lunedì 23 febbraio 2015

I Nostri Ragazzi (e le loro ragazze)



Dunque, era una notte buja e tempestosa. Una volta, forse, sarei partito raccontando come mai mi trovavo su un dato treno, una data sera e a una data ora; il cosiddetto “cappello”, come mi aveva insegnato la maestra in seconda elementare, al tempo dei primi pensierini (i temi si cominciavano a fare solo dalla terza, almeno a scuola mia che, per un capriccio del destino, si chiamava “Diaz”. Quando dico che sono andato alla scuola Diaz, la gente si mette le mani sulle parti basse e mi chiede se sono scampato o se mi hanno portato a Bolzaneto; ma la mia stava a Ponte a Mensola, all'angolo tra via D'Annunzio e via della Madonna delle Grazie, amen).

In pratica, come vedete, il cappello l'ho già fatto; dure a morire le vecchissime abitudini. Ora, quindi può cominciare il tema (facciamo conto, beh, che sono già in terza); il titolo lo sapete già. I nostri ragazzi (e le loro ragazze). Era una notte buja e tempestosa, e mi trovavo -come avrete già intuito- su un treno delle Ferrovie dello Stato, un Intercity seguito da un numero partito dalla lontana città di Chissadove e diretto nell'altrettanto lontana città di Chissaquale. Salito a una fermata decisamente intermedia per scendere a quella dopo, un'altra grande città che, oramai da tempo, funge da capolinea delle bombe di stato per i treni che percorrono quella tratta segnata da lunghe gallerie, e parecchie. Lo stato italiano? C'entra, per forza. 1974, 1980, 1984; ma, quella sera, lo stato italiano era impersonato, per mia fortuna, non dai servizi segreti deviati o dai suoi fascisti di ordinanza, con valigette e timer; aveva, invece, il volto rassicurante di un prestante militare di una quarantina d'anni, coi capelli biondastri rasati quasi a zero, che mi sedeva davanti impegnato in interminabili telefonate dal suo vociòfono di ultimissima generazione, quello che ti prepara una pasta alla carbonara istantanea, ti mette in comunicazione con tutti i tuoi amici e ci ha pure 'uazzàpp (Mario Merola se ne sarebbe entusiasmato e avrebbe fatto 'O uazzappatòre, gli amici taggati so' piezz' 'e core).

Parentesi: pur essendo un Intercity, uno dei rari rimasti, mi era toccata, senza che lo sapessi al momento di fare il biglietto, una carrozza in stile “freccia”; insomma, una di quelle maledette coi posti da quattro (due di fronte agli altri due) e i tavolinetti allungabili. Per uno come me è una disgrazia: non ci entro nemmeno a pigiarmici, in quei vagoni per nani. Rimpiango gli accelerati del 1974, che perlomeno non venivano sottoposti alla pubblica esplosione. Rimpiango persino il “rapido” che presi nell' '87 da Reggio Calabria a Bari, quindici ore di esperienza mistica sulla costa jonica senza aria condizionata i primi d'agosto. In più, mi era toccato un posto in direzione contraria al senso di marcia del treno, cosa che detesto; ma poiché l'età porta saggezza, mi sono sistemato alla bell'e meglio con mosse degne della contorsionista spagnola di Amici Miei, con accanto un ragazzo in viaggio verso il Pianeta delle Cuffie. Di fronte a me, invece, il militare al telefono. In realtà, non era vestito da militare; potevano però sussitere pochi dubbi, dato il borsone che recava seco, completamente pavesato di tricolori, italie, aquile, reparti, scuole di karatè, eserciti e quant'altro. Con voce modulata, calda e virile parlava, parlava, parlava.

Non sono abituato a seguire le altrui conversazioni; anche perché, generalmente, di quel che si dicono i cristiani fra di loro non mi importa assolutamente nulla. Però, trovandosi davanti un autentico Nostro Ragazzo che parla a otto centimetri di distanza, c'è poco da fare. Con mossa inaspettata, ho tirato fuori il libro coi miei esercizietti di ebraico, e mi sono messo a tracciare segni strani nelle righe predisposte; nel frattempo, davanti a me si stava svolgendo una di quelle piccole vicende nelle quali, ogni tanto, ci si imbatte. Specialmente quando uno dei protagonisti decide di spiattellare tutto ad un intero vagone ferroviario, pieno zipillo. Ho trovato tale vicenda talmente edificante da volerci spendere qualche parola, ché tanto non ho da copiaincollare su un blog ponderosi saggi di studiosi tedeschi e posso anche permettermi qualche digressione.

