio articolo, "M.V." intende sorvolare sull'odio e sugli insulti gratuiti; capisco bene, anche Forza Nuova fa pienamente parte del Partito dell'Amore, un Amore trabocchevole ed incontenibile che trasuda dai suoi manifesti:





Nella foto sotto il titolo: un muro in Italia contenente tutte le più alte espressioni dell'Amore.

giovedì 13 maggio 2010

Tīr nyăuto y'eno harăb (Tre anni e una parola)

Riconosco di avere la fissazione degli anniversari, ma questo ne è uno che, almeno qui dentro, ha un suo significato: il 14 maggio, vale a dire fra meno di un'ora, l' 'Εκβλόγγηθι Σεαυτόν o Asocial Network che dir si voglia, compie tre anni. Vabbè, d'accordo, l'ho detto e contate pure sulla mia allergia perniciosa ai bilanci e alle retrospettive. Piuttosto, vorrei raccontarvi una storia che un po' c'entra con questo blog, e in particolare con una parola che vi compare.

Il titolo di questo post, ed anche alcune cose nella sua presentazione generale (il profilo e l' "Avviso ai Facebabbei"), sono -qualcuno forse ci avrà fatto caso- in una strana lingua. Sarebbe perfettamente inutile che cercaste di capire qual è, per il semplicissimo motivo che tale lingua è stata inventata di sana piana dal sottoscritto. Ma non ieri, e nemmeno ier l'altro; il kelartico (così si chiama la lingua) ha oramai quasi trentacinque anni. È, oramai, una parte di me stesso; logico che un po' compaia anche qui. Ha una sua grammatica (piuttosto semplice), ha avuto una sua evoluzione (all'inizio, quand'ero ragazzino, era più complessa) ed ha le sue parole. In buona parte si tratta di storpiature a ruota libera di parole greche (ad esempio, nyăuto che si trova nel titolo di questo post proviene da ένιαυτός "anno"), ma vi sono molte parole di diversa origine ed altrettante inventate per pura creazione verbale, o verbigerazione. Utilizzo il kelartico quando mi va, per scrivere "cose mie", appunti, traduzioni e, a volte, per parlare con me stesso; ogni tanto mi è capitato di parlarlo a voce alta, da solo, e una sola volta l'ho parlato a un controllore su un autobus di Berna che voleva farmi la multa perché ero senza biglietto (năgandăm măyerdi, săm kācuvŭs ya năharbăm syŭvitsē, cioè "non capisco, scusami, sono straniero e non parlo lo svizzero"). Mi fermo qui, ché tanto non sono cose molto interessanti. È un mio balocco cui sono tremendamente affezionato. Di una parola, però vorrei parlarvi. È quella che, nel profilo, traduce "Asociale": Leisanhārig ("To" è l'articolo determinato). Ha una storia tutta sua.

Si tratta di un "aggettivo privativo", esattamente come "asociale". Di quegli aggettivi che rappresentano il negativo di un concetto positivo, che di solito vengono formati tramite prefissi (a-, in-, un- in inglese e tedesco). In kelartico, invece, si formano con un suffisso: -hār- (una radice che vuol dire "cessare, smettere"), al quale viene unito il comune suffisso generale degli aggettivi che indicano una qualità, -ig (nel quale, così per curiosità, la "g" finale non si pronuncia mai: si legge quindi qualcosa come "leissanhààri"). Insomma, vuol dire "privo di" qualcosa. Privo di leisan.

Se qualcuno andasse a vedere nel dizionario, cosa d'altronde impossibile perché ce l'ho io e basta, vedrebbe che leisan significa qualcosa di un po' bizzarro se rapportato all'asocialità: vuol dire, infatti, "accendino". È un derivato di leis, che vuol dire "fuoco": con -an si formano dei nomi di strumenti. Ad esempio, da slad "botta, colpo", si forma sladan "martello"; oppure da plok "fiamma", si forma plokan "fiammifero, cerino". Leisanhārig vuol dire, quindi, "privo di accendino".

