Nel 1969, in Argentina, ci furono le prove generali di quel che sarebbe accaduto qualche anno dopo. Un anno di scioperi e di rivolte sociali in parecchie zone del paese, tutte represse nel sangue dalle forze armate; nessuna differenza con la fine degli anni '70; l'Argentina del 1969 era sotto una dittatura militare, quella del generale Juan Carlos Onganía. Certo, meno conosciuta di quella di Videla, Massera e Galtieri, del Garage Olimpo, dei Desaparecidos e delle Matite Spezzate; e, soprattutto, pubblicamente combattuta in piazza. Il '69 argentino fu una continua rivolta contro la dittatura; sui muri delle città si vedevano scritte come quella dell'immagine, Soldato, non sparare ai tuoi fratelli. Dopo il '76 scritte del genere non si videro più. Non erano fratelli, i soldati; erano soltanto ciò che erano anche prima, assassini.
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Córdoba, maggio 1969. |
Il mese di maggio del 1969 fu, in Argentina, una serie ininterrotta di massacri. A fronte di rivolte antigovernative con scontri violentissimi e barricate per le strade, poliziotti e soldati reagirono in modo che definire selvaggio è un eufemismo. Il 15 maggio, a Corrientes, la polizia fucilò letteralmente per la strada uno studente di 22 anni, Juan José Cabral; l'identica sorte toccata due giorni dopo, il 17 maggio a Rosario, ad un altro studente anch'egli di 22 anni, Adolfo Ramón Bello, durante una manifestazione di protesta proprio per l'assassinio di Cabral. Esecuzioni sommarie al muro, per la strada. Il 21 maggio, sempre a Rosario, toccò a uno studente di soli 15 anni, Luis Norberto Blanco. Colpito da una raffica, il ragazzo fu soccorso, agonizzante, dal medico Aníbal Reinaldo, che fu manganellato quasi a morte dai poliziotti. Nei giorni successivi, a Córdoba e Rosario, furono abbattuti per strada: Daniel Laoz, di 27 anni, travolto da un veicolo militare (come Giovanni Ardizzone e Giannino Zibecchi in Italia); la studentessa Nilda Vilma Martínez, di 21 anni, centrata da pochi metri da un lacrimogeno in pieno volto; Máximo Menna, di 25 anni, ucciso a fucilate; un giovane di 32 anni di cognome Castillo (il nome non è noto), pure fucilato. Oltre a questi, ci furono altri dieci morti e centinaia di feriti.
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Il generale Juan Carlos Onganía. |
L' 8 giugno, il generale Juan Carlos Onganía fu deposto da altri tre generali. Le rivolte continuarono però in tutto il paese, estendendosi ad altre province e ai centri minori, e saldandosi con le rivendicazioni sociali degli strati proletari della popolazione. Il 1° luglio 1969, nella cittadina di Tafí Viejo, nella provincia di Tucumán, era stato organizzato uno sciopero di ferrovieri, con una manifestazione che fu immediatamente attaccata da un reparto della Polizia Ferroviaria argentina; praticamente, come se uno sciopero di ferrovieri italiani fosse assaltato dalla Polfer. Durante gli scontri, accadde uno di quei tipici effetti collaterali, con l'ancor più tipica pallottola vagante; naturalmente, le pallottole che fin da maggio avevano fatto decine di morti (regolarmente giovanissimi) non erano vaganti. Avevano una direzione ben precisa.
Elba Susana Del Valle Guerrero era una bambina di tre anni che stava giocando nel portico di casa sua, la quale si trovava disgraziatamente a breve distanza dagli scontri tra gli scioperanti e la polizia ferroviaria. Chissà, forse era stata pure attratta dal rumore; fatto sta che la piccola fu abbattuta da una pallottola in dotazione alla polizia, che la centrò in pieno ventre uscendole dalla spalla. Occorre qui lasciare la parola ad un poeta, che in quel momento si trovava in galera, a Ramallo. Si chiamava Castillo, come una delle vittime degli scontri di maggio; Leonardo Castillo. Scrisse un recitativo, o poesia in prosa, intitolato È morta Elba Susana. Diceva così:
"A Tafí Viejo è morta Elba Susana, dice il giornale di oggi, 2 luglio 1969.
È morta durante gli scontri tra gli scioperanti e la Polfer. Ieri,
quando è arrivata la notizia del suo ferimento, aveva 3 anni. Suo padre
ha detto che la polizia ha sparato su un gruppo di operai.
Secondo le notizie di ieri, Elba Susana stava giocando nel portico di
casa sua quando una pallottola le ha fracassato il pancino uscendole
dalla spalla; la ferita, dicono le notizie, aveva quattro centimetri di
diametro. Una rosa che avrei voluto baciare.
Su, ditemi ora, ditemelo; vi invito a parlare, signori. Voglio sentirvi
dire che è stata una tragedia, che è stato un deprecabile incidente, che
la vita continua. La proprietà privata continua a essere al riparo e
protetta; piena di serpenti e di veleno.
