giovedì 25 giugno 2015

San Giovanni



Va a finire che un pensiero ce lo butto sempre a quel ventiquattro di giugno di ventidue anni fa. La telefonata, la piazza con gli alberi, l'assurdo giro in macchina, i fochi della festa patronale con una specie di morte dentro, il sonno di sfinimento in una casa altrui, e quella mattina dopo coi suoi dieci giorni cancellatimi dalla vita. Ho smesso però da tempo di combattere contro quel ricordo, e questa è secondo me la vera e profonda funzione del tempo che scorre. Non aiuta a dimenticare, come si suole dire, ma a sistemare ogni ricordo e ogni evento della propria esistenza nell'accettazione, proprio come gli elementi di un puzzle. Peccato, poi, che il completamento di quel puzzle equivalga al completamento della vita stessa, ma questo è probabilmente un altro discorso.

Però, stamani, quando il consueto pensiero, o ricordo, si è affacciato decisamente puntuale, è durato molto poco e non ha comportato nessun fastidio. Stavo camminando per le strade del mio quartiere, verso le sette e mezzo del mattino, in un ventiquattro di giugno quantomeno particolare. Ieri notte c'è stato un temporalone di quelli sodi, che poi è stato veramente spazzato via dal vento; così, quando mi sono svegliato, c'era un cielo limpidissimo, una luce accecante e una temperatura da primavera in Scandinavia. Me ne sono uscito per fare una cosa, con la stessa maglietta e gli stessi pantaloncini corti della sera prima, ma appena messo il naso fuor dall'uscio ho sentito le zizzole portate dal vento freddo. E così, espletato il pensiero (i ricordi visitano quasi sempre al risveglio di un dato giorno), mi è venuto in mente di parlare non di quel San Giovanni che si allontana sempre di più, bensì di oggi. Ventiquattro giugno 2015, nell'anno cinquantesimo secondo di mia vita (per dirla vagamente alla Villon).

Una luce come quella di oggi non è comune; sembrava una tramontanata di fine novembre trasmigrata a mezz'estate. Passando all'ombra, faceva un freddo che si pelava; nelle isole di sole di quell'ora mattutina si sentiva però già un barlume di caldo. Camminavo piano e un po' zoppicando, perché in questi giorni ho un rigurgito della tallonite che mi perseguita a intervalli, dovuta ai miei piedacci valghi, vàlgame Dios. Già non sono un bello spettacolo a vedermi camminare normalmente, con la mia andatura da papero scosciato (insuperabile definizione di mia madre), e figurarsi quando ho male ai piedi. Piano piano sono arrivato in una strada diritta e molto larga, procedendo sul lato solatio; e dovevo letteralmente aggrottare gli occhi da quanto la luce era violenta. Quasi nessuno in giro a quell'ora, nel giorno di festa; e la luce ha cominciato a agire.

Su di me, la luce agisce aumentando a dismisura quella che è già una mia caratteristica naturale: l'attenzione ai più minuti particolari di ciò che mi circonda. In questo, credo, somiglio parecchio al Marcovaldo di Italo Calvino; e quando c'è una luce come quella di stamani, accompagnata dal vento, una camminata di un chilometro e mezzo per le strade del proprio quartiere diventa un universo da esplorare. 

Così, ad esempio, attraversando sulle strisce pedonali nella strada lunga, diritta e mezza inondata dal sole accecante, ho visto una monetina da cinque centesimi proprio su una striscia bianca. Mi sono chinato per raccoglierla, perché cinque centesimi possono sempre far comodo, per accorgermi che era stata come inglobata dentro la striscia. Doveva, chissà, essere scivolata ad un operaio mentre rifaceva quelle strisce; impossibile staccarla. Il particolare genera la storia; approdando sul marciapiede, mi sono subito immaginato quella di una monetina catturata dalle strisce pedonali che provoca un effetto a catena dalle conseguenze incalcolabili. Ho una passione per questo tipo di storie a "domino", che iniziano con un evento apparentemente insignificante, che risale a quand'ero bambino, ed in particolare a quando lessi la prima storia del genere, un racconto di Dino Buzzati intitolato L'uovo

Insomma, tra luce, vento e monetine, il ricordo lontano era già bell'e andato a farsi benedire; e quando l'ho notato, in mezzo alla storia già quasi formata (ma che non racconterò perché, magari, un giorno o l'altro mi verrà la voglia di scriverla), mi ha messo in uno stato d'animo che non esiterei a definire gaiezza. La gaiezza è straordinaria e ha un effetto terapeutico immediato; fa sparire la tallonite, mette un appetito formidabile, non ti fa fumare, guarisce ogni ferita. E genera, tra le altre cose, un ricordo legato a un giorno. Da oggi, il ventiquattro giugno può sì tranquillamente restare il giorno di cui parlavo all'inizio, ma è anche diventato il giorno della monetina inglobata nelle strisce pedonali, con un Venturi che provava a staccarla inutilmente come in uno sketch di Candid Camera.