Ogni parola ha una sua storia, anche se si tratta di una parola "inventata"; e questa è una storia di quand'ero all'incirca adolescente. Sedici o diciassett'anni. Nel quartiere dove abitavo c'era un tipo un po' bislacco. Può darsi che fosse venuto fuori dal (non lontano) manicomio di San Salvi, o anche no; non era comunque un "barbone" o qualcosa del genere. Vestiva con discreta cura, era pulito e doveva avere un posto dove dormire e mangiare; stazionava fisso nel viale dietro casa mia, tra il capolinea dell'autobus, il bar "Camelia" e la casa del popolo "Arrigoni" e fumava. Fumava. Fumava. Da far impallidire persino una ciminiera come me. Solo che non chiedeva mai sigarette alla gente: se le comprava, le sue Esportazione col filtro. Chiedeva, invece, da accendere. A tutti. Mai che gli si vedesse un accendino o una scatola di cerini in tasca. Era leisanhārig e plokanhārig (a questo punto il procedimento di formazione dovreste averlo capito). Non dico di essere stato una delle sue "vittime" preferite, ma capitava sovente, specialmente quando andavo a prendere l'autobus, di ritrovarmelo a chiedere da accendere. E io accendevo, naturalmente.

Avrà avuto, almeno così mi sembrava, una sessantina d'anni; ma a persone del genere, specialmente quando d'anni se ne hanno molti di meno, l'età si dà male. Era magrissimo, piuttosto basso e dai capelli piuttosto folti; sul viso, uno di quegli accenni di barba durissima come filo spinato, fatta finché il rasoio non dichiarava forfait. La aveva così anche mio padre: a passargli una mano sul mento, sembrava di toccare carta vetrata. Alla mia età di allora si è, talvolta, deliziosamente stupidi. Un giorno che stavo a prendere il diciassette, e che quello mi aveva chiesto da accendere, mi venne da dirgli una cosa assolutamente imbecille: ehi, ma perché non te lo compri un accendino?

Mi guardò sogghignando un po', e nel frattempo gli avevo acceso la sigaretta. E me n'ero accesa una anch'io (allora fumavo le Chesterfield). Mi disse così: Perché io sono libero e mi state tutti sul culo. E se ne andò attraversando la strada, per andare a sistemarsi alla fermata di fronte. Io rimasi là a fumarmi la Chesterfield. Probabilmente volevo ragionare, collegare; com'è che uno non si compra un accendino perché è libero e gli si sta tutti sul culo? Fu allora che mi venne in mente la conquitescenza mirtica dell'alveatico. È una frase "inventata da un operaio fonditore pazzo, ma intelligentissimo", così come racconta Alessandro Bausani nel suo libro Le lingue inventate (che è uno dei libri più importanti della mia vita). Non era , a rigore, un caso del genere: la frase che quel tipo mi aveva detto non era formata da parole inventate. Ma mi venne a mente lo stesso. Non c'era da collegare un bel niente. Lui era libero, gli si stava tutti sul culo e, logicamente, non comprava mai accendini. Quel che non hanno mai capito i logici, è che di logiche ne esiste una per ogni essere umano che vive su questa terra; e sono tutte differenti.

Ci rimuginai sull'autobus, ci rimuginai la sera e ci rimuginai un po' anche il giorno dopo. Finché non entrò in scena, come gli si confà, un cantante. Siccome col mio kelartico mi ci baloccavo parecchio, allora, un bel giorno decisi di tradurre una delle sue prime canzoni: L'antisociale. il cantante si chiama Francesco Guccini. Se non ce l'avete presente, eccola qua:



Solo che c'era un piccolo problema con la traduzione. In kelartico, ancora, non esisteva una parola per "antisociale, asociale". Mi sarebbe toccato crearla. "Società" si dice, con un pigèrrimo imprestito, sotsiet; e "sociale" è sotsietig. Sarebbe bastato fare un bel sotsiethārig, et voilà. Ma non mi piaceva; e allora mi venne in mente il fumatore delle fermate, quello che gli si stava tutti sul culo, che era libero, e che non comprava mai accendini. Il "senza-accendino" asociale. Il leisanhārig. Oltretutto la parola suonava assai bene:

Săm 'no miakŏs leisanhārig,
mă năkatlăs piot săn nyer
mă năkatlăs săn frōnāi nă to lyŭt...

Ora, il bello è che, mentre sto scrivendo, guardo il tavolo dietro di me. C'è una specie di salsiera, che mai salsa ha portato in vita sua, dove tengo ogni sorta di paccottiglia che non mi riesce di buttare via. Ci saranno, a dir poco, sei o sette accendini. Anche scarichi. Sulla libreria alla mia sinistra, che funge anche da ripiano, ce ne sono altri tre o quattro. Altri in bagno e altri ancora sul tavolino accanto al letto. Sicuramente, ne avrò altri sparsi fra lo zaino, le tasche della giacca, il marsupio e i cassetti. Tutto mi si potrebbe definire, insomma, fuorché un leisanhārig. Di leisanāi (così imparate anche come si fa, generalmente, il plurale dei nomi) ce ne ho fin troppi. Però, siccome sono anche sănkollhārig (incoerente), mi tengo la parola e anche l'asocialità infuocata dagli accendini.