Il Nostro Ragazzo era di ritorno da una qualche missione durante la quale “si era rotolato due settimane nel fango”; lo stava dicendo a una signora, o signorina, che evidentemente si trovava all'altro capo del telefono nella città di Chissaquale. Che fra i due intercorresse una tenera relazione, resa totalmente pubblica in quell'ambientazione, lo si evinceva dalla fraseologia tipica (“amore”, “tesoro”); chiameremo questa fanciulla Miss X. La conversazione era incentrata sul fatto che Miss X era, palesemente, piuttosto incazzata perché il Nostro Ragazzo era stanco morto per aver compiuto il suo Dovere (rotolarsi nel fango, appunto) e non intendeva assolutamente andare a fare una gita a Nonsondostà, grande città di mare che il Nostro diceva di non sopportare. Miss X insisteva; lui si spazientiva; lei gli attaccava sul muso. Con misurata pazienza lui ricomponeva il numero, la richiamava, e continuava a spiegare pacatamente le sue ragioni, specificando che per il week-end era disposto a coprire interamente le spese perché tanto che vuoi che siano per lui, che guadagnava duecento euro al giorno (“che vuoi chemmefreghi, pago tutto io basta che stiamo a farci una bella passeggiata in città, cenannàmo in un bel locale”, eccetera). Confesso che quei duecento euro al giorno (che farebbero, ad un rapido calcolo, oltre seimila euro al mese), mi hanno fatto sbagliare una facile frasetta in ebraico e dimenticare il doppio articolo determinativo (in ebraico, per dire “la grande fetta di torta” bisogna obbligatoriamente dire “la fetta di torta la grande”, haugà hagdolà). Ad un certo punto, al Nostro Ragazzo cade la linea; il telefono risquilla, e lo vedo cambiare tono. All'altro capo del telefono, presumibilmente nella non vicina città di Qualesarammày, c'è un'altra persona, che chiameremo per comodità Miss Z anche se non si tratta affatto di una miss: è anzi, una donna sposata e, dal tono della conversazione si evince facilmente che il di lei matrimonio è stato contratto a suo tempo proprio col Nostro Ragazzo che mi sta davanti, impegnatissimo a gestire la situazione con fare deciso e fermo.

Detto tono, appunto, assume una allure affranta e stanchissima: purtroppo, il Dovere gli ha imposto un prolungamento della missione, altri rotolamenti nel fango, uomini da addestrare alle düre battaglie (e magari, chissà, pure alle missioni di pace), manovre rischiossissime e quant'altro, e quindi si sta recando nella città di Vattelappèsqua (più o meno agli antipodi dell'effettiva destinazione, vale a dire dove abita Miss X) e non può rientrare a casa per ordini superiori. Probabilmente assai delusa dalle mancate promesse di outlet domenicali e quant'altro, Miss Z, vale a dire la moglie del Nostro Ragazzo, strappa impegni futuri, si sente dire la classica frase (“tesoro, lo sapevi quando hai sposato un militare...”), profferisce l'altrettanto classica accusa di non stare mai con la famiglia e, colpo di scena, gli passa il figlio.

Comincia qui la terza versione del Nostro Ragazzo: quella di Papà Amorevole. Si fa raccontare per filo e per segno quel che il bambino, o ragazzo, ha fatto a squola, si interessa sinceramente, dice “ci si vede prestissimo”, racconta al pargolo di un'altra generosa porzione di fanghiglia e, nel frattempo, fa eloquenti sguardi dal significato chiarissimo (“Tepossinocecàtte, attacca che quellaltra me mena e nummeladappiù...”). A questo punto, anche il ragazzo che mi siede accanto torna per un momento dal suo viaggio sul Pianeta delle Cuffie, se ne toglie una, ascolta e mi lancia un impercettibile risolino; nel blocco di sedili accanto, una giovane mamma cerca disperatamente di sedare una frugoletta di tre o quattr'anni, perché anch'ella si è appassionata alla sápuópera (versione islandese della soap opera). Finalmente, e con gran sospirone di sollievo, Miss Z (la moje) si convince e attacca ripensando che una missione durante il week-end vale magari trecento euro al giorno, e che all'outlet ci andrà da sola o con un'amica. Risquilla il telefono.