Chi mi dà un gelsomino per Elba Susana del Valle?
Darei una carrettata di caramelle e tutti i miei versi per Elba. Dite di
no? Che questa carrettata e tutte le mie poesie non serviranno per
pagare il riscatto? E che devo fare per far tornare Elba in vita e
perché mi insegni a contare fino a dieci? E che ci faccio allora con le
mie poesie? Me le mangio e volo, volo fin dove Elba Susana ha lasciato
la sua pozza di sangue?
Sì, volo.
Però, prima, vorrei sapere dove giocano i figli dei generali, dei
latifondisti, di quelli che affollano la borsa valori. Per ora mi tengo
il mio pianto. Vorrei sapere se questi bambini sono diversi da Elba
Susana. Vorrei sapere se hanno la coda, se dormono in pigiamini di
amianto. Oggi, 3 luglio, il giornale dice che aveva 4 anni; ieri diceva
che ne aveva tre. La hanno invecchiata di un anno in un giorno, e con
questo la rosa di sangue nel suo pancino è fiorita due volte. E pure io
dico che in un giorno siamo invecchiati di un anno; quindi...è ora di
aggiustare i conti.
Dico questo, mentre alle quattro del pomeriggio senti come aumenta il baccano nel cortile della scuola, qui, a Ramallo."
Qualche tempo dopo, la poesia sull'assassinio della piccola Elba Susana diventò una canzone, di Rolando Alarcón. Non ne cantò, però, il testo completo. Rolando Alarcón non era argentino; era cileno. Fu ammazzato sei mesi prima del golpe di Pinochet. Noto come cantautore comunista, fu colpito da un'emorragia e, stranamente, invece di essere portato all'ospedale fu mandato a una stazione di pronto soccorso dove, ancor più stranamente, si diceva che il personale fosse di estrema destra. Si rifiutarono di operarlo, e Alarcón morì. La storia potrebbe, forse, finire qui. Ho cercato se esistesse una foto di Elba Susana Del Valle; nessuna. Troppo piccina per avere delle foto, forse. E troppo lontana. La sua brevissima vita, terminata per mano poliziotta, non ha avuto immagini; o, se le ha, saranno in qualche cassetto della sua famiglia, ingiallite.
Però, per me, la storia non finisce affatto qui. Per un motivo parecchio mio, e pure parecchio labile. Ha a che fare col nome della bambina uccisa quel pomeriggio di luglio a Tafí Viejo, provincia di Tucumán, Argentina; vale a dire, che una bimba argentina di 4 anni si
chiamasse "Elba". All'isola d'Elba, chiamarsi "Elba", come la stessa
isola, oppure "Elbano" (si veda, ad esempio, il patriota Elbano
Gasperi), era in passato piuttosto comune; a Marina di Campo c'era una
"pensione Elba" che non prendeva nome dall'isola, ma dalla titolare che
si chiamava proprio così, Elba. Sono più che convinto che, per chiamarsi
così, la piccola Elba Susana doveva avere qualche antenata (chissà, forse la
nonna) che proveniva dall'isola d'Elba. Del resto di elbani in Argentina
io ho avuto direttamente
due zii.
Non mi risulta che il nome femminile "Elba" sia mai stato usato fuori
dall'isola d'Elba, a parte per motivi di parentela stretta; è un nome
estremamente identitario, popolarizzato durante il Risorgimento anche
nelle forme classiche
Ilva e
Ilvano a causa, probabilmente, dei trecento guerrieri elbani che avevano combattuto assieme a Enea, come scrisse Virgilio nel suo poema. Che la piccola discendente di un'elbana o di un elbano sia andata, forse, a morire
manu militari in un paese lontanissimo, mi fa venire letteralmente i bordoni.
Ho così tradotto integralmente la poesia di Leonardo Castillo; il
motivo, credo, si spiega da solo. Illustro la traduzione con
un'immagine dell'Isola d'Elba, come omaggio alla piccola Elba Susana
vittima del terrorismo di stato e di uno stato terrorista. Non posso
ovviamente sapere perché la piccola Elba si chiamasse così, e quello che
ho in testa altro non può restare che un'ipotesi e una suggestione; ma
nel suo piccolo niente, il suo piccolo niente di una bambina che giocava
nel portico di casa, Elba aveva comunque, pur non sapendolo, il nome di
una lontanissima isola che è la mia. Come Leonardo Castillo avrebbe
dato tutto per far tornare Elba Susana in vita, io le do l'isola del suo
nome. Il due di luglio del 1969 io ero all'Elba e avevo quasi sei anni.
Forse anche lei è là, mi piace pensare, che sta giocando felice su una
spiaggia, lontana dall'orrore, lontana dagli orchi in divisa. Forse
giochiamo assieme.
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Il Cavo e, in mezzo al mare, Palmaiola. |