Che fine avrà fatto? E chi lo sa. Continuò ancora per un bel po' a girare nei dintorni, gli accesi ancora parecchie Esportazione e non mi azzardai più a fargli domande. Un giorno sparì, e non ne ho saputo più niente. È rimasta una parola. È diventato una parola di una lingua che non esiste, e che esiste al tempo stesso. Esistenza e inesistenza (bumerkal, bumer
hārkal). E mi state tutti quanti sempre più sul culo, e al tempo stesso vi voglio molto, molto bene. Se sono libero, non lo so. Ma fumo parecchio.

Il sogno di Piero


Per alcuni anni, il newsgroup e la mailing list dedicati a Fabrizio de André sono stati dei luoghi irripetibili: Beautiful things are for few moments. Meglio così, forse. Il 20 marzo 2001, alle ore 21.33, nella mia fumosissima stanza di Livorno dove abitavo allora, mi scattò una specie di molla. Era una cosa frequente, allora, e non soltanto per me. Presi due canzoni di Fabrizio De André, "La guerra di Piero" e "Il sogno di Maria" (da "La buona Novella") e ne mescolai i versi sull'aria della seconda canzone. Ne venne fuori la cosa che vedete qua sotto. Attribuirmene la paternità è dunque cosa assai ardita: nessuna delle parole che compongono questo testo è stata scritta da me. Al tempo stesso, però, ne sono il mestatore, il frullatore, il contaminatore. Non so esattamente perché proprio stasera, più di nove anni dopo, mi sia tornata a mente questa cosa; ma una ragione ci dovrà pur essere. E mi fermo qui perché altro proprio non saprei dire, e altro probabilmente non c'è da dire. Qui sotto c'è il "Sogno di Maria" originale cantato da De André, se qualcuno volesse immaginarsi di cantarvi sopra questo guazzabuglio.




Nel grembo umido del campo di grano
L'ombra era fredda come un tulipano.
Ninetta scese, come ogni sera
Ad insegnarmi una nuova preghiera:
Poi d'improvviso, dall'ombra dei fossi
Braccia come dei papaveri rossi,
Quando mi chiese: Conosci l'estate?
Io, fra i cadaveri di quei soldati
Corsi a vedere i lucci argentati.

Volammo alle sponde del mio torrente,
Portati in braccio dalla corrente,
Poi scivolammo, ed era d'inverno
E come gli altri verso l'inferno.
Scendemmo là, proprio come chi deve
A cercarci da soli, in faccia la neve
E lui parlò, disse: Fermati Piero!
Ed alla fine di ogni sua voce,
Chi diede la vita ebbe in cambio una croce.

Le ombre lunghe, ed il tempo passava
Coi sacerdoti a passo di giava;
Con le ali di prima, d'identico umore,
Con il braccio nudo e d'un altro colore.
Poi vidi un uomo là in fondo alla valle,
Il volto severo, con l'anima in spalle,
Nel gesto immobile, sparagli ora,
E dopo un colpo, sparagli in cuore,
Ninetta, gli occhi di un uomo che muore.

Voci di strada e senza un lamento,
Mi rubarono al sogno in un solo momento,
Sbiadì l'immagine, crepare di maggio,
E l'eco lontana di troppo coraggio.
Ripeteva d'andare diritto all'inferno
Dove forse era un sogno, un sogno d'inverno;
Svegliati Piero, su, stringi il fucile!
E confuse in bocca stringevi parole,
Gelate nel sogno per sciogliersi al sole.

lunedì 10 maggio 2010

Fasciste


È del tutto inutile, anzi ozioso, ricordare che quando dei fascisti si riuniscono in una qualche città italiana, questa città sia “decorata al valore per la Resistenza”. Poteva avere, questa cosa, valore nella Genova del 1960, quando il “Movimento Sociale” che voleva tenervi il suo congresso nella stagione dell'appoggio al governo Tambroni venne semplicemente cacciato via con un'insurrezione popolare che si propagò in tutta Italia, scatenando la repressione poliziesca. Ora come ora i fascisti vanno dove vogliono. A Massa, ad esempio. Ennesima città “medaglia d'oro”. Il sindaco di “centrosinistra” dichiara candidamente di non poter fare nulla per impedire che lo stragista Roberto Fiore intervenga a un “dibattito sulla RU486” organizzato dalla stessa “Forza Nuova” e da “Ordine Futuro” (oh come sono futuristi!) . Sì, perché -sapete- i fascisti, quanto più sono putridi e tanto più si dicono “portatori di valori” (tanto da farseli propagandare, in pompa magna, persino su certi giornaletti per adolescenti). Tanto più si dicono “ribelli e rivoluzionari”, quanto più si fanno parare il culo dai loro amichetti questurini. Tanto più puzzano del più marcio passato di questo paese, quanto più si proclamano “nuovi” e “futuri”.

