venerdì 30 gennaio 2015

Torbido, terra e fumo



Non si riuscirà mai a sapere se sia stata più bella Caterina Bueno o la sua voce; ma, in un certo senso, sia la sua bellezza che la sua voce sapevano di torbido, di terra, di fumo. C'era poi quel cervellaccio possente, quel suo saper cavare canzoni e musica da passati remoti e renderle al presente facendole sapere di quel che dovevano, ovvero di torbido, di terra e di fumo. Ché di questo è fatta la terra toscana, di cupezza, di strafottenza, di terribili beffe alla morte (tanto più terribili quanto più grande e antica è la consuetudine che il toscano ha con essa), di cattiveria e dolore, di rarissima ma autentica e sentita dolcezza, di silenzio e d'amore profondo ma mai plateale. Tutto questo seppe mettere in luce Caterina Bueno; lei, figlia di due artisti stranieri (un famoso pittore spagnolo e una pittrice svizzera), rimasta cittadina spagnola fino all'età di ventuno anni pur essendo nata in via delle Fontanelle, a San Domenico di Fiesole, nel tremendo 1943, atea e anticlericale, bandita dalla televisione per aver annunciato pubblicamente un'iniziativa contro la costruzione di una centrale nucleare, anarchica e scovatrice dei più dimenticati canti anarchici rimasti magari nella memoria di un unico contadino decrepito, e tutte queste, e tant'altre ancora di quelle cose che ci sarebbe vorsùta lei a dirle, ma che per disgrazia più non pòle perché a metà luglio di ott'anni fa alla terra è tornata. Non è questa una data speciale, un anniversario per ricordarla; è una notte buia, fredda e ventosa, una nottataccia d'inverno proprio come quella in cui il burattino Pinocchio andava a bussare alle porte per raccattare qualcosa da mangiare, ricevendone cappellate d'acqua ghiaccia sul capo. E' solo un ricordo venuto d'improvviso, così come d'altronde solgono i ricordi venire. Affidato a una buia e dolente canzone d'amore e morte, quale con probabilità tutte le tradizioni popolari d'ogni latitudine e tempo hanno offerto; storie di questo genere saranno state cantate in russo come in iscozzese, in francese come in qualche lingua de' monti Carpazi. Che cosa vi sia di specificamente toscano, è nella voce terrigna e avernale, eppure d'antica armoniosità, di Caterina Bueno; unica in grado di scovare e cantare canzoni in modo lidio e terrificanti maledizioni in funzion d'efficace arma. Eran tre falciatori, forse per nulla a caso, fa parte d'un disco di più di quarant'anni fa dove c'era d'ogni cosa; il Caserio, il contrasto sulla guerra di Libia, il cantar maggio, il Logiardo, il grillo e la formica (larinciùnferarillallera, larinciùnferalillallà), il carbonaro e la Befana giù in cantina. Ciao Caterina, che ho fatto in tempo a conoscerti anche se solo du' anni prima che tu morissi, tutte e due lontani dalla Toscana, io in Svizzera e tu vicino a Bergamo. Stavi cercando, allora, le canzoni dei minatori elbani; ti ricordo coi tuoi falciatori e con quei du' amatori che, malidettatté, hai fatto rinascere dalla loro tomba e splendere in quei tuoi occhi grandissimi e neri come i pozzi degl'inferi. 





Eran tre falciatori
eran tre falciatori
in un prato a falciar
in un prato a falciar

Col rastrellin dell'oro
col rastrellin dell'oro
la bella a rastrellar
la bella a rastrellar

Mentre la rastrellava
suo amor morto trovò
e a piangere si mise
e pianse più d'un po'
e pianse più d'un po'

Colle sue amare lacrime
la bella lo lavò
coi suoi lunghi capelli
la bella l'asciugò
la bella l'asciugò

Da capo fino in fondo
la bella lo guardò
e trentadue ferite
la bella gli contò
la bella gli contò

Colle sue bianche braccia
a casa lo portò
e sul suo bianco letto
la bella lo posò
la bella lo posò

Trentadue coppie di preti
la bella fe' invitar
ed altrettante moniche
la bella fe' pregar
la bella fe' pregar

Tre doppi di campane
la bella gli sonò
fino alla sepoltura
la bella l'accompagnò
la bella l'accompagnò

Sopra vi fece scrivere
Qui giacque du' amator
l'un morto di coltello
e l'altro per amor
e l'altro per amor.