Avete presente le chiamate di Zio Paperone imbufalito a Paperino, quelle in cui il filo del telefono assume la forma di un boia con la scure o roba del genere? Beh, di fili non ce ne sono ovviamente più, in quest'epoca ipertecnològica; però si sente una voce femminile che non promette nulla di buono. Il Nostro Ragazzo fa parecchia fatica a calmarla, dovendo perdipiù non berciare; Miss X lo accusa di non rispondere più, lui tira in ballo le gallerie, e ricomincia la storia della gita nella città di mare della quale lui proprio non vuol sapere nulla. Il risultato, dopo una trattativa serrata, è il seguente: lei andrà a fare la gita da sola (o con un'amica), ma tornerà in tempo per passare la serata del sabato assieme e l'intera domenica a (___ guardare “Domenica In”; ____ vedere l'interessante match di football Sanbordolese-Briacòpoli; ____ faire l'amour tutta la giornata; barrare con una X la propria scelta). Il sàbato sarà invece da lui impegnato, nell'appartamentino preso in affitto en cachette, a farsi una bella dormita ché gli è tanto stanco e infangato, e poi un giro da solo in bicicletta -mens sana in corpore sano) in attesa de la tarde y de la noche. Tutto sembra finalmente acquietarsi; la trattativa ha avuto successo, e siamo già quasi arrivati in quella data città. Il Nostro Ragazzo assume un'espressione spossata ma soddisfatta e si prepara per scendere. A pensarci bene, devo scendere pure io, anche se solo per pigliare una coincidenza con un Regionale; ripongo gli esercizietti di ebraico, in un'ora e venti mi sarà riuscito di fare sì e no quattro frasette e coi balzi del treno ho fatto delle aleph che sembrano ghimel, e delle ghimel che sembrano teth, accidenti al corsivo rabbinico. La storia, in pratica, finisce qui; salvo qualche pacata (e classica) considerazione finale.

Una volta sceso, e costretto a aspettare un'ora al binario 4 per pigliare la famosa coincidenza col Regionale delle 20,28, mi sono seduto, intabarrato poiché in quella città ci fan certi gennaj (anche se il tutto si svolge in febbrajo), e messo a meditare. In particolare, mi son come rivisto quelle famose dirette di Rai Nius Ventiquattro o roba del genere, quando ritorna la bara tricolorata del Nostro Ragazzo saltato in aria durante la missione di pace in Assurdistan accolta dal Presidente in gramaglie e dalla giovane moglie del caduto, regolarmente incinta e con in braccio il bambino col basco rosso in testa, da posare sulla cassa dell'eroico papammòrto. Il quale ha, in quel dato caso, cessato di guadagnare anche ben più di duecento euro al giorno a spese mie, tue, nostre, vostre eccetera (in ebraico, sappiatelo, tutti questi aggettivi possessivi sarebbero espressi mediante appositi suffissi). Mi son visto il Nostro Ragazzo, che dopo aver düramente addestrato i Suoi Ragazzi a invadere, che so io, la Libia, se ne torna in treno (dopo aver fatto visita alla mamma, me ne ero scordato!) al caldo abbraccio della ganza ventiduenne che vuole fare le gite, mica della famigliuola, sparando una serie di balle telefoniche da record mondiale. Può essere anche che siano pensieracci meschini, non lo nego; pensieracci di uno che sta andando, in treno, in una data altra città dove si manifesta per una valle che, a quanto pare, di Nostri Ragazzi è strapiena, militarizzata più dell'Assurdistan, dove nei boschi si cammina su tappeti di CS sparati, dove si finisce al bagno penale per un compressore. Non resta allora, mentre il tabellone annuncia un ritardo di quindici minuti di un treno a bassissima velocità, che immaginarsi un bel Nostro Ragazzo rinchiuso in una bara tricolore mentre Miss X e Miss Z (sempre la moje) se le danno di santa ragione davanti alle autorità. E, nel pensarlo, ho assunto un ghigno che proprio satanico non era, ma gli si avvicinava parecchio; era, del resto, una notte buja e tempestosa.