E così il sindaco della città pluridecorata fa tenere la riunioncina a “Forza Nuova”, con il pretesto che è “partito riconosciuto nel nostro ordinamento”; per lavarsene le mani a dovere, autorizza anche una contromanifestazione, affidando naturalmente alle forze dell'ordine il compito di tenere ben separati i contendenti. In una città dove persino il PD locale cerca di avere un rigurgito antifascista, chiedendo allo stesso sindaco di “fermare quell'iniziativa di sapore neofascista”. Sapore?

I fascistelli di Fiore, ovviamente, sono “contro l'aborto”. Sono per la vita, loro. Per la vita, per la tradizione e per i valori. Al loro “dibattito” (al quale, per dare un'aura di pluralismo, hanno invitato anche un rappresentante locale dei Radicali -il quale non si fa pregare, cosa d'altronde logica per dei filosionisti guerrafondai che appoggiano il genocidio a Gaza e i bombardamenti nato su Belgrado, ostentando poi nel loro “logo” Gandhi e il simbolo antimilitarista), sono presenti anche due donne dell'associazione “Usciamo dal Silenzio”. All'uscita si scatenano le camerate: le due donne vengono apostrofate con urla di “Assassine!” perché favorevoli all'aborto e alla 194, e due forzanoviste arrivano a urlare: “Stupratele, tanto poi abortiscono”. Ecco, in questa frase credo siano riassunti tutti i “valori” di questi luridi avanzi di fossa biologica. Quelli che vengono propagandati da “Top Girl”. Vi è, in questa frase, tutta la loro più autentica “italianità”, tutto il loro “amore per la vita”. Credete forse che a questi qua, a queste qua, interessi veramente qualcosa dell'aborto, dei feti, degli embrioni? Interessa loro, semplicemente, trovare appoggi nel clero. Allo stesso modo in cui i leghisti di Cota sono stati prontamente lodati dalle alte sfere Vaticane dopo l'uscita sulla RU486 da “tenere nei magazzini”. Fascisti, razzisti, sì: ma anche e soprattutto tremendamente democristiani.

Tanti si dicono “antifascisti”, ma questo loro presupposto antifascismo sbatte quotidianamente contro l'attivismo di donne che, ora come ora, rappresentano un'autentica doppia opposizione. E, ancora, presso molti ambienti “antifascisti” si preferisce ignorare che esiste ancora un femminismo militante e senza compromessi. Si ricordano i “gloriosi anni '70” senza sapere, o rifiutando di ricordare, che anche in molti gruppi extraparlamentari di quell'epoca vigeva un maschilismo terrificante (e “Lotta Continua” ne è un esempio clamoroso). Ancora si fa un'estrema fatica nel vedere che il femminismo militante è l'opposizione fattiva a tutti i fascismi. A quello di “Forza Nuova” e di donne che urlano ad altre donne una frase che le qualifica non più come donne, non più come esseri umani, ma soltanto come fasciste; ed a quello generalizzato di ogni giorno, del “maschio”, che può essere anche “di sinistra” ma che non si vergogna affatto, nei suoi semplici comportamenti, ad agire come un oppressore. Antifascismo autentico significa anche femminismo. Significa dare ogni appoggio possibile a delle donne che lottano su più fronti. Significa semplicemente agire da Antifascisti non di facciata.