Ché poi, alla fin fine, anche di quel lontano San Giovanni mi restano più che altro particolari del genere, mi son messo a pensare. Il telefono a disco. L'albero nella piazza.  La giacchetta sahariana che avevo addosso (piovigginava quel giorno) con una palma ricamata, e che poi è andata perduta chissà dove. Il biglietto dell'autobus. Ogni cosa, tranne una: la faccia della persona che di quella giornata è stata pur sempre coprotagonista. Non mi ricordo nulla, né che faccia aveva quel giorno, né com'era vestita, né come camminava e neppure che cosa mi diceva. Tutto come svanito. Non fosse per due o tre foto di cui ho serbato memoria (una con una gattina in mano quando aveva diciassette anni, una su una panchina in pietra di dieci anni dopo), faccio tout court fatica a ricordarmi com'era fatta. Quasi del tutto sbiaditi anche i ricordi del suo corpo. Può essere una cosa strana, perché si tratta di una persona con cui ho avuto una consuetudine di lunghi anni; ma appartengo evidentemente a coloro che lasciano agire liberamente i flussi della memoria rifiutandosi di forzarli, ad esempio, con artifici tecnologici.

Al ritorno, la luce si era fatta ancora più violenta. Il cielo di un azzurro indicibile, e il vento che però sembrava un po' essersi acquietato, nonostante fosse sempre ben avvertibile. Sembrava, perché all'improvviso ha ricominciato a soffiare, prendendomi stavolta d'infilata in un'antica e stretta stradina; una di quelle che, in questo strano quartiere, è sopravvissuta all'urbanizzazione coi suoi terratetto forse secolari e le sue corti. Mentre camminavo, passato il bar dei siciliani accanto alla lavanderia a gettone, da una finestra al piano di sopra di uno di quei terratetto è caduto, per il vento, un oggetto. Uno zerbino color vino, con il disegno di un gatto bianco e nero.

L'ho visto come volteggiare per l'aria mentre cadeva, facendo letteralmente delle circonvoluzioni quasi fosse una piuma e non un oggetto che ha pur sempre un certo peso; è atterrato sul marciapiede, alle mie spalle, e si è messo a inseguirmi. Facevo un passo, e il vento me lo spingeva dietro a capriole; un altro passo, e una capriola. Così per una ventina di metri. Poiché la cosa doveva avere per forza un suo significato, e dato che gli zerbini non vanno di solito dietro ai cristiani, l'ho stoppato con fare deciso e anche vagamente marziale. "Altolà!" Così ho gentilmente chiamato una signora che si era affacciata alla finestra dicendole che il suo zerbino mi stava dando la caccia. Tra mille ringraziamenti mi ha aperto il portone e glielo ho messo sul primo gradino della rampa di scale che, in ogni terratetto (o "fetta di casa", come dicono a Piacenza e dintorni), mena al pian di sopra. Alle pareti delle scale, foto di una bambina e di due gatti. Gatto pure sullo zerbino. Sono uscito molto contento, e sempre più convinto di aver vissuto stamani delle avventure straordinarie mandatemi nel giorno di San Giovanni. 

Visto che oggi era festa, ho dormito per mezza giornata. Dormire è rivoluzionario. S'immagini se, un giorno, tutti quanti dicessero: "Oggi non ci vo a lavorare, sto a dormire quanto mi pare. E vaffanculo!" Insomma, stamani, evidentemente, mi sono svegliato perché mi stavano aspettando delle avventure che Giulio Verne non se le è manco immaginate di striscio.Stasera c'era un cielo di un colore che non so dire; indaco, sì, ma non rende del tutto l'idea. Puntuali come la morte, a una cert'ora sono partiti i fochi sparati dal piazzale Michelangiolo; ma non sono andato a vederli. Li ho ascoltati, pum putupùm pumpùm patapàm. Me li sono immaginati in quel cielo meraviglioso. Girava il gatto Nicco nel cortile finalmente restituitogli dopo giorni e giorni di lavori fognari; e ora me ne torno a dormire. La buonanotte a tutti.