martedì 9 giugno 2015
Estate
Le poche volte che mi
accingo a parlare di “questo blog” ho, credetemi, i sudorini
freddi. Non solo non mi piace farne un soggetto autoreferenziale, ma
sono oramai convinto in modo ferreo che la cosiddetta “comunicazione
in rete”, in tutte le sue forme, sia la più grande truffa del
millennio. Una truffa, occorre dire, cui abbiamo partecipato e stiamo
partecipando tutti quanti. Non comunichiamo un bel nulla, in realtà;
più la tecnologia avanza, e più siamo incapaci di formulare dei
pensieri articolati che siano degni di questo nome e che abbiano
qualche possibilità non dico di incidere su un granello di realtà,
ma semplicemente di essere percepiti. Siamo diventati i robottini
delle cazzate, le macchinette del vuoto a perdere mentale, chini su
smartphone che oramai costano
meno di mezzo chilo di prosciutto di Parma.
Parole,
parole, parole, parole, parole. La politica condotta
oramai quasi interamente attraverso un sito commerciale
dove si scrivono specie di messaggini che, però, in generale sono
assai più stupidi dei vecchi SMS. E ancora parole, parole, parole,
parole. Cosiddetti movimenti interi,
gestiti o meno da comici che non farebbero più ridere nemmeno una
iena, che propagandano democrazie, legalità e onestà come fossero
gite con la vendita di pentole, naturalmente affidandosi alla Rete;
del resto, quando li si vede in faccia, sembrano tutti irreali,
disegnati con qualche programmino di grafica digitale. Qualcuno avrà
notato la tipica facies
del Pentastellato: tutti con lo stesso visino che zampilla onesta e
normalità, le stesse barbette curate da trentacinquenne
standardizzato del pianerottolo accanto, le stesse camicette, le
stesse guancine da giovane mamma laureata. E sempre parole, parole,
parole, parole. Gli avvenimenti in
diretta dalla piazza-simbolo che, a turno, cambia il mondo in media
per trentasei ore, la protesta, la catastrofe, la strage, la
guerricciola, i califfi, il campionato, l'astronauta, il barcone. E
continuamente parole, parole, parole, parole che si sovrappongono, si
intrecciano, si contraddicono, si urtano, si annullano. Il nulla,
appunto. Strumenti obbedienti del bla bla bla planetario, vale a dire
del più efficace e definitivo sistema di controllo mai approntato.
Ecco,
vedete come va sempre a finire. Esordisco in pompa magna dichiarando
che parlerò di “questo blog”, ma poi sbarello di qua e di là;
non a caso qualcuno mi ha chiamato il dottor Divago.
Anche perché, viste le premesse, gli auspicabilmente pochi che
ancora leggono le mie deliranze (una sottolineatura rossa mi avverte
che la parola “deliranze” non dovrebbe esistere, ma è la stessa
che vedo sotto “Pentastellato”, “guerricciola” e persino
“blog”) potrebbero farmi un'obiezione più che ragionevole: Bene,
Venturi, e allora perché non pianti baracca e burattini, non chiudi
ogni cosa, non scompari dalla Rete, non ti ripigli penna e quaderno
davanti a un tramonto sul mare e non torni infine al tuo oramai
sempre meno latente primitivismo pre-tecnologico? (altra
sottolineatura rossa)
Obiezione
assolutamente inoppugnabile. E qui mi partono altri divertenti trip.
Comincio a immaginarmi, che so io, la Rivoluzione Francese a base di
blog e social networks; glì #Stati Generali tenuti in
videoconferenza, gli account @louisseize, @maxirobes e
@fouquiertinville, il top blog L'ami du peuple
(http://lamidupeuple.blogspot.fr),
i gruppi Facebook giacobini, montagnardi, foglianti, termidoriani,
delle Tricoteuses e
degli Incroyables. Sarebbe,
naturalmente, tutto finito in un allegro pateracchio, passando alla
storia come Printemps Français
o roba del genere. Oppure la Rivoluzione d'Ottobre, cominciata
naturalmente con un gigantesco flash mob davanti al Palazzo d'Inverno
mentre Anonymskaja metteva fuori uso i siti governativi zaristi,
Nicola II veniva condannato alla cancellazione definitiva delle
pagine FB sua e dei suoi familiari (decretandone quindi qualcosa di
ben peggio della morte, perché chi non ha una pagina FB non
esiste) e le steppe venivano
squassate dal grido Tutto il potere a @soviet.gov.ru.
Ed è così che noialtri comunichiamo, comunichiamo e comunichiamo
riuscendo, come per miracolo, al tempo stesso a stare zitti. Un
silenzio compatto e tombale. Rivolte fagocitate negli snodi della
Rete. Ribellioni spiaccicate sui #cancelletti. Utopie ridotte a link.
L'Anarchia passata dalla “A” cerchiata alla @ commerciale. Resta,
forse, soltanto qualche ostinato montanaro valsusino che, peraltro,
con le sue manacce e le sue vanghe sta riuscendo a mettere in scacco
tutto un sistema ben più di noialtri con tutte le nostre
comunicazioni interattive.
Beh,
d'accordo, di “questo blog” non ne sto parlando affatto. Non è
diverso dagli altri. Non sono diverso dagli altri. Perché, lo si
sarà capito fin dall'inizio, non lo chiuderò affatto. Andrà avanti
come sempre, come un balocco a volte un po' pericoloso che procura
denunce e processi, e più spesso come un solitudinatojo. Andrà
avanti come un buffo ricettacolo di antagonismi, e più spesso di
antagonìe. Andrà avanti per non andare indietro. Bella questa; è
una frase che non significa assolutamente un cazzo, però suona bene.
Però
avendo coscienza di una cosa. Figurarsi che io voglia fare il
profeta; potessi, anzi, piglierei tutti i profeti, di ogni tempo, e
ficcherei loro un raudo fischione acceso nel culo. Ma non ritengo
lontanissimo il tempo in cui la cosiddetta “Rete” imploderà
completamente, e imploderà nel nulla che ha creato. Accadrà,
magari, quando sempre più persone si accorgeranno che una “rete”,
per definizione, serve a catturare. Qualcosa in cui si rimane
impigliati per non uscirne più, o meglio per uscirne soltanto
salati, inscatolati, messi in vendita e pronti all'uso. E'
esattamente quel che è successo a tutti noi, che le abbiamo affidato
soprattutto la speranza e il desiderio di non essere anonimi e
impotenti, per poi tornare alla gabbia dell'anonimato. La speranza e
il desiderio di dire e cambiare, per poi non dire più niente e farci
strumenti della conservazione e di un controllo sempre più
capillare. La speranza e il desiderio di essere capiti e aiutare a
capire, per poi constatare, fumando una sigaretta in una sera
d'estate, che non ci capirà mai nessuno e che voi continuate a non
capire una sega.