Resterebbe da esprimere, compiutamente, il disprezzo più totale per “Forza Nuova” e movimenti consimilari, per quel “partito riconosciuto” in un “ordinamento” che nella sua carta straccia, altresì detta “Costituzione”, prevede il divieto di ricostituzione, sotto qualsiasi forma, del disciolto Partito Fascista. Un divieto talmente osservato, che già nel 1946 si permetteva la formazione del MSI. Il disprezzo, comunque, se lo esprimono già ampiamente da soli. Nelle loro cagnare sbavanti, nel loro razzismo che li mette costantemente a nudo, nelle loro “iniziative per il popolo” che sottintendono la loro barbarie congenita. Possono parlare di “vita” dei loro feti, con la benedizione del monsignore o del cardinale, ma quel che spandono è soltanto puzza di cadavere. Ma alle loro ragazzotte, in attesa che qualche altra rivistina “in” presti loro le paginette patinate, non voglio augurare di provare sulla loro pelle che cosa significa essere stuprate. Non auguro loro di ritrovarsi in corpo un “figlio” nato dalla violenza più cieca e idiota, come quella che hanno gridato in faccia a due donne come loro. Non auguro loro niente di tutto questo, anche se sarebbe forte la tentazione di augurare loro perlomeno di sposare Angelo Izzo.


martedì 4 maggio 2010

Ellade


Τα μάτια κλαίνε αστέρευτα
Για μια χαμένη αγάπη
Που πριν ανοίξει τους ανθούς
Και πριν μοσκοβολήσει
Την βρήκε αγέρας και καπνός
Και μαύρη ανεμοζάλη.

Τα μάτια κλαίνε αστέρευτα
Για μια χαμένη αγάπη
Κρούσταλλο και ραγίστηκε
Αστέρι ήτον κι εσβήστει
Τη βρήκε αγέρας και καπνός
Και μαύρη ανεμοζάλη.

Τα μάτια κλαίνε αστέρευτα
Για μια χαμένη αγάπη
Κείνη τρυγόνα της αυγής
Κείνος αητός τ' αψήλου
Τους βρήκε αγέρας και καπνός
Και μαύρη ανεμοζάλη.

Piangon gli occhi, senza sosta,
per un perduto amore.
Prima che schiudesse i fiori,
prima che desse profumo
l'han trovato l'aria, il fumo
e la nera bufera.

Piangon gli occhi, senza sosta,
per un perduto amore.
S'è spezzato anche il cristallo,
si son spente anche le stelle,
l'han trovato l'aria, il fumo
e la nera bufera.

Piangon gli occhi, senza sosta
per un perduto amore.
Quella tortora dell'alba,
quell'aquila su in alto
le han trovate l'aria, il fumo
e la nera bufera.

Mi dicono che la Grecia brucia, che la rivolta spazzerà via tutto, che non si umilia un popolo come quello greco costringendolo a patimenti e a privazioni in nome di meccanismi economici che non ha voluto e che il potere interno (naturalmente liberista e di destra) ha generato, e quello esterno (l' "Europa" dei banchieri e gli speculatori internazionali) ha sfruttato. Ed è altamente possibile che la Grecia vada in fiamme. I greci sono gente seria, e lo si è visto in questi anni. Sono il popolo con la più alta partecipazione e passione politica che esista in questo continente, e "politica", non a caso, è parola greca. Non si fermeranno.

Mi è venuto, allora, di aprire questa pagina e di riascoltare questa canzone di Mountés, di Xarchakos, di Xylouris. Non sono andato a canzoni più prettamente politiche e di lotta; sono andato qui a buttarmi nella Grecia senza tempo, in quella che scava dentro l'umanità intesa come più profonda essenza dell'essere umano. Proprio ora che una "nera bufera" di ben altra e volgare origine si è addensata sulla Grecia (ma si addenserà presto su altri paesi, dopo anni di allegra distruzione delle coscienze a base di tv, di calcio, di telefonini, di reality show, di inutili oggetti).

A un certo punto mi sono comparse davanti delle facce. Ignobili squali. Le Frau Merkel, i Karamanlis, tutti gli "Europoidi" che prima ci hanno magnificato le delizie dell' "Unione" per poi farne esclusivamente uno strumento di potere e di affamamento, e non di fratellanza. Più l'Europa si è "unita", è più sono cresciuti la xenofobia, l'odio, la paura. Tutto questo mentre scorrevano la musica sublime di Xarchakos, la voce senza pari di Psaronikos, i versi riarsi e terribili di Mountés.

Che ne sapranno di tutto questo le Merkel, i Soros, i politicanti di Bruxelles, i banchieri centrali? Coloro per i quali la Grecia è solo un paese qualsiasi su cui gettarsi come avvoltoi per i loro sporchi affari, e sulla pelle della gente? E che cosa si può opporre a questa gente, a parte la doverosa lotta senza quartiere? Si può opporre quel che siamo tutti noi, individualmente e collettivamente. Si può opporre una vera comunanza, che è ben diversa dagli schifosi conti di ragionerie che producono soltanto più ricchezza per i ricchi, e più povertà per i poveri, per i lavoratori, per i precari, per gli schiavi immigrati.

E si possono opporre anche parole come quelle di questa canzone.

Caratteristica saliente della poesia greca moderna è la capacità di combinare le immagini più ardite con un'asciuttezza lirica assolutamente impensabile. Ricorrendo alle inesauribili risorse della lingua e alle sue varianti (solo in questo testo sono presenti numerose deviazioni dall'ortografia e dalla pronuncia « standard », come ad esempio αστέρευτα per αστείρευτα, o αητός per αετός) ed alle possibilità locali, dialettali e arcaiche, comunque generalmente comprese, si crea un amalgama che riesce a creare l'emozione di un testo che sa di pietra, di solitudine, di dolore. Questo non è l' « amore perduto » di De André, coi capelli strappati, le viole e la speranza dell'amore nuovo; è una cosa molto diversa. E' la nera disperazione su una rupe. E' respirare davvero l'aria, il fumo e la nera bufera. E' l'uomo nudo di fronte alla separazione, al soffrire; come lo è da migliaia e migliaia di anni.


lunedì 3 maggio 2010

Ola òla


Non so se qualcuno se ne ricorda ammodino, di Scajola.

Antonio Claudio Scajola, da Imperia, già incriminato nei primi anni '80 per concussione ed anche alcun tempo ingabanato, nel luglio del 2001 era ministro dell'interno. Genova, G8, Giuliani. Le tre "G" di una delle peggiori infamie di questo paese.

Fu lui a dichiarare tranquillamente di avere autorizzato le forze dell'ordine ad aprire il fuoco sui manifestanti qualora avessero tentato di entrare nella Zona Rossa. Altre furono le zone rosse, di sangue. Piazza Alimonda, la scuola Diaz. La macelleria messicana.

Poi si accorse di quel che aveva detto, in uno strano momento di sincerità, e ritrattò.

Poi si distinse per aver definito un rompicoglioni il defunto professor Marco Biagi. Esattamente un rompicoglioni desideroso solo del rinnovo del contratto di consulenza. Un altro momento di sincerità estrema, probabilmente; ed una sincerità che getta molta luce sullo "Stato" e sui suoi "servitori". Il professore che, con il suo non malpagato contratto di consulenza, contribuisce a mandare al precariato tutto un paese. Il professore che, sentendosi in pericolo (ma come mai si sarà sentito in pericolo?...), chiede la scorta. La scorta che gli viene rifiutata. Il professore che, una sera, viene ammazzato dalle Brigate Rosse. Il professore ammazzato che viene infine definito in maniera chiara dal sor ministro. E, in tutto questo valzer, di morti per lavoro ce ne sono stati qualche migliaio in più di quanti ce ne siano stati per le "Brigate Rosse". Specificando che, per morire di lavoro, non importa nemmeno stare alla Thyssen Krupp. Morire o fare una vita di merda per un contratto di consulenza.

Poi c'è il "caso Alitalia" col volo Albenga-Fiumicino. Albenga è a 33 km da Imperia. Nel bel mezzo della crisi Alitalia, il ministro si fa il volo personale; un volo che, come viene appurato, non supera mai i 18 passeggeri. Per il fatto Biagi Scajola si dimette, e il volo viene annullato; ma quando il medesimo viene rifatto ministro ("per l'attuazione del programma"), viene ripristinato. Nel 2007 ci son quegli altri al governo, e il volo viene ricancellato; poi ritornano gli amichetti di Scajola il quale, stavolta, viene fatto ministro "delle attività produttive"; e con lui torna anche il suo bel voletto da Albenga.

Antonio Claudio Scajola è attualmente uno dei maggiori propugnatori del ritorno al nucleare, ma dubito che una delle costruende centrali verrà edificata, diciamo, nella zona del Ponente ligure. Mettiamo pure fra Albenga e Imperia, vah. Potrebbe disturbare il volo Alitalia e i suoi diciotto passeggeri.

Poi c'è la storiella di questi giorni.

Sì, lo so che non si dovrebbe tirare in ballo un'innocente genitrice, anche se è assai forte la tentazione di dire che una gravissima colpa ce l'ha, sua madre: quella di avere messo al mondo un lurido pezzo di merda del genere. Cosa alla quale può aver contribuito anche suo padre; ma mater semper certa, pater numquam.

Non si dovrebbe; ma, come diceva Oscar Wilde, l'unico modo per resistere alle tentazioni è cedervi:

Scajola, tu ci hai la mamma merdajola!